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10/3/2018

Tutti contro Donald Trump, dopo l'annuncio sui dazi americani contro acciaio ed alluminio, ma il timore è che ora inizi una corsa agli accordi sottobanco.

"Abbiamo preso atto della decisione statunitense, il nostro primo obiettivo e' il dialogo con Washington. Prepariamo contromisure, ma speriamo di non doverle usare", ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Europea Katainen. Il quale ha annunciato che Bruxelles è pronta a portare Washington al Wto. Il rischio concreto è che l'America possa giocare al divide et impera, con gli europei. Di qui l'avvertimento di Katainen: "ci aspettiamo che l'Unione venga trattata come un blocco unico". "I dazi sono svantaggiosi per tutti", ha fatto eco da Monaco la cancelliera tedesca Merkel - secondo cui l'Europa deve "cercare il dialogo, ma essere anche pronta a reagire". Il premier uscente Gentiloni, che ha parlato con il presidente della Commissione Juncker, ha annunciato che a fine marzo il vertice europeo valuterà una posizione comune. Per Federacciai la mossa statunitense colpirà diverse aziende italiane. La Francia chiede una reazione collettiva comunitaria, cui si dovrebbe unire anche Londra - la quale, per non sbagliare, cerchera' di ottenere un'esenzione. Già pronta una missione americana del Ministro per il Commercio Fox. Anche l'Australia sembra decisa a percorrere la stessa strada. Dure reazioni da Cina, Giappone e Corea del Sud. Washington, dopo la raffica di proteste, abbassa i toni: il segretario al Commercio Mnuchin ha aperto ad altre esenzioni, oltre a quelle temporaneamente previste per Canada e Messico.

9/3/2018

L'annuncio di Donald Trump sui dazi contro acciaio ed alluminio compatta la comunità mondiale nella censura della mossa americana. A guidare la protesta l'Europa.

"Abbiamo preso atto della decisione di Trump, il nostro primo obiettivo e' il dialogo con Washington. Prepariamo contromisure, ma speriamo di non doverle usare", ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Europea Jyirki Katainen. Il quale ha annunciato che Bruxelles è pronta a portare Washington al Wto. Il timore è che l'America possa giocare al divide et impera, con gli europei. Di qui l'avvertimento di Katainen: "ci aspettiamo che l'Unione venga trattata come un blocco unico". "I dazi sono svantaggiosi per tutti", ha fatto eco da Monaco la cancelliera tedesca Merkel - secondo cui l'Europa deve "cercare il dialogo, ma essere anche pronta a reagire". Il premier uscente Gentiloni, che ha parlato con il presidente della Commissione Juncker, ha annunciato che a fine marzo il vertice europeo valuterà una posizione comune. Per Federacciai la mossa statunitense colpirà diverse aziende italiane. La Francia chiede una reazione collettiva comunitaria, cui si dovrebbe unire anche Londra - nonostante la Brexit. Dure reazioni da Cina, Giappone e Corea del Sud, mentre l'Australia tende la mano a Washington e chiede di essere esclusa dai dazi. Washington, sotto la raffica di proteste, abbassa i toni dello scontro: il segretario al Commercio Mnuchin ha aperto ad altre esenzioni, oltre a quelle temporaneamente previste per Canada e Messico.

9/3/2018

Il giorno dopo l'annuncio di Donald Trump sui dazi contro acciaio e alluminio, l'Europa reagisce allarmata.

"Abbiamo preso atto della decisione di Trump, il nostro primo obiettivo e' il dialogo con Washington. Prepariamo contromisure, ma speriamo di non doverle usare", ha dichiarato il vicepresidente della Commissione Europea Jyirki Katainen. Il quale ha annunciato che -qualora si avverasse il peggior scenario possibile- Bruxelles, che ha competenza esclusiva in materia commerciale, è pronta a portare Washington al Wto. Il timore è che l'America giochi al divide et impera, con gli europei. Di qui l'avvertimento di Katainen: "ci aspettiamo che l'Unione venga trattata come un blocco unico, non possiamo accettare che sia divisa in categorie differenti". "I dazi sono svantaggiosi per tutti", ha fatto eco da Monaco la cancelliera tedesca Merkel - secondo cui l'Europa deve "curare il canale del dialogo con gli Stati Uniti, ma anche con altri partner colpiti da effetti collaterali, come la Cina". La Francia, con il Ministro dell'Economia Le Maire, ha deplorato la decisione americana. Per Le Maire, la reazione "puo' essere soltanto collettiva a livello europeo, affinchè sia efficace". Anche in Italia si comincia a fare i conti con le conseguenze della mossa di Trump: per Federacciai è molto pericolosa, e colpirà diverse aziende della Penisola.

9/3/2018

Dopo numerose esitazioni e rinvii, sfidando la forte opposizione interna allo stesso Partito Repubblicano, Donald Trump ha firmato la controversa introduzione di dazi commerciali.

Come lui stesso ha annunciato, attorniato da un gruppo di lavoratori del settore come scenografia irrinunciabile, i dazi saranno pari al 25% per le importazioni di acciaio e del 10% per quelle di alluminio - dall'estero. Entreranno in vigore tra 15 giorni, e non si applicheranno inizialmente alle importazioni da Canada e Messico, almeno finchè non sarà più chiara la definizione di un nuovo NAFTA, l'accordo di libero scambio regionale. Anche per alleggerire la fortissima pressione internazionale, Trump ha aggiunto che altri Paesi alleati potranno chiedere esenzioni, aprendo negoziati diretti con l'amministrazione. "Flessibilità e cooperazione", le parole d'ordine. La platea di riferimento dell'annuncio è stata quella che lo ha eletto: "proteggeremo i lavoratori americani", ha declamato Trump, sparando a zero contro le amministrazioni che lo hanno preceduto, e paventando il rischio di un assalto economico agli Stati Uniti. Assalto che potrebbe materializzarsi ora sottoforma di ritorsioni: l'Europa ha già pronta una lista di contromisure, la Cina -menzionata ieri da Trump tra gli avversari economici- è sul piede di guerra, e 11 Paesi hanno firmato ieri in Cile il Tpp, accordo di libero scambio che copre un mercato da mezzo miliardo di consumatori. E lo fa, abbattendo i dazi.

8/3/2018

La Banca Centrale Europea ha lasciato i tassi d'interesse invariati: il tasso principale resta fermo allo 0%. Alzate le stime di crescita per l'Eurozona al 2,4% per il 2018.

La Banca Centrale Europea cancella a sorpresa l'opzione espansiva del quantitative easing, che ha fatto parte finora della sua forward guidance: in termini semplici, Francoforte non espanderà più in automatico il piano di acquisto titoli, ridotto attualmente a 30 miliardi di euro mensili, in caso di peggioramento delle prospettive. Una decisione "unanime, una decisione che guarda al passato senza implicazioni sulle aspettative", ha spiegato il presidente Bce Draghi, evitando di dare troppa importanza alla mossa. Il Consiglio direttivo continua a prevedere che i tassi di interesse rimarranno ai livelli attuali per un lungo periodo di tempo e ben oltre l'orizzonte del programma di quantitative easing, che scadrà a settembre. Francoforte ha anche alzato le stime di crescita per l'Eurozona al 2,4%. "I dati confermano la forte e diffusa spinta della crescita nell'area euro, attesa nel breve termine a tassi piu' forti del previsto", ha commentato Draghi, che ha attaccato Donald Trump: azioni unilaterali sul commercio estero sono "pericolose. Se introduci tariffe contro i tuoi alleati, ci si chiede... 'chi sono i nemici?'", ha detto Draghi, allertando sui rischi di un "protezionismo in aumento". Il presidente Bce ha commentato le ultime evoluzioni politiche italiane: quanto accaduto "non suggerisce che i mercati abbiano reagito in un modo che minacci la fiducia, tuttavia "unainstabilita' protratta nel tempo potrebbe farlo". Dal presidente BCE l'avvertimento al prossimo Governo: "il bilancio pubblico e' di massima importanza nei Paesi ad alto debito".

7/3/2018

E' un giudizio severo quello emesso dalla Commissione Europea sull'Italia, nel primo vero test post-elettorale, in attesa dell'esame definitivo -previsto a maggio- sui nostri conti pubblici. In Italia si registrano "squilibri eccessivi", tra cui alto debito e una protratta bassa produttivita'".

Così Bruxelles, precisando che Roma è classificata al pari di Cipro e Ungheria. Secondo Bruxelles ci sono stati "alcuni progressi" nell'attuazione delle raccomandazioni specifiche di dieci mesi fa. "Diverse misure sono in cantiere, in particolare nel settore del lavoro, politiche sociali, giustizia civile e ambiente per le imprese", concede Bruxelles, precisando che gli squilibri si stanno riducendo grazie a "condizioni economiche favorevoli e ad una riduzione dei rischi nel settore bancario". "C'e' pero' bisogno di un'attuazione piu' determinata di alcune politiche". Anche perchè, e qui tocchiamo un altro tasto dolente, "la competitivita' esterna e' migliorata ma la debole produttivita' rende impegnativo ribaltare il quadro". Sul fronte conti, il debito "si stabilizza, ma ancora non ha imboccato un percorso di ferma discesa a causa del deteriorarsi del saldo strutturale", e lo slancio delle riforme "e' in qualche modo rallentato", chiosa Bruxelles. Dalla Commissione un richiamo a sette Paesi per politiche fiscali giudicate aggressive, e quindi pericolose per il mercato interno: il richiamo è stato rivolto ai soliti noti, quali Irlanda, Lussemburgo, Malta, e Olanda. Ma anche a Belgio, Cipro e Ungheria.

7/3/2018

E' un giudizio severo quello emesso oggi dalla Commissione Europea sull'Italia, nel primo vero test post-elettorale, e in attesa del giudizio -previsto a maggio- sui nostri conti pubblici. In Italia si registrano "squilibri eccessivi", tra cui alto debito e una protratta bassa produttivita', che comporta rischi di "implicazioni transnazionali, in un contesto di crediti deteriorati ancora elevati e disoccupazione".

Così Bruxelles, nel rapporto sugli squilibri. Il debito "si stabilizza, ma ancora non ha imboccato un percorso di ferma discesa a causa del deteriorarsi del saldo strutturale", e lo slancio delle riforme "e' in qualche modo rallentato". Queste dunque le prime indicazioni europee, che sono al centro di una conferenza stampa ancora in corso. Dalla Commissione un richiamo a sette Paesi per politiche fiscali giudicate aggressive, e quindi pericolose per il mercato interno: il richiamo è stato rivolto ai soliti noti, quali Irlanda, Lussemburgo, Malta, e Olanda. Ma anche a Belgio, Cipro e Ungheria. Infine la questione guerra commerciale, che si staglia all'orizzonte con gli Stati Uniti: la Commissaria al Commercio Malmstroem è stata molto chiara: "finche' Washington non prenderà misure sui dazi, speriamo di poter evitare una disputa, che non e' nell'interesse di nessuno", ma "e' chiaro che se queste verranno prese danneggeranno l'Unione Europea", quindi "dobbiamo rispondere in modo fermo e proporzionale" e "in linea con le regole del Wto". Per la Malmstroem, la lista di contromisure commerciali e' pronta.

6/3/2018

L'Europa osserva spiazzata l'esito delle elezioni italiane, affidandosi alla capacità del presidente Mattarella nel trovare una soluzione accettabile per tutti, in grado di sbrogliare quello che a Bruxelles appare come uno dei peggiori scenari possibili.

Margaritis Schinas, portavoce del presidente della Commissione Juncker, appare in evidente difficoltà di fronte al fuoco di fila delle domande dei giornalisti: si rifiuta di commentare le dichiarazioni del leader leghista Salvini ed esprime fiducia nella capacità del presidente della Repubblica, di formare un Governo stabile. L'appoggio europeo, neppure troppo velato, ad un possibile esecutivo Berlusconi, tornato in grande auge nelle scorse settimane in Europa dopo l'autunno drammatico del 2011, grazie anche alla candidatura a premier di Antonio Tajani, si sfalda a urne chiuse. Il crollo del PD fa sfumare pure l'ipotesi di Grosse Koalition, incollando sull'Italia un gigantesco punto interrogativo. Una coincidenza davvero bizzarra, che Roma viri verso euroscetticismo e populismo proprio nelle ore in cui la Germania si avvia ad un quarto Governo Merkel. La cancellieraieri ha subito rilanciato l'asse con Parigi, per riformare l'Eurozona e contrastare la guerra commerciale annunciata da Trump. Berlino si augura un Governo italiano stabile, Parigi resta prudente e guarda a Mattarella. Entrambe le capitali europee si chiedono quale partita giocherà ora Roma, sullo scacchiere europeo - quale campo sceglierà, e se sarà ancora un partner affidabile. Sui mercati, Milano chiude in calo, ma recupera rispetto al tonfo iniziale. Tiene l'euro, positive le altre borse europee.

5/3/2018

L'Europa reagisce imbarazzata ad un risultato elettorale italiano che apre -a Bruxelles- uno degli scenari peggiori possibili. L'ascesa di forze euroscettiche o populiste, tenute a bada a fatica nelle ultime elezioni francesi e tedesche, fa il pieno nella Penisola.

Margaritis Schinas, portavoce del presidente della Commissione Juncker, appare in evidente difficoltà di fronte al fuoco di fila delle domande dei giornalisti, rifiutandosi di commentare le dichiarazioni del leader leghista Salvini ed esprimendo fiducia nella capacità del presidente Mattarella, di formare un Governo stabile in Italia. A Bruxelles, considerato il prevedibile calo del PD, avevano già puntato tutte le carte sul ritorno di Berlusconi, chiudendo un occhio sul drammatico autunno del 2011, quando le sue dimissioni da premier fecero tirare un sospiro di sollievo in Europa, terrorizzata dal possibile default italiano. Ma anche quell'opzione è naufragata, con l'avanzata di Cinque Stelle e Lega. Sullo stesso spartito di Bruxelles gioca la Germania, che a metà marzo tornerà ad avere un esecutivo: "ci auguriamo un Governo italiano stabile", ha detto il portavoce della cancelliera Seibert. Il paradosso è che le elezioni italiane hanno coinciso con la ripartenza del motore franco-tedesco. Angela Merkel è pronta a formare un asse con Parigi per la riforma dell'Eurozona, ed è decisa a far sentire -forte- la voce di Germania, Francia e di altri Paesi alleati, per esempio nella guerra commerciale all'orizzonte con Wasshington. Occorrerà vedere quanto l'Italia sarà della partita, in questo rinnovato asse franco-tedesco.

5/3/2018

L'Europa e la Germania ripartono, dopo 160 giorni di paralisi politica dell'azionista di riferimento dell'Unione Europea.

Non è un caso che il presidente francese Emmanuel Macron abbia colto la palla al balzo, per annunciare che Parigi e Berlino lavoreranno insieme su nuove iniziative, per portare avanti il progetto comunitario. In primis la riforma dell'Eurozona, su cui si dovrebbe cominciare a discutere già a fine mese. Ma le certezze finiscono qui. Perchè un parto così laborioso della Grosse Koalition lascia aperte ancora tante domande. "Abbiamo sottoscritto un contratto di coalizione con Cdu e Csu, con molti progetti interessanti per i cittadini. In Germania si parla spesso di rivoluzioni, ma -che io sappia- poi non se ne fanno", commenta pragmatica la leader in pectore della Spd, Andrea Nahles, quando le viene fatto presente che gli oppositori interni all'alleanza di Governo sono forti in entrambi gli schieramenti. La Nahles invoca l'unità del partito, con una Spd pericolosamente sgonfia nei sondaggi, che deve a questo punto avviare un processo di rinnovamento interno, dopo aver rischiato ieri l'implosione, e l'avvio di una crisi interna devastante. Angela Merkel sarà eletta per il suo quarto mandato il 14 marzo: la Cdu ha accolto il risultato di ieri con sollievo, "una buona decisione per la Germania". Ora si apre la messa a punto della squadra di Governo, ancora una volta con l'incognita Spd: i socialdemocratici, che hanno strappato caselle fondamentali, come quella delle Finanze, divideranno a metà -tra uomini e donne- i loro Ministeri.

5/3/2018

L'annuncio arriva poco dopo le 9 del mattino, per bocca del segretario reggente -nonché Ministro delle Finanze in pectore- Olaf Scholz. Con 240mila sì, pari al 66% dei voti validi, la base socialdemocratica dà il via libera alla Grosse Koalition.

Ma non ci sono applausi o urla di gioia ad accogliere il risultato. Solo un silenzio spesso, sul quale sorvola Scholz, limitandosi ad un "abbiamo fatto chiarezza. La Spd entrerà nel prossimo Governo". La buona notizia per il partito che fu di Willy Brandt è che la maggioranza dei sì è netta, e non lascia spazio a recriminazioni. La cattiva è che lascia alle sue spalle un partito lacerato, con sondaggi che lo danno di poco sopra la destra populista dell'Afd. Il leader dei giovani Spd Kuehnert, portabandiera del "no" alla Grosse Koalition, non nasconde la propria delusione, ma promette ed esige un rinnovamento interno compartecipato. Angela Merkel sarà dunque investita per la quarta volta consecutiva cancelliera, la terza in Grande Coalizione con la Spd, il prossimo 14 marzo. Prima però occorrerà definire la squadra di Governo. E qui qualche casella, nel campo Spd, va ancora definita - come per esempio il Ministero degli Esteri, finito nel tritacarne dello scontro tra i due ex-leader Schulz e Gabriel. L'unica certezza è che i socialdemocratici divideranno a metà, tra uomini e donne, i loro sei dicasteri, tra cui figura anche quello -cruciale- delle Finanze. Poi comincerà il lavoro: non solo in Germania, ma anche in un'Europa orfana da mesi del suo azionista di maggioranza.

4/3/2018

Una notte di spoglio senza sosta delle schede, con una prima certezza: la partecipazione -tra gli oltre 460mila tesserati SPD- è stata alta, stando almeno a quanto dichiarato dal reggente del partito Olaf Scholz, il cui stesso destino si gioca in queste ore.

Se passa la Grosse Koalition, sarà lui il nuovo Ministro dell'Economia. Le migliaia di schede sono giunte ieri -poco prima delle 17- alla Willy Brandt Haus di Berlino, sede dei socialdemocratici. A scrutinarle un team di 120 membri del partito, con un ritmo di 20mila schede l'ora. Il quesito è semplice: sì o no alla Groko. "L'Spd uscira' da questo voto rafforzata e piu' risoluta", ha detto il Ministro della Giustizia uscente, Heiko Maas. Ottimista anche la leader designata Spd, Andrea Nahles, mentre i giovani del partito, i portabandiera del "no" alla Grande Coalizione, sperano ancora di far fallire sul nascere il quarto Governo Merkel. I dibattiti delle ultime ore si sono incentrati sopratutto su cosa potrebbe accadere in caso di voto contrario: nuove elezioni, oppure un Governo Cdu/Csu di minoranza? A osservare attentamente la situazione c'è la cancelliera, che non sembra considerare l'ipotesi di un fallimento della consultazione Spd. E che guarda -anzi- alle prossime mosse politiche: Angela Merkel pensa ad un'accelerazione -d'intesa con la Francia- dell'armonizzazione della tassazione sulle societa', anche alla luce della recente riforma fiscale americana.

3/3/2018

Nessuno di noi otterrà tutto ciò che vuole, ma possiamo ancora arrivare ad un accordo. A patto di accettare verità difficili. La premier britannica May controbatte così alle ultime mosse europee sulla Brexit.

Nell'atteso discorso alla Mansion House, la premier delinea un'intesa con l'Europa più ricca di dettagli su determinati settori commerciali, ma ancora ricca di punti di domanda su altri. Da un lato la May auspica un accordo commerciale il più ampio e profondo possibile, dall'altro però mette in chiaro che non ci potrà essere unione doganale con gli altri 27 Paesi del blocco. Sì invece ad una partnership commerciale, anche se la May non vede di buon occhio nè il modello norvegese, nè quello canadese. Quello che la premier afferma chiaramente, sono le difficili verità che attendono i britannici. "Lasceremo il mercato unico, la vita sarà diversa. E anche dopo aver abbandonato l'Unione, le normative e le decisioni comunitarie continueranno a riguardarci". La May chiede l'inclusione dei servizi finanziari, vitali per la City, all'interno di un'intesa post-Brexit, ma ammette che Londra perderà qualcosa, in termini di accesso al mercato unico. Sulla giurisdizione della Corte Europea di Giustizia rassicura i suoi concittadini: "finirà", dice, "a Brexit avvenuta". Così come "la liberta' di movimento delle persone, con il recupero del controllo delle frontiere". Più vago il discorso sull'Irlanda del Nord, vero nodo della contesa: la May concorda che un confine fisico tra le due Irlande vada evitato, ma -rigettando la proposta europea di unione doganale- rinvia tutto a non meglio precisate soluzioni tecnologiche. Se il caponegoziatore europeo Barnier apprezza la chiarezza della premier sul mercato unico, le prime reazioni dall'Europarlamento sono invece di delusione.

2/3/2018

Theresa May riprende il timone della Brexit, dopo una settimana difficile, ma non convince tutti.

Nell'atteso discorso alla Mansion House di Londra, la premier britannica delinea un'intesa con l'Europa più ricca di dettagli su determinati settori commerciali, ma ancora ricca di punti di domanda su altri. Da un lato la May auspica un accordo commerciale il più ampio e profondo possibile, dall'altro però mette in chiaro che non ci potrà essere unione doganale con gli altri 27 Paesi del blocco. Sì invece ad una partnership commerciale, anche se la May non vede di buon occhio nè il modello norvegese, nè quello canadese. Quello che la premier afferma chiaramente, sono le difficili verità che attendono i britannici. "Lasceremo il mercato unico, la vita sarà diversa. E anche dopo aver abbandonato l'Unione, le normative e le decisioni comunitarie continueranno a riguardarci". La May chiede l'inclusione dei servizi finanziari, vitali per la City, all'interno di un'intesa post-Brexit, ma ammette che Londra perderà qualcosa, in termini di accesso al mercato unico. Sulla giurisdizione della Corte Europea di Giustizia rassicura i suoi concittadini: "finirà", dice, "a Brexit avvenuta". Così come "la liberta' di movimento delle persone, con il recupero del controllo delle frontiere". Più vago il discorso sull'Irlanda del Nord, vero nodo della contesa: la May concorda che un confine fisico tra le due Irlande vada evitato, ma -rigettando la proposta europea di unione doganale- rinvia tutto a non meglio precisate soluzioni tecnologiche. Se il caponegoziatore europeo Barnier apprezza la chiarezza della premier sul mercato unico, le prime reazioni dall'Europarlamento sono invece di delusione.

2/3/2018

L'annuncio di Donald Trump sui dazi per acciaio e alluminio ha provocato la dura reazione di Europa, Cina e Russia, allarmati dall'onda protezionista che torna a soffiare -prepotentemente- dall'altro lato dell'Oceano.

Il presidente della Commissione Europea Juncker promette una "ferma" risposta comunitaria. "Siamo rammaricati da questa mossa, un intervento sfacciato a difesa dell'industria americana" - ha affermato Juncker, che ha promesso: "l'Europa non restera' immobile mentre la nostra industria viene colpita da queste ingiuste misure che mettono a rischio migliaia di posti di lavoro". Più nello specifico, nei prossimi giorni la Commissione avanzera' una proposta per lanciare contromisure -compatibili con le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio- 'contro gli Stati Uniti, al fine di controbilanciare la situazione'. Toni decisi anche da Berlino: secondo il portavoce della cancelleria Seibert, "questa misura unilaterale non è la soluzione del problema". Il Governo "valutera' gli effetti sull'economia tedesca e su quella europea", ha aggiunto. Le reazioni hanno superato il tradizionale -e un po' appannato- asse transatlantico: il Cremlino si è detto "preoccupato" dalla decisione di Trump. "La situazione merita massima attenzione", ha detto il portavoce di Putin, Peskov. Sulla stessa linea la Cina: Pechino ha espresso "grave preoccupazione". "Abbiamo adempiuto a tutti i nostri obblighi, Washington risolva le dispute con i negoziati".

28/2/2018

La Brexit torna ad infiammare lo scontro a distanza tra Londra e Bruxelles, a soli tredici mesi dall'uscita di Londra dall'Unione Europea. Nodo del contendere ancora una volta il controverso confine nordirlandese.

Il caponegoziatore europeo Barnier suggerisce "un'area comune" per risolvere il problema delle frontiere sull'Isola di Smeraldo. A stretto giro di posta la reazione della premier britannica May, che rispedisce la proposta al mittente: la prospettiva di inserire la sola Irlanda del Nord -senza il resto del Regno- in "un'area comune" allineata alla normativa europea, e' irricevibile, poiche' "violerebbe l'integrita' costituzionale" della Gran Bretagna, dice la May. In conferenza stampa, nella quale è stata presentata la bozza di testo per l'uscita di Londra dall'Unione, Barnier ha mostrato allarme per il passo lento con cui si trascinano i negoziati. "Dobbiamo accelerare, se vogliamo farcela. Occorre una procedura di uscita ordinata. Entro l'autunno dobbiamo arrivare ad un accordo definitivo, per procedere alle ratifiche". Il caponegoziatore europeo ha elencato le questioni su cui le posizioni restano lontane: i diritti dei cittadini europei - Londra insiste nel voler trattare diversamente chi arriva Oltremanica prima del marzo 2019, da chi vi approderà dopo. E l'applicazione delle normative europee, nei due anni di transizione: "le regole devono essere le stesse per tutti, nessuna eccezione normativa", ha affermato Barnier, prima di annunciare per la prossima settimana un nuovo round negoziale con Londra.

28/2/2018

Nessuna sorpresa, ma posizioni ancora lontane: il caponegoziatore europeo per la Brexit, Michel Barnier, presenta così a Bruxelles la bozza di testo per l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea, che avverrà tra tredici mesi. E che sarà seguita da un periodo transitorio.

"Siamo in un momento chiave per i negoziati", dice Barnier, che snocciola il contenuto di 119 pagine e 168 articoli. Barnier appare allarmato e frustrato dal passo lento con cui procedono le trattative: "dobbiamo accelerare nei negoziati, se vogliamo farcela. Occorre una procedura di uscita ordinata. Entro l'autunno dobbiamo arrivare ad un accordo definitivo, per procedere alle ratifiche". Il caponegoziatore europeo elenca i punti principali in gioco: i diritti dei cittadini europei Oltremanica, sui quali Bruxelles intende vigilare, gli impegni finanziari - "quelli presi a 28 saranno rispettati", garantisce, e il confine nordirlandese, sul quale Barnier ribadisce che occorre mantenere il pieno allineamento per quanto riguarda mercato interno e unione doganale, tra Dublino e Belfast. Su due questioni le posizioni restano lontane: i diritti dei cittadini - qui Londra insiste nel voler trattare diversamente chi arriva Oltremanica prima del marzo 2019, da chi vi approderà dopo. Barnier rifiuta questa pretesa, e ripete che i diritti degli europei vanno salvaguardati fino alla fine del periodo di transizione. L'altra divergenza riguarda l'applicazione delle normative europee, nei due anni di transizione: "le regole devono essere le stesse per tutti, nessuna eccezione normativa", afferma Barnier, prima di annunciare per la prossima settimana un nuovo round negoziale con Londra.

28/2/2018

Il problema, è cosa accade ora. Perchè il pronunciamento della Corte Federale Amministrativa di Lipsia apre potenzialmente le porte ad una rivoluzione, nel mondo delle auto.

I giudici hanno stabilito che le città tedesche possono ricorrere a divieti di circolazione delle vetture diesel, per migliorare la qualità dell'aria. Questo, per rispettare le normative europee in materia. La vicenda ha preso le mosse da pronunciamenti analoghi dei tribunali di Duesseldorf e Stoccarda, che avevano deciso che i piani anti-inquinamento delle due città dovevano essere inaspriti - decisione poi impugnata dai due Laender di riferimento, in attesa di una armonizzazione normativa federale. A togliere le castagne dal fuoco la Corte, che ha introdotto un meccanismo di gradualità: i giudici di Lipsia hanno indicato che le misure antismog devono essere proporzionate, devono prevedere eccezioni e periodi di transizione, e non devono portare ad obblighi di risarcimento, nei confronti dei proprietari delle auto colpite dai divieti. La cancelliera Merkel ha annunciato l'avvio di un tavolo con i comuni, cercando di minimizzare la portata del provvedimento, che tocca 15 milioni di possessori di auto diesel. La realtà però è che 70 città tedesche presentano valori di smog fuori dalla norma - Amburgo e Stoccarda già preparano i primi divieti. Al riparo da sorprese solo i possessori di vetture Euro 6 diesel: per gli altri nessuna certezza. In Italia, intanto, la sindaca di Roma Raggi ha annunciato uno stop ai veicoli privati diesel nel centro storico della capitale a partire dal 2024.

27/2/2018

Svolta storica nella giurisprudenza ambientale in Germania: in una sentenza destinata a rivoluzionare -potenzialmente- il futuro dell'auto, la Corte Federale Amministrativa di Lipsia ha stabilito che le città tedesche possono ricorrere alla misura del divieto di circolazione delle vetture diesel, per migliorare la qualità dell'aria.

Questo, anche per rispettare le normative europee in materia. Tutto nasce da pronunciamenti analoghi dei tribunali di Duesseldorf e Stoccarda, che avevano deciso che i piani anti-inquinamento delle due città dovevano essere inaspriti - decisione poi impugnata dai due Laender di riferimento, con la motivazione che serve prima una armonizzazione normativa federale. A togliere le castagne dal fuoco la Corte, che ha previsto però degli ammortizzatori, in grado di evitare un'entrata in vigore troppo brusca della normativa: i giudici di Lipsia hanno indicato che le misure antismog devono essere proporzionate, devono prevedere eccezioni e periodi di transizione, ma non devono portare ad obblighi di risarcimento, nei confronti dei proprietari delle auto colpite dai divieti. Uwe Lahl, Ministro per i Trasporti del Baden Wurttemberg, esprime la sua soddisfazione - ora c'è chiarezza legislativa, dice. In Italia, intanto, la sindaca di Roma Raggi ha annunciato uno stop ai veicoli privati diesel nel centro storico della capitale a partire dal 2024.

27/2/2018

Crisi catalana verso una svolta, che potrebbe riaccendere lo scontro con Madrid: a due mesi dalle elezioni, e dopo trenta giorni di stallo politico, provocato dai difficili negoziati tra i due principali partiti indipendentisti, si intravede la fine del tunnel, per restituire un Governo alla comunità autonoma, tuttora commissariata.

In vista della convocazione -giovedì- del Parlament catalano, il compromesso passerebbe per l'investitura a presidente di Jordi Sanchez, storico leader indipendentista, e per la nomina diCarles Puigdemont, autoesiliatosi in Belgio quattro mesi fa, a presidente legittimo. Una formula bicefala, questa, che farebbe ripartire le rivendicazioni indipendentiste e repubblicane. A complicare le cose, il fatto che Sanchez è uno dei quattro indipendentisti detenuti in carcere, in prigione preventiva - e considerato per questo prigioniero politico, a Barcellona. A Madrid un'ipotesi del genere ha già fatto suonare i campanelli d'allarme: il prefetto governativo Millo ha accusato gli indipendentisti di voler riesumare la strategia della tensione. Ma a finire sotto accusa -al Consiglio d'Europa- è proprio Madrid: l'ufficio del commissario per i diritti umani di Strasburgo ha reso noto di aver ricevuto il rapporto del Col.lectiu Praga, sottoscritto da 650 avvocati, contenente una lunga lista di violazioni commesse dallo Stato spagnolo prima, durante e dopo il referendum per l'indipendenza catalano.

26/2/2018

Scompagina le carte sulla Brexit il leader laburista Jeremy Corbyn, che prende finalmente una posizione più netta sulla questione, chiudendo sì le porte ad un possibile secondo referendum in materia, ma provando a mettere i bastoni tra le ruote al Governo di Theresa May.

"Siamo favorevoli ad una relazione su misura e negoziata con l'Unione Europea in materia di unione doganale", annuncia. Corbyn invoca "una forte relazione" a divorzio sancito. Una relazione "senza tariffe" e basata sul rispetto di "diritti, standard e tutele" previste attualmente dalla normativa europea, sottolineando l'ambizione laburista di concordare "esenzioni" sulle direttive riguardanti la concorrenza nei servizi pubblici e contro la strategia delle privatizzazioni a tappeto. In polemica col governo Tory, il numero uno del Labour ha detto no ad una Brexit fatta di "barricate", no alla tentazione di fare degli immigrati "un capro espiatorio" e no a "una guerra fra le generazioni". E per spargere ulteriore sale sulle ferite di un esecutivo conservatore sempre traballante, Corbyn ha messo il dito nella piaga: il Governo May sta lasciando il Paese "al buio" sulla strategia negoziale in vista dell'uscita della dall'Unione, afferma, per poi sentenziare: l'esecutivo "non ha un piano per l'economia e non ha un piano sulla Brexit". Dai Tories la risposta: la posizione laburista ci impedirebbe di avere una politica commerciale, replicano. E Downing Street ribadisce: il Regno Unito non fara' parte di "alcuna forma di unione doganale" con l'Europa dopo la Brexit.

24/2/2018

Bilancio e Brexit al centro del vertice europeo informale di ieri a Bruxelles: i leader comunitari hanno dato il via simbolico alla grande partita del budget, che entrerà nel vivo a maggio. Intanto, si incrinano i rapporti con Londra.

"Le ipotesi del Governo britannico sui futuri rapporti con l'Unione sono basate su pure illusioni", ha sentenziato il presidente europeo Tusk, che ha ribadito come Londra non può scegliere solo ciò che le interessa del mercato interno. In ogni caso l'Europa è decisa ad andare avanti, senza oltrepassare le sue linee rosse. Dove i 27 appaiono più divisi è il prossimo bilancio pluriennale, una partita che per l'Italia vale almeno 40 miliardi. Qui le posizioni sono divergenti: l'unico comune denominatore sembra essere la volontà di incrementare la spesa sulle nuove priorità - immigrazione, difesa e sicurezza. Il presidente della Commissione Juncker avverte che i tagli ad agricoltura e coesione ci saranno. Metà dei Paesi membri è disposta a versare di più nelle casse comunitarie, ma la proposta tedesca di vincolare i fondi europei al rispetto della solidarietà e dello stato di diritto ha visto la levata di scudi dell'Est.

23/2/2018

La questione bilancio al centro del vertice informale europeo oggi a Bruxelles, tutt'ora in corso, e che sta dibattendo alcune delle più spinose questioni riguardanti il futuro dell'Unione.

Proprio il budget pluriennale, sul quale i negoziati inizieranno a maggio, sta tenendo i leader impegnati più a lungo del previsto. C'è l'idea tedesca di legare i fondi europei al rispetto sia della solidarietà in tema migranti sia dello stato di diritto. Proprio di migranti ha parlato il premier Gentiloni, che ha lasciato il summit in anticipo per tornare a Roma, causa campagna elettorale. Sentiamo cosa ha detto Gentiloni, che prevede tempi lunghi per l'approvazione del budget comunitario - una partita che per il nostro Paese vale almeno 40 miliardi. Sul tema della futura governance comunitaria è passata in sostanza l'idea di ripetere lo schema dei cosiddetti Spitzenkandidaten per la presidenza della Commissione nel 2019, sulla base dei risultati delle elezioni europee. I leader si riservano l'ultima parola, ma il meccanismo non dovrebbe cambiare. Rinviata l'ipotesi di liste transnazionali alle europee, sì all'idea di una riduzione degli Europarlamentari dopo la Brexit, no infine all'unificazione delle posizioni di presidente della Commissione e presidente europeo.

23/2/2018

Più domande che risposte. Ma l'attesa ispezione della delegazione dell'Europarlamento ad Amsterdam non sembra aiutare, almeno per il momento, la causa di Milano, nella contesa sull'Agenzia Europea del Farmaco.

Il capodelegazione Giovanni La Via in serata riassume la posizione del gruppo di deputati, dando un sostanziale via libera alla contestata sede provvisoria, per la quale i lavori da fare sono pochi e con un tempo definito "sufficiente". E prendendo atto degli impegni olandesi sulla sede definitiva, al momento un terreno ancora privo persino di un cantiere. Il vicepremier dei Paesi Bassi De Jonge dispensa rassicurazioni e slogan obamiani - "Yes we can". L'Europarlamento fa però notare che ritardi superiori a due mesi farebbero deragliare il lavoro dell'Agenzia, aspetta le informazioni chieste alla Commissione Europea, e si prepara al doppio voto di metà marzo. Difficile, sulla base di questa ispezione, che Strasburgo blocchi tutto. Non alza bandiera bianca Milano: il sindaco Sala non getta la spugna, sostiene che gli olandesi stiano già cambiando le carte in tavola sui soldi, e apre un confronto a distanza -in punta di diritto- con il Consiglio dell'Unione Europea, istituzione che riunisce i Paesi membri. A Bruxelles combinano l'ennesimo pastrocchio di questa controversa vicenda, vendendo come verità assoluta quanto contenuto nella loro memoria difensiva, che definisce "irricevibile" il ricorso di Milano. Salvo poi ammettere che a decidere cosa sia ricevibile o meno non sono politici od euroburocrati. Ma i giudici della Corte Europea.

22/2/2018

Un giovedì di passione, per la sede Ema, tra ispezioni sul campo ad Amsterdam e battaglie giuridiche. Il verdetto della commissione europarlamentare, capeggiata dall'italiano La Via, è in chiaroscuro.

Da un lato fornisce un sostanziale via libera alla contestata sede temporanea, in cui dovrebbero traslocare gli uffici dell'Agenzia del Farmaco, nonostante non sia quella originariamente prospettata. Dall'altro però avanza dubbi sulla procedura utilizzata per l'assegnazione della sede, e -soprattutto- rende chiaro che un ritardo superiore ai due mesi nel trasloco all'interno della sede definitiva porrebbe problemi operativi all'Agenzia. Di qui la conclusione: Strasburgo chiede a Consiglio e Commissione Europea una dichiarazione in merito, prima di votare in base alla procedura di codecisione. Tutto rinviato a marzo, insomma, mentre il vicepremier olandese DeJonge si lancia in un obamiano "Yes we can", per rassicurare tutti sulla capacità operativa di accogliere Ema. E sul ricorso del Comune di Milano è scontro a distanza tra il capoluogo lombardo a Bruxelles. Prima il Consiglio Europeo definisce illegittimo il ricorso, sostenendo -sul filo stretto del diritto- che vada presentato contro gli Stati, non contro l'istituzione di Bruxelles, poi però deve ammettere che la sua è una posizione basata sulla propria memoria difensiva. In quanto parte in causa, sarà il massimo tribunale europeo a dover decidere. Senza contare che Europarlamento e Commissione su questo la pensano diversamente. Il sindaco di Milano Sala rilancia: "partita più aperta che mai".

22/2/2018

Giornata cruciale quella di oggi per l'assegnazione dell'Ema: secondo il capodelegazione dell'Europarlamento La Via, in visita ad Amsterdam, il palazzo provvisorio in cui dovrebbe essere trasferita la sede dell'Agenzia europea del farmaco "e' un buon palazzo: il vero tema e' il tempo necessario per gli adeguamenti".

Non è d'accordo un altro componente della delegazione, il pentastellato Pedicini, che parla di una sede provvisoria "che non ha i requisiti richiesti - metà delle esigenze di spazio in termini di metratura e altre anomalie, quali la condivisione del parcheggio con un albergo". Critico La Via sull'atteggiamento olandese: "abbiamo fatto un sacco di domande e non ci sono moltissime risposte. Si fermano sempre a quella che e' l'offerta fatta". Ed è scontro anche giuridico sull'Ema, con il Consiglio Europeo che considera il ricorso del Comune di Milano illegittimo, perchè fatto contro un atto che non può essere imputato allo stesso Consiglio, ma agli Stati membri, e il capoluogo lombardo che replica: "e' fondato e ricevibile, come lo stesso tribunale dell'Unione Europea ha riconosciuto". In realtà ha ragione il Comune, poiché la scelta sull'ammissibilità spetta proprio al Tribunale. E quella del Consiglio è una semplice memoria difensiva.

20/2/2018

Situazione di stallo sull'Unione Bancaria: il Ministro dell'Economia Padoan da Bruxelles prende atto che l'Europa è ancora lontana da una visione condivisa su uno dei progetti più ambiziosi messi in campo dopo la crisi finanziaria.

Restano infatti le divergenze tra quei Paesi -come il nostro- che chiedono una maggiore condivisione del rischio, e quelli che non vedono invece una sufficiente riduzione di questo stesso rischio, e -prima di parlare di una qualsiasi condivisione- propongono di procedere con il risanamento. Affermazione che Padoan contesta, ricordando che alla Commissione era stato chiesto un rapporto che valutasse la riduzione del rischio, e il rapporto ha dimostrato "che e' stato ridotto di molto, mentre pochi progressi sono stati fatti sulla condivisione". Padoan, che ha incontrato il Commissario Europeo Oettinger, ha toccato la questione del bilancio pluriennale dell'Unione, sul quale a maggio si accenderà la battaglia. Roma insisterà per creare dei beni pubblici, quali ad esempio difesa e immigrazione, per finanziare le sfide comuni. Il Ministro dell'Economia -da Bruxelles- ha infine rassicurato sulle elezioni, ormai imminenti: "sono meno preoccupati anche i mercati, evidentemente perche' valutano il rischio di instabilita' molto minore di quanto potesse sembrare ad una lettura piu' superficiale".

16/2/2018

Nuovo giro di vite in Turchia contro i giornalisti. Sei reporter sono stati condannati all'ergastolo, con l'accusa di aver sostenuto attivamente la presunta rete golpista di Fethullah Gulen, nell'ormai noto tentativo di colpo di Stato del luglio 2016.

Tra loro i fratelli Altan, Ahmet e Mehmet, ritenuti responsabili di aver diffuso messaggi in codice ai golpisti, in un talk show la sera precedente l'insurrezione. La condanna si va ad aggiungere alle 50mila incarcerazioni che hanno fatto seguito al tentato golpe. A queste vanno aggiunti i 150mila licenziamenti di dipendenti pubblici, ritenuti a vario titolo coinvolti nell'insurrezione. Azioni, queste, che hanno trasformato la leadership di Recep Tayyp Erdogan in una democrazia molto limitata, più volte paragonata ad un sultanato di fatto. Nello stesso giorno dell'incarcerazione dei sei giornalisti, è uscito invece di prigione Deniz Yucel, il reporter turco-tedesco, corrispondente del quotidiano Die Welt, finito dietro le sbarre un anno fa con l'accusa di terrorismo - rischiava fino a 18 anni di carcere. Nelle prigioni di Ankara restano ancora cinque dissidenti politici.

14/2/2018

Martin Schulz esce definitivamente di scena dopo l'ultima battaglia fratricida, in una Spd dilaniata dai conflitti interni, nonché ai minimi nei sondaggi. "Mi dimetto da presidente dei socialdemocratici", dice Schulz, rivendicando -una volta di più- l'impronta di centrosinistra nel contratto di Governo varato una settimana fa con il centrodestra Cdu/Csu, sul quale si devono ancora esprimere gli iscritti al partito.

In cinque giorni Schulz finisce ai margini della vita politica: prima la rinuncia all'ingresso nel Governo, quale Ministro degli Esteri, poi l'atteso addio anche alla leadership del partito. Determinanti -e lo ammette lo stesso Schulz- gli scontri interni, che hanno trascinato i vertici Spd in una personalizzazione della politica, che ha fatto molto male allo schieramento. I sondaggi sono lì a ricordarlo: gli ultimi danno i socialdemocratici al 16,4%, appena tre punti sopra l'ultradestra populista della Afd. Numeri impietosi. Il timone passa nelle mani della quarantasettenne Andrea Nahles, proposta dallo stesso Schulz: per l'ufficializzazione, dovrà attendere il voto del congresso, previsto a fine aprile. Nel frattempo la gestione degli affari correnti passa ad Olaf Scholz. La Nahles, una vita nella Spd, è la prima donna designata alla guida del partito. La procedura seguita per la designazione, imposta dall'alto, ha però scatenato forti mal di pancia interni, in una Spd che si avvia a vivere settimane burrascose.

13/2/2018

Oxfam nella bufera e finanziamenti a rischio, per un'indagine a sfondo sessuale che sta mettendo in ginocchio la più nota Ong britannica. Si è dimessa la numero due, Penny Lawrence, affermando di provare vergogna per quanto accaduto ad Haiti e anche in Ciad, e assumendosene la piena responsabilità.

Anche la Commissione Europea è intervenuta sulla vicenda, sostenendo che l'approccio comunitario -in questi casi- è di tolleranza zero. Bruxelles minaccia un taglio o -addirittura- una cancellazione dei 53 milioni di euro erogati ogni anno. Analoga minaccia arriva dalla Gran Bretagna, che versa 32 milioni di sterline nelle casse di Oxfam, dopo che sono spuntate rivelazioni sul fatto che l'Ong sapeva dell'utilizzo di prostitute da parte del suo staff ad Haiti, nel pieno della ricostruzione post-terremoto, in un Paese in ginocchio. La Ministra per lo Sviluppo Internazionale Penny Mordaunt ha incontrato i vertici di Oxfam, e ha chiesto loro di portare prove per difendersi dalle accuse di aver insabbiato tutto, limitandosi a chiudere la vicenda con le dimissioni o il licenziamento di sette dipendenti, coinvolti nel giro di prostituzione.

12/2/2018

Oxfam sempre più nella bufera, per un'indagine a sfondo sessuale che sta mettendo in ginocchio la più nota Ong britannica. Si è dimessa la numero due, Penny Lawrence, affermando di provare vergogna per quanto accaduto ad Haiti e anche in Ciad, e assumendosene la piena responsabilità.

Anche la Commissione Europea è intervenuta sulla vicenda, sostenendo che l'approccio comunitario -in questi casi- è di tolleranza zero. Bruxelles minaccia un taglio o -addirittura- una cancellazione dei fondi che eroga all'organizzazione non governativa. Analoga minaccia arriva dalla Gran Bretagna, che versa 32 milioni di sterline ogni anno nelle casse di Oxfam, dopo che sono spuntate rivelazioni sul fatto che l'Ong sapeva dell'utilizzo di prostitute da parte del suo staff ad Haiti, nel pieno della ricostruzione post-terremoto, per giunta in un Paese in ginocchio. La Ministra per lo Sviluppo Internazionale Penny Mordaunt ha incontrato i vertici di Oxfam, e ha chiesto loro di portare prove a difesa dell'accusa di aver insabbiato tutto, limitandosi a chiudere la vicenda con le dimissioni o il licenziamento di sette dipendenti, coinvolti nel giro di prostituzione.

10/2/2018

"Una nuova ripartenza per l'Europa". Cinque pagine, che precedono persino il capitolo dedicato alla Germania, per ribadire una volta di più il ruolo cruciale che ricopre l'Unione Europea nel programma della Grosse Koalition.

Al di là degli impegni, però, il segnale più forte arriva dalla casella del Ministero delle Finanze, che sarà occupata dal socialdemocratico Olaf Scholz. Quella stessa casella, a lungo detenuta dal potente Wolfgang Schauble - ora presidente del Bundestag. Quella stessa casella, che nell'ipotesi di un Governo "Giamaica" sarebbe dovuta andare a un liberale - e allora sarebbero stati -per noi Paesi del Sud- dolori veri. E' sbagliato attendersi da Berlino un'inversione ad U sui dogmi dell'austerità, che hanno contraddistinto gli anni più duri della crisi, ma il ritrovato asse con Parigi dovrebbe portare alcune novità interessanti. Nella pratica: più investimenti, un bilancio per l'Eurozona, strumenti contro la disoccupazione giovanile, lotta all'elusione fiscale delle multinazionali del web. E ancora: il varo di un patto sociale per l'Europa, un rafforzamento del ruolo dell'Europarlamento, una solidarietà europea nella ripartizione di migranti e rifugiati, fino ad una maggiore partecipazione dei cittadini al dibattito sulle riforme continentali. Se la nuova Grosse Koalition supererà gli ultimi ostacoli, c'è da attendersi per prima cosa un'offensiva franco-tedesca -già in primavera- per una riforma dell'Eurozona. Che potrebbe vedere la luce nei prossimi mesi, inglobando la trasformazione dell'attuale Fondo Salva-stati in un Fondo Monetario Europeo. A conti fatti, l'ok alla Grande Coalizione pone tutte le premesse per una ripartenza dell'Europa, ferma e impantanata per i suoi veti incrociati e per la sua ipertrofica burocrazia. L'iperattivismo di Macron e una Germania meno legata ai diktat del rigore, ma disposta ad investire in cambio di riforme, possono rendere il 2018 l'anno della svolta. Questo, inevitabilmente, pone una sfida anche al Governo che entrerà in carica in Italia dopo le elezioni. Giocherà un ruolo attivo in questa riforma europea? O resterà ai margini?

9/2/2018

Martin Schulz fa un passo indietro. Probabilmente, persino due. L'attuale leader Spd, fresco di accordo sulla Grosse Koalition, è rimasto vittima della dura polemica interna innescata da Sigmar Gabriel, L'attuale Ministro degli Esteri.

In un'intervista, Gabriel -già capo Spd- ha criticato pubblicamente la scelta del partito di dargli il benservito, sostituendolo con Schulz. Le parole di Gabriel hanno innescato un miniterremoto all'interno dei socialdemocratici tedeschi, che non si possono permettere ulteriori divisioni e guerre fratricide, a pochi giorni dall'avvio del referendum tra oltre 460mila iscritti, che dovrà approvare definitivamente il Governo Cdu-Csu-Spd. Di qui la decisione, sofferta, di Schulz, che in un breve comunicato ha annunciato che non entrerà nel Governo: "è molto importante che gli iscritti Spd sottoscrivano col loro voto il contratto programmatico di coalizione, e lo facciano con convinzione. Una discussione sulla mia persona metterebbe a repentaglio il voto. Per questo annuncio la mia intenzione di rinunciare ad un incarico ministeriale, per porre fine ai dibattiti personali interni. Le mie ambizioni personali devono venire dopo gli interessi della Spd". Così Schulz. L'ex-presidente dell'Europarlamento rischia ora di finire ai margini della politica nazionale, qualora venisse confermato anche il suo addio anche alla leadership Spd, già promessa ad Andrea Nahles.

9/2/2018

Fumata nera, dopo una settimana di round negoziali, che dovevano segnare il calcio di inizio del piano di partenariato futuro tra l'Unione Europea e la Gran Bretagna.

A mettere nero su bianco il forte dissenso il caponegoziatore europeo Michel Barnier, che -presentatosi in conferenza stampa da solo, anziché in compagnia dell'omologo britannico Davis- ha elencato i punti che dividono Londra da Bruxelles. In primis, il netto disaccordo sui diritti di cittadini, questione che riguarda milioni di cittadini comunitari residenti Oltremanica. Ma non è il solo punto a dividere i negoziatori: l'altro, ancora tutto da sciogliere, è il confine nordirlandese. "Occorre evitare un confine duro con l'Irlanda", ha detto Barnier, tornando a chiedere una soluzione specifica per l'Isola di Smeraldo. L'Europa ha nei fatti lanciato un ultimatum al riguardo.

8/2/2018

Tranquilli, non cambia nulla. Anche perchè di semplice risoluzione dell'Europarlamento si tratta, con una portata vincolante pari a zero. E, per di più, è stata ulteriormente annacquata in itinere, trasformando un'iniziativa da titolo di giornale a poco più di una boutade.

L'atteso D-Day, che sembrava dover sancire la fine di un rito che si ripete due volte l'anno, a marzo e ottobre, obbligandoci a lievi fusi orari, ha così partorito il topolino. Con 384 voti favorevoli l'assemblea di Strasburgo non ha neppure provato a chiedere alla Commissione Europea di abolire l'attuale sistema dell'ora legale. Ma si è limitata a proporre a Bruxelles una valutazione approfondita della questione, sull'onda di varie iniziative di cittadini preoccupati dai possibili effetti negativi per la salute umana di questo spostamento delle lancette biannuale. L'attuale direttiva sull'ora legale, entrata in vigore nel 2001, prevede una data e un'ora comuni per l'inizio e la fine del periodo dell'ora legale in tutta l'Unione, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno. La palla passa quindi nelle mani della Commissione: probabilmente non ne sentiremo riparlare per un po'. La notte del 25 marzo ricordatevi di portare le lancette avanti di un'ora, a scanso di equivoci.

7/2/2018

"Ne è valsa la pena": alla fine di una maratona negoziale protrattasi tre giorni oltre la scadenza prefissata, i leader di Cdu, Csu ed Spd si presentano alla stampa, per annunciare il varo del programma di Governo della nuova Grosse Koalition.

"Abbiamo un Governo. Un Governo stabile, che pensa ai bisogni delle persone", sottolinea Angela Merkel, riconfermata alla cancelleria. Il risultato nella composizione dell'esecutivo è un abile esercizio damanuale Cencelli, per non scontentare nessuno: la Spd, uscita malconcia dalle elezioni, si assicura ben sei Ministeri, tra cui quello cruciale delle Finanze, che passa al sindaco di Amburgo Scholz - nuovo vicecancelliere, e quello degli Esteri, che va a Martin Schulz, più Giustizia, Lavoro e Ambiente. Cdu eCsu assommano sette Ministeri, con i cristiano-sociali bavaresi, i gemelli di destra della Cdu, che mettono le mani sugli Interni, dove siederà il leader Horst Seehofer. Alla Cdu l'Economia, con Altmaier, e la Difesa, con la Von der Leyen. Schulz, in vista del difficile referendum finale tra gli oltre 460mila iscritti Spd, lancia messaggi chiari al suo partito: "nel contratto di coalizione si riconosce la mano dei socialdemocratici". E annuncia: "la Germania cambia direzione nelle politiche europee". Alla fine, le maggiori concessioni le ha dovute fare Angela Merkel, che ha perso Ministeri strategici - su tutti Finanze e Interni, e ha dovuto cedere ampio terreno ai socialdemocratici in materia di lavoro e sanità. I nodi su cui i negoziati stavano per naufragare.

7/2/2018

Con ben tre giorni di ritardo sulla tabella di marcia prefissata Cdu, Csu ed Spd hanno chiuso una vera e propria maratona negoziale e messo a punto un contratto programmatico di Governo, che a questo punto dovrà essere limato -tra oggi e domani- da varie riunione interne ai partiti.

L'accordo prevede innanzitutto una divisione dei Ministeri, e anche importanti rivoluzioni interne agli stessi schieramenti: il leader socialdemocratico Schulz sarà Ministro degli Esteri e dovrebbe lasciare la guida del partito ad Andrea Nahles, che sarà la prima donna a ricoprire questo incarico nella storia Spd. I socialdemocratici fanno incetta di Ministeri, ben sei, tra cui quello -cruciale- delle Finanze, che andrà al sindaco di Amburgo Olaf Scholz. All'Spd anche Giustizia, Lavoro e Ambiente. Il Ministero dell'Interno andrà invece alla destra cristiano-sociale bavarese, nella persona di Horst Seehofer. Cdu e Csu avranno un totale di sette Ministeri, oltre alla Cancelleria a guida Merkel, uno solo in più rispetto all'Spd, decisamentesovrarappresentata, rispetto al voto. Sui punti che hanno tenuto il negoziato aperto oltre i tempi supplementari -lavoro e salute- è stato deciso di eliminare la successione di contratti a termine e di limitarli a un anno e mezzo. E sarà varata una Commissione per allineare gli onorari dei medici, sia per i pazienti in regime di mutua, sia per quelli privati. La prima reazione dell'industria tedesca è stata negativa: il leader della BDI Kempf parla di prevalenza di logiche distributive su politiche mirate al futuro, e non intravede riforme strutturali.

7/2/2018

Oltre quattro mesi di trattative sfibranti, nate sull'onda di un voto che -a fine settembre- pareva aver scardinato ogni ipotesi di riedizione della Grosse Koalition, al punto che il leader SPD Schulz tuonò, per l'occasione: "non siederò mai in un Gabinetto Merkel".

La storia di questo strano periodo post-elettorale era però ancora tutta da scrivere. A metà novembre la prima, clamorosa sorpresa: la coalizione Giamaica, con Cdu, liberali e Verdi, fallisce. A far saltare il tavolo i liberali della Fdp, che sbattono la porta accusando gli altri due partiti di avere ancora troppi conflitti aperti sul testo programmatico. Mentre il Paese si prepara a nuove elezioni, è il presidente federale Steinmeier -socialdemocratico- a compiere il miracolo, convincendo un recalcitrante Schulz alla più clamorosa delle inversioni a U. Inversione che sconta ancora oggi: Schulz accetta di sedersi al tavolo delle trattative, per esplorare l'ipotesi di una nuova Grosse Koalition. A inizio dicembre i delegati Spd votano per l'avvio dei colloqui. Partono i negoziati, che si chiudono a metà gennaio, con una bozza di intesa generale. Il 21 gennaio, un drammatico congresso straordinario Spd approva l'avvio formale delle trattative tra i due partiti - la maggioranza è risicata, i mal di pancia espliciti, la leadership di Schulz debolissima. E' il preludio al nuovo, estenuante round negoziale, per lavorare su un programma di Governo di quasi duecento pagine - perchè in Germania tutto viene deciso nei minimi dettagli. Un round che si è protratto, in linea con questa intera travagliata fase post-elettorale, ben oltre le scadenze prefissate.

6/2/2018

Aumento salariale e orario di lavoro più flessibile: gli imprenditori del settore siderurgico ed elettrico hanno trovato l'intesa con il potente sindacato tedesco IG Metall per aumentare del 4,3% gli stipendi di 900mila dipendenti.

A questo si aggiungeranno ulteriori pagamenti una tantum erogati sull'arco di 27 mesi. La vera novità però è che -dal 2019- sarà possibile ridurre a 28 le ore lavorative settimanali, per un periodo da sei mesi fino a due anni. L'accordo è per ora solamente pilota, e riguarda il Land meridionale del Baden-Wuerttemberg, sede di colossi quali Daimler e Bosch. Arriva dopo una mobilitazione sindacale, animata da ben sei delicati incontri negoziali, e dopo una serie di scioperi di 24 ore: a questo punto si attende che l'intesa possa fare da apripista a livello nazionale, in un settore che conta quasi quattro milioni di dipendenti. Il sindacato non e' riuscito a imporre l'aumento del 6%, ma ha ottenuto che i dipendenti che ridurranno l'orario di lavoro potranno avere un altro "bonus di tempo", equivalente a otto giorni di ferie. L'accordo evidenzia quanto il buon tasso di crescita economico tedesco stia portando i sindacati a poter avere una forte leva negoziale: lo scorso anno l'economia tedesca ha raggiunto i massimi di crescita dal 2011, e la disoccupazione è crollata ai minimi dalla riunificazione.

5/2/2018

Tempi supplementari per la Grosse Koalition. Come ha annunciato ieri sera il segretario generale della Spd Lars Klingbeil, i due maggiori partiti tedeschi sono ancora su posizioni distanti. Lavoro e sanità i nodi da sciogliere: nel primo caso, i socialdemocratici spingono affinchè nei contratti futuri gli imprenditori possano porre dei limiti solo se esplicitamente motivati.

In ambito sanitario, invece sempre la Spd vuole che i medici ricevano il medesimo onorario, sia quando curano pazienti in regime di mutua, sia quando si tratta di pazienti privati - in modo da non creare due trattamenti diversi. Con tempistiche diverse. Anche qui si cerca un compromesso, che sarebbe invece stato già trovato sul tema casa, con l'accordo su un pacchetto di investimenti miliardario per l'edilizia pubblica, utile freno all'incremento folle degli affitti nelle grandi città. Intesa trovata anche su pensioni, infermieri, clima e formazione. La questione sociale ossessiona il leader Spd Schulz, che dovrà mettere a referendum -tra tutti gli iscritti Spd- il patto che uscirà dai negoziati con Angela Merkel. Un referendum sul quale entrambi si giocano la propria carriera politica. Per questo, mai come stavolta, le trattative procedono sui binari della cautela. Anche a costo di prendersi fino a 48 ore in più, rispetto al previsto.

5/2/2018

E' arrivato ieri sera a Fiumicino, in una Roma blindata per l'occasione, il presidente turco Erdogan, che oggi avrà incontri ad alto livello con il premier Gentiloni, il presidente Mattarella e il Papa. Prima di chiudere, in serata, con gli imprenditori.

Una visita ad alta tensione, quella di Erdogan, accompagnata da proteste e polemiche. In un'intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, Erdogan ha chiesto all'Unione Europea di "rimuovere gli ostacoli artificiali che impediscono alla Turchia di entrare". Erdogan sostiene che il suo Paese ha ottemperato agli obblighi di Stato candidato: ora è Bruxelles che deve mantenere le promesse fatte. Il presidente turco derubrica a ostacoli artificiali, legati a calcoli di politica interna, le giustificate obiezioni europee di fronte ad un Paese ormai uscito dal solco democratico, tra stato di emergenza e sistematiche violazioni di diritti umani. In primis quella contro i curdi - popolo che Erdogan reprime e combatte fino in Siria. Quanto sia sincero il ritrovato europeismo di Erdogan, e quanto non sia invece figlio di ricatti impliciti ad un'Europa che dipende proprio dalla Turchia per arginare il flusso di migranti sulla rotta egeo-balcanica, lo sapremo a breve. La visita di Erdogan ha fatto scattare un maxipiano di sicurezza nella capitale, con a ree off limits, bonifiche a tappeto, 3500 agenti e reparti speciali in campo per garantire la sua sicurezza. Per il Sultano, allergico alla stampa libera, nessun incontro con i giornalisti.

4/2/2018

Una visita ad alta tensione, con le prime proteste e -soprattutto- le forti polemiche montate intorno ad un arrivo scomodo. Recep Tahip Erdogan, il nuovo sultano turco, sarà in Italia per un faccia a faccia col premier Gentiloni, il presidente Mattarella e il Papa.

In un'intervista rilasciata al quotidiano La Stampa, Erdogan ha chiesto all'Unione Europea di "rimuovere gli ostacoli artificiali che impediscono alla Turchia di entrare". Erdogan sostiene che il suo Paese ha ottemperato agli obblighi di Stato candidato: ora è Bruxelles che deve mantenere le promesse fatte. Il presidente turco derubrica a ostacoli artificiali, legati a calcoli di politica interna, le obiezioni europee di fronte ad un Paese ormai uscito dal solco democratico, tra stato di emergenza e sistematiche violazioni di diritti umani. Quanto sia sincero il ritrovato europeismo di Erdogan, e quanto non sia invece figlio di ricatti impliciti ad un'Europa che dipende proprio dalla Turchia per arginare il flusso di migranti sulla rotta egeo-balcanica, lo sapremo a breve. La visita di Erdogan ha fatto scattare un maxipiano di sicurezza nella capitale, con bonifiche, rimozioni e divieto di manifestare all'interno della 'green zone'. 3500 gli agenti delle forze dell'ordine in campo. Al via anche le prime proteste: cinque cittadini curdi sono stati bloccati, dopo aver tentato di entrare in piazza San Pietro, in occasione dell'Angelus, con bandiere curde e striscioni nascosti negli indumenti.

24/1/2018

Italia ed Europa fanno capolino oggi al vertice di Davos, dopo una prima giornata in cui -a farla da padrone- è stato il "no" all'unisono al protezionismo, proprio nelle ore in cui Donald Trump lanciava la guerra sui dazi a Cina e Corea del Sud, mettendo nel mirino -implicitamente- anche il resto del mondo.

Il portavoce più esplicito dell'opposizione al presidente americano è stato il premier indiano Modi, che ha detto: "il protezionismo e la tentazione di riportare indietro le lancette dell'orologio sul tema della globalizzazione rappresentano una minaccia non meno preoccupante del cambiamento climatico e del terrorismo". Dalle parole di Modi, ai fatti del premier canadese Trudeau, che ha annunciato la chiusura dell'intesa commerciale transpacifica. Ottawa, di fronte ai complicati rapporti commerciali con Washington, si è unita all'Alleanza Transpacifica, ripudiata dal presidente americano. Oggi Davos entra nel vivo, con l'Europa e l'Italia al centro. Proprio da Davos è giunto l'appello del segretario Ocse Gurria, il quale si augura che il prossimo Governo a Roma non faccia passi indietro sulle riforme. Il premier Gentiloni parlerà nel primo pomeriggio. Un intervento atteso, alla vigilia delle elezioni. Poi sarà il turno della cancelliera tedesca Merkel e del presidente francese Macron, la nuova coppia forte d'Europa.

23/1/2018

Economia e protezionismo al centro della prima giornata di lavori a Davos, che ha visto in primo piano gli interventi di due leader internazionali, il premier indiano Modi e l'omologo canadese Trudeau. Modi ha messo al centro del suo intervento il tema del protezionismo.

"Il protezionismo e la tentazione di riportare indietro le lancette dell'orologio sul tema della globalizzazione rappresentano una minaccia non meno preoccupante del cambiamento climatico e del terrorismo", ha detto Modi, in un discorso a difesa dell'apertura agli scambi contro la tentazione di "chiudersi in se stessi". Un intervento in netta contrapposizione all'"America First", del presidente americano Trump, atteso a Davos venerdì. In serata l'intervento del premier canadese Trudeau: "sono lieto di annunciare che abbiamo appena raggiunto a Tokyo un'importante intesa commerciale", ha detto Trudeau, aggiungendo: "si tratta del giusto accordo cheassicurera' posti di lavoro e benessere per le classi medie in Canada". L'intesa commerciale trans-pacifica è stata delineata da 11 Paesi, dopo l'abbandono dei negoziati da parte della Casa Bianca. Domani il programma di Davos entra nel vivo, con gli interventi del premier Gentiloni, atteso per parlare di Mediterraneo e di Italia, nell'anno elettorale. E non solo: a Davos si incroceranno anche la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Macron, la nuova coppia forte d'Europa.

22/1/2018

Un voto drammatico, che lascia strascichi pesanti nella pancia della Spd. Ma permette a Berlino di avviarsi sulla strada del quarto Governo Merkel, il terzo in Grosse Koalitioncon i socialdemocratici.

A fine serata, dopo cinque minuti di autentico terrore per un riconteggio obbligato dei voti, a causa della grande incertezza sui risultati del voto palese per alzata di mano, il leader Spd Schulz può finalmente rilassarsi. "Siamo tutti sollevati, il risultato dimostra che abbiamo lottato duramente", dice, aggiungendo: "dopo questo duro dibattito, abbiamo il compito di portare avanti il partito tenendolo insieme. Mi confrontero' con i critici". Per questa vittoria a scartamento ridotto Schulz deve soprattutto ringraziare la presidente del gruppo Spd in Parlamento, Andrea Nahles. Quando lei prende la parola, dopo il deludente discorso del leader, che non smuove affatto le acque, la sua arringa appassiona i delegati. La vis oratoria è tale, che si chiude con una mezza imprecazione. Gli equilibri si spostano, sconfiggendo la linea del "no", portata avanti dal leader dei giovani Spd Kevin Kuehnert. Angela Merkel commenta sollevata il risultato, ma ammette che ora inizia il difficile. Si aprono -forse già oggi- consultazioni intense, per arrivare al varo di un Governo entro marzo. Sempre oggi, Germania e Francia rilanceranno il Trattato dell'Eliseo. Berlino vi arriva con una stabilità politica forse ritrovata.

21/1/2018

362 voti a favore, 279 contrari: è racchiuso in questo risultato tutt'altro che convinto e monolitico il dramma consumatosi al Congresso Spd di Bonn, che ha approvato l'avvio formale delle trattative per formare un nuovo Governo di Grosse Koalition con il centrodestra Cdu/Csu guidato dalla Cancelliera Merkel.

Un risultato che, soprattutto, spiana la strada al varo di un esecutivo entro Pasqua, col brivido finale -calcolato- di una nuova consultazione tra tutti gli iscritti Spd alla conclusione dei negoziati. "Siamo sollevati, il risultato dimostra che abbiamo lottato duramente", ha detto il leader socialdemocratico Schulz, che ha promesso di mantenere il dibattito interno aperto, confrontandosi con i suoi critici. "Sono convinto che la strada coraggiosa sia quella giusta. E penso che non fara' male, ma rafforzera' il partito", aveva detto Schulz in mattinata, arringando i 600 delegati. A sbarrargli la strada il leader dell'opposizione interna: quel Kevin Kuehnert, capo dei giovani Spd, che aveva chiesto di votare "no" all'intesa con la Merkel - "dobbiamo essere nani oggi per essere di nuovo giganti domani". Il conteggio finale è stato da brividi: il voto per alzata di mano non ha dato certezze sulla maggioranza, così si è dovuto procedere ad un riconteggio. Cinque minuti di terrore puro, per la dirigenza Spd. A tirare un sospiro di sollievo anche Angela Merkel: "sono lieta del risultato del voto. Per noi e' importante un Governo stabile". Da domani si torna al lavoro, per formare un Governo che la Germania aspetta da settembre.

21/1/2018

Berlino, Turingia, Sassonia. E un giovane, che risponde al nome di Kevin Kuehnert. Sono i quattro principali ostacoli, oggi, sulla strada di un voto che -per i socialdemocratici tedeschi, potrebbe trasformarsi in un gigantesco esercizio di psicoanalisi collettiva.

600 delegati dovranno dire sì o no all'intesa sulla riedizione della Grosse Koalition con il centrodestra guidato da Angela Merkel. L'ago della bilancia saranno soprattutto le confederazioni che risultano ancora indecise, e che chiedono miglioramenti all'intesa prodotta dopo cinque giorni di negoziati intensi: tra queste la confederazione più potente, in termini di voti, quel Nordrhein-Westfalen, che ne annovera ben 144 - oltre il 25%. Contrattazione di lavoro, salute e ricongiungimento familiare dei migranti sono alcuni dei capitoli sui quali si chiedono migliorie. E poi ci sono i duri e puri: Kevin, il leader dei giovani Spd, è ormai il nemico numero uno del leader Martin Schulz. La sua spina nel fianco. 28 anni, dotato di buona arte oratoria, ha riassunto la sua filosofia in una massima: "stare all'opposizione non è romantico, ma io non sono entrato nell'Spd per vedere il partito andare a sbattere sempre contro lo stesso muro". Quel muro che si chiama Grosse Koalition. E che sta snaturando e indebolendo, secondo Kuhnert, l'anima socialdemocratica. Angela Merkel sta a guardare, dicendosi fiduciosa che da Bonn -oggi- arriveranno buone notizie. Anche perchè cattive notizie potrebbero significare la fine politica non solo di Schulz. Ma anche della stessa Bundeskanzlerin.

20/1/2018

E' un male endemico del nostro mercato del lavoro, che Eurostat non cessa di ricordarci ogni anno: in Italia l'82% di chi cerca lavoro continua a rivolgersi ad amici e parenti.

Solo uno su quattro si rivolge ad un ufficio pubblico. Come dire, le ultime riforme del lavoro, Jobs Act incluso, non hanno praticamente intaccato la tradizionale sfiducia italica verso le politiche attive dell'occupazione, rendendoci fanalino di coda nell'utilizzo dei Job Centre - a una distanza siderale dalla Germania, dove agli Arbeitszentren si recano in media sette tedeschi su dieci. In Francia siamo poco sopra la metà della platea di disoccupati, in Gran Bretagna uno su tre. Tornando all'Italia, se il collocamento pubblico non ride, piange anche quello privato, che raccoglie solo il 14% dei richiedenti lavoro. Il Ministro del Lavoro Poletti prova a metterci una pezza: "bisogna guardare ad un elemento che ha un tratto di valore positivo - il rapporto di lavoro e' anche di fiducia, e quindi la conoscenza, la relazione, e' uno degli elementi che definisce questo passaggio". Dimentica però, Poletti, che questa relazione, in Italia, è spesso sinonimo di raccomandazione. E nell'accezione peggiore del termine. Poletti ammette anche: "la riduzione del dato di chi si rivolge a parenti o amici è ancora troppo lenta, occorre fare di più, ma la direzione è quella giusta. Bisogna che ci sia una strumentazione pubblica in grado di dare questa opportunita', mettendo a disposizione competenza, capacita' e infrastruttura.

20/1/2018

Emmanuel Macron e Angela Merkel fanno fronte comune sull'Europa, alla vigilia di un weekend cruciale per le sorti -a Berlino- della Bundeskanzlerin. "Le sfide europee richiedono risposte immediate", afferma Macron, puntando sull'urgenza di riforme non più rinviabili.

Macron chiede una maggiore integrazione economica in Europa. "Un'Europa delle convergenze", la definisce, indicando alcune aree concrete dove avanzare: immigrazione, difesa, investimenti, economia. La parola chiave dei due leader è "riforme": entro giugno, infatti, si punta a fare passi in avanti su unione bancaria, unione dei mercati dei capitali e armonizzazione delle tasse corporate. Macron e Merkel non hanno -ovviamente- idee identiche su tutti i dossier. Ma il presidente francese preferisce cercare terreno comune, anzichè perdersi nelle differenze. Lunedì una dichiarazione comune festeggerà i 55 anni del Trattato dell'Eliseo, che sarà anch'esso riformato, per adeguarlo alle nuove sfide e approfondire ulteriormente l'alleanza sull'asse Berlino-Parigi. Macron osserva con attenzione gli sviluppi politici in Germania, per capire se potrà contare o meno su un Governo alleato stabile, a partire dalla primavera. Non fornisce un endorsement esplicito ad una riedizione della Grosse Koalition, ma si ferma giusto ad un passo: "dalle trattative in corso per la formazione di un nuovo Governo tedesco emerge una "reale ambizione per il progetto europeo", commenta il presidente francese.

19/1/2018

Il motore franco-tedesco dell'Europa riparte. In attesa di notizie da Berlino, per capire se la Germania avrà un Governo stabile entro Pasqua, e in attesa del varo della risoluzione parlamentare congiunta sul potenziamento dell'integrazione franco-tedesca, lunedì prossimo, Emmanuel Macron e Angela Merkel si incontrano a Parigi, per allineare le posizioni in vista di un anno che entrambi promettono di grandi riforme.

Macron chiede una maggiore integrazione economica in Europa. "Un'Europa delle convergenze", la definisce, indicando alcune aree concrete dove avanzare: immigrazione, difesa, investimenti, economia. E aggiunge: "le sfide europee sono numerose e richiedono risposte immediate" - non prima di lanciare un mini-endorsement all'ipotesi di riedizione della Grosse Koalition a Berlino: dalle "trattative in corso" per la formazione di un nuovo Governo tedesco emerge una "reale ambizione per il progetto europeo". Da parte sua la Merkel -in attesa delle decisioni della Spd- tesse le lodi del vigore europeista di Macron, rievocando il suo discorso di settembre alla Sorbona: "un grande progetto per l'Europa, riguarda cio' che e' necessario affinche' l'Unione abbia piu' fiducia in se' stessa e porti fiducia e soddisfazione ai suoi cittadini. Su questo non c'e' alcuna differenza", dice, cercando di sottolineare -una volta di più- ciò che unisce i due leader, mentre si preparano ad aprire il grande cantiere delle riforme europee.

17/1/2018

Al via la nuova legislatura del Parlament catalano, ancora una volta nel segno dell'indipendentismo. Grandi fiocchi gialli, simbolo della campagna per i detenuti politici, sono stati depositati sui seggi vuoti dei deputati indipendentisti in carcere o in esilio in Belgio, inseguiti da mandato d'arresto. I deputati della maggioranza indipendentista hanno prima salutato con lunghi applausi i nomi degli assenti, poi hanno intonato il grido "libertà", a fine seduta.

Come previsto, il deputato indipendentista Roger Torrent, di Esquerra Republicana, e' stato eletto nuovo presidente del Parlament. Prende il posto di Carme Forcadell, che a fine ottobre proclamò l'indipendenza, nella storica votazione di disconnessione di Barcellona da Madrid, poi bloccata dal commissariamento imposto da Rajoy. Il fronte indipendentista torna tra l'altro ad avere la maggioranza assoluta nell'ufficio di presidenza del Parlament - un fattore di indiscutibile vantaggio, nelle scelte che andranno prese nei prossimi giorni. L'attenzione a questo punto si sposta infatti al 31 gennaio, quando dovrebbe tenersi la sessione di investitura del nuovo presidente catalano: CarlesPuigdemont è candidato a succedere a sè stesso. Come, è tutto da vedere, trovandosi Puigdemont ancora in Belgio. "Recuperiamo le istituzioni, lottiamo per il Paese ed esercitiamo la dignità: viva la Catalunya libera", ha scritto su Twitter. A Madrid, Rajoy aspetta le prossime mosse di questa complicata partita a scacchi.

17/1/2018

L'ora della verità per la crisi catalana arriva oggi, a quasi un mese di distanza dalle elezioni che hanno sancito il quasi certo ritorno al potere del tripartito indipendentista, forte di una maggioranza di 70 seggi.

Tuttavia, le cose semplici si fermano qui. Perché la situazione di eccezionalità che vive la Catalunya del dopo-commissariamento imposto da Madrid rende parecchio complicato reinvestire il candidato naturale alla presidenza della Generalitat, quel Carles Puigdemont che -con la sua lista personale- ha compiuto il miracolo di portare il proprio schieramento al primo posto tra i partiti indipendentisti, superato solo dagli unionisti di Ciudadanos. Se Puigdemont tornasse oggi a Barcellona dal Belgio, dove si trova da quasi tre mesi, verrebbe immediatamente arrestato. Nel Parlament, dove è atteso per pronunciare il fatidico discorso programmatico a fine gennaio, non metterebbe neppure piede. Per questo, la sua opzione preferita resta quella di un'investitura a presidente per via telematica. Ottenuta quella, potrebbe anche tornare a casa, ponendo Governo e magistratura spagnoli di fronte al dilemma: arrestare o no il presidente della Generalitat catalana, con le immagini di un Puigdemontammanettato che farebbero a quel punto il giro del mondo? Sulla possibilità di un'investitura a distanza si sono detti contrari i giuristi del Parlament catalano, mentre il premier iberico Rajoy minaccia di prolungare il commissariamento della Generalitat. Da oggi si apre un'altra -delicatissima- partita, per la crisi catalana.

16/1/2018

"Non lasceremo che rinasca una nuova giungla". Il presidente francese Emmanuel Macron, parlando dalla città-simbolo di Calais, torna sulla crisi immigrazione, ponendo paletti importanti e mostrando un atteggiamento fermo, nei confronti di una delle maggiori questioni europee del momento.

"Non possiamo integrare tutti coloro che arrivano da Paesi in pace, ma il nostro dovere e' proteggere coloro che sono perseguitati e ci chiedono asilo", dice Macron, che insiste sulla linea fin qui seguita dalla sua presidenza: "dobbiamo aiutare i Paesi di origine e di transito. Chi e' qui e altrove in Europa va protetto dinanzi alle persecuzioni". Il presidente francese suona sullo stesso spartito italiano, quando chiede una revisione del regolamento di Dublino, che Roma spera di ottenere entro giugno: "il sistema di Dublino non e' soddisfacente. Dobbiamo organizzare una politica europea piu' solidale all'esterno, non nel suo seno. Dobbiamo garantire il dispiegamento di un sistema unico e integrato", dice Macron, promettendo tempi più rapidi per l'esame delle richieste di asilo. Su Calais, oltre ad annunciare che non ci saranno nuove "giungle", con concentrazioni di migliaia di migranti in attesa di partire per la Gran Bretagna, come quella smantellata oltre un anno fa, Macron giura che inserirà gli interessi futuri della regione francese nei prossimi negoziati sulla Brexit.

16/1/2018

"A meno che non ci sia un cambiamento di cuore da parte dei nostri amici britannici, la Brexit diventera' una realta' -con tutte le sue conseguenze negative- a marzo 2019. Noi non abbiamo cambiato idea. I nostri cuori sono ancora aperti per voi".

Il presidente del Consiglio europeo Tusk torna a spalancare la porta ad un possibile ripensamento di Londra, a soli quattordici mesi dall'uscita dall'Unione. "Da parte del Regno Unito serve maggiore chiarezza", ha però aggiunto Tusk, che vede un lavoro negoziale ancora duro da svolgere. Al di là delle parole di circostanza, però, l'Unione Europea sta preparando ad un irrigidimento della propria posizione negoziale verso Londra, da qui ad ottobre, quando si dovrebbe chiudere a grandi linee l'accordo di partenariato: secondo quanto riportano alcuni media, nelle ultime direttive messe a punto dagli Stati membri per ilcaponegoziatore Michel Barnier, si chiedono a Londra nuove concessioni sui diritti degli europei e sul commercio. In base a queste nuove richieste, le norme sull'immigrazione si dovrebbero applicare ai cittadini comunitari soltanto a partire dalla fine del periodo di transizione, a fine 2020: gli europei manterrebbero quindi i propri diritti immutati fino a quella data. Sul commercio, invece, la richiesta è che Londra chieda un'autorizzazione a Bruxelles, per continuare a beneficiare degli accordi commerciali con i Paesi terzi, che altrimenti decadrebbero il giorno dopo la Brexit. Secondo il Financial Times, queste nuove direttive potrebbero complicare i negoziati.

16/1/2018

Romania di nuovo nel caos di Governo, dopo che il premier socialdemocratico Mihai Tudose si e' dimesso.

Una crisi infinita, considerato che Tudose era in carica da appena un semestre, dopo le dimissioni -a giugno dello scorso anno- del suo predecessore, Sorin Grindeanu. Tudose è rimasto vittima di uno scontro di potere interno, con il suo partito che gli ha pubblicamente ritirato l'appoggio. Fatale per lui lo scontro con il deus ex-machina dei socialdemocratici rumeni, Liviu Dragnea. Lo scontro al vertice era diventato pubblico la scorsa settimana, quando il premier aveva chiesto al Ministro dell'Interno Carmen Dan di dimettersi, accusandola di mentire, e lei aveva rifiutato. Dan e' una stretta alleata di Dragnea, che non puo' ricoprire la carica di premier in seguito ad una condanna per brogli elettorali. "Lascio a testa alta", ha detto Tudose al termine di una burrascosa riunione di partito. Gli ultimi mesi hanno visto decine e decine di migliaia di persone scendere in piazza, per protestare contro alcune controverse riforme del sistema giudiziario intavolate dai socialdemocratici, che mirerebbero a indebolire l'autorità anticorruzione - questo, in uno dei Paesi dell'Est Europa, l'altro è la Bulgaria, dove proprio la corruzione rappresenta un problema endemico.

13/1/2018

La pur provvisoria intesa tedesca sulla riedizione della Grosse Koalition riapre prospettive di futuro per un'Europa tuttora azzoppata dalla stasi politica tedesca - un vuoto coperto con difficoltà dall'iperattivismo del leader francese Macron.

L'Europa occupa il primo capitolo dell'intesa di 28 pagine tra Cdu/Csu ed Spd. Un'Europa solidale, un'Europa competitiva e dove si investe, un'Europa delle opportunità e che abbia una responsabilità globale: così viene tratteggiato, a tinte molto generali, il progetto della Grosse Koalition sull'Unione Europea, riassumibile in un concetto fondamentale: "vogliamo rafforzare l'Unione da un punto di vista finanziario. A questo proposito raccomandiamo stanziamenti per la stabilizzazione economica e la convergenza sociale, e per l'appoggio delle riforme strutturali nell'Eurozona". Un punto, quest'ultimo, che potrebbe aprire le porte ad un bilancio comune dell'area Euro. I due alleati mettono nero su bianco un'altra certezza: il ruolo della Francia, la cui partnerschaft è considerata fondamentale. Anche per questo il presidente transalpino Macron si dice "felice e soddisfatto, per la strada imboccata verso un governo di coalizione atteso dall'Europa e dalla Francia". Il presidente della Commissione Juncker entra nel merito del testo -"positivo e costruttivo". Chi festeggia la ritrovata stabilità sono gli operatori finanziari, con l'Euro che schizza ai massimi da tre anni sul dollaro.

13/1/2018

"L'Europa ha bisogno di un bilancio che sia superiore all'1% del Pil comunitario". Il presidente della Commissione Juncker ha inaugurato lunedì l'anno europeo, lanciando un chiaro messaggio di avvertimento sul prossimo budget multiannuale, che per l'Italia potrebbe significare tagli pari a decine di miliardi in fondi comunitari - anche a causa dell'addio della Gran Bretagna, con la Brexit che -per ammissione di Juncker- "complicherà il negoziato sul prossimo quadro finanziario".

L'allarme del presidente della Commissione è netto: "anche arrivando al massimo della flessibilità, non riusciamo a strappare ulteriori risorse per finanziare voci extra di spesa". E fa esempi di aree concrete, dove serve più denaro: immigrazione, difesa, sicurezza interna ed esterna. In particolare la crisi migranti, ricorda Juncker, ha assorbito in un biennio 17 miliardi di fondi comunitari. Il Commissario al Bilancio Oettinger stima in 12-13 miliardi annui il buco lasciato dalla Gran Bretagna, suggerendo che andrà riequilibrato per metà da tagli alla spesa e per l'altra metà con denaro fresco. Per l'Italia, il Ministro dell'Economia Padoan chiede di prendere in conto e finanziare determinati "beni comuni", oggi presi a carico soprattutto da alcuni Stati membri. Padoan ha indicato i nostri due obiettivi per il prossimo budget multiannuale: "preservare i pilastri della distribuzione delle risorse in Europa, vale a dire la politica di coesione e la politica agricola comune, e mettere sul tavolo negoziale il finanziamento dei cosiddetti 'beni pubblici', a cominciare da immigrazione, dalla sicurezza e difesa". Per l'Italia la partita sul bilancio comunitario è particolarmente cruciale, se teniamo conto che -per il nostro Paese- il conto finale potrebbe ammontare a ben 50 miliardi, un tesoretto che vale quasi due manovre di bilancio. Tanti i nodi però da superare, oltre alla Brexit: le resistenze di molti Paesi all'idea di aumentare i contributi dei singoli Stati al budget, le difficolta' ad individuare nuove voci per alimentare il bilancio. Infine, l'ormai aperta divisione tra Est e Ovest, con i Paesi orientali ben poco propensi a offrire solidarietà nella redistribuzione dei migranti, e allo stesso tempo molto gelosi delle decine e decine di miliardi in fondi strutturali con i quali stanno rimettendo a nuovo le loro infrastrutture. La Commissione Europea presenterà una proposta per il prossimo budget multiannuale a maggio, e chiede ai 27 di approvarla nel giro di al massimo un anno.

12/1/2018

L'accordo tedesco, pur provvisorio, e pur soggetto a nuove e più dettagliate trattative per arrivare alla formazione di un Governo entro Pasqua, scalda gli entusiasmi europei.

Proprio l'Europa occupa un posto rilevante, nell'intesa tra Cdu/Csu ed Spd. Un posto nel primo capitolo, di tre pagine, riassumibile in questi concetti: "vogliamo rafforzare l'Unione Europea da un punto di vista finanziario, affinchè possa curare meglio i propri compiti". E prosegue: "a questo proposito raccomandiamo stanziamenti per la stabilizzazione economica e la convergenza sociale, e per l'appoggio delle riforme strutturali nell'Eurozona". Un punto, quest'ultimo, che potrebbe aprire le porte ad un bilancio comune dell'are Euro. Gli impegni europei restano al momento vaghi, condensati in cinque macroaree. Ma la linea filoeuropeista impiantatasi a Berlino vive di una certezza: la via del rafforzamento europeo passa da una collaborazione con la Francia. Per questo il presidente transalpino Macron si è detto "felice e soddisfatto, per la strada imboccata verso un governo di coalizione atteso dall'Europa e dalla Francia". Anche il premier Gentiloni la definisce una buona notizia per l'Europa. Il presidente della Commissione Juncker entra nel merito del testo -"positivo e costruttivo", lo definisce- mentre il presidente dell'Europarlamento Tajani apprezza la stabilità che quest'intesa lascia intravedere. Chi festeggia la stabilità sono gli operatori finanziari, con l'Euro che schizza ai massimi da tre anni sul dollaro.

12/1/2018

Quando stamattina, con gli incontri ufficiali a Sofia, partirà la presidenza bulgara dell'Unione Europea, la domanda da porsi sarà una sola: chi sta guidando davvero il blocco comunitario?

Quante anime, assi, conformazioni e club diversi convivono ormai all'interno di un caos, che appare sempre meno creativo? Se è vero che le presidenze semestrali di turno hanno perso buona parte del peso che avevano fino ad una decina di anni fa, quando dettavano l'intera agenda comunitaria, è pur vero che la presidenza bulgara non è forse esattamente l'ideale, in un momento di crisi strutturale dell'Europa. Superata la traversata nel deserto della crisi economica, l'Europa appare oggi come un cantiere politicamente aperto: indecisa se integrarsi ulteriormente tra pochi Paesi fondatori e in senso semifederale, lasciando i meno euroentusiasti indietro. Con un Macroneuroentusiasta e deciso a fare anche la parte di una Merkel azzoppata dalle trattative di Governo, ma zavorrato -al tempo stesso- dal vuoto di Berlino. Con una riforma dell'Eurozona in cantiere, ma sulla quale tutti sembrano avere opinioni diverse. Con un bilancio multiannuale ancora da scrivere, ma sul quale già tutti sembrano litigare. Con la riemersione -netta- di una cortina di ferro politica tra Est e Ovest, dopo che Polonia e Ungheria hanno imboccato strade populiste e di destra, calamitando sul loro percorso persino l'Austria. E con una spaccatura neppure troppo strisciante tra le presunte formiche del Nord e le presunte cicale del Sud. In questo contesto -oggi- la Bulgaria, il Paese più povero e con elevati indici di corruzione dell'Europa, assume la presidenza semestrale. Farà i suoi compiti, come li hanno fatti tutti, prima di lei. Ma non sarà lei a decidere. Al massimo metterà i bastoni tra le ruote su qualche dossier, per esempio sulla riforma del regolamento di Dublino. Così cara all'Italia. Ma la colpa non sarà di Sofia. La colpa sarà di chi si ostina a non riuscire a dare -o voler dare- una forma precisa e definita a questa Europa. Levandola dalle sue troppe ambiguità. E dalla nebbia che l'avvolge, simile all'aria inquinata che flagella Sofia in questi primi giorni dell'anno.

11/1/2018

Il colpo di scena arriva dal politico che più di tutti ha incarnato negli ultimi anni la volontà di lasciare l'Europa: Nigel Farage, l'ex-leader dello UKIP, tuttora eurodeputato ma non più leader del partito antieuropeista per eccellenza, spariglia le carte nel corso di un'intervista televisiva.

"Forse, dico forse, dovremmo tenere un secondo referendum sulla Brexit. Metterebbe fine alla questione per una generazione, una volta per tutte", dice Farage, citando i continui freni che i partiti filoeuropeisti -e lo stesso ex-premier laburista Blair- stanno interponendo ad un processo di uscita, reso peraltro ancora più caotico dalla imbarazzante fragilità dell'esecutivo di Theresa May. Per paradosso, il ballon d'essai di Farage esalta il fronte europeista, tra cui i Libdem e alcuni deputati laburisti, mentre viene stato accolto dal gelo dei suoi compagni di partito, forse non così sicuri -come lui- che gli elettori pro-Brexit possano superare stavolta di gran lunga gli anti-Brexit. Il tutto, mentre il Cancelliere dello Scacchiere Philip Hammond spinge, nel corso di una missione a Berlino, per accelerare sul varo di un accordo commerciale tra Londra e il blocco comunitario. Accordo che deve arrivare entro ottobre, per evitare un'uscita della Gran Bretagna dall'Europa senza paracadute.

10/1/2018

Un "Trattato del Quirinale" per rafforzare la cooperazione tra Italia e Francia, sul modello di quello siglato all'Eliseo con la Germania nel 1963, "per coordinarsi in maniera sistematica" su questioni bilaterali.

E' questo il progetto sul quale -secondo fonti transalpine- starebbero lavorando il premier italiano Gentiloni e il presidente francese Macron. Il quale aveva già lanciato l'idea nel corso del summit bilaterale di Lione a settembre: l'idea ora è perfezionarla e siglarla entro il prossimo vertice intergovernativo, che si terrà nel corso di quest'anno nella Penisola - anche se molto dipenderà ovviamente dall'esito delle elezioni di marzo. Secondo le prime anticipazioni, il Trattato del Quirinale dovrebbe fondarsi su "consultazioni bilaterali molto piu' coordinate" su una serie di questioni, da quelle europee a quelle culturali, includendo il settore industriale, in particolare quello "navale, sia civile che militare". L'intesa riappianerebbe i non pochi screzi dello scorso autunno sull'asse Parigi-Roma -su tutti l'affaire Stx-St. Nazaire- e si inserirebbe nella strategia di rilancio del motore europeo, che Macron ha inaugurato con la sua presidenza, rafforzando immediatamente i rapporti con Berlino, e presentando a settembre una serie di proposte per rilanciare l'Unione Europea. Il prossimo 22 gennaio i parlamenti tedesco e francese voteranno una risoluzione per rafforzare l'integrazione tra i due Paesi, in ambito economico, societario, fiscale, energetico e delle politiche sociali.

8/1/2018

"L'Europa ha bisogno di un bilancio che sia superiore all'1% del Pil comunitario". Il presidente della Commissione Juncker inaugura l'anno europeo, lanciando un messaggio di avvertimento sul prossimo budget multiannuale, che per l'Italia potrebbe significare tagli per decine di miliardi in fondi comunitari - anche a causa dell'addio della Gran Bretagna, con la Brexit che -per ammissione di Juncker- "complicherà il negoziato sul prossimo quadro finanziario".

L'allarme del presidente della Commissione è netto: "anche arrivando al massimo della flessibilità, non riusciamo a strappare ulteriori risorse per finanziare voci extra di spesa". E fa un esempio su tutti: la difesa comune, varata neppure un mese fa. Un riferimento anche a un'altra nuova sfida, quella dei migranti, che in un biennio -ricorda Juncker- ha assorbito 17 miliardi di fondi comunitari. Mentre sulla coesione, capitolo pure importante per l'Italia, Bruxelles propone una modernizzazione dei fondi. Il Commissario al Bilancio Oettinger stima in 12-13 miliardi annui il buco lasciato dalla Gran Bretagna, suggerendo che andrà riequilibrato per metà da tagli alla spesa e per l'altra metà con denaro fresco. Per l'Italia, il Ministro dell'Economia Padoanchiede di preservare i pilastri della distribuzione delle risorse in Europa, vale a dire coesione e politica agricola comune, mettendo sul tavolo il finanziamento dei beni pubblici europei, a partire dall'immigrazione. "Il fatto che l'Italia paghi per tutti, in termini finanziari e politici, non può proseguire", ha avvertito Padoan.

30/12/2017

L'inquieta Europa ha riscoperto, nel 2017, il termine "indipendentismo": fenomeno che era sembrato riassopirsi tre anni fa, con il "no" della Scozia alla separazione dalla Gran Bretagna.

A farsi portabandiera del ritrovato orgoglio regionale la Catalunya, la più dinamica regione della Penisola iberica, che il primo ottobre lanciava la sfida a Madrid, organizzando un referendum, definito illegale dal Governo centrale. Un referendum indipendentista, che affondava le radici nella storia catalana, remota e recente - figlio anche dello smantellamento del nuovo Statuto di autonomia. Un referendum che, nonostante tutti i divieti di Madrid, si svolgeva, anche se a caro prezzo: ancora oggi, a quasi tre mesi di distanza, tutti abbiamo negli occhi le violente cariche della polizia spagnola contro elettori inermi e in fila ai seggi. La sera del primo ottobre si contarono oltre 800 feriti. La proclamazione dell'indipendenza da parte del Parlamento catalano, il commissariamento della Generalitat, l'incarcerazione di numerosi politici di Barcellona, l'autoesilio del presidente deposto Puigdemont, hanno preceduto le elezioni di fine dicembre, nelle quali gli indipendentisti hanno rivinto, decretando il fallimento della strategia Rajoy. E riaprendo i giochi, verso un finale incerto. Ma la Catalunya non è stata la sola regione, a far sentire la sua voce quest'anno: la Brexit ha generato instabilità in Gran Bretagna, con la Scozia che ha fatto balenare l'ipotesi di un secondo referendum sull'indipendenza, e la questione nordirlandese tornata d'attualità, sia con il voto di marzo -exploit delSinn Fein- sia in conseguenza dei negoziati per il divorzio Londra-Europa. Per ora Belfast resta tranquilla, ma la separazione dall'Unione può riaprire vecchie e dolorose ferite. Questo mese, infine, il voto in Corsica, dominato dal successo dei partiti nazionalisti. Qui la parola "indipendenza" non si sente, ma l'obiettivo è chiaro: maggiore autonomia da Parigi. L'anno degli indipendentismi ha aperto nuove sfide per l'Europa, senza trovare a Bruxelles orecchie attente: l'atteggiamento pilatesco potrebbe però rappresentare un errore macroscopico per l'Unione, sempre troppo lenta nel comprendere i cambiamenti che percorrono il Continente.

27/12/2017

E' una notte di inizio maggio, quando Emmanuel Macron parla sulla spianata del Louvre. Annunciato dall'inno europeo, disegna la nuova Francia e la nuova Europa - lui, che fino a un anno prima, non aveva neppure un partito.

L'elezione di Macron resta la più importante del 2017, sia per la sua eccezionalità - Macron ha annichilito i pesi massimi della politica francese, socialisti e destra, sia per la sua inedita ispirazione europeista, sia -infine- per l'argine che essa stessa ha costituito nei confronti dell'ascesa dell'estrema destra. Non dimentichiamo che a contendergli l'Eliseo c'era Marine Le Pen, il cui solo nome suscitava scongiuri e irritazione, a Bruxelles. L'elezione di Macronfugò -temporaneamente- le paure di un'ondata di destra nel cuore dell'Europa occidentale - considerato che in quella orientale è già ben presente, pur in forme più digeribili, per la pragmatica politica comunitaria. Solo due mesi prima, Bruxelles aveva tirato un altro sospiro di sollievo, con l'argine eretto in Olanda nei confronti di Geert Wilders, rappresentante dell'anima nera continentale. Il suo PVV arrivava solo secondo alle elezioni, finendo poi escluso dalla laboriosa formazione di Governo. La doppia sconfitta LePen-Wilders - sconfitta relativa, considerati i più che onorevoli piazzamenti elettorali, riportava lo scacchiere elettorale europeo ad una presunta normalità. Presunta, perché le sorprese dovevano ancora arrivare. E da luoghi inattesi: a fine settembre il tranquillo voto tedesco si rivelava meno scontato del previsto, con le forti perdite di Cdu ed Spd, provocate dall'ascesa degli antieuropeisti della Afd. Anche qui, nessuna pretesa di Governo per loro, emarginati subito politicamente - ma, da settembre, il morbo populista infetta anche Berlino. Ciliegina sulla torta, l'ottimo risultato a Vienna dell'ultradestra della Fpoe, nelle elezioni di ottobre. Questo mese l'ex-partito di Haider ha firmato il patto di Governo con la destra Oevp: il neocancelliere Kurz è stato accolto subito amichevolmente a Bruxelles dal presidente della Commissione Juncker. Strana Europa, questa Europa: a gennaio temeva l'ondata dell'estrema destra. A dicembre ne benediceva l'arrivo al Governo in Austria. Effetti di un altrettanto strano anno elettorale.

27/12/2017

Quasi 400 migranti tratti in salvo nel periodo di Natale, dopo la ripresa delle partenze dalle coste africane verso l'Italia. Ben tre gli interventi di soccorso nella notte tra Natale e Santo Stefano, più un altro nel corso della giornata di ieri.

Operazioni rese difficili dalle condizioni del mare, con onde alte fino a cinque metri. Nonostante gli ultimi arrivi, i dati degli sbarchi per l'anno in corso indicano una flessione del 34% rispetto al 2016, l'anno record con 180mila persone giunte sulle nostre coste. Intanto un team di ricognizione e' in questi giorni a Niamey, per studiare le necessita' della nuova missione militare italiana in Niger, che partira' col nuovo anno, dopo il via libera delle Camere. L'obiettivo, ha spiegato il presidente del Consiglio Gentiloni, e' "consolidare quel Paese, contrastare il traffico degli esseri umani ed il terrorismo". Saranno impiegate "alcune centinaia di uomini", ha spiegato il capo di Stato Maggiore della Difesa, Claudio Graziano. La questione migranti ha tenuto banco anche in Europa nel periodo natalizio, dopo che il nuovo Governo austriaco -salutato a Bruxelles solo pochi giorni fa come filoeuropeo- ha sparato a zero contro ricollocamenti e sistema di accoglienza, invitando i partner comunitari a insistere sulle politiche per aiutare i migranti nei loro Paesi di origine. Per l'Europa si annuncia un semestre caldo, sul fronte del dossier migratorio, che dovrebbe condurre -entro giugno- alla riforma del regolamento di Dublino.

25/12/2017

Crisi catalana al centro del discorso natalizio di Re Felipe VI: il monarca spagnolo a sorpresa ha abbassato i toni, rispetto alle parole molto dure pronunciate contro i separatisti all'inizio di ottobre. La televisione autonomica catalana ha scelto di non trasmettere il discorso.

"Un anno difficile": Re Felipe sceglie un eufemismo, per descrivere un 2017 in cui il separatismo catalano è stato protagonista della cronaca a livello mondiale. In un messaggio atteso, pronunciato a soli tre giorni da elezioni autonomiche che hanno riportato al potere a Barcellona i partiti indipendentisti, il Re abbandona il tono di sfida e molto poco inclusivo cui aveva fatto ricorso il 3 ottobre, due giorni dopo il referendum delle violenze. Constatato il fallimento della strategia del commissariamento, Felipe punta ora sulla politica della mano tesa a Barcellona, chiedendo ai nuovi rappresentanti del Parlament di affrontare i problemi che riguardano tutti i catalani, rispettando la pluralità e recuperando la convivenza civile, all'interno del perimetro costituzionale. Curioso anche il riferimento al problema della corruzione in Spagna, all'interno del discorso reale - tema questo che investe molto da vicino il Partido Popular del premier Mariano Rajoy, su cui pendono indagini e processi. A Barcellona, intanto, si ricalcolano i seggi, anche se in una sfida tutta interna al fronte unionista: il riconteggio del voto all'estero porta a quattro i deputati PP, facendo scendere a 36 quelli di Ciudadanos. Invariati i 70 del fronte indipendentista. Al via pure le prime manovre politiche: la lista di Puigdemont, Junts per Catalunya, propone che sia ancora Carme Forcadell a presiedere il prossimo Parlamento. L'obiettivo è chiaro: riportare nei posti di comando tutti i politici deposti a fine ottobre.

24/12/2017

"Si è chiusa una delle migliori settimane dell'ultimo periodo": dal suo esilio belga, il presidente catalano in pectore Puigdemont unisce la dimensione sportiva a quella politica, leggendo il trionfo del Barcellona sugli odiati rivali del Real Madrid -nel Clasico- come il segno che il vento comincia a soffiare dalla sua parte.

Puigdemont non dimentica i politici e gli attivisti ancora in carcere in attesa di giudizio, e chiede alle autorità iberiche di poter tornare in Catalunya in tempo per l'apertura del nuovo Parlamento, entro il 23 gennaio dunque, per riprendere possesso del suo incarico come presidente della Generalitat. Il suo legale lascia intendere che Puigdemont passerà anche il Natale a Bruxelles, e sottolinea che non può essere investito presidente all'estero. Il problema è che -in queste condizioni- qualora tornasse verrebbe immediatamente arrestato. Un rebus legale non solo per il leader indipendentista -indeciso su dove possa essere più utile: se in Belgio e in libertà, o a Madrid in carcere- ma anche per il Governo spagnolo, pesantemente umiliato nelle urne catalane, e a rischio di figuraccia internazionale: quale immagine darebbe al mondo, ammanettando il leader catalano appena rieletto? Senza contare che vi sono ancora quattro politici e attivisti catalani detenuti in attesa di giudizio, di cui tre appena rieletti. Un enorme cortocircuito politico-giudiziario, dannoso sia per Barcellona sia per Madrid, alla luce del fallimento della strategia del commissariamento catalano.

23/12/2017

Cauta apertura al dialogo, da qui a gennaio, quando entrerà in carica il nuovo Parlament catalano, emiciclo che sarà nuovamente dominato dalla maggioranza indipendentista. E’ questa la stretta via d’uscita imboccata dai principali partiti spagnoli e catalani, in vista della riedizione di un Governo a guida Puidgemont, nei fatti identico a quello deposto a fine ottobre da Mariano Rajoy.

Da Bruxelles il presidente della Generalitat in pectore rivendica che l’articolo 155, imposto da Madrid, non ha funzionato, e propone al premier iberico un incontro in un Paese europeo. Ovviamente non in Spagna, dove Puigdemont rischia l’arresto. Due ore dopo un Rajoy politicamente indebolito inghiotte il boccone amaro, prende atto della sconfitta del Partido Popular, apre al dialogo con Barcellona ma dentro i confini della legalità - rifiutando a priori indipendenza e vie unilaterali. Rifiuta anche il faccia a faccia proposto da Puigdemont, preferendogli la leader unionista Arrimadas, e chiude all’ipotesi di elezioni anticipate in Spagna. Sullo sfondo, il rilancio dell’azione della magistratura spagnola, che ha ampliato l’indagine per ribellione ad altri esponenti di punta del blocco indipendentista, tra i quali Marta Rovira, Artur Mas e Anna Gabriel. Allo stesso tempo, è stata fissata per il 4 gennaio l’udienza che potrebbe decidere la scarcerazione di Oriol Junqueras, leader di Esquerra Republicana e vicepresidente catalano deposto.

22/12/2017

Carles Puigdemont chiede dialogo, Mariano Rajoy offre dialogo. Il giorno dopo le elezioni che hanno riportato al potere a Barcellona il blocco indipendentista, la comunicazione corre sull’asse Bruxelles-Madrid. Anche se non è chiaro se i due presidenti intendano lo stesso tipo di dialogo.

Dalla capitale belga il presidente della Generalitat in pectore rivendica che il commissariamento catalano, imposto da Madrid, non ha funzionato, e propone al premier iberico un incontro in un Paese europeo. Un faccia a faccia, senza condizioni preventive. Ovviamente non in Spagna, dove Puigdemont rischia l’arresto. Due ore dopo un Rajoy politicamente indebolito inghiotte il boccone amaro, prende atto della sconfitta del Partido Popular, apre al dialogo con Barcellona ma dentro i confini della legalità - rifiutando a priori indipendenza e vie unilaterali. Rajoy rifiuta il faccia a faccia proposto da Puigdemont, preferendogli la leader unionista Arrimadas. Sullo sfondo, il rilancio dell’azione della magistratura spagnola, che ha ampliato l’indagine per ribellione ad altri esponenti di punta del blocco indipendentista, tra i quali Marta Rovira, Artur Mas e Anna Gabriel. Allo stesso tempo, è stata fissata per il 4 gennaio l’udienza che potrebbe decidere la scarcerazione di Oriol Junqueras, leader di EsquerraRepublicana e vicepresidente catalano deposto.

22/12/2017

La festa esplode nella sede di Junts per Catalunya, la lista del presidente deposto Puidgemont, poco prima di mezzanotte, quando arriva la certezza della vittoria: in una elezione storica i catalani bocciano il commissariamento della comunità da parte del Governo Rajoy, rifilando al PP una sconfitta umiliante.

L’elezione ha due vincitori: quello effettivo è il blocco indipendentista, che dopo tre mesi e mezzo di passione conferma la sua maggioranza assoluta in Parlamento, con 70 seggi. E una maggioranza relativa di consensi. La vera sorpresa è l’exploit della lista di Puidgemont, che con 34 deputati diventa la prima forza indipendentista, davanti ai favoriti di Esquerra Republicana. L’altro vincitore è il partito unionista di Ciudadanos, che con il 25% porta per la prima volta una forza costituzionalista davanti a tutti: vittoria di Pirro, però, perché bilanciata in negativo dal crollo del PP, sceso a 3 seggi. “Gli indipendentisti non possono parlare a nome di tutti”, tuona la leader di Ciudadanos Arrimadas, sapendo però che non sarà lei la presidente catalana. Sarà ancora Puidgemont, su cui pende un ordine di arresto in Spagna, ma che dal Belgio sfida Madrid: “la repubblica catalana ha sconfitto la monarchia dell’articolo 155. Che prendano nota!” Il Ministro catalano deposto Turull non riesce a trattenere la sua gioia: “è incredibile, è la sconfitta della repressione e la riaffermazione del referendum del primo ottobre”, dice Turull, che ha trascorso settimane in carcere, ed è in libertà su cauzione. Da oggi la questione catalana torna sul tavolo europeo.

21/12/2017

A Barcellona le urne sono aperte da tre ore, per un voto già entrato nella storia politica della comunità autonoma catalana: nei fatti, al di là dei partiti, oggi si vota su due opzioni: proseguire sulla strada dell’indipendenza, sfidando Madrid, oppure tornare nel cosiddetto alveo costituzionalista.

La sfida è già partita nei messaggi incrociati: il presidente catalano deposto Puidgemont, che domani a mezzogiorno terrà una conferenza stampa, ha twittato da Bruxelles: “oggi dimostreremo di nuovo la forza di un popolo indomabile, che lo spirito del primo ottobre ci guidi”, mentre il premier spagnolo Rajoy è tornato a minacciare in modo esplicito il prossimo Governo catalano: “o rispetta la legge, o sa già cosa succederà”- un riferimento esplicito al commissariamento. La giornata elettorale si è aperta normalmente e con lunghe code ai seggi, che abbiamo potuto noi stessi testimoniare nel centro di Barcellona: trattandosi di un giorno lavorativo, molte persone hanno votato prima di recarsi in ufficio – in ogni caso il tasso di partecipazione si annuncia superiore all’80%. Fortissima la presenza di rappresentanti di lista: ben 55mila, anche perché il timore di brogli, da una parte e dall’altra, è fortissimo. Per questo i conteggi si annunciano lunghi: favorito nei sondaggi il blocco indipendentista, che cerca una maggioranza netta di voti e seggi per tornare a rivendicare, sulla base del voto, l’indipendenza da Madrid. I seggi chiuderanno alle 20.

21/12/2017

Oltre cinque milioni e mezzo di catalani oggi alle urne, per l’elezione più importante nella transizione post-franchista. Alle 9 aprono i seggi, con un’affluenza che si prevede altissima, superiore all’80% - a testimoniarlo le richieste per votare all’estero, in crescita dell’85% rispetto a due anni fa.

Sul voto vigileranno 17mila poliziotti, soprattuttoMossos d’Esquadra, mentre -per fugare timori di frodi- la Generalitat ha annunciato che renderà pubblici i risultati di ciascun seggio. Il rischio maggiore è che nasca -da queste elezioni- un panorama politico ingovernabile, con gli indipendentisti primo blocco politico, ma in maggioranza relativa, e la sinistra di Podem ago della bilancia. Nel caso di una maggioranza assoluta per gli indipendentisti, invece, si riaprirebbe lo scontro politico con Madrid, in un quadro di volontà popolare secessionista certificato da elezioni ufficiali. Marcel Mauri, vicepresidente dell’associazione indipendentista Omnium Cultural, non esclude un nuovo referendum: “in caso di vittoria del fronte indipendentista, se lo Stato spagnolo avesse un po’ di ragionevolezza, concorderebbe un nuovo referendum per l’indipendenza, che sarebbe accolto con entusiasmo”.

20/12/2017

La calma prima della possibile tempesta politica. Barcellona e l’intera comunità catalana hanno approfittato della giornata di silenzio elettorale, dopo una campagna tesa, segnata dall’applicazione dell’articolo 155, che ha non solo commissariato la Generalitat catalana, ma ha portato in prigione o all’estero numerosi politici e attivisti indipendentisti.

Da domani sera si aprono tre possibili scenari, in quello che appare come il vero referendum sulla secessione catalana: maggioranza assoluta del blocco indipendentista – ipotesi che porterebbe all’inasprimento della guerra politica tra Barcellona e Madrid, col rischio di un nuovo commissariamento. Maggioranza del blocco unionista – in realtà improbabile. E, scenario altamente possibile, nessuna maggioranza chiara per i due blocchi: a quel punto risulterebbe decisiva la posizione dell’ala catalana di Podemos, Podem, non contraria alla ripetizione di un referendum -concordato con Madrid- sull’indipendenza. Marcel Mauri, vicepresidente di Omnium Cultural, una delle due grandi organizzazioni indipendentiste, riapre lo scenario referendario: “ci sarà gente che andrà a votare con paura, con il ricordo di essere stata picchiata il primo ottobre. In caso di vittoria del fronte indipendentista, se lo Stato spagnolo avesse un po’ di ragionevolezza, concorderebbe un nuovo referendum per l’indipendenza, che sarebbe accolto con entusiasmo”, dice Mauri.

20/12/2017

Barcellona vive oggi una insolita giornata di riflessione elettorale, in vista di elezioni autonomiche -domani- che potrebbero rivelarsi decisive per il futuro del processo indipendentista, che ha portato, due mesi e mezzo fa, al referendum conclusosi tra le violenze della polizia spagnola.

Tutti i sondaggi danno in vantaggio ancora una volta il blocco separatista, diviso in tre partiti, tra cui la lista del presidente deposto Puidgemont, Junts per Catalunya. Questo blocco potrebbe ottenere una maggioranza assoluta dei seggi, come due anni fa, oppure una maggioranza relativa. Nel primo caso, si entrerebbe in acque totalmente inesplorate, con un nuovo Governo secessionista e il rischio di un ritorno al commissariamento della Catalunya, mediante l’articolo 155, con effetti –come possiamo ben immaginare- politicamente imprevedibili. Gli stessi leader indipendentisti, Puidgemont e Junqueras, rischierebbero di rimanere all’estero o in carcere, in caso di elezione. Se invece l’indipendentismo vincesse con maggioranza relativa, entrerebbe in gioco in modo determinante l’ala catalana di Podemos, Podem. Marcel Mauri, vicepresidente di Omnium Cultural, una delle due maggiori associazioni indipendentiste: “siamo un movimento pacifico e democratico. Gli indipendentisti accetteranno il risultato delle elezioni di domani, chiediamo anche al blocco monarchico e costituzionalista di rispettare il risultato delle elezioni, qualora perdessero”.

20/12/2017

La Catalunya affronta il voto più anomalo della transizione post-franchista, con un presidente autoesiliatosi in Belgio e un vicepresidente tuttora in carcere, entrambi deposti dall'applicazione dello strumento più duro e controverso pensato da Madrid per riportare all'ordine i Governi regionali ribelli. L'articolo 155, che da fine ottobre ha commissariato Barcellona. Cinque milioni e mezzo di catalani andranno alle urne nella data ormai iconica del 21-Dicembre.

La partecipazione prevista è altissima, probabilmente supererà l'80%. E questo potrebbe rivelarsi determinante, nello spostare gli equilibri tra indipendentisti e unionisti. Qualcosa è mutato nel panorama politico, dopo la proclamazione dell'indipendenza, a fine ottobre. Il fronte indipendentista si presenta diviso all'appuntamento elettorale, con i liberali del PdeCat confluiti nella lista presidenziale di Puidgemont, l'Esquerra Republicana di Junqueras, attualmente detenuto, favorita come primo partito, e gli antisistema della CUP, i duri e puri dell'indipendenza, in leggero calo. Insieme, i tre partiti sarebbero ad un soffio dalla replica della maggioranza assoluta. Il fronte unionista appare più eterogeneo: in forte ascesa i liberali di Ciudadanos, che puntano a diventare il primo partito, dopo aver prosciugato la già fragile base di consensi del Partido Popular. La cura Rajoy non ha proprio funzionato, a quanto pare. I socialisti catalani, in leggera ascesa, appaiono ondivaghi sul cosa fare dopo. Vero ago della bilancia appare così, qualora il fronte indipendentista non replicasse la maggioranza, la versione catalana di Podemos, Podem: non indipendentista, ma aperta all'ipotesi di un referendum sulla secessione. Comunque vada a finire, probabilmente dal 22 dicembre la questione catalana tornerà a riaprirsi.

16/12/2017

Il nodo immigrazione continua a dividere l'Unione Europea, che rimanda a giugno -come previsto- ogni tentativo di riforma delle politiche comunitarie, regolamento di Dublino incluso. Il presidente europeo Tusk appare restio a cambiare posizione.

"Non ho cambiato idea sulla questione delle quote obbligatorie di ricollocazione dei rifugiati. Quello che serve e' un metodo efficace per fermare il flusso di migranti", dice Tusk. Al suo fianco in conferenza stampa il presidente della Commissione Juncker, che sottolinea invece il successo delle quote, mentre il duo franco-tedesco Macron-Merkelbatte sul tasto della solidarietà. Il premier Gentiloni sposta l'attenzione sulla necessità di concentrarsi su flussi gestiti in modo organizzato, e sottratti alle mafie. 24 Paesi membri sono a favore di una riforma di Dublino, con un elemento di ricollocamenti obbligatori. Probabile un voto a maggioranza qualificata in estate. Sulla Brexit "sono stati fatti progressi piuttosto significativi: ora si aprira' la fase due sul futuro, che e' una parte ancora piu' difficile dei negoziati": così la cancelliera tedesca Merkel ha commentato il via libera ufficiale al secondo tempo delle trattative, relative al nuovo partenariato. Infine, sulla riforma dell'Eurozona Merkel e Macron puntano a presentare una proposta congiunta entro marzo.

15/12/2017

Lo scontro sui migranti sfocia nella seconda giornata di summit europeo a Bruxelles, con il presidente europeo Tusk ancora in rotta di collisione con i Paesi mediterranei.

"Non ho cambiato idea sulla questione delle quote obbligatorie di ricollocazione dei rifugiati. Quello che serve e' un metodo efficace per fermare il flusso di migranti", ha detto Tusk, aggiungendo che le aspre reazioni alla sua posizione sono la dimostrazione che le quote non sono la soluzione. Al suo fianco in conferenza stampa, il presidente della Commissione Juncker, che sottolineava invece il successo delle quote, mentre il duo franco-tedesco Merkel-Macron batteva sul tasto della solidarietà. La forza dei numeri dice che 24 Paesi membri sono a favore di una riforma del regolamento di Dublino, con un elemento di ricollocamenti obbligatori. Probabile un voto a maggioranza qualificata a giugno, per superare l'empasse. Sulla Brexit "sono stati fatti progressi piuttosto significativi, ma ora si aprira' la fase due sul futuro, che e' una parte ancora piu' tosta dei negoziati": così la cancelliera tedesca Merkel ha commentato il via libera ufficiale al secondo tempo del negoziato, che si concentrerà sul nuovo partenariato. Infine, sulla riforma dell'Eurozona la Merkel e Macronpuntano a presentare una proposta congiunta entro marzo.

15/12/2017

I migranti agitano un vertice europeo, nato per celebrare l'avvio della difesa comune e chiudere la fase uno della Brexit. La magra concessione dei quattro Paesi dell'Est del gruppo Visegrad all'Italia -36 milioni di euro per le operazioni di gestione dei flussi migratori in Africa- appaiono alla fine come il regalo avvelenato, utile a lavarsi definitivamente le mani, abdicando alle proprie responsabilità in materia di ricollocazione dei rifugiati.

Gentiloni incassa l'appoggio della cancelliera tedesca Merkel, che avverte i Paesi dell'Est: "la solidarietà selettiva non e' positiva all'interno dell'Europa", mentre il presidente europeo Tusk cerca di rimediare ai recenti errori sulle politiche migratorie, chiedendo maggiore unità. In ogni caso non c'è fretta: una riforma delle politiche di immigrazione -sistema di Dublino incluso- non arriverà, se va bene, prima di giugno. C'è un motivo per sorridere: 25 Paesi hanno dato il via alla cooperazione per la difesa, primo embrione di un progetto accantonato per decenni. Oggi il confronto entra nel vivo, sia su Brexit, conl'ok all'inizio della delicata fase 2, che prevede l'intesa con Londra su un nuovo modello di partenariato. Sia, soprattutto, sulla riforma dell'Eurozona, dopo la doppia proposta Juncker-Macron - e una Germania ancora impanata nei negoziati di Governo.

14/12/2017

La crisi migranti agita le acque al Consiglio Europeo, con distanze che restano incolmabili tra Est e Ovest: in mattinata i quattro Paesi orientali, noti come Gruppo Visegrad, incontrano il premier Paolo Gentiloni, mettendo sul piatto 36 milioni di euro, che l'Italia potrà utilizzare per meglio coordinare la gestione dei flussi migratori in Africa.

Offerta gradita dall'Italia, pur nella sua sostanziale esiguità, ma Gentiloni rende chiaro che non finisce qui. La cancelliera tedesca Merkel si schiera con i Paesi del Sud: "la solidarietà selettiva non e' positiva all'interno dell'Europa", mentre il presidente europeo Tusk cerca di rimediare ai suoi recenti errori sulle politiche migratorie chiedendo maggiore unità. Comunque meglio non farsi illusioni: una riforma del dossier non arriverà prima di giugno. 25 Paesi hanno dato il via alla cooperazione per la difesa europea, primo embrione di un progetto accantonato per decenni, mentre le ultime ore del primo giorno di summit vedono al centro dell'agenda la Brexit: la premier britannica May si è detta "delusa" per la sconfitta subita dal suo Governo alla Camera dei Comuni, sull'emendamento che attribuirà a Westminster l'ultima parola sul risultato dei negoziati sul divorzio. Ma ha aggiunto: proseguiamo "sulla strada dell'attuazione della Brexit".

12/12/2017

Netanhyau prova a portare l'Europa sulla posizione americana. Bruxelles risponde picche. Dopo il duro faccia a faccia con il presidente francese Macron, il premier israeliano rinnova la propria richiesta di ottenere il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale dello Stato ebraico..

"Anche se non abbiamo ancora un accordo, questo e' quanto credo accadra' in futuro: la maggior parte dei Paesi europei spostera' le proprie ambasciate a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele, e si impegnerà con forza, con noi, per sicurezza, pace e prosperita'". Cosi' Netanyahu cerca di forzare la mano ai 28, aggiungendo che il riconoscimento di Gerusalemme potrebbe "rendere la pace possibile". Due ore di discussione tra i Ministri degli Esteri, nonostante i precedenti dubbi ungheresi, compattano però l'Europa nella risposta, che arriva per bocca dell'Alto Rappresentante Mogherini: "il premier Netanyahu può mantenere le sue aspettative per altri, perche' dai Paesi comunitari la decisione di spostare le ambasciate a Gerusalemme non ci sarà", tuona. La Mogherini vede anzi nella mossa americana un rischio di rafforzamento delle forze più radicali presenti nella regione. Per questo insiste nell'unica soluzione possibile, secondo Bruxelles: quella dei due Stati, entrambi con capitale Gerusalemme, "nel quadro di negoziati diretti, accompagnati da una cornice internazionale regionale".

11/12/2017

Il premier israeliano Benyamin Netanhyau porta lo scontro diplomatico sul Medio Oriente nella capitale europea, dopo il gelido faccia a faccia parigino con Emmanuel Macron.

"Anche se non abbiamo un accordo ancora, questo e' quanto credo accadra' in futuro: la maggior parte dei Paesi europei spostera' le proprie ambasciate a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele, e si impegnerà con forza, con noi, per sicurezza, pace e prosperita'". Cosi' Netanyahu ha provato a forzare la mano ai 28, aggiungendo che il riconoscimento di Gerusalemme quale capitale di Israele potrebbe "rendere la pace possibile". A stretto giro di posta, e dopo il vertice dei Ministri degli Esteri, è arrivata la replica dell'Alto Rappresentante Europeo Federica Mogherini, che non ha usato giri di parole: "il premier Netanyahu può tenere le sue aspettative per altri, perche' dai Paesi comunitari questo non avverra'". La Mogherini ha ammesso il ruolo cruciale degli Stati Uniti nel processo di pace mediorientale: "ma Washington non si faccia illusioni, la sua sola iniziativa non avrebbe successo, serve un quadro regionale e internazionale che accompagni l'avvio. Ciò attualmente appare molto lontano". Di qui l'unica soluzione possibile, secondo l'Europa: "il messaggio e' chiaro, serve una soluzione a due Stati - il processo di pace resta una priorità top", ha concluso la Mogherini. Che però non può contare sulla totale unità europea: l'Ungheria preme per una linea più filoisraeliana.

9/12/2017

Chiusi i termini del divorzio, si passa alla fase 2. La Brexit supera -con molti punti di domanda ancora aperti- il primo ostacolo, anche se formalmente occorre aspettare la prossima settimana, con il via libera dell'Europarlamento prima e -soprattutto- del Consiglio Europeo poi.

La strada è tutt'altro che in discesa: il via ai nuovi negoziati, quelli sulla partnership commerciale, è previsto all'inizio del prossimo anno, con l'obiettivo di chiuderli entro ottobre - cinque mesi prima dell'uscita ufficiale della Gran Bretagna dall'Unione Europea. "Questo documento potrebbe formare la base dell'accordo di uscita", sintetizza il caponegoziatore europeo Michel Barnier, sancendo l'intesa. Sul conto da pagare all'Europa, Downing Street ha confermato che la forchetta sarà tra i 40 e i 45 miliardi di euro. Sui cittadini, le tutele alla fine saranno garantite, con una copertura ulteriore per quelli comunitari residenti Oltremanica, protetti dalla legislazione della Corte del Lussemburgo almeno fino al 2027. E' sul confine nordirlandese, però, che la partita in corso tra Londra e Bruxelles sfocia nel secondo tempo - quello della futura partnership. Il testo di accordo approvato ieri accontenta sia Dublino sia Belfast, ma non risolve il complicato rebus di quale sarà lo status dell'Ulster nei rapporti commerciali con l'Unione Europea, posto che nessuno intende rialzare muri sull'Isola di Smeraldo. Per questo l'intesa raggiunta ieri è solo il primo tempo di una partita che durerà fino a ottobre. Un fallimento del secondo tempo potrebbe rimettere in gioco tutto.

8/12/2017

Al termine di cinque ore di infinite discussioni e di duelli dialettici tra fazioni opposte, la Spd ha votato -in una calma irreale- per avviare i colloqui con la Cdu, spianando così la strada alla riedizione della Grosse Koalition.

Il voto, per alzata di mano, ha restituito una maggioranza schiacciante a favore. Torna così sui binari il treno della politica tedesca, deragliato oltre due settimane fa, con il fallimento dei negoziati per una coalizione "Giamaica", con liberali e Verdi a bordo. E si torna all'antico, con il leader SpdMartin Schulz che -dopo aver digerito e fatto digerire un'inversione a U della linea politica post-elettorale- riesce pure a incassare un mandato di riconferma alla guida dello schieramento socialdemocratico, con l'81% dei voti. Non è il 100% ricevuto otto mesi fa, quando appariva l'uomo della provvidenza in grado di battere la Merkel, ma -dopo la serie di batoste elettorali a livello regionale e nazionale- si tratta di un risultato onorevole. Schulz, nel suo discorso ai delegati, ha vestito i panni del leader di sinistra, ha disegnato un orizzonte di fortissima integrazione comunitaria, con la nascita degli Stati Uniti d'Europa entro otto anni, e ha persino chiesto scusa per le sconfitte elettorali. Ora si apre un nuovo percorso negoziale, per prolungare la Grosse Koalition di altri quattro anni: trattative che si annunciano durissime, tra Spd, Cdu e Csu, e che dovrebbero partire già la prossima settimana.

7/12/2017

E' stata approvata a stragrande maggioranza dei delegati del congresso Spd, esattamente un quarto d'ora fa, la mozione per avviare i colloqui con la Cdu e la Csu in vista di una riedizione della Grosse Koalition.

Di questo si è discusso per l'intera giornata a Berlino, con interventi dei maggiori big del partito a favore di un avvio dei colloqui. Contrari soprattutto i giovani della Spd ma -come detto- la votazione finale ha fatto registrare un'ampia maggioranza a favore. Il leader Spd Schulz, che esce rafforzato dal voto di stasera, si era scusato oggi -aprendo i lavori- per la sconfitta elettorale, e aveva lanciato l'idea di arrivare agli Stati Uniti d'Europa entro il 2025.

5/12/2017

Dieci giorni per chiudere. Il rompicapo della Brexit entra nella fase finale del negoziato, per trovare l'intesa prima di Natale sul capitolo divorzio, e poi ripartire -il prossimo anno- con la definizione di un nuovo partenariato.

Tutto era pronto ieri a Bruxelles per il grande annuncio sulla prima intesa, alla presenza della premier britannica May. La stessa, che sul conto della separazione dall'Europa aveva sostanzialmente dovuto cedere alle richieste comunitarie. La sorpresa però era dietro l'angolo: a chiarire che qualcosa era andato storto ci ha pensato il presidente della Commissione Juncker: "purtroppo non e' possibile annunciare un accordo completo" sulla Brexit, ma saranno necessari "ulteriori negoziati e discussioni", ha detto. A stoppare tutti ci aveva pensato -poco prima- il partito unionista nordirlandese, che aveva fatto andare di traverso alla May il pranzo. La leader del Dup, Arlene Foster, aveva infatti chiuso all'ipotesi di uno status per l'Ulster diverso rispetto a quello della Gran Bretagna: l'ipotesi di mantenere -nei fatti -l'Irlanda nel Nord all'interno del mercato unico europeo, per evitare il ritorno di un muro tra Belfast e Dublino, non aveva affatto entusiasmato il partito che garantisce la sopravvivenza del Governo conservatore a Londra. Di qui lo stop, l'ennesimo, alle trattative, per risolvere l'ennesimo rebus, con l'impegno però a ripartire già domani. L'obiettivo è chiudere l'accordo entro la fine della settimana, per arrivare al vertice europeo di metà mese con le carte in regola. In caso contrario, la Brexit si trasformerebbe in un affare maledettamente complicato.

4/12/2017

"Purtroppo non e' possibile annunciare un accordo completo" sulla Brexit, ma saranno necessari "ulteriori negoziati e discussioni". Il presidente della Commissione Junckerchiude così una giornata vissuta sulle montagne russe di una diplomazia che ha fatto prima intravedere margini concreti per un accordo in tempi rapidi.

Poi ha smorzato le speranze nell'immediato, mantenendo però tono di ottimismo. Paradossalmente, non è stato tanto il conto del divorzio ad aver bloccato tutto - su questo capitolo i giochi erano quasi fatti, dopo le inevitabili concessioni di Londra, che ha aperto il portafoglio, raddoppiando la cifra: a frenare tutto sarebbe stata la questione nordirlandese. Gli unionisti di Belfast, sui cui cruciali voti si reggono le sorti del Governo May, hanno rifiutato l'intesa che avrebbe mantenuto l'Ulster -di fatto- all'interno del mercato unico europeo, tenendo aperta sì la frontiera con Dublino, ma creandone- paradossalmente- una con Londra. Senza contare che Scozia e Galles erano pronte ad invocare benefici simili, potenzialmente creando una coda infinita di problemi, a Downing Street. Juncker e May hanno citato due problemi ancora in piedi, quali ostacoli all'intesa: è evidente che la questione nordirlandese sia la principale. A questo punto inizia il countdown per chiudere l'accordo entro la fine della settimana, per arrivare al vertice europeo di metà mese con le carte in regola. In caso contrario, la Brexit si trasformerebbe in un affare maledettamente complicato.

2/12/2017

Web Tax, paradisi fiscali, tassazione delle multinazionali e dossier caldi in materia di concorrenza: la Commissaria Europea Margrete Vestager, intervenuta martedì scorso all'inaugurazione dell'anno accademico all'Università Bocconi di Milano, traccia scenari ad ampio raggio, in un contesto di grandi trasformazioni commerciali e tecnologiche, che impongono velocità di reazione anche alle politiche comunitarie.

La normativa italiana sulla web tax, attualmente in cantiere, è ritenuta interessante dalla Commissaria alla Concorrenza. Alla domanda, circa l'imminente approvazione di una black list europea sui paradisi fiscali, e sulla necessità di indagare -possibilmente- anche sui Paesi europei -quali Malta, Lussemburgo, Olanda e Irlanda- che hanno dimostrato una gestione quantomeno opaca in materia di protezione dell'evasione fiscale, come insegnano Panama e Paradise Papers, la Commissaria Vestager risponde che le ultime notizie sulla black list appaiono positive. La Commissaria Vestager si è augurata la rapida introduzione di una normativa, che preveda l'obbligo per le multinazionali di fornire informazioni pubbliche su quante tasse pagano in ciascun Paese, il 'country-by-country reporting'. "Negli ultimi tre anni abbiamo fatto molta strada", ha ricordato, "la cultura sta cambiando, nelle autorita' fiscali e nel business". Sul dossier Ilva, la Vestager ha parlato della volonta' di arrivare "in anticipo rispetto alla scadenza legale" a concludere l'esame dell'acquisizione da parte di AmInvest Co, la cordata con Marcegaglia guidata da ArcelorMittal. "Vogliamo analizzare se nelle procedure ci sono aspetti che danneggiano i clienti che acquistano materiale in acciaio in Europa", ha spiegato la Commissaria Europea.

29/11/2017

Tra 45 e 55 miliardi di euro: a tanto dovrebbe ammontare il conto finale della Brexit per Londra, secondo un'indiscrezione resa nota ieri sera dal quotidiano britannico The Daily Telegraph.

Una fonte coinvolta nelle trattative avrebbe rivelato che l'accordo sul denaro è ormai in vista. Anche se a caro prezzo per la Gran Bretagna, che ha dovuto più che raddoppiare la sua offerta iniziale, lasciata intravedere a fine settembre a Firenze. E c'è di più: secondo il quotidiano britannico, l'Unione Europea dovrebbe aiutare la traballante premier May ad oscurare -abbassandola, almeno per ora- la cifra reale da versare nelle casse di Bruxelles. Cifra che sarà resa definitivamente nota solo tra un anno e mezzo. Un'intesa sui soldi sgombrerebbe un grosso ostacolo dal campo negoziale, in vista dell'incontro di lunedì tra la stessa May e il presidente della CommissioneJuncker. A quel punto resterebbero sul tavolo i diritti dei cittadini comunitari residenti in Gran Bretagna -l'Europa vuole che continuino ad essere tutelati dalla Corte di Giustizia del Lussemburgo- e il confine nordirlandese. Dossier oggettivamente più malleabili: l'obiettivo è chiudere il capitolo divorzio in tempo per il Consiglio Europeo di metà dicembre, lasciando i successivi dieci mesi di trattative ai negoziati sul futuro accordo di partenariato tra i due blocchi. Alle indiscrezioni del Daily Telegraph Bruxelles ha reagito con un secco "no comment".

25/11/2017

Novembre ha portato una grande novità nella politica tedesca. Ed europea. Anche la Germania -abbiamo scoperto- può soffrire di instabilità politica. Una prima assoluta, in questa Europa 2.0 nata sulle macerie del Muro di Berlino. In questa Europa, che -negli anni della crisi- aveva visto, volente o nolente, proprio nella Germania l'unica àncorapossibile di stabilità politica.

Il botto è stato tale, che martedì la Commissione Europea ha dovuto rassicurare tutti: "il presidente Juncker segue da vicino la situazione politica nella formazione del Governo. L'Europa non andrà in pausa, e continuerà a portare avanti le sue proposte", ha dichiarato il portavoce Schinas. Fate molta attenzione a quest'ultima precisazione, tra l'altro completamente spontanea: l'avreste mai ascoltata, nel caso di una crisi politica post-elettorale in Polonia? O, per venire ai membri storici del club, in caso di uno stallo italiano? Nel nostro caso specifico, una crisi con vista su possibili nuove elezioni avrebbe scatenato commenti ufficiali in merito ai rischi per la stabilità dell'euro. Sicuramente non sulla capacità europea di decidere, o proseguire sulla strada delle riforme. La vicenda tedesca, al di là degli esiti, ci insegna due cose: l'Europa è, a tutti gli effetti- Germania-dipendente. La cancelliera Merkel, sia per il peso specifico del suo Paese, sia per la sua appartenenza alla famiglia politica dominante, sia infine per la sua longeva carriera nell'arena comunitaria, è nei fatti la leader d'Europa, ruolo che ha sempre esercitato con discrezione. Ma non per questo in modo poco incisivo. Anzi. La sua prima vera caduta, però, obbliga l'Unione Europea a fare un salto di qualità: la Germania non può restare l'unica pietra miliare di un'architettura politica ancora incompleta. Così tutti gli occhi, nei giorni scorsi, si sono spostati su Parigi: è arrivato il turno di Emmanuel Macron, quale nuovo ispiratore del progetto europeo? Macron è giovane, dinamico, e ha vinto un'elezione puntando proprio sull'Europa. Per il futuro dell'Unione ha già pronto un piano di idee e di riforme, rimasto per ora lettera semi-morta, a causa proprio delle incertezze tedesche. In un'Europa che necessita tremendamente di una ripartenza, lui potrebbe avere il profilo giusto per prenderne le redini.

24/11/2017

Nella crisi politica tedesca, stavolta tocca alla Spd finire nello psicodramma. Le pressioni sui socialdemocratici, affinchè rendano governabile la Germania senza tornare alle urne, si sono fatte ieri enormi.

La giornata è stata segnata dall'incontro tra il presidente tedesco Steinmeier -lui stesso socialdemocratico- e il leader Spd Schulz. Un colloquio durato poco più di un'ora, al termine del quale le bocche sono rimaste cucite. Molto meno cucite lo devono essere state poco più tardi, quando lo stato maggiore dei socialdemocratici si è riunito a Berlino per decidere il da farsi. Schulz, finora sostenitore del passaggio all'opposizione senza se e senza ma, dopo il pessimo risultato elettorale, avrebbe minacciato le dimissioni in caso di cambio della linea politica, secondo quanto riporta la Bild Zeitung. Il partito avrebbe infatti aperto -dopo giorni di mal di pancia- ad una riedizione della Grosse Koalition con la Cdu di Angela Merkel - o quantomeno ad un'ipotesi di sostegno esterno ad un esecutivo di minoranza. Oggi la Spddovrebbe finalmente chiarire la propria linea, che avrà inevitabili ricadute sul panorama politico tedesco. Altri mal di pancia ci sono nel partito gemello bavarese della Cdu - laCsu. Qui il leader dello schieramento -nonchè Governatore della Baviera- Seehofer sta giocando una partita disperata, per non cedere una delle due cariche al rivale interno Markus Soeder.

23/11/2017

70 minuti di discussione, che tengono il mondo politico tedesco col fiato sospeso: il faccia a faccia tra il presidente tedesco Steinmeier e il leader Spd Schulz non ha fornito indicazioni immediate sulla posizione che i socialdemocratici prenderanno in merito al prossimo Governo.

Schulz dovrà prendere una decisione a breve con la leadership Spd: presto capiremo, dunque, se la Germania potrà contare su un esecutivo stabile, figlio di una riedizione della Grosse Koalition, oppure di minoranza - ma con un appoggio esterno della stessa Spd. Negli ultimi giorni l'ex-presidente dell'Europarlamento è stato messo sotto pressione da numerosi colleghi di partito, sempre meno rigidi di fronte all'ipotesi di un rientro nell'esecutivo. Un "no" dei socialdemocratici ad un nuovo Governo Merkel spianerebbe invece la strada ad elezioni anticipate in primavera, anche seSteinmeier ha fatto intendere che proverà tutte le strade possibili, prima di ricorrere a questa soluzione estrema. Più defilata, ma non meno importante per il quadro politico generale, si sta giocando un'altra partita, tutta interna al partito gemello bavarese della Cdu - la Csu. Il suo leader Seehofer, dopo gli ultimi disastrosi risultati elettorali, starebbe per cedere il timone della Baviera al Ministro regionale delle Finanze Soeder. Seehofer resterebbe leader della Csu, in vista delle elezioni bavaresi del 2018.

22/11/2017

Sotto monitoraggio, insieme ad altri 11 Paesi, per squilibri eccessivi. Poche sorprese, nella pagella europea sui nostri conti pubblici, resa nota dalla Commissione: l'Italia resta a rischio inadempienza sugli obiettivi di bilancio, e vedrà una nuova valutazione del proprio debito in primavera. Nessuna procedura di infrazione per debito eccessivo, insomma - almeno per ora.

Anche se maggio resta un'ipotesi altamente possibile: in quei mesi i conti, Bruxelles, li farà direttamente col prossimo Governo. Per la Commissione, "il persistere del debito elevato e' motivo di preoccupazione". Ma sono tanti gli avvertimenti espliciti che Bruxelles ha messo nero su bianco, in una missiva inviata a Roma, in primis sulla manovra - "e' cruciale" che l'Italia adotti la manovra 2108 "senza annacquare le sue disposizioni principali", e che venga attuata "in modo rigido, per centrare uno sforzo strutturale di 0,3% del Pil", ha esplicitato il vicepresidente della Commissione Dombrovskis. Dombrovskis elenca altre sfide per il nostro Paese: crescita dellaproduttivita', livelli di debito pubblico e privato ancora alti, elevato livello di Npl nel settore bancario, e -infine- sfide nel mercato del lavoro". Dal Ministero dell'Economia rispondono: i l Governo e' fiducioso che attraverso il dialogo costruttivo con la Commissione potranno essere chiariti i diversi punti di vista, senza la necessita' di ricorrere ad ulteriori interventi".

22/11/2017

Sotto monitoraggio, insieme ad altri 11 Paesi, per squilibri eccessivi. Poche sorprese, nella pagella europea sui nostri conti pubblici, resa nota a ora di pranzo dalla Commissione: l'Italia resta a rischio inadempienza sugli obiettivi di bilancio, e vedrà una nuova valutazione del proprio debito in primavera. Nessuna procedura di infrazione per debito eccessivo, insomma - almeno per ora.

Anche se maggio resta un'ipotesi altamente possibile: in quei mesi i conti, Bruxelles, li farà direttamente col prossimo Governo. Per la Commissione, "il persistere del debito elevato e' motivo di preoccupazione". Ma sono tanti gli avvertimenti espliciti che Bruxelles ha messo nero su bianco, in una missiva inviata a Roma: in primis sulla manovra - "e' cruciale" che l'Italia adotti la manovra 2108 "senza annacquare le sue disposizioni principali", e che venga attuata "in modo rigido, per centrare uno sforzo strutturale di 0,3% del Pil", ha esplicitato il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis. La lettera prosegue: "restiamo dell'opinione che serva un aggiustamento fiscale di almeno 0,3 punti l'anno prossimo. E' lo stesso pianificato dall'Italia, ma attualmente non lo vediamo ancora interamente presente", ha insistito Dombrovskis, che elenca altre sfide per il nostro Paese: crescita della produttivita', livelli di debito pubblico e privato ancora alti, elevato livello di Nplnel settore bancario, e -infine- sfide nel mercato del lavoro quali la disoccupazione, specialmente quella giovanile".

22/11/2017

Esami di riparazione a maggio, con nota di richiamo. La Commissione Europea è sul punto di perdere la pazienza con l'Italia, in tema conti pubblici. Non ci sarà -salvo sorprese clamorose- una bocciatura, nelle pagelle economiche che Bruxelles diramerà oggi. Ma piuttosto un rinvio alla fine della primavera, ad elezioni politiche già in archivio e con un nuovo Governo -almeno si spera- nel pieno esercizio delle sue funzioni.

Nessuna proposta di procedura di infrazione sul debito, ma una messa in guardia decisa sul rischio di deviazioni significative dal percorso di risanamento dei conti. Sotto la lente di ingrandimento comunitaria il deficit strutturale, che potrebbe richiedere una manovra correttiva. "L'economia italiana migliora, ma resta ancora sotto la media europea", afferma il vicepresidente della Commissione Dombrovskis, considerato uno dei falchi più rigidi sull'Italia a Bruxelles. Dombrovskis passa in esame i nostri indicatori, vedendo sempre il bicchiere mezzo vuoto: "la disoccupazione scende, ma resta sopra la media, il debito è fonte di vulnerabilità - è importante mettere il debito pubblico su un sentiero di discesa", chiosa Dombrovskis, che guarda ai rischi di un futuro addio al QuantitativeEasing della Bce. E include anche la nostra produttività tra i problemi strutturali. Più possibilista la titolare della Concorrenza Vestager: "il ministro dell'economia Padoan sta facendo un grosso sforzo per informarci sul quadro generale: con le autorita' italiane c'e' un "rapporto di lavoro molto serio e costruttivo".

21/11/2017

Al via da oggi le consultazioni del presidente tedesco Steinmeier, che ha visto nel primo pomeriggio la delegazione dei Verdi, e in queste ore sta incontrando i vertici del partito che ha innescato questa inedita crisi politica in Germania.

I liberali della Fdp. "Una missione impossibile", l'hanno ribattezzata i media tedeschi, quella di Steinmeier, che attraverso le consultazioni dovrà evitare un esito che in molti già prevedono inevitabile: la convocazione di elezioni anticipate il prossimo anno, forse intorno a Pasqua. La delegazione dei Verdi, con i co-presidenti Peter e Oezdemir, ha incontrato Steinmeier nel primo pomeriggio, in un faccia a faccia durato meno di un'ora. A metà pomeriggio il presidente tedesco ha visto il leader Fdp Lindner, che in un'intervista televisiva aveva già chiuso le porte a possibili ripensamenti. "Dopo 50 giorni di trattative avevamo ancora 237 conflitti aperti. L'intero testo di compromesso sul programma, aveva profonde venature del partito dei Verdi", ha dichiarato. Se, come prevedibile, il sondaggio coi liberali dovesse confermare il loro "no" a tornare al tavolo, l'altra data cruciale da segnare sul calendario sarà quella di giovedì mattina. Nel palazzo presidenziale farà il suo ingresso il leader Spd Schulz. Difficile che faccia marcia indietro sull''ipotesi di Grosse Koalition. Tuttavia, mai dire mai. In mattinata il presidente del Bundestag Schaeuble aveva esortato i partiti ad assumersi le proprie responsabilità: "l'Europa ha bisogno di una Germania capace di agire. Il compito e' difficile ma si puo' affrontare".

19/11/2017

Sarà il weekend cruciale? A quasi due mesi dalle elezioni, i negoziati per la formazione del nuovo Governo tedesco si trascinano in un clima insolitamente caotico, per la fin qui stabile politica berlinese.

Oggi alle 18 dovrebbe scadere il termine imposto dal leader liberale Lindner, per chiudere il programma di Governo. Condizionale d'obbligo, in quanto -in serata- il leader della Csu bavarese Seehofer lo ha messo in discussione. Con il passare delle settimane sono emerse via via le differenze di vedute tra i conservatori di Angela Merkel e il liberali della Fdp da una parte. E i Verdi dall'altra. Senza contare la variabile impazzita dei bavaresi della Csu, ai minimi storici a Monaco e più che mai determinati a non cedere su temi sensibili - su tutti immigrazione e asilo. Proprio la questione rifugiati, insieme alle politiche ambientali, restano i nodi al momento più duri da sciogliere - i Verdi ieri hanno denunciato passi indietro sul dossier climatico. Mentre su economia e agricoltura si sarebbero invece registrati passi in avanti. Si profila quindi una nuova giornata col fiato sospeso, in attesa di sapere se il nuovo Governo "Jamaica" vedrà la luce. Oppure se si andrà ad una clamorosa rottura, con tre soli esiti possibili: ricerca di una nuova maggioranza, esecutivo di minoranza. O nuove elezioni.

18/11/2017

Forte imbarazzo a Madrid, per un episodio che riaccende la polemica con Barcellona - questa volta in materia di terrorismo.

La rivelazione è clamorosa: Abdelbaki Es Satty, l'imam sospettato di essere stato la mente degli attentati di agosto in Catalunya, era stato in contatto con i servizi segreti spagnoli. Con ogni probabilità, ne era stato informatore. L'avvicinamento sarebbe avvenuto nel carcere di Castellon, dove Es Satty, morto nell'esplosione che ha preceduto gli attentati, stava scontando quattro anni per spaccio di stupefacenti. Il fatto che avesse dichiarato di essere entrato nel giro su pressioni di un gruppo jihadista aveva allertato i servizi iberici. Che hanno confermato il contatto. Senza specificare altro. "Questa rivelazione conferma i nostri sospetti, è un fatto molto grave", ha commentato dal Belgio il presidente catalano deposto Puidgemont, che ieri ha visto rinviare al 4 dicembre la decisione della giustizia belga sull'estradizione -sua e di quattro Ministri- in Spagna. Tra appelli e ricorsi, un'eventuale consegna dei cinque politici catalani a Madrid potrebbe avvenire non prima di febbraio, ad elezioni autonomiche ampiamente avvenute. Ieri intanto nuovo scontro tra Barcellona e Madrid: la segretaria generale di Esquerra Republicana, Rovira, ha dichiarato che -dopo il referendum del primo ottobre- fonti del Governo spagnolo avevano fatto pervenire all'esecutivo catalano minacce di violenza estrema, con scenari di morti nelle strade e uso di armi da fuoco, in caso di aumento della tensione. Madrid ha smentito.

17/11/2017

Maggiore protezione per i lavoratori europei: i leader comunitari, riuniti a Goteborg, varano l'intesa sul pilastro dei diritti sociali, che ha l'obiettivo di sostenere i mercati del lavoro e i sistemi di welfare, attraverso pari opportunità di accesso all'impiego, mercati dinamici e protezione sociale.

Impegni lodevoli, considerata l'onda montante dell'euroscetticismo, conseguenza della crisi e di una globalizzazione mal gestita, ma tutti da verificare alla prova dei fatti: si tratta infatti di settori, questi, dove le politiche restano dominio dei Governi nazionali. Soddisfatto il premier Gentiloni, secondo cui "senza crescita economica, investimenti per la creazione di posti del lavoro, non ci sara'mai una reale equita' nei posti di lavoro". "Sono ottimista per la ripresa: la crescita in Italia e' molto significativa, con previsioni per quest'anno che sono il doppio rispetto a qualche mese fa. Va incrementata e accudita", ha aggiunto il premier, con un occhio alle critiche di Bruxelles sul budget italiano: "il nostro bilancio accompagna questa crescita e rispetta le regole europee. Mi aspetto dall'Unione il riconoscimento di questi sforzi". Nel vertice di Goteborg ha fatto capolino anche la crisi Brexit: "Per raggiungere un accordo sulla prima fase dei negoziati con il Regno Unito c'e' ancora del lavoro da fare", ha detto il presidente della Commissione Europea Juncker.

17/11/2017

Prima udienza -oggi- di fronte alla giustizia belga, per il presidente catalano deposto Carles Puidgemont e gli altri quattro Ministri riparati con lui a Bruxelles.

La Procura belga nelle ultime ore ha chiesto ulteriori chiarimenti alla giustizia spagnola, in merito al tipo di celle che verrebbero riservate ai cinque politici catalani, qualora Bruxelles accettasse l'estradizione. Il tutto mentre lo stesso Puidgemont, in un'intervista, ha chiesto al premier spagnolo Rajoy e alle autorità europee di aprire una nuova tappa di dialogo e negoziato con la Catalunya, qualora alle elezioni del 21 dicembre vincessero le forze indipendentiste. Puidgemont, che si presenterà con una propria lista, si è detto certo della vittoria: il suo numero due sarà Jordi Sanchez, storico attivista indipendentista dell'Assemblea Nazionale Catalana, detenuto da un mese nella carcere di Soto del Real. Sanchez si è dimesso dall'Assemblea, per candidarsi. I primi due nomi della lista indipendentista saranno dunque o autoesiliati o in carcere: una prima assoluta per le elezioni catalane, a testimonianza della situazione eccezionale. Intanto il Partito Socialista spagnolo ha chiesto alla vicepremier Saenz de Santamaria, di intervenire in Parlamento, per spiegare i dettagli della presunta ingerenza straniera, in particolare russa, nella crisi catalana.

16/11/2017

La Francia antimacroniana in piazza a Parigi e in quasi altre 200 città, per manifestare contro la politica "liberale" dell'Eliseo. Manifestazioni e scioperi hanno caratterizzato il pomeriggio in tutto il Paese, convocati dal principale sindacato transalpino, la CGT - "non è un ultimo fuoco di paglia", ha assicurato il segretario generale, Philippe Martinez.

Con le organizzazioni sindacali, anche il movimento politico La France Insoumise, di Melenchon. Obiettivo delle proteste, i principali dossier della nuova era macroniana, liberale ed orientata a profonde riforme, in materia di mercato del lavoro, pensioni, sussidi sociali contro la disoccupazione, aumento dell'imposta per il welfare, e tagli nel settore pubblico. In piazza anche i collettivi studenteschi, in protesta contro il progetto di legge che mira a ridefinire l'accesso alle università. Le manifestazioni non hanno potuto contare su numeri massicci: a Parigi sono stati stimati dalla Prefettura circa ottomila manifestanti - un terzo, rispetto a quelli scesi in piazza a settembre. Nella capitale qualche momento di tensione, quando le frange più estreme hanno rotto le vetrine di banche e agenzie immobiliari. Tra le altre città dove si è svolta la protesta, anche Lione, Nantes, Marsiglia, Strasburgo e Grenoble.

15/11/2017

La crisi migranti rende tesi i rapporti tra Onu e Unione Europea, mentre dettagli sempre più imbarazzanti emergono sulle condizioni di detenzione dei migranti nei campi libici.

La politica europea nell'assistenza alle autorita' libiche per intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle "terrificanti" prigioni in Libia "e' disumana". Questa la durissima denuncia dell'Alto commissario Onu per i diritti umani Al Hussein. Hussein va nel dettaglio: gli osservatori Onu "sono rimasti scioccati da cio' che hanno visto - migliaia di uomini denutriti e traumatizzati, donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza la possibilita' di accedere ai servizi piu' basilari". E ha accusato l'Unione Europea e i suoi Paesi membri di non aver fatto nulla per ridurre gli abusi perpetrati sui migranti. Nel giro di poche ore la replica comunitaria, che risponde solo in parte alle accuse - l'Europa lavora in Libia "in piena cooperazione" con l'Onu, dice un portavoce della Commissione, che lancia un monito alle autorità libiche: "i campi di detenzione devono essere chiusi" perche' "la situazione e' inaccettabile". Più duro il presidente dell'Europarlamento Tajani "quanto abbiamo visto accadere in Libia per i rifugiati e per i profughi e' assolutamente inaccettabile", afferma. A confermare il degenerare della situazione un'esclusiva della rete televisiva Cnn, secondo cui in Libia si tengono vere e proprie aste di esseri umani, come all'epoca della tratta degli schiavi. In un video si vede un trafficante vendere un uomo per circa 800 dollari. L'emittente all news ha potuto verificare la pratica con un reportage sul campo.

14/11/2017

L'accusa dell'Onu - la risposta dell'Unione Europea. La politica comunitaria nell'assistenza alle autorita' libiche per intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle "terrificanti" prigioni in Libia "e' disumana".

Questa la durissima denuncia dell'Alto commissario Onu per i diritti umani Zeid Raad Al Hussein. al Hussein va nel dettaglio: gli osservatori Onu "sono rimasti scioccati da cio' che hanno visto - migliaia di uomini denutriti e traumatizzati, donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza la possibilita' di accedere ai servizi piu' basilari". E ha accusato l'Unione Europea e i suoi Paesi membri di non aver fatto nulla per ridurre gli abusi perpetrati sui migranti. Nel giro di poche ore la replica comunitaria - l'Europa lavora in Libia "in piena cooperazione" con l'Onu, dice un portavoce della Commissione, che si limita a lanciare un monito alle autorità libiche: "i campi di detenzione devono essere chiusi" perche' "la situazione e' inaccettabile". Più duro il presidente dell'EuroparlamentoTajani "quanto abbiamo visto accadere in Libia per i rifugiati e per i profughi e' assolutamente inaccettabile. A breve sara' presa la decisione ufficiale, affinché una delegazione del Parlamento si rechi in Libia per verificare la situazione". A confermare il degenerare della situazione un'esclusiva della rete televisiva Cnn, secondo cui in Libia si tengono vere e proprie aste di esseri umani, come all'epoca della tratta degli schiavi. In un video si vede un trafficante vendere un uomo per circa 800 dollari. L'emittente all news ha potuto verificare la pratica con un reportage sul campo.

11/11/2017

I Paradise Papers tornano a movimentare le acque della politica europea, nella settimana di Eurogruppo ed Ecofin. La Commissione Europea è tornata a chiedere ai Paesi membri un'intesa relativa ad una black list comunitaria sui paradisi fiscali.

Il Commissario all'Economia Moscovici ha chiesto una lista "credibile". "Le ultime rivelazioni dimostrano che alcune aziende e individui sono pronti a tutto, pur di evadere le tasse", ha detto Moscovici, che esige passi avanti. Il problema è che, seppur nessun Paese comunitario figuri all'interno della lista nera in preparazione, sono diverse le giurisdizioni coinvolte. Solo per fare un esempio, le Bermuda e le Cayman sono territori britannici d'Oltremare - anche per questo Londra, pur in uscita dall'Unione, è notoriamente restìa a stilare la black list. Sul tema ha preso posizione il Ministro dell'Economia Padoan: l'Italia, come altri Paesi, sta traendo vantaggio dal nuovo clima internazionale che si è creato contro l'elusione e l'evasione fiscale, dopo le denunce del giornalismo investigativo, ha detto. "Non esiste più la possibilità di non trasmettere informazioni, e c'è anzi massima cooperazione sullo scambio di dati". Il Ministro dell'Economia ha però riconosciuto che alcuni Governi "sono tolleranti nei confronti di una gestione un poco allegra delle questioni fiscali". E ha precisato: "è una questione che ha a che vedere con quei Paesi, su cui la pressione internazionale può fare molto". La nazione probabilmente più in imbarazzo nell'Unione Europea è Malta, isola nel bel mezzo del Mediterraneo, la cui credibilità è già stata pesantemente minata dall'uccisione della giornalista Daphne Caruana Galizia, autrice di inchieste scottanti sui flussi finanziari sospetti passati da La Valletta. Il Ministro maltese delle Finanze, Edward Scicluna, ha dovuto difendere a Bruxelles la reputazione dell'isola: "non abbiamo nulla da nascondere, tutti i nomi legati ai Paradise Papers erano elencati in un registro pubblico", ha dettoScicluna, secondo cui molte delle leggi antievasione devono ancora venire completamente implementate. Il momento della verità europeo sarà a dicembre, quando si dovrebbe procedere con la black-list.

9/11/2017

Giornata di interrogatori a Madrid per l'ufficio di presidenza del Parlamento catalano, che ha modificato radicalmente la strategia difensiva, rispetto a quella dei Ministri incarcerati la settimana scorsa.

Anche il tribunale è diverso - si tratta infatti del Supremo, non dell'Audiencia Nacional: la linea fin qui seguita dalla presidente del Parlament Forcadell e dagli altri imputati, che rischiano tutti la carcerazione preventiva per ribellione e sedizione, è stata quella di rispondere alle domande del magistrato. La Forcadellha specificato di rispettare l'implementazione dell'articolo 155, che ha di fatto commissariato la Catalunya, e ha sottolineato come la dichiarazione di indipendenza catalana di fine ottobre sia stata un atto meramente simbolico, senza alcuna ricaduta giuridica. Il tutto mentre la giudice dell'Audiencia Lamela ha respinto la richiesta di rimessa in libertà, avanzata dai Ministri catalani, detenuti da una settimana. La crisi coinvolge necessariamente anche l'area economica: nelle previsioni autunnali, la Commissione Europea ha evidenziato come le reazioni dei mercati ai recenti eventi siano rimaste contenute. Tuttavia, sottolinea Bruxelles, "esiste il rischio che futuri sviluppi possano avere un impatto sulla crescita" della Spagna. Il Commissario all'Economia Moscovici ha sottolineato che finora "l'impatto macroeconomico" della crisi "è stato molto limitato, per non dire insignificante", per quanto riguarda l'area Euro.

8/11/2017

Catalunya semiparalizzata da uno sciopero di protesta contro le detenzioni dei politici e degli attivisti indipendentisti. Strade, autostrade, treni regionali e ad alta velocità hanno subito cancellazioni e ritardi a causa di cortei e manifestazioni che hanno mandato in tilt la circolazione, in mattinata.

Chiuse le università, bloccata la frontiera con la Francia. Metropolitane, trasporti pubblici e aeroporto hanno funzionato quasi regolarmente. L'apice si è raggiunto a mezzogiorno, quando migliaia di persone si sono concentrate nella centralissima Plaça San Jaume, per difendere la Repubblica catalana e chiedere la liberazione di tutti coloro che vengono definiti "prigionieri politici". Un antipasto della manifestazione di massa indipendentista, in calendario sabato a Barcellona. La leadership catalana deposta ha lanciato la sua sfida giuridica a Madrid: il presidente Puigdemont e la presidente del Parlament, Forcadell, hanno presentato un ricorso alla Corte europea dei diritti umani contro Madrid. Sul fronte politico, in vista delle elezioni di metà dicembre, i partiti indipendentisti non sono riusciti a concretizzare una lista unitaria repubblicana e per la democrazia: correranno quindi separatamente, con Esquerra Republicana, schieramento del vicepresidente Junqueras, attualmente detenuto, destinata a divenire primo partito, con quasi un terzo dei voti. Il Tribunale Costituzionale iberico ha infine annullato, come atteso, la dichiarazione di indipendenza votata a fine ottobre dal Parlamento catalano.

8/11/2017

Catalunya paralizzata questa mattina, su strade, autostrade, treni regionali e ad alta velocità, oltre che nelle università, per uno sciopero di protesta contro le detenzioni dei dieci politici e attivisti indipendentisti.

I manifestanti hanno invaso le principali vie di circolazione e binari ferroviari, paralizzando buona parte della mobilità su ben 70 strade e autostrade: solo nel corso della mattinata i Mossos d'Esquadra hanno tolto alcuni dei blocchi, riaprendo -in parte o del tutto- le vie di comunicazione. Gli atenei oggi sono chiusi, mentre metropolitane, trasporti pubblici e aeroporto funzionano quasi regolarmente. Il tutto, mentre il premier belga Michel -dopo le dichiarazioni pro-catalane di numerosi esponenti fiamminghi, è dovuto correre ai ripari: "Carles Puigdemont e' un cittadino europeo che deve rispondere delle proprie azioni, con i suoi diritti e doveri, senza privilegi", ha detto Michel, riferendo in parlamento sulla situazione catalana e i suoi riflessi sul Belgio. "C'e' una crisi politica in Spagna, non in Belgio", ha detto Michel. Tornando a Barcellona, migliaia di persone si sono riunite a mezzogiorno in Plaça San Jaume, davanti alla Generalitat, per chiedere la liberazioni di quelli che definiscono "prigionieri politici".

8/11/2017

Sciopero generale annunciato oggi in Catalunya, prima tappa della Settimana della Libertà, decretata dalle principali organizzazioni civiche indipendentiste, che culminerà con la grande manifestazione di piazza di sabato - una sorta di replica della Diada di settembre, con centinaia di migliaia di persone attese per manifestare a favore della liberazione dei dieci detenuti nelle carceri di Madrid.

Ieri quasi duecento sindaci catalani sono volati a Bruxelles, per portare la crisi nel cuore delle istituzioni europee. Prima hanno manifestato di fronte alle istituzioni comunitarie, cantando l'inno, poi -in serata- hanno presenziato ad un evento al quale ha partecipato anche il presidente della Generalitat deposto Puidgemont. Dall'Europa ancora porte chiuse: "non credo che il Governo spagnolo violi lo stato di diritto", ha detto il presidente della Commissione Juncker. Il messaggio generale è stato portato dalla presidentessa dei Municipi Indipendentisti, Neus Lloveras: "Europa, aiutaci, per favore, non girarti dall'altra parte". Da parte sua,Puigdemont ha accusato la monarchia iberica di reprimere la libertà, e si è detto preparato a finire nelle carceri spagnole, se il Belgio concederà l'estradizione. Intanto, nei sondaggi politici spagnoli, la crisi catalana non premia il PP del premier Rajoy, che perde cinque punti nelle intenzioni di voto. In forte ascesa Ciudadanos, giù Podemos.

6/11/2017

Libertà provvisoria, con misure cautelari: dopo tre ore di interrogatorio, è stata resa nota -poco prima di mezzanotte- l'attesa decisione del giudice istruttore belga sulla richiesta di estradizione contro il presidente deposto della Generalitat catalana Puigdemont e i quattro Ministri riparati con lui a Bruxelles.

Non rimarranno dunque in stato di fermo i politici indipendentisti catalani, ma avranno l'obbligo di restare in Belgio fino a quando non si sarà chiusa la procedura del mandato di arresto europeo. In più, avranno l'obbligo di presentarsi in tribunale a discrezione del giudice. I politici catalani si erano consegnati spontaneamente -poco dopo le 9 di ieri- in un commissariato di polizia. Solo nel tardo pomeriggio l'inizio dell'interrogatorio: i cinque hanno optato per la lingua olandese, come lingua procedurale. La giornata è stata segnata anche dai primi attacchi contro l'operato delle autorità spagnole, da parte di esponenti politici europei. Duro il Ministro dell'Interno belga Jambon, che ha accusato il Governo Rajoy di essere andato ben oltre le proprie prerogative, e ha chiesto alla comunità internazionale di vigilare sulle azioni di Madrid. Jambon ha criticato il silenzio europeo sulla crisi catalana. Più duro l'ex premier socialista Di Rupo, che ha definito il premier iberico Rajoy un "franchista autoritario". Anche ieri manifestazioni di protesta si sono ripetute in tutta la Catalunya: mercoledì è in programma uno sciopero generale catalano, sabato si terrà una protesta di massa - centinaia di migliaia di persone sono attese a Barcellona, per chiedere la liberazione dei dieci detenuti indipendentisti.

5/11/2017

Vicenda giudiziaria e spettro di una crisi diplmatica tra Belgio e Spagna si sono accavallati nell'ennesima giornata convulsa di una crisi catalana che domina l'attualità europea. In serata il giudice istruttore belga ha avviato l'interrogatorio del presidente catalano deposto Puidgemont e dei quattro Ministri riparati con lui a Bruxelles.

I cinque si erano consegnati poco dopo le 9 del mattino in commissariato, sulla base di accordi presi precedentemente. Il giudice istruttore avrà tempo fino a domani mattina per decidere il da farsi: se respingere la richiesta di arresto internazionale giunta da Madrid, se accettarla e mantenere in carcere i cinque politici catalani, oppure se accettarla ma rimetterli in libertà provvisoria. La vicenda giudiziaria sta aprendo una crisi diplomatica: non solo l'ex-premier socialista belga Di Rupo ha definito il premier iberico Rajoy un "franchista autoritario". Ma lo stesso Ministro dell'Interno belga Jambon ha chiesto alla comunita'internazionale di "monitorare attentamente" il comportamento della Spagna nei confronti dei politici separatisti. "Mi chiedo come possa uno Stato membro europeo arrivare fino a questo punto", ha denunciato Jambon. A Barcellona, il partito centrista PDeCAT ha proposto Puidgemont quale capolista dello schieramento indipendentista unitario che dovrebbe presentarsi alle elezioni del 21 dicembre.

5/11/2017

Un'altra giornata di forte tensione, quella odierna, sul fronte della crisi catalana. Come annunciato ieri, il presidente deposto della Generalitat Puidgemont e i quattro Ministri riparati con lui in Belgio si sono consegnati poco dopo le 9 di questa mattina alla polizia federale.

In queste ore vengono interrogati da un giudice istruttore, che avrà tempo fino a domani mattina per decidere cosa fare: se respingere la richiesta di arresto internazionale giunta da Madrid, se accettarla e mantenere in carcere i cinque politici catalani, oppure se accettarla ma rimetterli in libertà provvisoria. La vicenda giudiziaria sta aprendo una crisi diplomatica sull'asse Bruxelles-Madrid: non solo l'ex-premier socialista Di Rupo ha definito il premier iberico Rajoy un "franchista autoritario". Ma il Ministro dell'Interno belga Jambon ha chiesto alla comunita' internazionale di "monitorare attentamente" il comportamento della Spagna nei confronti dei politici separatisti catalani. "Mi chiedo come possa uno Stato membro europeo arrivare a questo punto", ha dichiarato Jambon. A Barcellona, il partito centrista PDeCAT ha proposto Puidgemont quale capolista dello schieramento indipendentista unitario che dovrebbe presentarsi alle elezioni del 21 dicembre. E anche oggi migliaia di catalani sono scesi nelle piazze e nelle strade della comunità, manifestando per la libertà dei dieci detenuti nelle carceri spagnole.

5/11/2017

A soli due giorni dalla chiusura dei termini per presentare le coalizioni, la battaglia elettorale per le elezioni autonomiche catalane entra nel vivo. Sullo sfondo, la protesta e l'indignazione popolare per i dieci indipendentisti ancora in carcere.

Gli ultimi sondaggi disegnano un quadro a rischio ingovernabilità del prossimo Parlament: secondo il giornale La Vanguardia, il primo partito -con quasi il 30%- sarebbe Esquerra Republicana, schieramento dichiaratamente indipendentista. In tandem con il PDeCat del presidente deposto Puidgemont e gli antisistema della CUP rischierebbe però di non replicare la maggioranza assoluta dei seggi. In crescita gli unionisti di Ciudadanos, mentre la partecipazione al voto supererebbe l'80%. Il tutto mentre Puidgemont lancia dal Belgio l'appello a tutti i partiti indipendentisti, affinchè si uniscano in un'unica lista democratica. Proposta fatta propria dal PDeCat, mentre Esquerra Republicana temporeggia, ponendo due condizioni: un peso specifico maggiore nella coalizione, e un allargamento a tutte le forze indipendentiste o sostenitrici del diritto a decidere. Sul fronte giudiziario, Puidgemont promette piena collaborazione con la giustizia belga: la procura ha ricevuto il mandato di arresto, il giudice sarà nominato oggi o domani. I tempi di una possibile estradizione, se ci sarà, potrebbero arrivare a tre mesi. Ieri sono proseguite le manifestazioni di protesta: oltre 30mila persone in piazza a Bilbao, in solidarietà con il popolo catalano.

4/11/2017

Catalunya in piena campagna elettorale, quando mancano pochi giorni alla fatidica data di martedì, quando andranno presentate le candidature di coalizione.

Dal Belgio il presidente deposto della Generalitat Puidgemont lancia l'appello a tutti i partiti indipendentisti, affinchè si uniscano in un'unica lista democratica. Proposta fatta propria dal partito di Puidgemont, il PDeCat, mentre Esquerra Republicana, schieramento del vicepresidente Junqueras, attualmente in carcere, temporeggia, ponendo due condizioni: un peso specifico maggiore nella coalizione, forte dei sondaggi che la vedono primo partito, e un allargamento a tutte le forze indipendentiste o sostenitrici del diritto a decidere. Ancora incerta sulla partecipazione al voto la Cup, antisistema e sostenitrice convinta della secessione, mentre l'opposizione unionista va in ordine sparso, dopo che i socialisti catalani sono entrati in crisi, a causa dell'ondata di arresti. Sul fronte giudiziario, Puidgemont promette piena collaborazione con la giustizia belga: la procura ha ricevuto il mandato di arresto, ma intende studiarlo a fondo, prima di inviarlo ad un giudice. I tempi di una possibile estradizione, se ci sarà, potrebbero arrivare a tre mesi. Intanto la mobilitazione indipendentista prosegue. Nuovi video delle associazioni civiche chiedono al mondo di aiutare la Catalunya. Per l'8 novembre si prepara un nuovo sciopero generale. Sabato prossimo milioni di persone sono attese nelle strade per chiedere la scarcerazione dei dieci indipendentisti in carcere.

4/11/2017

Almeno due mesi. Il presidente catalano destituito Puidgemont non sarà estradato in Spagna -con ogni probabilità- prima del prossimo anno, ad elezioni autonomiche già avvenute. Sempre che la giustizia belga non allunghi i tempi. O l'avvocato difensore, noto per aver difeso con successo membri dell'Eta, non moltiplichi gli ostacoli.

Il mandato di cattura internazionale firmato ieri sera dalla giudice spagnola Lamela, la stessa che ha spedito in carcere otto Ministri del Govern catalano, non porterà dunque a Madrid nèPuidgemont nè i Ministri emigrati con lui a Bruxelles prima delle elezioni. Elezioni alle quali lo stesso presidente catalano intende candidarsi. In un'intervista alla tv pubblica belga Rtbf, Puidgemont ha confermato che il suo nome sarà nelle liste, lasciando presagire una dura campagna elettorale, condotta da esiliato politico. Madrid ammette che anche i dieci politici ed attivisti detenuti potranno presentarsi alle elezioni, in assenza di una condanna. Questa situazione eccezionale sta convogliando i partiti indipendentisti verso una grande lista comune, come ha fatto intendere ieri il PDeCat, schieramento di centro cui appartiene Puidgemont. Intanto anche ieri sera decine di migliaia di persone hanno manifestato in tutta la Catalunya, per chiedere la libertà dei dieci detenuti e rinfocolare l'onda indipendentista. Mercoledì nuovo sciopero generale: sabato 11 attese centinaia di migliaia di persone in piazza, a difesa della Repubblica.

3/11/2017

“Mas dura serà la caida” – “la caduta sarà ben più dura”. Torna alla mente, oggi, il controverso titolo del documento .pdf, con il quale la procura generale spagnola avviò, nei giorni scorsi, l’incriminazione dello Stato maggiore catalano. “E’ stato un errore di salvataggio del file”, fu la giustificazione ufficiale. Ora però, con dieci indipendentisti in carcere, tra ex-membri del Governo e due leader civici, quelle parole fanno sospettare un disegno preciso. Governo e magistratura di Madrid hanno spostato la crisi dalla sfera politica a quella giudiziaria, come se il carcere possa cancellare in un sol colpo settimane di tensione. Alle richieste di dialogo da Barcellona, Madrid ha risposto con le manette, creando nuovi eroi repubblicani, in una regione che ne conta già parecchi, da Franco in poi. Nuova benzina sul fuoco di una crisi, che rischia di sfuggire di mano. Nella migliore delle ipotesi, se nessuno perderà la pazienza prima, la sfida si sposta al 21 dicembre, giorno delle elezioni autonomiche. Come nel gioco dell’oca, si torna alla casella di partenza: sarà quello il vero referendum per l’indipendenza. L’ondata di arresti potrebbe definitivamente spostare voti e consensi nel campo secessionista, sempre più maggioritario. Con un nuovo Govern indipendentista. E a quel punto né la Spagna né -soprattutto- l’Europa potranno continuare a considerare la questione catalana come un caso di sedizione, o un affare interno. La questione catalana è una questione europea, che Bruxelles lo accetti o meno. L’ora dell’ignavia è finita.

2/11/2017

Governo catalano alla sbarra oggi a Madrid, con l'incognita Puidgemont ad agitare le notti di politici e magistrati spagnoli. Il presidente della Generalitat è ufficialmente entrato nel periodo di esilio a Bruxelles, insieme ad altri quattro Ministri catalani, deposti dall'articolo 155. E -attraverso il suo avvocato Paul Bekaert- fa sapere di essere disposto a dichiarare all'Audiencia Nacional. Ma in videoconferenza.

Opzione che vede la procura contraria, e potrebbe quindi portare ad un mandato di arresto europeo. L'unica cosa certa è che Puidgemont, che ha aperto un sito web da "presidente in esilio" e ha emesso un comunicato nel quale accusa i magistrati spagnoli di voler forzare un "giudizio politico", è atteso alle 9 di oggi a Madrid: un totale di 20 persone, che include l'intero Governo catalano e le massime cariche del Parlament appena sciolto, sono chiamate a deporre presso l'Audiencia e il Tribunal Supremo, con l'accusa di sedizione e ribellione, reati che possono portare a pene fino a 30 anni. Ieri duecento persone hanno accompagnato alla stazione di Barcelona Sants due parlamentari in partenza per Madrid. La linea dura giudiziaria potrebbe portare nuova linfa alla causa indipendentista: gli ultimi sondaggi mostrano una forte crescita di cittadini favorevoli all'indipendenza, praticamente uno su due. Il vicepresidente catalano Junqueras, rimasto a Barcellona, avverte in un articolo sul New York Times: "la Repubblica Catalana è in vigore, il suo Governo non si considera deposto".

1/11/2017

Ad un mese esatto dal referendum sull'indipendenza, il presidente catalano Puidgemont lancia -dal Belgio- la prima sfida alle autorità spagnole: se la giudice dell'AudienciaNacional intende interrogarlo, fa sapere attraverso il suo avvocato Paul Bekaert, dovrà accettare una deposizione da Bruxelles. E, aggiunge, qualsiasi richiesta di estradizione da Madrid verrà appellata. Sulla stessa linea di Puidgemont i quattro Ministri deposti che lo hanno seguito oltreconfine.

Dalla capitale europea, Puidgemont ha ricordato in un tweet l'anniversario del primo ottobre, e ha lanciato un sito web da presidente in esilio. Il weekend si preannuncia caldo, a livello giudiziario: l'intero Governo catalano deposto, insieme alla giunta del Parlament dissolto, si dovrà recare a Madrid per venire interrogata, rischiando l'arresto preventivo e -più avanti- pene gravi, fino a 30 anni, per sedizione e ribellione. Una messa alla sbarra dello stato maggiore catalano che potrebbe costare molto cara a Madrid, dopo che gli ultimi sondaggi hanno mostrato una forte crescita di cittadini favorevoli all'indipendenza, ormai quasi uno su due. E comunque in maggioranza, rispetto agli unionisti. Duecento persone sono andate alla stazione di Barcelona Sants per salutare due dei parlamentari in partenza per Madrid. Il tutto mentre il vicepresidente catalano Junqueras, in un articolo sul New York Times, avverte: "la Repubblica Catalana è in vigore, il suo Governo non si considera deposto".

31/10/2017

In Belgio per "lavorare in tranquillità e serenità", e per portare la questione catalana al cuore stesso delle istituzioni europee. Così il presidente della Generalitat Puidgemont, destituito venerdì da Madrid, fa la sua ultima mossa nello scacchiere della crisi catalana.

Puidgemont compare davanti alla stampa internazionale parlando in tre lingue, e ripercorrendo i fatti - a partire dal giorno della proclamazione dell'indipendenza. "Quel giorno abbiamo compreso che dialogo e mediazione con Madrid erano impossibili", spiega. "Se fossimo rimasti a Barcellona e avessimo resistito avremmo tutti sofferto una reazione enormemente violenta da parte del Governo spagnolo", accusa Puidgemont, accompagnato da altri quattro Ministri deposti. Poi rassicura i numerosi sostenitori della secessione: "nessuno ha abbandonato il Govern, continueremo nel nostro lavoro". Il leader catalano delinea una strategia in quattro mosse, che prevede parte del suo esecutivo in Belgio per un tempo indeterminato, un'altra -rappresentata dal suo vice Junqueras- a Barcellona, una resistenza allo smantellamento delle istituzioni catalane. Fino al quarto punto, il più importante: "le elezioni autonomiche del 21 dicembre sono una sfida democratica. Queste sfide non ci fanno paura", dice, prima di sfidare Rajoy ad accettare il risultato che uscirà dalle urne. Sul fronte giudiziario rassicura: "se mi fosse garantito un processo giusto, tornerei subito in Catalunya". Infine, dopo aver spronato l'Europa a reagire, dissipa i dubbi: "non sono a Bruxelles per chiedere asilo politico".

28/10/2017

Ora l'Europa centro-orientale rischia davvero di diventare un problema: a tredici anni dallo storico allargamento, che inserì in un sol colpo dieci nuovi Paesi membri, abbattendo fisicamente la cortina di ferro che nell'intero Dopoguerra aveva diviso il Continente, un blocco importante di nuovi Stati lancia la sfida politica a Bruxelles e ai membri storici del club. Altro che Le Pen o Wilders: il populismo sfonda ad Est. Con strascichi che contagiano anche altri Paesi, schierati nel blocco occidentale.

L'ultimo campanello d'allarme è risuonato nella Repubblica Ceca, con la vittoria di Andrej Babis, 63enne tycoon populista di Ano, partito antisistema ed euroscettico. Come aggiungere sale sulle ferite storiche di un Paese già simbolo della resistenza al comunismo, in grado di produrre simulacri di libertà quali Vaclav Havel. Peccato solo che alla presidenza del Paese, dopo Havel, si siano succeduti due figure euroscettiche e controverse, pur con sfumature differenti, come Vaclav Klaus e Milos Zeman. Fino alla vittoria elettorale di Babis, che sposta gli equilibri di Praga in modo definitivo nella zona euroscettica. Un club che nell'Est Europa conta già un numero considerevole di membri: l'Ungheria di Orban, ideatore dell'ossimoro "democrazia illiberale", nonché buon amico di Vladimir Putin e strenuo oppositore di ogni solidarietà intercomunitaria nella ripartizione dei rifugiati. Oppure la Polonia di Kazcynski, leader ombra di un Governo le cui mosse sembrano da lui stesso telecomandate. Varsavia è da un paio d'anni sotto i radar di Bruxelles, dopo l'assalto contro la magistratura e la Corte Costituzionale da parte del Partito di maggioranza PIS, nazionalista e ultraconservatore. Movimenti di resistenza democratica si sono formati nel Paese e hanno inscenato imponenti manifestazioni di protesta. Ma sono riusciti al massimo a rallentare l'onda reazionaria del PIS. C'è infine il caso della Slovacchia, singolare esempio di Paese con Governo socialdemocratico, le cui politiche migratorie sono riuscite però a mettere in imbarazzo persino gli stessi socialisti europei. I quattro Paesi fin qui citati sono componenti del cosiddetto gruppo di Visegrad, associazione che a Bruxelles è diventata sinonimo di spina nel fianco delle politiche europee, considerato il loro atteggiamento di opposizione costante a forme di integrazione più forti il Ministro degli Esteri polacco Wasczykowski ha definito questa settimana l'Europa federale "pura fantascienza". E, per un singolare caso di contiguità geografica, anche l'Austria si è unita questo mese al gruppo populista, nazionalista ed euroscettico, con la svolta a destra impressa dai popolari Oevp del leader Kurz, fresco vincitore di elezioni, con l'offerta di coalizione lanciata all'ultradestra dell'Fpoe, partito che -quasi vent'anni fa- spaventò l'Europa con Joerg Haider. A questo punto, in un momento storico in cui l'Unione Europea discute e negozia riforme profonde per rilanciarsi dopo la Grande Crisi, il blocco dell'Est si sta trasformando in un problema politico. Che Bruxelles non può più ignorare.

28/10/2017

Il giorno -storico- della proclamazione dell'indipendenza catalana si riassume in una dichiarazione di soli dieci secondi, letta nel primo pomeriggio dalla presidente delParlament Carme Forcadell.

Al termine di un voto segreto, 70 deputati votano l'apertura del "processo costituente" e l'entrata in vigore della "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica catalana". 10 i voti contrari, due le schede bianche, mentre i banchi dell'opposizione unionista, minoritaria nell'emiciclo, restano vuoti. Il mandato viene così trasmesso al Govern, affichè avvi la transizione. Poco dopo tocca al presidente catalano Puidgemont, parlare, di fronte a duecento sindaci venuti da tutta la comunità a vivere una giornata storica: "oggi il Parlamento del nostro Paese, legittimo e nato dalle elezioni, ha fatto un passo lungamente atteso e per il quale abbiamo lottato", ha detto. Puidgemont ha invitato ancora una volta a mantenere la calma e un atteggiamento pacifico. "Abbiamo guadagnato la liberta' di costruire un nuovo Paese", ha twittato il vice di Puidgemont, OriolJunqueras. In serata le strade di Barcellona e delle principali città catalane si sono riempite di decine di migliaia di cittadini, che hanno festeggiato la proclamazione di indipendenza, concentrandosi in particolare in Plaça San Jaume, sede del Governo della Generalitat . Col passare delle ore, alcune istituzioni autonomiche, tra cui il Parlamento catalano e il Comune di Girona, ammainavano la bandiera spagnola, mostrando in tutta la sua potenza visiva l'avvenuta disconnessione da Madrid.

28/10/2017

Barcellona festeggia, con decine di migliaia di cittadini in piazza, la proclamazione di indipendenza da parte del Parlamento catalano. La folla invade nella serata la Plaça San Jaume, cuore pulsante delle istituzioni autonomiche.

Il focus si sposta dall'emiciclo alla strada, dove la gente si riversa, cantando l'inno nazionale, Els Segadors, e applaudendo il progressivo ammainabandiera dei vessilli spagnoli dalle istituzioni autonomiche - i primi a togliere la bandiera di Madrid sono stati il Comune di Girona e il Parlamento catalano. Parlamento che ha approvato, con 70 voti a favore, 10 contrari e due schede bianche, l'apertura del "processo costituente" e ha deciso l'entrata in vigore della "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica catalana". La votazione è avvenuta a scrutinio segreto, e con l'assenza dell'opposizione unionista, che ha abbandonato i banchi. Il mandato è stato trasmesso al Govern, affichè avvi la fase di transizione. Poco dopo ha parlato il presidente catalano Puidgemont: "oggi il Parlamento del nostro Paese, legittimo e nato dalle elezioni, ha fatto un passo lungamente atteso e per il quale abbiamo lottato", ha detto. Puidgemont ha invitato ancora una volta a mantenere la calma e un atteggiamento pacifico. "Abbiamo guadagnato la liberta' di costruire un nuovo paese", ha twittato il vice di Puidgemont, Oriol Junqueras.

27/10/2017

Barcellona e tutte le principali città catalane sono invase in queste ore da decine di migliaia di cittadini che stanno festeggiando la proclamazione di indipendenza, avvenuta nel pomeriggio.

Il focus si è spostato dall'emiciclo alla strada, dove la gente si è riversata, cantando l'inno nazionale, Els Segadors, e applaudendo il progressivo ammainabandiera dei vessilli spagnoli dalle istituzioni autonomiche - i primi a togliere la bandiera di Madrid sono stati il Comune di Girona e il Parlamento catalano. Parlamento che ha approvato, con 70 voti a favore, 10 contrari e due schede bianche, l'apertura del "processo costituente" e ha deciso l'entrata in vigore della "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica catalana". La votazione è avvenuta a scrutinio segreto, e con l'assenza dell'opposizione unionista, che ha abbandonato i banchi. Il mandato è stato trasmesso al Govern, affichè avvi la transizione. Poco dopo ha parlato il presidente catalano Puidgemont: "oggi il Parlamento del nostro Paese, legittimo e nato dalle elezioni, ha fatto un passo lungamente atteso e per il quale abbiamo lottato", ha detto. Puidgemont ha invitato ancora una volta a mantenere la calma e un atteggiamento pacifico. "Abbiamo guadagnato la liberta' di costruire un nuovo paese", ha twittato il vice di Puidgemont, OriolJunqueras. L'attesa si sposta a questo punto su come le istituzioni catalane potranno mettere in marcia l'indipendenza: a breve il Govern di Barcellona sarà infatti destituito dall'esecutivo spagnolo.

27/10/2017

Le strade di Barcellona si stanno riempiendo in queste ore di decine di migliaia di cittadini, che stanno festeggiando la proclamazione di indipendenza. Epicentro la Plaça San Jaume, sede del Governo della Generalitat, dove si attende l'ammainabandiera del vessillo spagnolo, già scomparso dal Comune di Girona, dal Parlamento catalano e da altre istituzioni autonomiche.

Questo avviene, mentre il Governo spagnolo si sta riunendo in sessione di emergenza, per applicare le prime misure dell'articolo 155, cui ha dato via libera il Senato iberico sempre questo pomeriggio. Partiamo però dall'inizio: due ore e mezza fa il Parlamento catalano ha votato, con 70 voti contro 10, l'apertura del "processo costituente" e ha deciso l'entrata in vigore della "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica catalana". Il mandato è stato trasmesso al Govern, affichè avvi la transizione. Il premier spagnolo Rajoy ha definito la proclamazione di indipendenza catalana "un atto criminale" e "contro la legge", annunciando che "il Governo iberico prendera' le misure necessarie per ripristinare la legalita'". Rajoy ha ricevuto l'appoggio del leader socialista Sanchez. L'esecutivo spagnolo dovrebbe, tra le prime misure, destituire l'intero Governo catalano e limitare fortemente poteri e competenze del Parlament. Questo sulla carta, perchè occorrerà vedere cosa accadrà concretamente sul terreno, con una società catalana sempre più schierata per l'indipendenza. Infine, la procura spagnola dovrebbe presentare lunedì la denuncia per ribellione contro lo Stato maggiore politico catalano. Sono ore di enorme tensione nella Penisola iberica: gli esiti di questa situazione -inedita- sono realmente imprevedibili.

27/10/2017

Durissimo botta e risposta, nel giro di solo 40 minuti, tra Barcellona e Madrid, anche se la notizia del giorno è chiaramente la votazione del Parlament catalano, che ha proclamato ufficialmente l'avvio del processo costituente della Repubblica.

Un giorno storico, questo 27 ottobre, per Barcellona, che con 70 voti a favore, 10 contrari e 2 schede bianche ha a aperto il "processo costituente" e deciso l'entrata in vigore della "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica catalana". Il mandato è stato trasmesso al Govern, affichè avvi la transizione. Sentiamo subito il presidente catalano Puidgemont, che ha parlato dopo il voto, in un atto celebrativo alla presenza di duecento sindaci. "Oggi il Parlamento del nostro Paese, legittimo e nato dalle elezioni, ha fatto un passo lungamente atteso e per il quale abbiamo lottato", ha detto. Puidgemont ha invitato ancora una volta a mantenere la calma e un atteggiamento pacifico. All'esterno dell'emiciclo, migliaia e migliaia di cittadini hanno festeggiato l'annuncio. La bandiera spagnola è stata già ammainata dal Comune di Girona e dallo stesso Parlamento catalano. Il tutto mentre a Madrid sono scattate le contromisure: il Senato spagnolo ha dato l'ok all'articolo 155, per il Commissariamento della comunità autonomica catalana. Tra un'ora Consiglio dei Ministri straordinario, che dovrebbe destituire il Governo catalano. Rajoy ha definito la proclamazione di indipendenza "un atto criminale" e "contro la legge". Sono ore di enorme tensione nella Penisola iberica: gli esiti di questa situazione -inedita- sono realmente imprevedibili.

27/10/2017

Lo scontro istituzionale tra Barcellona e Madrid si è dunque compiuto: con 70 sì, 10 no e due schede bianche il Parlamento di Barcellona ha formalmente approvato una risoluzione che mette le basi per una Repubblica catalana sottoforma di Stato indipendente.

Il Parlament ha aperto il "processo costituente" della Repubblica e deciso l'entrata in vigore della "legge di transizione giuridica e di fondazione della Repubblica". La votazione è avvenuta a scrutinio segreto e con i banchi dell'opposizione vuoti. E' stata accompagnata sonoramente dal boato delle migliaia di indipendentisti catalani che hanno atteso per ore il voto all'esterno del Parlamento. A questo punto la palla torna nel campo di Madrid, con il Senato spagnolo che a breve dovrebbe dare l'ok all'applicazione dell'articolo 155, le cui prime misure potrebbero essere applicate dal Governo Rajoygià a partire da questa sera. Lo stesso Rajoy, nella prima reazione al voto, ha chiesto su twitter "tranquillita' a tutti gli spagnoli". "Lo stato di diritto restaurera' la legalita' in Catalogna", ha aggiunto.

27/10/2017

L'ora delle decisioni a Barcellona è arrivata, con la plenaria del Parlament catalano in corso - e una strada già tracciata.

Come ha annunciato la deputata Marta Rovira, della coalizione indipendentista di Junts pel Sì, oggi i partiti catalani "fonderanno un nuovo Paese, sulla base dei principi e della dignità". La coalizione indipendentista metterà ai voti una storica risoluzione, per costituire una repubblica catalana sottoforma di Stato indipendente. I partiti dell'opposizione hanno annunciato che abbandoneranno l'emiciclo al momento della votazione. Il Governo catalano ha già assicurato che -una volta approvata la risoluzione- inizieranno gli effetti della Legge sulla Transizione, approvata quasi due mesi fa. All'esterno del Parlamento una folla di migliaia e migliaia di cittadini pro-indipendentisti si è radunata, per sostenere deputati ed esecutivo in una giornata cruciale. Questo accade a Barcellona, mentre a Madrid si gioca uno spartito completamente diverso. Al Senato iberico oggi l'intervento del premier spagnolo Mariano Rajoy, che ha difeso la proposta di applicare l'articolo 155, che commissarierà di fatto la comunità catalana, e che il Senato spagnolo dovrebbe approvare oggi. Rajoy ha promesso elezioni in Catalunya entro sei mesi. Oggi o domani un Consiglio dei Ministri d'urgenza dovrebbe avviare il commissariamento di Barcellona, cominciando dalla destituzione delle massime cariche della Generalitat e dalla limitazione dei poteri del Parlamento.

27/10/2017

Lo scontro tra Barcellona e Madrid arriva oggi al capolinea, con la prevista approvazione di due provvedimenti che innescheranno conseguenze durissime.

A breve dovrebbe cominciare -con forte ritardo- la plenaria del Parlamento catalano, con la coalizione indipendentista di Junts pel Sì che metterà ai voti una storica risoluzione, per costituire una repubblica catalana sottoforma di Stato indipendente. I partiti dell'opposizione hanno annunciato che abbandoneranno l'emiciclo al momento della votazione. Il Governo catalano ha già assicurato che -una volta approvata la risoluzione- inizieranno gli effetti della Legge sulla Transizione, approvata quasi due mesi fa. All'esterno del Parlamento una folla di migliaia di cittadini pro-indipendentisti si sta raccogliendo, per sostenere deputati ed esecutivo in una giornata cruciale. Questo accade a Barcellona, mentre a Madrid si gioca uno spartito completamente diverso. Al Senato iberico oggi l'intervento del premier spagnolo Mariano Rajoy: Rajoy ha difeso la proposta di applicare l'articolo 155, che commissarierà di fatto la comunità catalana, e che il Senato spagnolo dovrebbe approvare oggi. Rajoy ha promesso elezioni in Catalunya entro sei mesi, definendo la sua decisione come "eccezionale" per risolvere una "situazione eccezionale". Oggi o domani un Consiglio dei Ministri d'urgenza dovrebbe avviare il commissariamento di Barcellona, cominciando dalla destituzione delle massime cariche della Generalitat e dalla limitazione dei poteri del Parlamento. Questo, mentre la procura generale e' pronta a chiedere l'incriminazione per "ribellione" di Puigdemont, qualora oggi venisse dichiarata l'indipendenza: la pena massima è di 30 anni di carcere. La situazione è in evoluzione, e fino a questa serata è impossibile fare previsioni.

27/10/2017

Il D-day della crisi catalana si apre nella situazione politicamente più difficile possibile, lasciando presagire un violento scontro istituzionale fra treni, sull'asse Barcellona-Madrid. Uno scontro, nato sulle montagne russe di una giornata che ha riservato più di una sorpresa...

Il momento chiave arriva alle 17, quando il presidente catalano Puidgemont toglie dal tavolo la soluzione che tutti ormai attendevano, quella di convocare elezioni anticipate a dicembre, per frenare l'applicazione dell'articolo 155. "Non ci sono garanzie", dice Puidgemont, lasciando intendere che un commissariamento delle istituzioni catalane potrebbe arrivare ugualmente, vanificando l'apertura in extremis da Barcellona. E attacca duramente il premier spagnolo Rajoy: "nessuno potrà dire che non abbiamo provato a giocare la carta del negoziato, la risposta del Partito Popolare è stata irresponsabile". Vanificate le mediazioni dei Socialisti catalani e del premier basco. Puidgemont passa la palla al Parlamento autonomico, dove l'esponente indipendentista Corominas traccia il sentiero: "concluderemo la plenaria, innestando un nuovo corso per il Paese catalano". L'idea è portare a compimento il mandato referendario: quindi, indipendenza, e repubblica. Nei percorsi paralleli di questa crisi, oggi il Senato spagnolo si prepara a votare il varo dell'articolo 155, col commissariamento di Governo e istituzioni catalane, portando lo scontro al massimo livello. A meno di miracoli in extremis.

26/10/2017

Indipendenza contro commissariamento: lo scontro tra Barcellona e Madrid tocca l'apice, a sorpresa, dopo una giornata sulle montagne russe della politica.

Erano le 17 quando, dopo una serie di rinvii, il presidente catalano Puidgemont è comparso davanti alla stampa, per annunciare che non ci saranno elezioni autonomicheanticipate a dicembre, come tutte le indiscrezioni lasciavano invece intendere. "Nessuno potrà dire che non abbiamo provato a giocare la carta del dialogo", ha dichiarato il presidente della Generalitat, visibilmente alterato, dopo ore di negoziati-fiume. Negoziati, il cui esito non hanno soddisfatto la leadership catalana: "non ci sono garanzie per convocare elezioni anticipate", ha dichiarato Puidgemont, che ha definito "irresponsabile" la risposta del Partito Popolare del premier Rajoy. Puidgemont ha passato la palla alla plenaria monografica del Parlamento catalano, in corso a Barcellona: l'esponente della coalizione indipendentista Corominas, aprendo i lavori, ha anticipato che domani la sessione si chiuderà, innestando una nuova marcia per la Catalunya. Si profila dunque -sempre più netta- la possibile dichiarazione di indipendenza, in contemporanea con il varo del commissariamento del Governo catalano da parte del Senato spagnolo, che -sempre domani- dovrebbe dare l'ok all'applicazione dell'articolo 155. Lo scontro istituzionale è a un passo - salvo ovviamente sorprese nelle prossime 24 ore.

26/10/2017

Si profila lo scenario più duro nello scontro tra Barcellona e Madrid, dopo che il presidente catalano Puidgemont -a sorpresa- ha rinunciato a convocare elezioni anticipate a dicembre, come tutte le indiscrezioni lasciavano invece intendere.

"Nessuno potrà dire che non abbiamo provato a giocare la carta del dialogo", ha dichiarato il presidente della Generalitat, visibilmente alterato, dopo ore di negoziati-fiume. Negoziati, il cui esito non hanno soddisfatto la leadership catalana: "non ci sono garanzie per convocare elezioni anticipate", ha dichiarato Puidgemont, che ha definito "irresponsabile" la risposta del Partito Popolare del premier Rajoy. Puidgemont ha passato la palla alla plenaria monografica del Parlamento catalano, che si riunisce in questi minuti a Barcellona, e che potrebbe dichiarare entro domani l'indipendenza dalla Spagna, con la nascita della Repubblica. In contemporanea, al Senato spagnolo è iniziata un'ora fa la seduta che dovrebbe portare -sempre domani- al varo del commissariamento del Governo catalano: la vicepremier Saenz de Santamaria ha confermato che il Governo iberico intende chiedere l'attivazione dell'articolo 155 contro la Catalunya, per "ristabilire l'esercizio dell'autogoverno catalano in un quadro costituzionale" e "tutelare l'interesse generale della Spagna". Salvo miracoli, lo scontro istituzionale è a un passo. Con risultati realmente imprevedibili.

26/10/2017

Situazione di altissima tensione a Barcellona, dove nel primo pomeriggio si sono susseguiti una serie di colpi di scena. Proviamo a riepilogarli: dopo giorni di riunioni fiume, il presidente catalano Puigdemont ha annunciato una conferenza stampa alle 13.30, per convocare elezioni anticipate il 20 dicembre, in modo da bloccare l'avvio dell'articolo 155, che avrebbe fatto scattare di fatto il commissariamento del Governo catalano.

Questa decisione sarebbe stata frutto della mediazione svolta dal Partito Socialista Catalano e dal premier basco, che avrebbero cercato di salvare il salvabile nei rapporti tra Barcellona e Madrid. La conferenza stampa di Puidgemont è stata prima rinviata e poi sospesa: il presidente catalano dovrebbe a questo punto parlare durante la plenaria del Parlamento catalano questo pomeriggio, dopo le 17. La notizia di possibili elezioni anticipate sta però scatenando un terremoto politico nella frangia più indipendentista del panorama politico catalano, con gli alleati di Governo di Puidgemont, la sinistra di Esquerra Republicana, che ha chiesto di riconsiderare la decisione di andare ad elezioni anticipate.

25/10/2017

Entra nel vivo la settimana decisiva per il futuro della crisi ispano-catalana: a Madrid emergono le prime discrepanze tra Popolari e Socialisti, uniti sabato nel varare la versione più dura possibile dell'articolo 155. E divisi -ora- su come reagire, qualora la Generalitat dovesse indire nuove elezioni.

Per il Psoe ciò basterebbe ad evitare il commissariamento di Barcellona, mentre il PP -che al Senato può fare da solo- chiede in aggiunta la marcia indietro di Puidgemont sull'indipendenza. L'ipotesi di elezioni anticipate, scartata domenica dal portavoce dell'esecutivo catalano Turull, sarebbe invece ancora ben presente tra le opzioni della Generalitat, stando almeno a quanto denuncia il partito antisistema della Cup, che appoggia dall'esterno la maggioranza Puidgemont. Il Govern catalano ha annunciato che intraprenderà azioni legali contro la decisione di Madrid di attivare l'articolo 155. Ricorsi saranno presentati davanti alla Corte Costituzionale e al tribunale supremo, in prima battuta. In seconda si passerà alle corti internazionali. Il Senato iberico offre intanto allo stesso Puidgemont un dibattito con l'esecutivo spagnolo, che potrebbe trasformarsi in un faccia a faccia pubblico con lo stesso premier Rajoy. I prossimi due giorni saranno cruciali: domani la plenaria del Parlamento catalano, con la grossa incognita del risultato che ne uscirà, tra dichiarazione di indipendenza ed elezioni. Venerdì la probabile applicazione del commissariamento catalano da parte del Senato spagnolo.

24/10/2017

Vira -come previsto- a destra l'Austria, con l'offerta formale -da parte dei vincitori delle ultime elezioni, i popolari dell'Oevp- di un Governo di coalizione all'ultradestra nazionalista, l'Fpoe di Strache.

Il quale ha accettato: i primi colloqui per la maggioranza neroblu partiranno nelle prossime ore, con l'obiettivo -secondo il cancelliere in pectore Sebastian Kurz- di chiudere entro Natale, rispettando così la media di formazione degli esecutivi precedenti, che hanno richiesto circa due mesi. Kurz vede punti di contatto tra destra e ultradestra su politiche di sgravi fiscali e controllo dell'immigrazione. Strache, leader dell'Fpoe, pone come condizione la casella del Ministero dell'Interno - eventualità questa che il presidente austriaco Van Der Bellen non gradisce. Kurz, da parte sua, giura che le trattative mostreranno un orientamento chiaramentefiloeuropeista del nuovo esecutivo, anche per rassicurare un Continente che non intende rivivere i fantasmi dell'era Haider. Alcune centinaia di chilometri più a nord, a Berlino, l'ex-Ministro delle Finanze Schaeuble è stato eletto nuovo presidente del Bundestag, riunitosi per la prima volta in plenaria, dopo le ultime elezioni. "Qui non dovremmo azzuffarci": questo uno dei suoi primi commenti. E' stata la prima volta al Bundestag per la formazione di estrema destra Afd, subito marginalizzata dalle altre formazioni politiche: il suo candidato alla vicepresidenza Glaser è stato bocciato in ben tre votazioni.

24/10/2017

Il dado è tratto, almeno per il momento: Sebastian Kurz, cancelliere in pectore austriaco ha invitato per consultazioni l'ultradestra della Fpoe, in vista della formazione del prossimo Governo.

"Abbiamo posizioni simili su sgravi fiscali e controllo dell'immigrazione", così Kurz ha giustificato una scelta che mette in fibrillazione l'Europa, alla luce delle pulsioni populiste e nazionaliste non solo di Vienna ma anche dei suoi vicini - da ultima la Repubblica Ceca, dove nel weekend ha trionfato il partito di Babis. Anche per questo il capogruppo popolare all'Europarlamento Manfred Weber ha messo le mani avanti: con il Ppe "Kurz e' stato chiarissimo sul fatto di voler formare un governo pro-europeista, non c'e' alcuna discussione su un'uscita dall'Unione e sull'uscita dall'euro". Intanto, alcuni centinaia di chilometri più a nord, anche la Germania è alla presa con la formazione del nuovo Governo: nel tardo pomeriggio nuovo round di consultazioni in vista della possibile coalizione Jamaica, con Cdu, liberali e Verdi.

23/10/2017

Sarà una settimana, quella che si apre oggi a Barcellona, che -comunque andrà a finire- segnerà una linea di demarcazione netta tra un prima e un dopo, in Catalunya: stamattina la giunta dei portavoce del Parlament si riunirà, per fissare la data della plenaria in cui potrebbe nascere ufficialmente la Repubblica catalana.

Presumibilmente nel fine settimana - e praticamente in concomitanza con il voto al Senato spagnolo sull'applicazione dell'articolo 155, che commissarierà di fatto la comunità autonoma. Si galoppa quindi verso un clamoroso cortocircuito istituzionale, dopo che il portavoce del Governo catalano, Turull, ha escluso la possibilità di convocare nuove elezioni, consegnando l'ora delle decisioni difficili nelle mani del Parlamento autonomico. Il tutto, mentre il Partito Socialista vive una profonda crisi interna, con la sua componente catalana in aperta ribellione contro il leader Pedro Sanchez, reo di aver appoggiato l'applicazione estrema dell'articolo 155. Sanchez respinge le critiche e punta sulla riforma costituzionale. L'onda secessionista comincia a contagiare i Paesi Baschi, con lo schieramento Bildu che promette: "presto saremo anche noi uno stato indipendente". Dall'Unione Europea, finita anch'essa nel mirino delle critiche catalane, dopo la foto di gruppo delle massime istituzioni comunitarie insieme a re Felipe al Premio Principessa delle Asturie in giornate politicamente surriscaldate, si ribadisce il messaggio: "nessun Paese europeo riconoscera' la Catalunya come Stato indipendente", dice il presidente dell'Europarlamento Tajani.

22/10/2017

La pesante repressione del premier iberico Rajoy spinge le istituzioni catalane verso il probabile passo definitivo - la dichiarazione formale di indipendenza. Si chiude così il sabato politicamente più difficile nei rapporti tra Barcellona e Madrid, che ha visto scendere in piazza quasi mezzo milione di catalani...

A tarda sera tocca al presidente della Generalitat Puidgemont trarre le conseguenze del "no" spagnolo alla sua proposta di dialogo. Il Parlamento catalano si riunirà a breve, dice, per dibattere su questo tentativo di "liquidazione della democrazia", e trarne le conseguenze. Non si sbilancia su quali: tuttavia non restano molte strade, se non la secessione, magari accompagnata dalla convocazione di elezioni anticipate. "Il peggiore attacco dall'epoca del dittatore Franco": così Puidgemont definisce la decisione di applicare l'articolo 155. L'attacco era stato superiore alle attese: Rajoy azzera -nella sostanza- l'autonomia catalana, salvandone solo la forma. Destituzione di presidente, vicepresidente e Ministri regionali. Camicia di forza al Parlamento catalano, che nei prossimi mesi avrà un margine d'azione molto limitato. La Spagna assumerà il controllo di due centri nevralgici del potere: la polizia regionale, i Mossos d'Esquadra, e la televisione, la TV3, per allinearne la linea editoriale. La misura eccezionale, che avrà una durata massima di sei mesi e dovrà sfociare in elezioni autonomiche anticipate, passa ora al Senato, che dovrebbe renderla operativa venerdì. Quando Barcellona potrebbe aver già dichiarato l'indipendenza.

22/10/2017

Repressione totale: il Governo Rajoy avvia nella sostanza la sospensione unilaterale dell'autonomia catalana, salvandola solo nella forma. Barcellona risponde, avviando una corsa contro il tempo dagli esiti imprevedibili.

E' l'una e mezza del pomeriggio, quando il premier iberico compare per dettagliare le misure con cui applicherà il famigerato articolo 155, d'intesa con liberali e socialisti. Smentendo le previsioni iniziali, la mannaia si abbatte pesante: destituzione di presidente, vicepresidente e Ministri catalani. Passaggio al capo del Governo spagnolo della facoltà di sciogliere il Parlamento catalano, che nei prossimi mesi avrà un margine d'azione molto limitato. La Spagna assumerà anche il controllo di due centri nevralgici: la polizia regionale, i Mossos d'Esquadra, e la televisione, la TV3, per allinearne la linea editoriale. La misura passa al Senato, che dovrebbe approvarla venerdì, rendendola operativa: avrà una durata di massimo sei mesi, nel corso dei quali dovranno essere convocate nuove elezioni autonomiche. "Il peggiore attacco alle istituzioni catalane dall'epoca del dittatore Franco", lo definirà in serata il presidente catalano Puidgemont, che chiede la convocazione di una seduta del Parlamento catalano a breve, per trarre le conseguenze del commissariamento, già definito a Barcellona un "colpo di Stato". Due le ipotesi possibili: proclamazione formale dell'indipendenza, con o senza convocazione di elezioni anticipate. L'unica certezza è che si entra in acque inesplorate. Dalla sua, Puidgemont ha il sostegno popolare: mezzo milione di persone ieri in piazza per difendere la scelta indipendentista.

21/10/2017

Il presidente della Generalitat catalana Puidgemont ha nei fatti avviato stasera le ultime formalità per proclamare l'indipendenza, prevedibilmente prima della fine della prossima settimana. Pur non dichiarandolo formalmente, Puidgemont ha chiesto la convocazione della plenaria del Parlamento catalano, per dibattere le ultime mosse del Governo spagnolo e agire di conseguenza.

Puigdemont ha accusato il premier Rajoy di avere lanciato contro le istituzioni catalane "il peggiore attacco" dall'era del dittatore Franco. Il riferimento è all'applicazione dell'articolo 155, decisa oggi a Madrid, che -pur preservando formalmente l'autogoverno catalano- ha di fatto commissariato la regione: da venerdì, una volta che la misura sarà stata approvata dal Senato, verranno sostituiti presidente, vicepresidente e Ministri regionali, il Parlamento avrà un margine d'azione limitato, e polizia regionale e televisione autonomica passeranno sotto il controllo statale. Nuove elezioni previste entro massimo sei mesi. Ma non sono da escludere sorprese, nel corso della prossima settimana.

21/10/2017

Repressione totale: il Governo Rajoy avvia nella sostanza la sospensione unilaterale dell'autonomia catalana, salvandola solo nella forma. Per Barcellona è un colpo durissimo.

E' l'una e mezza del pomeriggio, quando il premier iberico compare per dettagliare le misure con cui applicherà il famigerato articolo 155, d'intesa con i liberali di Ciudadanose l'opposizione socialista. Smentendo le previsioni iniziali, la mannaia si abbatte pesante: destituzione di presidente, vicepresidente e Ministri catalani. Passaggio al capo del Governo spagnolo della facoltà di sciogliere il Parlamento catalano, che nei prossimi mesi avrà un margine d'azione molto limitato. E che non potrà neppure controllare chi dirigerà -da Madrid- la regione. Non finisce qui: la Spagna assumerà il controllo di due centri nevralgici del potere catalano: la polizia regionale, i Mossos d'Esquadra, e la televisione, la TV3, per allinearne la linea editoriale. La misura passa al Senato, che dovrebbe approvarla entro la fine della prossima settimana, rendendola operativa: avrà comunque una durata di massimo sei mesi, nel corso dei quali dovranno essere convocate nuove elezioni autonomiche. Durissime le reazioni da Barcellona - e non solo: ilPdeCat, partito del presidente Puidgemont, denuncia il "colpo di Stato". "Unità popolare per la Repubblica", chiedono gli antisistema della CUP. "Azione totalitaria", denuncia la sinistra di Esquerra. A livello spagnolo, Podemos si schiera con Barcellona,dicendosi "sotto shock" per la "sospensione della democrazia non solo in Catalunya, ma anche in Spagna". "Misure sproporzionate", per il presidente basco Urkullu.

21/10/2017

Alla fine sarà tutta una questione di soldi. La premier britannica May lascia Bruxelles, conscia che non basterà un assegno da 20 miliardi a sancire il divorzio dall'Unione Europea.

Si guarda così ai prossimi due round negoziali, necessari a smuovere le resistenze di una May in palese difficoltà, al punto da chiedere un aiuto esplicito agli altri leader: i quali hanno sostanzialmente risposto che, su diritti dei cittadini e confine nordirlandese progressi ci sono, ma sui soldi non si intravvedono impegni concreti. L'invito è ad aprire il portafoglio, in modo da chiudere la prima fase negoziale a dicembre, e ripartire nel 2018 disegnando l'intesa commerciale post-Brexit. La May si professa "ottimista", ma ammette: "c'e' ancora strada da fare". La cancellieraMerkel non vede fallimenti all'orizzonte. Il più pungente è il francese Macron: "sul fronte finanziario non siamo neanche a meta' del cammino". Ai margini del summit i leader hanno toccato il tema dell'Agenzia Europea del Farmaco: "Milano ha buone carte da giocare e ne esce bene", ha detto il premier Gentiloni. Il vertice ha offerto il palcoscenico al premier spagnolo Rajoy, che -dopo aver incassato la solidarietà dei colleghi- ha ribadito che oggi procederà con l'approvazione dell'articolo 155 contro la Catalunya. Venerdì potrebbe essere ratificato dal Senato, ma c'è attesa per il contenuto esatto delle misure di sospensione dell'autonomia. Barcellona tira dritto: oggi grande manifestazione per chiedere la liberazione dei leader indipendentisti detenuti. Lunedì il Parlamento catalano calendarizzerà la plenaria che dovrebbe dichiarare l'indipendenza.

20/10/2017

Tutto rinviato a dicembre: i negoziati sulla Brexit vanno ai supplementari, dopo che i leader europei hanno preso atto dei progressi registrati su diritti dei cittadini e confine nordirlandese. Ma hanno constatato che -sul conto del divorzio- la Gran Bretagna non ha ancora preso gli impegni che ci si aspettava.

La premier britannica May si è detta "ottimista" per il raggiungimento di "un buon accordo", ma ha ammesso: "c'e' ancora strada da fare". Il presidente francese Macronla incalza, rilanciando la palla nel campo di Londra: il passaggio alla fase 2 del negoziato "e' nella mani della May", dice. Aggiungendo: "sul fronte finanziario non siamo neanche a meta' del cammino". A questo punto si annunciano due nuovi round negoziali, prima che -a fine anno- si provi a passare al futuro accordo commerciale. Altrimenti il rischio di una hard Brexit si farà probabile. Ai margini del summit i leader hanno toccato il tema dell'Agenzia Europea del Farmaco: "Milano ha delle buone carte da giocare e ne esce bene. Noi stiamo facendo un pressing diplomatico notevole", ha detto il premier Gentiloni. Anche il collega olandese Rutte -con Amsterdam- resta però positivo. Infine, il premier iberico Rajoy ha confermato di avere concordato con Socialisti eCiudadanos le misure che Madrid annuncera' domani nel quadro dell'applicazione dell'articolo 155 contro la Catalunya. Tra una settimana il voto di approvazione al Senato, ma già lunedì il Parlamento catalano metterà in calendario la plenaria che dovrebbe dichiarare l'indipendenza. Lo scontro istituzionale è a un passo dal compimento.

18/10/2017

Ad un giorno dalla scadenza dell'ultimatum di Madrid a Barcellona, le vie della diplomazia si fanno sempre più sottili, sullo sfondo di una crisi incautamente avvelenata da arresti percepiti come "politici".

La parola è così tornata da ieri sera -massicciamente- alle piazze catalane, segno che il fossato si è allargato. Non è un caso che i principali partiti indipendentisti stiano valutando l'opzione di dichiarare definitivamente l'indipendenza nei prossimi giorni, così come annunciato ieri dalla Cup, lo schieramento più antisistema e antimonarchico del Parlament di Barcellona. Oggi il presidente Puigdemont si riunirà a porte chiuse col suo partito, il PdeCat, per affinare la strategia da seguire quando scadrà l'ultimatum spagnolo. "Madrid scelga se intende offrire dialogo o repressione", ha avvertito ieri il portavoce del Governo catalano Turull, secondo cui la capitolazione non è parte della strategia. Quindi, la risposta di domani non sarà diversa da quella di lunedì. Dal Govern massima difesa sia verso Sanchez e Cuixart, definiti prigionieri politici vittime di una "vergogna democratica", sia verso il maggiore dei Mossos Trapero. Ieri la massima Corte spagnola ha dichiarato incostituzionale la legge varata per promulgare il referendum del primo ottobre. E nonostante la situazione sia incendiaria, Bruxelles continua a fare spallucce: la Commissione Europea "non commenta mai quando c'e' una procedura giudiziaria in corso in uno degli Stati membri", questo il messaggio.

17/10/2017

I fili della diplomazia tra Barcellona e Madrid si fanno sempre più radi, in uno scontro che si avvicina inesorabile, e che vivrà dopodomani -giovedì- la prima giornata-chiave: se Madrid aspetta un sì o un no, prima di avviare il meccanismo che porterà alla sospensione dell'autonomia catalana, Barcellona ha reso chiaro che non intende sottomettersi ad alcun diktat.

"Scelgano se intendono offrire dialogo o repressione", ha dichiarato il portavoce del Governo catalano Turull, secondo cui la capitolazione non è parte dellastrategia.Quindi, la risposta di giovedì non sarà diversa da quella di ieri. Turull è rimasto vago sulla possibilità che Barcellona possa ritirare l'offerta di due mesi per il dialogo, facendo capire che la minaccia nucleare della sospensione dell'autonomia cambierà l'attitudine catalana. Dal Govern massima difesa sia verso Sanchez e Cuixart, definiti prigionieri politici vittime di una "vergogna democratica", sia verso il maggiore dei Mossos Trapero. I principali partiti catalani hanno stabilito la sospensione delle attività del comune di Barcellona, in protesta contro gli arresti. La Cup, partito indipendentista che appoggia dall'esterno l'esecutivo Puidgemont, ha annunciato che l'indipendenza sarà proclamata nei prossimi giorni. Intanto la massima Corte spagnola ha dichiarato incostituzionale la legge varata per promulgare il referendum del primo ottobre. Nonostante la situazione sia incendiaria, Bruxelles continua a fare spallucce: la Commissione Europea "non commenta mai quando c'e' una procedura giudiziaria in corso in uno degli Stati membri".

17/10/2017

La notizia è arrivata a tarda sera, gettando una bomba nella già infiammata arena catalana: una giudice della Audiencia Nacional ha deciso la prigione senza cauzione per Jordi Sanchez e Jordi Cuixart, i leader delle due maggiori organizzazioni civiche indipendentiste.

La magistrata li ha ritenuti colpevoli di sedizione, in quanto responsabili dell'organizzazione delle manifestazioni di piazza del 20 settembre, che hanno paralizzato il centro di Barcellona per protestare contro l'arresto di numerosi funzionari della comunità autonoma. I due sono stati trasferiti in un carcere di Madrid. La notizia ha scatenato l'immediata reazione della foltissima comunità indipendentista: le due associazioni hanno proclamato uno sciopero oggi a mezzogiorno. Manifestazioni di protesta di fronte alle delegazioni del Governo spagnolo sono previste alle 19. Ieri sera le prime reazioni a caldo della gente, con una rumorosa e lunghissima cacerolada. "Prigionieri politici", li ha definiti senza giri di parole il presidente della Generalitat Pugdemont. "Una barbarie", per la sindaca di Barcellona Colau. In due video registrati prima dell'arresto, i leader hanno chiesto una mobilitazione permanente della società, per arrivare alla Repubblica Catalana - "unità, civismo e fiducia in noi stessi", ha chiesto Sanchez. Cuixhart ha ipotizzato un futuro di lotta clandestina. Poche ore prima la stessa giudice si era opposta all'arresto del maggiore dei Mossos Trapero, per il medesimo capo di accusa. Il Governo iberico -insoddisfatto dalla risposta del presidente catalano- ha posto un secondo ultimatum -per dopodomani- a Barcellona, affinchè faccia marcia indietro sull'indipendenza. Poi scatterà l'articolo 155, con la sospensione dell'autonomia.

16/10/2017

E' stata una vera e propria bomba, quella annunciata stasera, dalla giudice dell'Audiencia Nacional Carmen Lamela.

Una bomba, che rischia di avere effetti deflagranti sulla già delicatissima crisi catalana: la giudice ha ordinato l'arresto immediato dei due volti più noti del movimento indipendentista, Jordi Sanchez e JordiCuixhart, leader rispettivamente dell'Assemblea Nacional Catalana e di Omnium Cultural. Contro di loro, già trasferiti in carcere a Madrid, l'accusa di sedizione, per aver organizzato le manifestazioni di piazza del 20 settembre, al fine di ostacolare arresti e perquisizioni contro numerosi funzionari catalani. Agusti Alcoberro, vicepresidente dell'Assemblea, ha definito i due leader indipendentisti "ostaggi politici": convocato per domani uno sciopero a mezzogiorno e manifestazioni di protesta alle 19 di fronte alle delegazioni del Governo spagnolo nei quattro capoluoghi catalani. In serata una lunghissima cacerolada di protesta ha animato le strade di Barcellona. Immediate e durissime le reazioni: "prigionieri politici", li ha definiti il presidente della GeneralitatPuigdemont. "Una barbarie", ha twittato la sindaca di Barcellona Colau. Persino i Socialisti Catalani hanno definito la misura "sproporzionata". Poche ore prima la stessa giudice si era opposta all'arresto del maggiore dei Mossos Trapero, per il medesimo capo di accusa. Intanto il Governo iberico -insoddisfatto dalla risposta del presidente catalano- ha posto un secondo ultimatum -per giovedì- a Barcellona,affinchè faccia marcia indietro sull'indipendenza. Poi scatterà l'articolo 155, con la sospensione dell'autonomia.

16/10/2017

Il giorno dopo la svolta a destra, l'Austria entra nella delicata fase dei negoziati per la formazione del nuovo Governo. Il tutto mentre si attende la conta dei circa 700mila voti recapitati per posta.

Voti che potrebbero smussare le ultime incertezze, soprattutto sul secondo posto, per ora ancora appannaggio dei socialdemocratici della Spoe, avanti di soli 25mila voti sull'ultradestra della Fpoe. Proprio l'Spoe, dopo una riunione dei vertici, ha annunciato che non esclude colloqui nè con la Fpoe, nè con i vincitori, la destra Oevp del futuro cancelliere Kurz. Il quale ha il pallino della situazione in mano: puntare su una coalizione fortemente orientata a destra, irritando l'Europa? O ripiegare su una Grosse Koaltion, che sa un po' di muffa, con l'Spoe? I Verdi, crollati al 3%, sono invece in crisi nera. La cancelliera tedesca Merkel, accogliendo il risultato, ha lodato l'energia modernizzatrice di Kurz, ma ne ha anche preso le distanze: la sua vittoria non va imitata. Il risultato delle urne non e' un segnale del fatto che "i problemi si risolvono se si fa come in Austria. Non vi trovo una formazione politica che possa immaginare come esempio da imitare per la Germania", ha affermato la cancelliera. Al contrario, il blocco dei Paesi dell'Est euroscettici, noti anche come Visegrad, intravvede un margine di azione politico e di alleanze future, nella vittoria di Kurz: per il Ministro degli Esteri ungherese Szijarto l'Austria si avvicina al gruppo dei quattro Paesi dell'Est.

14/10/2017

Come è entrata l'Europa nella crisi catalana? A chiamarla in causa esplicitamente, martedì, è stato il presidente della Generalitat Carles Puidgemont. Il quale, nell'attesissimo discorso in Parlamento, non ha esitato a dire: "la questione catalana è una questione europea", appellandosi all'insieme dell'Unione per intervenire attivamente nella mediazione con Madrid.

C'è anche chi dice che nelle drammatiche ore che hanno preceduto il discorso diPuidgemont sarebbero intervenute figure di alto livello continentale: le indiscrezioni hanno prima indicato la Commissione Europea, poi il Consiglio d'Europa, quali possibili mediatori. Bruxelles ha nettamente smentito. In ogni caso, nel suo discorso il leader catalano ha menzionato mediatori noti e mediatori ancora nell'ombra attualmente al lavoro, lasciando così il mistero aperto. Un intervento pubblico è stato, nello stesso pomeriggio di martedì, quello del presidente europeo Tusk. Il quale, sapendo di parlare a poche ore dalla possibile dichiarazione di indipendenza catalana, ha mandato un messaggio di invito al dialogo. "Presidente Puigdemont, rispetti l'ordine costituzionale e non annunci una decisione che possa rendere il dialogo impossibile. La diversità non dovrebbe portare al conflitto". Parole che Tusk ha pronunciato, ci ha tenuto a precisarlo, da membro di una minoranza etnica, che sa cosa significhi subire manganellate dalla polizia. Al di là però di prese di posizione emotive come quella di Tusk, il fronte europeo ha confermato di essere fondamentalmente un fronte intergovernativo. Di Stati. L'Europa federale, o l'Europa delle regioni, utopie del secolo scorso, sono immagini sbiadite e lontane. Italia, Francia e Germania, gli altri pesi massimi rimasti, dopo l'addio di Londra, si sono espresse tutte -in settimana- per la difesa del quadro costituzionale spagnolo. Da Berlino e Parigi il messaggio più forte: "una dichiarazione di indipendenza catalana sarebbe illegale e non riconosciuta". Mentre Commissione e Parlamento Europeo, a ruota, hanno rifiutato nei fatti il ruolo di mediatori che Barcellona chiedeva loro di assumere. E' vero, si dirà: non hanno poteri per farlo. E' anche vero, però, che un vecchio detto sostiene che l'Europa avanza e progredisce con le crisi. Quale migliore occasione, questa crisi catalana, per rafforzare il peso specifico di Bruxelles? Oppure le istituzioni europee sono diventate una sorta di maxisegretariato degli Stati membri?

13/10/2017

La festa nazionale spagnola ha aperto ieri una breve tregua nella crisi catalana, dopo giorni difficili, spostando alla prossima settimana i termini dello scontro.

Tuttavia l'ombra di Barcellona, insieme al tragico incidente ad un Eurofighter, nel quale ha perso la vita un pilota, hanno pesato fortemente nelle celebrazioni solenni, imperniate sulla tradizionale parata delle Forze Armate. Nel parterre d'onore assenti i presidenti catalano, basco e della Navarra: visualizzazione plastica di quanto il Paese sia in crisi, nella sua coesione. L'orologio corre verso la scadenza degli ultimatum imposti dal premier Rajoy: la leadership catalana fa trapelare tutta la delusione nel tweet del presidente Puidgemont. "Chiediamo dialogo, e mettono la sospensione dell'autonomia sul tavolo. Abbiamo capito". Da Madrid proseguono le minacce velate: se il Ministro degli Esteri Dastis afferma di sperare di non dover arrivare ad un arresto del presidente catalano, la ministra della Difesa Cospedal si dice certa che non ci sarà bisogno di inviare l'esercito in Catalunya. A Barcellona alcune decine di migliaia di unionisti sono scesi in piazza, per chiedere aPuidgemont di fare marcia indietro. Un centinaio di comuni catalani sono rimasti aperti ieri, ignorando la festività spagnola. Il tutto mentre Human Rights Watch accusa: "il primo ottobre la polizia iberica ha fatto ricorso ad un uso eccessivo della forza contro i civili ai seggi". Mentre il Consiglio d'Europa condanna le violenze ed esige dialogo.

12/10/2017

La crisi catalana e il tragico incidente ad un Eurofighter, nel quale ha perso la vita un pilota, hanno rovinato la giornata di Festa nazionale spagnola, che mai come quest'anno è stata dedicata all'unità del Paese, in un Paseo de La Castellana madrileno invaso da migliaia di cittadini, per la tradizionale parata delle forze armate.

Nel parterre d'onore, assenti i presidenti catalano, basco e della Navarra: visualizzazione plastica di quanto il Paese sia in crisi, nella sua coesione. L'orologio corre verso la scadenza degli ultimatum imposti dal premier Rajoy a Barcellona: la leadership catalana fa trapelare tutta la delusione nel tweet del presidente Puidgemont. "Chiediamo dialogo, e mettono la sospensione dell'autonomia sul tavolo. Abbiamo capito". Da Madrid proseguono le minacce velate: se il Ministro degli Esteri Dastis afferma di sperare di non dover arrivare ad un arresto del presidente catalano., la ministra della Difesa Cospedal si dice certa che non ci sarà bisogno di inviare l'esercito in Catalunya. Smentite sì, che lasciano però ombre pesanti sulle prossime mosse di Madrid. A Barcellona alcune decine di migliaia di unionisti sono scesi in piazza, per chiedere aPuidgemont di fare marcia indietro. Tra i cori più gettonati la richiesta di prigione per il presidente della Generalitat. Un centinaio di comuni catalani sono rimasti aperti, ignorando la festività spagnola. Infine, Human Rights Watch accusa: "il primo ottobre la polizia iberica ha fatto ricorso ad un uso eccessivo della forza contro i civili ai seggi".

11/10/2017

Il muro contro muro tra Barcellona e Madrid prosegue, lasciando nell'incertezza totale la crisi catalana. A mezzogiorno ha parlato il premier iberico Rajoy, rispondendo per la prima volta in modo ufficiale al discorso di ieri del presidente della Generalitat Puidgdemont.

Il messaggio di Rajoy è stato fondamentalmente duplice: da un lato, da detto, Madrid chiede a Barcellona chiarimenti ufficiali sulla dichiarazione -a livello formale- dell'indipendenza. E' stata dichiarata o no? Un chiaro tentativo di mettere il Governo catalano con le spalle al muro e non lasciare margini di incomprensione, dopo l'originale formula scelta da Puigdemont per dichiarare di fatto l'indipendenza, sospendendola in modo immediato. "Sulla base della risposta si chiariranno le misure che il Governo spagnolo prenderà nei prossimi giorni", ha detto Rajoy, che ha esplicitamente menzionato il famigerato articolo 155, col quale Madrid potrebbe sospendere l'autonomia catalana - autonomia già sospesa, per quanto riguarda il budget, da quasi un mese. "Puidgemont deve tornare nell'alveo della legalità", ha minacciato Rajoy, che a breve riferirà al Congresso. Una risposta indiretta -e precedente- al discorso di Rajoy era arrivata stamattina dal portavoce della GeneralitatTurull, che in un'intervista radio ha dichiarato: "se il Governo spagnolo decidera' di applicare l'articolo 155 contro la Catalunya, il Govern andra' avanti sulla strada dell'indipendenza". I più delusi a Barcellona del discorso di Puidgemont sono i deputati antisistema della Cup, i più estremisti sull'indipendenza, e dal cui voto dipende il Governo catalano: da loro l'ultimatum. Un mese al massimo di dialogo e mediazione, poi la secessione.

11/10/2017

Il percorso è tracciato. Il Davide catalano non arretra di fronte al Golia spagnolo. Indipendenza sarà, annuncia il presidente della Generalitat Puigdemont, nel discorso politico più importante della vita. Ma non sarà subito.

Il leader catalano sceglie -dopo forti pressioni- la cosiddetta “via slovena”, ripetendo più volte la parola “responsabilità” e l’invito ad “abbassare i toni”. L’unica via che può consentire di continuare a camminare sull’orlo dell’abisso per qualche settimana, mantenendo la barra dritta sulla repubblica catalana, senza però privarsi di spazi di mediazione importanti. Qui Puigdemont chiama in causa un’Europa come sempre lenta e reticente a capire i grandi cambiamenti sociali, positivi o negativi che siano. “La questione catalana è una questione europea”, incalza Puigdemont, rivolto a Bruxelles e a tutte le capitali, cui chiede di intervenire per evitare il peggio. “Non siamo delinquenti. Non siamo pazzi. Non siamo golpisti”, urla il leader catalano a chi non capisce che i treni della storia passano rapidi, e che se oltre due milioni di persone hanno votato la secessione ci saranno pure dei motivi che vanno analizzati. Il cerino torna ora nel campo di Madrid. Rajoy dovrà decidere se usare il pugno duro, assumendosi la responsabilità di scatenare l’inferno. O aprire, finalmente, un canale di dialogo con Barcellona. Seppellendo anni di incomprensioni e allontanando i fantasmi di un passato non troppo lontano.

9/10/2017

E ora che succede? La crisi catalana entra nelle 48 ore potenzialmente decisive, dopo una lunghissima settimana, durante la quale la frattura tra Barcellona e Madrid ha monopolizzato le cronache internazionali.

La palla è nel campo del presidente della Generalitat Puigdemont, che domani terrà l'atteso discorso in Parlamento. Tecnicamente, la legge sulla transizione approvata un mese fa gli impone di annunciare l'indipendenza unilaterale, sulla base del plebiscito referendario. Ma non è così semplice: il fattore economia minaccia di far deragliare i piani del Governo catalano. Sabato i poteri economici regionali hanno recapitato un'ambasciata a Puigdemont in un incontro informale a Girona, rendendogli chiaro che una rottura traumatica rappresenterebbe una bomba per l'economia catalana, con fuga di imprese e mercati in subbuglio. L'esodo delle sedi legali da Barcellona non si ferma: oggi potrebbe toccare ad Abertis. Gli scenari che si aprono sono dunque almeno tre. Il primo: una dichiarazione di indipendenza immediata o differita di qualche mese, con la condizione che il tempo a disposizione venga utilizzato per mediare i termini dell'addio. Qui però incombe la minaccia di una dura repressione spagnola. Secondo scenario: una dichiarazione di indipendenza, da ratificare con nuove elezioni autonomicheplebiscitarie. Politicamente rischiosa, ma sposterebbe nel tempo la rottura. Terzo scenario: l'avvio di una mediazione vera e propria con Madrid. E qui serve un mediatore forte - che al momento non si intravvede, all'orizzonte.

8/10/2017

Il weekend di contromanifestazioni antiindipendentiste ha vissuto il suo apice nel cuore di Barcellona, tra Placa Urquinanona e la Estaciò de França - a firmarlo, le parole del premio Nobel per Letteratura Mario Vargas Llosa, feroce critico dell'indipendentismo catalano.

Vargas Llosa, giunto a Barcellona insieme al portavoce del PP al Congresso, attacca il nazionalismo: responsabile, secondo lui, di guerre, sangue e violenze nella storia dell'Europa e del mondo. A Barcellona sfilano in centinaia di migliaia: 350mila per la polizia locale. Quasi un milione, per gli organizzatori, raggruppati intorno allaSocietat Civil Catalana, la maggiore organizzazione civica contraria all'indipendenza. Tra i partiti, molto presenti il Partido Popular e Ciudadanos, principali formazioni di centrodestra e liberale. Nei fatti, si è trattato di una manifestazione al rovescio, rispetto a quelle -numerose- svoltesi nel mese di settembre, quando a sfilare per Barcellona erano stati i sostenitori dell'indipendentismo. L'atmosfera è stata anche in questo caso pacifica, anche se non sono mancati attacchi verbali ai Mossos d'Esquadra, accompagnati da manifestazioni di appoggio alla Policia Nacional. Fischiato il leader di Podemos Iglesias. A questo punto l'attenzione si sposta tutta sul discorso che farà il presidente della Generalitat Puigdemont martedì al parlamento catalano: il punto centrale è se dichiarerà o meno l'indipendenza, a seguito del risultato referendario. L'attesa è grande.

8/10/2017

Piazza contro piazza: dialoganti contro unionisti. La Spagna si è divisa ieri sul modo di rispondere alla sfida catalana. Da un lato il popolo della mediazione: in migliaia sono scesi nelle strade del Paese, vestiti di bianco e senza bandiere, rispondendo all'appello della piattaforma Hablemos, per un dialogo tra Barcellona e Madrid.

Dall'altro il popolo della destra, che ha invaso con 50mila persone Plaza de Colon a Madrid in un tripudio di bandiere e slogan contro il Governo catalano. Nella capitale spagnola le due piazze si sono sfiorate, con momenti di tensione. Oggi il popolo degli unionisti replica a Barcellona, in un'altra manifestazione anti-indipendenza. Intanto il premier iberico Rajoy, in un'intervista oggi su El Pais, giura che il Governo impedirà che una qualsiasi dichiarazione di indipendenza catalana ottenga effetti concreti, e si appella al catalanismo moderato e desideroso di scendere a patti. Dopodomani il presidente catalano Puigdemont terrà l'atteso discorso al Parlamento: al momento si ipotizzano due scenari. Il primo: una dichiarazione unilaterale di indipendenza, da sospendere nel caso in cui Madrid accetti una mediazione. Il secondo: una dichiarazione di indipendenza differita nel tempo, che entri in vigore in una data da stabilire. Sullo sfondo si fa sentire, fortissima, la pressione economica: ieri anche la società idrica di Barcellona ha trasferito la sua sede legale a Madrid. La crisi catalana ha avuto effetti pesanti sull'Ibex: 20 i miliardi bruciati in una settimana.

7/10/2017

Mentre Barcellona ragiona sul da farsi, alla vigilia di una settimana cruciale, il resto della Spagna scende in piazza, per chiedere dialogo e unità.

Il weekend successivo a quello sul referendum per l'indipendenza marca la reazione unionista, seppur frantumata in due anime: quella dialogante e pacifica, legata alla piattaformaParlem/Hablemos, che ha portato in piazza in diverse città -Barcellona compresa- qualche migliaio di persone vestite di bianco e senza bandiere, per chiedere di riannodare le comunicazioni. E quella più politica e schierata nell'alveo della destra, che ha sfilato a Madrid in un trionfo di bandiere nazionalai, riempiendo Plaza de Colon con 50mila persone. Da parte loro un tono decisamente meno dialogante - tra gli slogan, "Puigdemont in prigione". Nella capitale spagnola i due gruppi si sono sfiorati, con forti momenti di tensione. Intanto il presidente della Generalitat catalana, in un'intervista televisiva, è tornato a dire che la chiave di volta della crisi è l'autodeterminazione. Prosegue nel frattempo l'esodo delle sedi legali delle società registrate in Catalunya: l'ultima in ordine di tempo è stata l'Aigues de Barcelona, societa' mista che gestisce la distribuzione idrica nella capitale catalana. Ha spostato la sua sede a Madrid. Infine, secondo fonti europee, la questione catalana sarebbe stata al centro di una conversazione telefonica tra il presidente della Commissione Juncker e la cancelliera tedesca Merkel.

7/10/2017

Weekend di riflessione in Catalunya, sei giorni dopo il referendum che ha cambiato la storia dei rapporti con la Spagna: la situazione rimane di calma tesa, con la dirigenza catalana incerta se fare il salto definitivo della dichiarazione di indipendenza, o continuare a cercare la strada del dialogo e della mediazione internazionale - ieri è entrata in campo la Svizzera.

Martedì il presidente della Generalitat Puigdemont comparirà in Parlamento, per fare una valutazione della situazione: all'interno del suo partito, il PdeCat, si levano voci che chiedono di temporeggiare. Madrid stringe il cappio economico intorno al collo di Barcellona: l'approvazione di un decreto per agevolare il trasferimento delle sedi sociali delle imprese ha portato ieri la prima banca catalana, Caixa Bank, a spostarsi a Valencia. Il colosso dell'energia Gas Natural ha scelto Madrid. La paura di restare fuori dal mercato unico europeo rappresenta un forte deterrente ad assecondare le pulsioni indipendentiste. L'Fmi parla di seri rischi per l'economia iberica, qualora persistesse la crisi catalana. Sul fronte giudiziario, un giudice di Barcellona ha ordinato l'avvio di un'inchiesta sulle cariche della polizia contro i civili il primo ottobre. E il delegato del Governo spagnolo, Millo, ha chiesto scusa, con cinque giorni di ritardo, per le violenze. Infine Trapero, il comandante dei Mossos, la polizia catalana, è comparso all'Audiencia Nacional, dove è indagato per sedizione. Per lui nessuna misura cautelare.

6/10/2017

90% di sì: il Govern catalano ha pubblicato i risultati definitivi del contestato referendum sull'indipendenza. Col 43% di votanti, la maggioranza di indipendentisti è stata bulgara.

Nella provincia di Girona si è sfiorato il 95%. A questo punto si apre il bivio cruciale: varare entro martedì la dichiarazione unilaterale di indipendenza, quando il presidente della Generalitat Puigdemont si presenterà in Parlamento. Oppure continuare nella tattica del temporeggiamento, come sempre più esponenti di peso del PdeCat, il maggior partito catalano, consigliano: imprese, finanza e Governo centrale hanno mosso le pedine economiche sullo scacchiere, per mettere sotto pressione Barcellona. Madrid ha approvato un decreto che agevola il trasferimento delle sedi sociali: la misura agevola lo spostamento ad altre parti della Spagna delle aziende catalane che temono di restare fuori dall'Unione Europea, in caso di indipendenza. Tra queste, il cda del colosso dell'energia Gas Natural: poche ore fa la decisione di trasferire a Madrid la propria sede. E potrebbe non essere l'ultimo a farlo, aprendo così un gigantesco problema -in prospettiva- per l'economia locale. L'Fmi avverte: se la crisi catalanapersistera', ci sono seri rischi per l'economia iberica. Sul fronte giudiziario, un giudice di Barcellona ha ordinato l'avvio di un'inchiesta sulle cariche della polizia contro i civili il primo ottobre, a seguito della denuncia del Governo catalano. Mentre il comandante dei Mossos, Trapero, è comparso all'Audiencia Nacional, dove è indagato per sedizione. Per lui nessuna misura cautelare.

4/10/2017

"Sono momenti difficili, ma li supereremo". Re Felipe interviene a tarda sera, per recuperare la secessione de facto della Catalunya. Lo fa, con un duro messaggio televisivo nel quale attacca frontalmente le autorità della Generalitat, accusandole di irresponsabilità e di una slealtà inaccettabile. Ed, esattamente come il suo premier, Rajoy, non dedica una sola parola ai 900 feriti della violenza della polizia iberica.

Un messaggio, quello del Re, che aizzerà ulteriormente le divisioni, anzichè placarle. Sul campo, la popolazione catalana resta schierata con il proprio Governo. Ieri l'intera regione si è fermata, per uno sciopero generale che ha invaso il centro di tutte le principali città, bloccato autostrade e paralizzato le attività. Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato contro la brutalità della polizia spagnola, tornando a chiedere l'indipendenza. Simbolica l'immagine della Jefatura Superior de Policia circondata da migliaia di persone fino a tarda sera, coi poliziotti assediati. FrancescaFerreres, segretaria generale dell'Assemblea Nazionale Catalana, chiede che il Parlamento regionale proclami l'indipendenza presto e rispetti il risultato referendario. A Madrid tempi duri per il premier Rajoy, che perde per strada i socialisti nell'ipotetico tentativo di applicare l'articolo 155 della Costituzione, per revocare di fatto l'autonomia catalana. Il nervosismo è tale che un deputato del PP dà dei nazisti ai catalani. Oggi la crisi approda al Parlamento Europeo.

3/10/2017

Centinaia di migliaia di persone in piazza. L'intera Catalunya si è fermata, per protestare contro la violenta repressione -domenica- da parte delle forze dell'ordine spagnole.

Lo sciopero generale ha portato in piazza persone di ogni età, avvolte nelle bandiere catalane, che hanno sfilato pacificamente, a Barcellona e in tutte le principali città. Lo sciopero ha paralizzato la comunità: numerose le autostrade bloccate - la Generalitat catalana parla di "adesione massiccia". La segretaria generale dell'Assemblea Nazionale Catalana Francesca Ferreres definisce lo sciopero un "successo". Intanto il fossato tra Barcellona e Madrid si allarga: la procura spagnola è arrivata a dichiarare che le azioni di Guardia Civil e Policia Nacional non hanno condizionato la normale convivenza tra cittadini. Una presa di posizione surreale, di fronte alle immagini di violenza e repressione di domenica. Il premier Rajoy vive momenti difficili: ilPartido Popular ha ammesso che non potrà applicare l'articolo 155 della Costituzione, che di fatto revocherebbe l'autonomia catalana, in quanto i socialisti non intendono appoggiarlo. Il Psoe minaccia anzi una mozione di censura contro la vicepremier De Santamaria. Il portavoce parlamentare del PP è arrivato a definire "nazista", il sistema di potere catalano. Intanto decine di poliziotti spagnoli sono stati sfrattati dagli hotel sulla costa: troppo forte la pressione degli abitanti del quartiere. Il Ministero dell'Interno, preso in contropiede, ha ordinato di non lasciare gli alberghi.

3/10/2017

Giornata di sciopero generale oggi in Catalunya, per protestare contro le violenze e la repressione della polizia spagnola domenica – che hanno lasciato ferite circa 900 persone.

Una nuova tappa in una settimana che si annuncia infuocata: il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, è tornato a parlare ieri pubblicamente, lanciando una strategia basata su due pilastri. Il primo è noto: passaggio del processo indipendentista alla plenaria del Parlamento catalano, che -sulla base del mandato referendario- venerdì potrebbe votare formalmente la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza. A quel punto si entrerebbe in acque inesplorate. La reazione dello Stato spagnolo potrebbe essere pesante: Madrid ha già dovuto incassare la sonora sconfitta politica di un referendum svoltosi, nonostante il Governo Rajoy avesse giurato che ciò non sarebbe stato possibile. Puigdemont ha però anche preso tempo, chiedendo una mediazione a livello internazionale, per risolvere la contesa con Madrid. Il viceministro dell’Economia catalano Pere Aragones non chiude la porta alla diplomazia: "offriamo ora, e offriremo anche dopo la dichiarazione di indipendenza, la volontà di aprire un dialogo con lo Stato spagnolo per dare applicazione al risultato referendario. Allo stesso tempo, vogliamo sottomettere ad una mediazione internazionale l’applicazione di questo risultato". La Generalitat catalana creerà una commissione d’inchiesta per valutare la violazione dei diritti umani da parte della polizia spagnola -quasi 900 i feriti- e ha chiesto il ritiro degli oltre 10mila poliziotti ancora presenti nella regione.

2/10/2017

Il giorno dopo le violenze, il giorno dopo il referendum indipendentista, Barcellona è tornata alla vita di tutti i giorni - in un clima di forte tensione politica.

Per le strade sono rimasti soprattutto gli studenti, che si sono concentrati a ora di pranzo in Placa Catalunya, e sono poi sfilati per le vie del centro, ribadendo la loro richiesta di indipendenza. Il presidente della Generalitat catalana, Carles Puigdemont, è tornato a parlare pubblicamente, lanciando una strategia basata su due pilastri. Il primo è noto: passaggio del processo indipendentista alla plenaria del Parlamento catalano, che -sulla base del mandato referendario- venerdì potrebbe votare formalmente la Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza. A quel punto si entrerebbe in acque inesplorate. La reazione dello Stato spagnolo potrebbe essere pesante. Puigdemont ha però anche preso tempo, chiedendo una mediazione a livello internazionale, per risolvere la contesa con Madrid. Il viceministro dell’Economia catalano Pere Aragones non chiude la porta alla diplomazia: "offriamo ora, e offriremo anche dopo la dichiarazione di indipendenza, la volontà di aprire un dialogo con lo Stato spagnolo per dare applicazione al risultato referendario. Allo stesso tempo, vogliamo sottomettere ad una mediazione internazionale l’applicazione di questo risultato". La Generalitat catalana creerà una commissione d’inchiesta per valutare la violazione dei diritti umani da parte della polizia spagnola -quasi 900 i feriti- e ha chiesto il ritiro degli oltre 10mila poliziotti ancora presenti nella regione. Domani sciopero generale in tutta la Catalunya, per protestare contro le violenze: una nuova tappa in un braccio di ferro che si annuncia lungo e complicato.

2/10/2017

La parole del presidente della Generalitat catalana Puigdemont, quando una giornata di repressione dall’amaro retrogusto franchista è finalmente alle spalle, segnano il punto di non ritorno: il risultato del referendum, favorevole all’indipendenza con percentuali bulgare, sarà trasmesso al Parlamento, annuncia.

Il passo successivo sarà inevitabilmente la dichiarazione di indipendenza, nei prossimi giorni. E la rottura definitiva con la Spagna: “abbiamo guadagnato il diritto ad essere uno Stato indipendente”, dice il presidente catalano, circondato dai membri del suo esecutivo, dopo essersi appellato ad un’Europa dimostratasi ieri sorda e cieca di fronte alla violenza della polizia spagnola. Milioni di cittadini catalani si sono recati alle urne, formando code chilometriche, dopo che le prime notizie di cariche, lacrimogeni, uso di proiettili di gomma e violenze contro anziani, donne e bambini ai seggi avevano cominciato a circolare. Una repressione in diretta mondiale che -a fine giornata- ha lasciato dietro di sé 850 feriti in tutta la regione, alcuni dei quali gravi. Immagini di donne trascinate per i capelli, manganellate e calci contro persone indifese e disarmate, dita spezzate, locali pubblici vandalizzati da Guardia Civil e Policia Nacional – forze dell’ordine che ieri sembravano forze di occupazione. A tarda sera migliaia di persone intonano l’inno catalano nel centro di Barcellona, mentre le organizzazioni indipendentiste annunciano uno sciopero generale domani. "Abbiamo votato”, urla la gente. Da ieri la repubblica catalana è molto più di un’ipotesi. Saranno giorni lunghi e difficili, in un’Europa sconvolta da tanta violenza. Ordinata dal Governo di un suo Paese membro.

1/10/2017

Iniziamo subito con le ultime notizie e il colpo di scena di questi ultimi minuti: il Governo catalano si prepara ad annunciare il censo universale. Sarà quindi possibile votare in qualsiasi collegio della propria zona, qualora il proprio fosse chiuso.

Una mossa che potrebbe fortemente incrementare il tasso di partecipazione, considerate le enormi difficoltà logistiche in cui si sta tenendo la consultazione, dopo che Madrid ha fatto di tutto per impedirla. Il tutto mentre migliaia e migliaia di persone, al grido di “voterem”, sono scese per strada alle 5 di questa mattina in tutta la Catalunya, nonostante la pioggia, per presidiare i seggi elettorali, consentendo che vengano regolarmente aperti tra un’ora. La sfida di Barcellona è quindi ufficialmente lanciata. In queste ore i cittadini catalani sembrano vincerla: completamente ignorato l’ultimatum dato dalle forze dell’ordine, che avevano ordinato di sgomberare i seggi entro le 6. La situazione è al momento tranquilla: la polizia autonomica, i Mossos d’Esquadra, quando è intervenuta, ha garantito di essere lì solo per assicurare la sicurezza dei cittadini. I quali hanno risposto applaudendo le loro forze dell’ordine. Qualche motivo di preoccupazione in più lo dà la Guardia Civil spagnola: 50 furgoni hanno lasciato all’alba il porto di Barcellona, diretti in città. Diverse migliaia anche le persone che hanno trascorso la notte con i figli nelle scuole, in un’occupazione pacifica, per evitare che venissero chiuse. Le prime urne e le prime schede elettorali hanno già fatto la loro comparsa in alcuni seggi, alcuni dei quali sono pronti per aprire. Decisivo per il successo della giornata elettorale sarà il tasso di partecipazione, dando per scontato che l’esito della votazione, sempre che non verrà in qualche modo bloccata, sarà ampiamente favorevole all’indipendenza e alla nascita della repubblica catalana. A breve primo punto stampa del Ministro catalano dell’Interno Forn. In mattinata il voto, a Girona, del presidente della Generalitat Puigdemont.

1/10/2017

La sfida di Barcellona a Madrid è ufficialmente cominciata alle 5 di questa mattina, quando migliaia e migliaia di persone sono scese in strada in tutta la comunità autonoma, per presidiare i seggi dove si voterà a partire dalle 9 del mattino.

Lo hanno fatto, sfidando l’ultimatum della polizia autonomica catalana, i Mossos d’Esquadra, che avevano intimato di liberare i locali dei collegi elettorali entro le 6 del mattino. Al momento non si segnalano incidenti: la situazione è tranquilla in tutta la regione, anche se i primi veicoli della Guardia Civil spagnola sono stati segnalati -poco fa- in uscita dal porto di Barcellona. Diverse migliaia anche le persone che hanno trascorso la notte con i figli nelle scuole, per evitare che venissero chiuse, rendendone impossibile l’utilizzo -questa mattina- quali centri di votazione. La televisione catalana ha mostrato poco fa l’arrivo delle prime urne e delle prime schede elettorali nei seggi: alcuni di questi sono già pronti per aprire. Paradigma perfetto delle ore che si stanno vivendo in Catalunya è l’Escoladel Treball di Barcellona, il più grande centro di voto in tutta la Catalunya coi suoi 18 seggi, presidiata da un nucleo di 250 persone. “La sfida dell’1 ottobre”, titola questa mattina il principale quotidiano catalano, La Vanguardia: di sfida vera e propria si tratta, ad uno Stato spagnolo che fino a ieri sera giurava che oggi non si sarebbe votato. Decisivo per il successo della giornata elettorale sarà il tasso di partecipazione, dando per scontato che l’esito della votazione, sempre che non sarà in qualche modo bloccata, sarà ampiamente favorevole all’indipendenza e alla nascita della repubblica catalana. Tra un’ora prima conferenza stampa del Ministro catalano dell’Interno Forn. In mattinata il voto, a Girona, del presidente della Generalitat Puigdemont.

30/9/2017

Qualche attimo di tensione poco fa nel centro di Barcellona, nella Placa San Jaume, dove i manifestanti contrari al referendum hanno scalato il palazzo del municipio cittadino, per strappare lo striscione bianco che riporta la scritta “più democrazia”.

La giornata è stata segnata dall’ennesimo intervento delle forze di polizia nazionali: stavolta l’obiettivo è stato il Centro catalano di telecomunicazioni e tecnologia dell’informazione, dove la Guardia Civil si è installata nelle prime ore del mattino, e da dove non intende muoversi fino a lunedì, per neutralizzare ogni ipotesi di voto elettronico o riconteggio dei voti. Dalla Generalitat catalana fanno sapere che tutto procede come previsto. Decine di scuole catalane sono attualmente occupate da genitori e studenti, che intendono garantire la regolare apertura dei seggi alle 9 del mattino. I Mossos d’Esquadra hanno notificato loro la necessità di liberare le aule entro le 6. Ma le associazioni pro referendum hanno chiesto di presidiarli fin dalle 5. Vedremo cosa accadrà. Infine, la giornata è stata caratterizzata da manifestazioni incrociate pro- e contro il referendum. A Barcellona e Madrid sono scesi in piazza i sostenitori dell’unità spagnola, a Bilbao invece migliaia di persone hanno chiesto che i catalani possano votare nel referendum.

30/9/2017

Una Barcellona piovosa e tranquilla -nel centro storico- si prepara allo storico referendum sull’indipendenza dalla Spagna.

La giornata è stata segnata dall’ennesimo intervento delle forze di polizia nazionali: stavolta l’obiettivo è stato il Centro catalano di telecomunicazioni e tecnologia dell’informazione, dove la Guardia Civil si è installata nelle prime ore del mattino, e da dove non intende muoversi fino a lunedì, per neutralizzare ogni ipotesi di voto elettronico o riconteggio dei voti. Dalla Generalitat catalana fanno sapere che tutto procede come previsto. Decine di scuole catalane sono attualmente occupate da genitori e studenti, che intendono così garantire la regolare apertura dei seggi alle 9 del mattino. I Mossos d’Esquadrahanno notificato loro la necessità di liberare le aule entro le 6. Ma le associazioni pro referendum hanno chiesto di presidiarli fin dalle 5. Vedremo cosa accadrà – la situazione è di massima incertezza. Infine, la giornata è stata caratterizzata da numerose manifestazioni incrociate pro- e contro il referendum. A Barcellona migliaia di persone sono scese per la prima volta in piazza, per manifestare a favore dell’unità della Spagna. Lo stesso è successo a Madrid e in altre città iberiche. Mentre a Bilbao migliaia di persone hanno chiesto che i catalani possano votare nel referendum.

29/9/2017

Due milioni di schede e quattro milioni buste: l'ultimo sequestro della Guardia Civil, ieri sera a Igualada, nell'entroterra catalano, ha riproposto il copione di guardie e ladri, che ha segnato l'ultima settimana di campagna per il referendum sull'indipendenza dalla Spagna. Ad un certo punto stavano per essere requisite cento urne: peccato che fossero destinate alle votazioni nei club sportivi.

In una situazione di massima tensione, con gli indipendentisti catalani animati dalla passione e dalla speranza verso un futuro repubblicano, e lo Stato centrale in evidente difficoltà a far rispettare la sua legge nella comunità ribelle, Barcellona si avvia allo storico referendum. Ieri 16mila studenti sono scesi per le strade a gridare la loro voglia di votare. Sempre ieri, i direttori delle scuole catalane hanno consegnato al presidente della Generalitat Puigdemont le chiavi dei loro istituti, sedi del voto di domenica, chiedendogli di andare fino in fondo. Invito che Puigdemont ha raccolto, mentre da Bruxelles il suo Ministro degli Esteri, Romeva, prevedeva un iter di soli due giorni per la dichiarazione di indipendenza, in caso di vittoria del sì. La Commissione Europea continua a tenere la testa sotto la sabbia. La confusione regna sovrana, su come si comporteranno le forze dell'ordine domenica: il Ministro dell'Interno catalano Forn, al termine di un vertice sulla sicurezza con la controparte spagnola, ha fatto capire che la polizia autonomica non chiuderà i seggi elettorali, se questo comportasse il rischio di disordini. La tensione è alle stelle.

28/9/2017

Le decine di migliaia di studenti che nel pomeriggio hanno invaso le strade di Barcellona e delle principali città catalane hanno servito l'antipasto di quello che si annuncia come un weekend storico.

Oltre 15mila studenti hanno sfilato pacificamente, ribadendo la volontà di votare domenica nel referendum sull'indipendenza dalla Spagna. "Andremo fino in fondo", è tornato a dire il presidente della Generalitat Puigdemont, che incassa l'inaspettato appoggio dell'Ufficio Onu per i Diritti Umani: "al di là della legalità del referendum, la Spagna rispetti i diritti fondamentali, tra cui la libertà di espressione", avverte un rapporto. La Commissione Europea si lava pilatescamente le mani, di fronte alla richiesta di mediazione avanzata dalla sindaca di Barcellona Colau: "ci rimettiamo all'ordine costituzionale spagnolo", fanno sapere da Bruxelles. Sul campo, laGeneralitat renderà note domani le modalità con cui si voterà: domani sera la chiusura della campagna per il sì all'indipendenza, alla Fonte Magica del Montjuic. La confusione regna sovrana, su come si comporteranno le forze dell'ordine domenica: il Ministro dell'Interno catalano Forn, al termine di un vertice sulla sicurezza con la controparte spagnola, ha fatto capire che la polizia autonomica non chiuderà i seggi elettorali, se questo comportasse il rischio di disordini, con migliaia di persone in coda per votare. Madrid è disposta a tollerare manifestazioni pacifiche di piazza, ma -sottotraccia- comincia seriamente a temere lo svolgimento del voto.

27/9/2017

Situazione di massima tensione e massima incertezza in queste ore in Catalunya, a soli quattro giorni dall'atteso referendum sull'indipendenza. Mentre i comitati per il sì stanno già preparando l'atto di chiusura della campagna per dopodomani al Montjuic, e una notte elettorale per domenica sera a Plaça Catalunya, regna la confusione su come si comporteranno le forze dell'ordine nella giornata referendaria.

Il Ministro dell'Interno catalano Joaquim Forn ha accusato il governo spagnolo di puntare a provocare disordini, per giustificare l'invio di migliaia di rinforzi di polizia. La vera incertezza regna -soprattutto- su chi garantirà l'ordine: ieri la procura a ordinato alla polizia autonomica, i Mossos d'Esquadra, di sigillare e recintare i seggi, per vietare il referendum. Oggi i Mossos dovrebbero rispondere picche, portando come giustificazione possibili problemi di ordine pubblico. Questo allargherà ulteriormente il fossato che divide i due centri di potere, Barcellona e Madrid: a sparigliare ulteriormente le carte, l'annuncio del presidente della Generalitat catalana Puigdemont, che ha convocato per domani la Giunta per la Sicurezza catalana, per coordinare le forze dell'ordine domenica. La vicepresidente del Governo spagnolo, Saenz de Santamaria, si prepara al peggio, chiedendo unità ai partiti iberici a partire dal 2 ottobre, quando Barcellona potrebbe varare una dichiarazione unilaterale di indipendenza. Nel pomeriggio attesa anche una dichiarazione dei vescovi spagnoli.

27/9/2017

Una settimana dopo, la tensione regna a Barcellona. Una settimana dopo gli arresti e i fantasmi resuscitati del franchismo, resta la mobilitazione popolare, in Catalunya. Mobilitazione a difesa di un referendum che Madrid ha dichiarato illegale e che -giura- non si farà.

Referendum che Barcellona dichiara invece perfettamente legittimo. E, con altrettanta certezza, sostiene che si terrà. Una settimana fa, la detenzione di numerosi alti funzionari della Generalitat catalana portò decine di migliaia di persone in piazza, con le tipiche senyeras, le bandiere dell'indipendentismo, a colorare la massa di un popolo che non intende piegare la testa. Furono due prove di forza: da una parte, la politica e la legge di Madrid. Dall'altra, il cuore e la passione di Barcellona. Finì pari: Madrid ottenne di alterare lo svolgimento del referendum catalano, isolando il nucleo duro dell'organizzazione logistica. Barcellona ottenne invece visibilità mondiale, portando la propria causa sulle prime pagine dei giornali internazionali, e mostrando la marea umana pronta a difenderla. Lo scontro si trasfigurò nell'ennesima sfida dell'eterno Davide all'eterno Golia. Ora, a quattro giorni dal referendum, c'è poco da scherzare: le immagini degli agenti della Guardia Civil salutati alla partenza, in Andalusia, da grida di "dagli al catalano", non calmano le acque. E non basta che il Ministero dell'Interno si dissoci: quegli agenti, domenica, dovrebbero vegliare sull'ordine pubblico. E come? Presidiando le strade? O impedendo fisicamente il voto? In quest'ultimo caso, con quali conseguenze? E come si comporteranno i poliziotti locali, i Mossos d'Esquadra? A chi, tra Generalitat e Governo centrale, obbediranno? E il 2 ottobre, cosa accadrà? La probabile vittoria del sì porterà a una dichiarazione unilaterale di indipendenza? Tante, troppe domande. E solo 48 ore per fornire una risposta.

26/9/2017

In un'atmosfera tesa e surreale, Govern catalano e Governo spagnolo proseguono la loro marcia su binari paralleli verso lo spartiacque referendario del primo ottobre.

In mezzo le forze dell'ordine, con i Mossos d'Esquadra, la polizia autonomica catalana, che -controvoglia- sta obbedendo agli ordini del nuovo centro di coordinamento interforze sul referendum, identificando e interrogando i responsabili delle scuole dove domenica è prevista la votazione. Una mossa che serve solo a stemperare le tensioni, ma non cambia nulla, nella pericolosa partita a scacchi tra Barcellona e Madrid. La portavoce parlamentare della maggioranza indipendentista ha anzi reso noto che gli scrutinatori stanno già ricevendo le convocazioni, per presentarsi ai seggi. Il portavoce del Govern catalano, Turull, ha ribadito per l'ennesima volta che domenica si voterà, e ha parlato di "stato di assedio", in cui vive Barcellona. Non allentano certamente la tensione le immagini degli agenti della Guardia Civil, in partenza da altre città spagnole per vigilare sulla tenuta dell'ordine domenica, salutati dalla folla -soprattutto in Andalusia- con grida di rabbia verso i catalani, come se andassero a invadere la città. "Il grave problema e' che il governo regionale della Catalunya non rispetta le leggi e le sentenze della Corte costituzionale", ha detto l'ambasciatore spagnolo a Roma, Jesus Gracia, che promette dialogo con Barcellona su tutto. Indipendenza, ovviamente, a parte.

23/9/2017

Mette la sua proposta sul tavolo, alla vigilia della ripresa ufficiale dei negoziati eurobritannici sulla Brexit, la premier Theresa May, nell'atteso discorso di Firenze. Il jolly che lancia nella mischia si chiama "periodo di transizione".

Due anni per dirsi addio, dopo l'uscita ufficiale nel 2019: un biennio in cui -propone la May- le transazioni commerciali proseguirebbero all'interno del quadro normativo esistente, le persone continuerebbero a circolare liberamente ma con obbligo di registrazione, e Londra onorerebbe i propri obblighi finanziari con Bruxelles. La May non indica cifre, ma tutto lascia prevedere che si tratti dei famosi 20 miliardi di euro. Il "dopo", nella visione del testo limato fino all'ultimo dal Governo conservatore, è un terreno inesplorato, che non assomiglierà nè al modello canadese nè a quello norvegese. La May invita Bruxelles ad essere creativi e progettarlo assieme, evitando dazi e protezionismi. La minaccia, all'interno di un discorso amichevole, resta sullo sfondo: "nessun accordo è sempre meglio di un cattivo accordo sulla Brexit", ribadisce la May. Sui diritti degli europei già residenti Oltremanica, tra cui 600mila italiani, la premier tende la mano: "vogliamo che restiate, vi apprezziamo, e vi ringraziamo per il vostro contributo", dice. La reazione da Bruxelles è tiepida: "il discorso mostra la volontà di andare avanti, ma ora servono i dettagli concreti sulle proposte britanniche", dice ilcaponegoziatore comunitario Barnier.

22/9/2017

Un periodo di transizione di circa due anni, con garanzie per i cittadini europei residenti Oltremanica. E la proposta di un nuovo modello di cooperazione, da forgiare insieme. La premier britannica Theresa May sceglie Firenze per il discorso più importante sulla Brexit, ricevendo risposte caute da Bruxelles.

Il punto centrale del discorso della May è il periodo di transizione, una sorta di purgatorio tra il 2019 e il 2021, durante il quale Londra uscirebbe dall'Unione Europea, ma continuerebbe a interagire e fare affari con i 27 sulla base delle attuali norme e regolamenti. L'obiettivo era nell'aria da settimane: ora la proposta è sul piatto. La May butta a mare i modelli canadese e norvegese, quali basi per il futuro rapporto commerciale con l'Europa. E chiede a Bruxelles di pensare in modo creativo, con soluzioni che non prevedano dazi. Si dice disponibile a fare la propria parte sulla copertura del budget comunitario, nel periodo post-Brexit, senza entrare nei dettagli. E individua un settore nel quale la cooperazione tra Londra e Bruxelles può essere fondamentale: quello della sicurezza. La minaccia, all'interno di un discorso amichevole, resta però sullo sfondo: "nessun accordo è sempre meglio di un cattivo accordo sulla Brexit", ribadisce la May. Sui diritti degli europei già residenti Oltremanica, tra cui 600mila italiani, la premier tende la mano: "vogliamo che restiate, vi apprezziamo, e vi ringraziamo per il vostro contributo", dice, lasciando intendere che poco dovrebbe cambiare per loro. La reazione da Bruxelles è tiepida: "il discorso mostra la volontà di andare avanti, ma ora servono i dettagli concreti sulle proposte britanniche", dice il caponegoziatore europeo Barnier.

22/9/2017

La premier britannica Theresa May lima il testo del discorso, attesissimo, sulla Brexit, che terrà questo pomeriggio a Firenze. Presentato come una sorta di spartiacque, all'interno dei complessi negoziati di uscita dall'Europa, il discorso di Firenze potrebbe alla fine rivelarsi insoddisfacente - almeno visto dal'ottica europea.

Punto centrale, secondo quanto affermano le indiscrezioni, un'offerta quantificabile in circa venti miliardi di euro per il periodo di transizione, che Londra vorrebbe pari a due anni - e sul quale il Governo May ha deciso di scommettere forte, per garantirsi una transizione dolce verso l'era degli accordi bilaterali post-Unione Europea. "Sarà un'offerta aperta e generosa", fanno sapere da Downing Street, che punta a risolvere una volta per tutte la questione monetaria, prima di accordarsi sui diritti dei cittadini e sullo spinosissimo accordo relativo al confine nordirlandese. Difficile che Theresa May vada oltre, considerato che a fatica riesce ormai a trovare un punto di sintesi tra le due anime del Governo, quella che fa capo al Ministro degli Esteri Boris Johnson, fautore della hard Brexit sul modello canadese, e quella incarnata dal Cancelliere dello Scacchiere Hammond, portavoce della soft Brexit. Da Bruxelles si guarda con molta cautela e senza troppi entusiasmi alla mossa britannica: nel negoziato sulla Brexit "restano molte incertezze", ha detto il caponegoziatore Michel Barnier in pubblico, mentre in privato definisce ormai la Brexit come un divorzio: "doloroso, spiacevole, e costoso".

22/9/2017

"Non sono giorni facili, ma il referendum va avanti": è sera, quando il presidente regionale catalano Carles Puigdemont indica la strada, poco dopo aver messo online un sito con tutte le modalità pratiche per partecipare alla consultazione sull'indipendenza dalla Spagna.

"Il primo ottobre si farà il referendum di indipendenza. Si farà, perché abbiamo piani di riserva per portarlo avanti. E si farà, perchè abbiamo l'appoggio dell'ampia maggioranza della popolazione, che è stanca della prepotenza e dell'abuso del Governo delPartido Popular", dice Puigdemont, tirando dritto e ignorando le minime aperture di dialogo giunte in mattinata dal Ministro dell'Economia iberico De Guindos. Il quale, dopo aver paventato -lunedì- scenari cupi, col crollo dell'economia catalana in caso di indipendenza, offre a Barcellona di ridiscutere il modello di finanziamento autonomico, a patto che il referendum esca di scena. Troppo poco, e troppo tardi, mentre decine di migliaia di persone restano pacificamente in strada, in una mobilitazione permanente, sventolando bandiere, distribuendo fiori ai poliziotti e cantando l'inno di quella che considerano già come la loro futura patria. Madrid blocca i conti della Generalitat catalana, la indaga per presunta malversazione di fondi pubblici e paventa azioni contro il vicepresidente catalano Junqueras. Barcellona se ne infischia, e annuncia di aver già pagato i suoi funzionari. Si annunciano nove lunghissimi giorni.

21/9/2017

Ormai è muro contro muro tra Barcellona e Madrid, il giorno dopo la raffica di perquisizioni e detenzioni che hanno portato il Governo catalano a definire la mossa del premier iberico Rajoy come "totalitaria".

Anche oggi migliaia di persone sono scese in piazza a Barcellona, in manifestazioni improvvisate nelle vie centrali della città, che continua ad essere presidiata in modo permanente. Il presidente della Generalitat catalana Puigdemont ha annunciato poco fa l'indirizzo web con tutte le informazioni pratiche per votare al referendum sull'indipendenza del primo ottobre. Compresi i luoghi dove si potrà esercitare il proprio diritto di voto. Un chiaro segnale che non c'è alcuna volontà di marcia indietro, e che le timide aperture odierne del Ministro dell'Economia De Guindos, che ha proposto di sedersi a un tavolo e ridiscutere il modello di finanziamento autonomico, non sono state prese in considerazione. Intanto sette dei quattordici funzionari detenuti ieri dalla polizia nazionale spagnola sono tornati in libertà, mentre gli avvocati denunciano una totale violazione dei diritti fondamentali degli arrestati. La giustizia spagnola non molla la presa: sotto indagine oltre sei milioni di euro, che il Governo catalano avrebbe speso per promuovere il referendum, mentre il vicepresidente della Generalitat Junqueras sarebbe indagato dalla Guardia Civil per sedizione. Tutti i conti correnti della Generalitat catalana sono stati bloccati. In questa situazione lo stesso Junqueras ha dovuto ammettere che il referendum sarà alterato. Tuttavia, Barcellona tira dritto, forte di un sostegno popolare visivamente imponente.

20/9/2017

L'accelerazione di oggi nel muro contro muro tra Barcellona e Madrid raggiunge lo zenith con un'azione di forza della Guardia Civil, teoricamente possibile ma politicamente poco opportuna, anche perché fa risuonare nella capitale catalana echi molto sinistri di un passato franchista, dove interventi del genere, con perquisizioni e arresti generalizzati, erano all'ordine del giorno.

Da giorni la polizia spagnola stava effettuando perquisizioni a Barcellona e nei dintorni, da ultimo nella vicina città di Terrassa, per sequestrare materiale di campagna sul referendum, lettere di convocazione alle urne, registri del censo e altra documentazione legata al referendum del primo ottobre. Quella che sembrava una manovra di disturbo si è trasformata nel giro di una mattinata nell'attacco diretto alle istituzioni catalane, che -disobbedendo agli ordini del Tribunale Costituzionale- hanno portato avanti la marcia di avvicinamento verso il referendum, determinati a rompere con Madrid. E qui il Governo spagnolo potrebbe aver fatto un errore strategico clamoroso, come dimostrano le decine di migliaia di persone che stanno scendendo per le strade di Barcellona. Come insegna la storia recente catalana, a partire dallo Statuto per l'Autonomia catalano prima approvato a Barcellona e poi sostanzialmente bocciato dalla Tribunale Costituzionale pochi anni dopo, ogni rifiuto del Governo centrale a discutere una maggiore autonomia per la Catalunya ha fatto salire di diversi punti percentuali i favorevoli all'indipendenza, decuplicandoli in pochi anni.

20/9/2017

Migliaia di persone sono scese in strada e stanno manifestando nel centro di Barcellona contro la clamorosa azione di forza portata a termine questa mattina da parte delle autorità spagnole, che intendono fermare a tutti i costi il referendum del primo ottobre nella capitale catalana.

La Guardia Civil ha effettuato perquisizioni a tappeto in diverse sedi degli uffici della Generalitat, il Governo autonomo catalano. Tra questi anche la Conselleria de Economia, nei fatti il Ministero economico catalano, che si trova sullaRambla. 13 persone sono state arrestate: tra queste figura anche Josep Maria Jovè, braccio destro del vicepresidente catalano Oriol Junqueras. Perquisite anche l'Agenzia Tributaria, l'Istituto Catalano delle Finanze, e altre 19 sedi istituzionali. Si tratta a tutti gli effetti di un'impennata clamorosa nello scontro tra Madrid e Barcellona: "stanno attaccando le istituzioni di questo Paese, quindi i cittadini. Non lo permetteremo!", ha reagito su Twitter il vicepresidente catalano Junqueras. Il presidente catalanoPuigdemont ha convocato una riunione urgente di tutti i ministri. Il sindaco di Barcellona Ada Colau ha definito "uno scandalo democratico" il blitz. Gelida la risposta di Madrid: la risposta alla sfida indipendentista di Barcellona "non puo' essere diversa da quella decisa". Intanto il centro della capitale catalana è invaso da una folla pacifica, che scandisce slogan pro-indipendenza e pro-voto. Alle due prevista una grande manifestazione di protesta nel centro di Barcellona.

19/9/2017

La temperatura si surriscalda, all'interno del Governo britannico, in attesa dell'annunciato discorso della premier Theresa May a Firenze, venerdì. Secondo il Daily Telegraph, il Ministro degli Esteri Johnson sarebbe pronto a dimettersi già questo weekend, qualora la May tirasse dritto per la propria strada, nelle trattative con l'Europa sulla Brexit.

Un gesto di sfida aperto, in vista del discorso di Firenze, nella quale la premier dovrà delineare formalmente la linea di Londra, in vista della ripresa dei negoziati - lunedì a Bruxelles, e in vista dell'imminente Congresso del Partito Conservatore. Una linea che punterebbe su un periodo di transizione, dopo il 2019, prima del taglio del cordone ombelicale con Bruxelles. Johnson non ha fatto mistero di avere altre idee sull'uscita dall'Europa: per esempio, chiederebbe più garanzie sul conto finale del divorzio. Più nel dettaglio, il Ministro degli Esteri avrebbe in mente un accordo post-Brexit meno stretto con l'Unione Europea, sul modello di quello canadese, che garantirebbe a Londra un margine di azione più forte sulla libera circolazione di persone e lavoratori. Questo anche al prezzo di avere meno integrazione nello spazio economico comune. Sicuramente,Johnson non sembra disposto ad accettare un accordo di tipo svizzero - che la May sembra avere in mente. Le indiscrezioni del Telegraph sono state smentite a New York dallo stesso Ministro degli Esteri, il quale non ha però nascosto le differenze interne all'esecutivo: "il Governo lavora insieme, e' "un nido con diversi uccelli che cantano", ha detto.

13/9/2017

E' un'Europa col vento in poppa quella che vede il presidente della Commissione Europea Juncker, nel discorso sullo Stato dell'Unione tenutosi questa mattina all'Europarlamento di Strasburgo.

L'intervento del presidente della Commissione ha toccato un ventaglio molto ampio di temi, a partire da quello economico: "siamo al quinto anno di crescita", ha dettoJuncker, rivendicando come ora sia vicina a quella degli Stati Uniti. Sempre in tema di economia, Juncker ha appoggiato l'idea di un Fondo Monetario Europeo, da sviluppare sulle fondamenta dell'attuale ESM, e -soprattutto- di un Ministro Europeo dell'Economia e delle Finanze, per "promuovere le riforme strutturali" negli Stati membri". Spazio anche ad un altro tema di attualità: le dispute commerciali, in primis con la Cina. "L'Europa ha le porte aperte al commercio, ma ci deve essere reciprocità". La conclusione va nel senso tracciato da Macron: "dobbiamo proteggere i nostri interessi". Ampio spazio alla questione migranti: "non si può parlare di migrazione senza pagare tributo all'Italia per la sua generosita'. Nel Mediterraneo l'Italia ha salvato l'onore dell'Europa". Un tributo cui ha subito risposto il premier Gentiloni, ringraziando Juncker. Il presidente della Commissione ha chiesto di mettere fine con la massima urgenza alle condizioni di accoglienza in Libia" dei migranti, che -dice- sono "scandalose". E ha escluso la futura adesione della Turchia all'Unione, almeno finché mancherà il rispetto dello stato di diritto. Tra le novità, la proposta di un presidente unico dell'Unione Europea, che raggruppi le funzioni incarnate attualmente dallo stesso Juncker e da Tusk. E tra gli altri temi trattati, le divisioni est-ovest, il Dieselgate, la Brexit e il terrorismo.

13/9/2017

E' un'Europa col vento in poppa quella che vede il presidente della Commissione Europea Juncker, nel discorso sullo Stato dell'Unione tenutosi questa mattina all'Europarlamento di Strasburgo.

L'intervento del presidente della Commissione ha toccato un ventaglio molto ampio di temi, a partire da quello economico: "siamo al quinto anno di crescita", ha dettoJuncker, rivendicando che la crescita ora e' vicina a quella degli Stati Uniti. Sempre in tema di economia, Juncker ha appoggiato l'idea di un Fondo Monetario Europeo, da sviluppare sulle fondamenta dell'attuale ESM, e -soprattutto- di un Ministro Europeo dell'Economia e delle Finanze, per "promuovere le riforme strutturali" negli Stati membri e per "coordinare tutti gli strumenti quando uno Stato membro rischia la recessione o l'instabilita' finanziaria". Spazio anche ad un altro tema di attualità: le dispute commerciali, in primis con la Cina. "L'Europa ha le porte aperte al commercio, ma ci deve essere reciprocita". La conclusione va nel senso tracciato da Macron: "dobbiamo proteggere i nostri interessi". Ampio spazio alla questione migranti: "non si può parlare di migrazione senza pagare tributo all'Italia per la sua generosita'. Nel Mediterraneo l'Italia ha salvato l'onore dell'Europa". Un tributo cui ha subito risposto il premier Gentiloni, ringraziando Juncker. Il presidente della Commissione ha chiesto di mettere fine con la massima urgenza alle condizioni di accoglienza in Libia" dei migranti, che -dice- sono "scandalose". E ha escluso la futura adesione della Turchia all'Unione, almeno finché mancherà il rispetto dello stato di diritto. Tra le novità, la proposta di un presidente unico dell'Unione Europea, che raggruppi le funzioni incarnate attualmente dallo stessoJuncker e da Tusk. Tra gli altri temi trattati, le divisioni est-ovest, il Dieselgate, la Brexit e il terrorismo. Juncker ha dovuto poi condensare la sua replica ai deputati, a causa di una sciatica.

13/9/2017

Cosa succede adesso? Tutti gli scenari sono possibili, nell'imprevedibile partita a scacchi apertasi tra Barcellona e Madrid. Il Governo catalano, a neppure tre settimane dal referendum, non può semplicemente dire "abbiamo scherzato", dopo aver portato in piazza centinaia di migliaia di persone.

Mentre il Governo centrale di Madrid ha optato per dispiegare tutti -o quasi- gli strumenti giuridici a disposizione. Tecnicamente, sia il referendum sia la legge sull'eventuale scissione dalla Spagna in caso di vittoria del sì sono sospesi, dopo l'intervento della Corte Costituzionale. Ma questo conta poco, quando c'è un Governo regionale che riconosce solo nel proprio Parlamento autonomo l'unica fonte di legittimità. Per questo la mossa di ieri della procura, ordinare alla polizia autonomica catalana di sequestrare le schede elettorali, rappresenta una prima -concreta- prova di forza. Se anche i Mossos d'Esquadra dovessero disobbedire agli ordini, la situazione potrebbe farsi esplosiva. A Madrid restano altri strumenti giuridici: l'arma atomica è l'articolo 155 della Costituzione, che prevede la sospensione di alcune competenze regionali. Per ora il Governo Rajoy non intende usarla, temendo un effetto boomerang. Ma la tiene sul tavolo. Il dialogo, unica via d'uscita, è ai minimi storici: Barcellona potrebbe sedersi al tavolo solo per organizzare un referendum condiviso. Opzione impossibile per Madrid, dove il Ministro della Giustizia -che si chiama, ironia della sorte, Català- concede che il primo ottobre possa al massimo trasformarsi in una carnevalata. Ironie a parte, la questione si sta facendo molto seria.

12/9/2017

Barcellona chiama, Madrid risponde. Il giorno dopo l'oceanica manifestazione della Diada, a favore dell'indipendenza catalana, politica e magistratura spagnole hanno mosso le loro pedine, in una partita a scacchi dagli esiti apertissimi.

Un uno-due che cambia poco, nella determinazione catalana a tenere il referendum per l'indipendenza, ma che inasprisce ulteriormente lo scontro. Prima la Corte Costituzionale spagnola ha sospeso anche la legge di scissione dalla Spagna, dopo aver congelato la convocazione del referendum. Subito dopo la procura iberica ha ordinato alla polizia autonomica catalana, i Mossos d'Esquadra, di sequestrare le urne e qualsiasi tipo di materiale utile allo svolgimento del referendum. Analogo ordine è stato dato alla Guardia Civil e alla Policia Nacional. Il ruolo-chiave in questa vicenda lo giocheranno proprio i Mossos, guidati da Josep Lluis Trapero, indipendentista praticamente dichiarato. Una ribellione della polizia autonomica alle imposizioni della magistratura e uno scontro con quella nazionale aprirebbe scenari poco raccomandabili. Come se non bastasse, il Tribunale Superiore Catalano ha avvertito la tv regionale che la trasmissione di speciali informativi sul referendum può portare a conseguenze penali. E un giudice ha persino sospeso l'autorizzazione concessa dalla sindaca di Madrid Carmena, allo svolgimento di un evento sul referendum nella capitale. In Parlamento, duro scambio di accuse tra il premier Rajoy e un deputato catalano. Da Barcellona si ostenta tranquillità e si reiterà la volontà ad andare avanti: il presidente catalano Puidgemont chiede anzi di lasciare in pace la polizia autonomica.

11/9/2017

La celebrazione di una sconfitta di oltre tre secoli fa, per porre le basi di una clamorosa vittoria, sottoforma di secessione dalla Spagna, fra neppure tre settimane.

La Diada catalana odierna, festa nazionale e manifestazione di piazza in ricordo della caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche nel 1714, sarà -nelle intenzioni del Governo catalano- il primo atto di nascita della nuova Repubblica. Il secondo dovrebbe essere il referendum di indipendenza da Madrid, indetto per il primo ottobre. Contro il quale però, sia il Governo Rajoy, sia il Tribunale Costituzionale spagnolo, stanno lavorando - allo scopo di bloccare tutto, anche a prezzo di revocare l'autonomia della regione e incriminare lo stesso presidente catalano Puigdemont. In un'intervista al quotidiano Avui, Puigdemont ha chiesto una vasta mobilitazione popolare nella Diada odierna e in occasione del referendum del primo ottobre. Ha poi ribadito che il referendum si farà, e che l'unica istituzione che può sospenderlo dalle sue funzioni è il Parlamento catalano. Intanto il primo test è a livello organizzativo locale: sette municipi su dieci forniranno seggi per il referendum, ma non tutti i comuni li concederanno. Gli iscritti ufficiali alla Diada sfiorano ormai i 400mila, ma per strada la mobilitazione potrebbe essere anche più vasta. Le tre settimane decisive per il futuro della Catalunya iniziano oggi.

10/9/2017

L'Ecofin informale del prossimo weekend potrebbe rappresentare l'inizio della fine per il "turismo fiscale" dei giganti del web - soprattutto quelli americani, come Google, Amazon e Facebook.

La mossa lanciata da quattro big europei, tra cui l'Italia, con la presidenza di turno estone dell'Unione, porterà nell'agenda summit di Tallinn il tema della web tax. L'obiettivo è semplice: obbligare i colossi dell'economia digitale a pagare le tasse in tutti i Paesi dove operano nel Vecchio Continente. E non solamente in quello dove hanno stabilito la residenza fiscale. Il caso irlandese è un classico esempio - queste aziende scelgono Paesi con un fisco amico in Europa come centro di operazioni, per andare poi a generare i veri profitti in altre nazioni a tassazione più elevata. "Non dobbiamo più permettere che queste imprese facciano affari in Europa, mentre pagano una somma minima in tasse al nostro fisco", hanno scritto i Ministri del Tesoro di Italia, Francia, Germania e Spagna, che puntano a varare una sorta di "tassa compensativa", che dovrebbe venire applicata in tutta l'Unione, non solo nell'Eurozona. Tra le ipotesi che circolano, un'imposta sulla pubblicità online e una ritenuta alla fonte. Questo almeno secondo la proposta estone. I big europei dovranno vedersela con l'opposizione dei Paesi che -proprio grazie alla bassa tassazione delle multinazionali- hanno costruito la loro capacità di attrazione. I tempi non si annunciano brevi.

9/9/2017

L'Europa si muove, pur con notevole ritardo, per mettere fine al "turismo fiscale" da parte delle multinazionali internet. Bruxelles sta studiando una web tax europea, che superi l'attuale falla nel sistema, che permette a numerosi colossi online di operare in più Paesi del Continente, pagando le tasse solo in uno di questi.

Che -casualmente- è anche quello che offre la fiscalità più bassa. Come il caso irlandese insegna. Il tema sarà sul tavolo dell'Ecofin informale in programma il prossimo weekend a Tallinn: nel documento preparato dalla presidenza estone dell'Unione, viene messo nero su bianco come affrontare le sfide dell'economia digitale comporta la "modifica del concetto di stabilimento permanente". "Anche senza presenza fisica", un'azienda con una "presenza digitale significativa" nei Paesi dove opera, dovrebbe prendersi una "residenza virtuale", che la costringerebbe a sottostare alla loro tassazione sulle imprese. L'iniziativa di Tallinn ha ricevuto l'immediato appoggio dei quattro big europei - Italia, Germania, Francia e Spagna. Che hanno sottoscritto una dichiarazione politica congiunta. Secondo il Tesoro, l'iniziativa "ha lo scopo di sollecitare un'imposizione delle imprese che svolgono attivita' economica in Europa senza corrispondere un livello di tassazione adeguata, mettendo a repentaglio i principi di equita' fiscale e la sostenibilita' del modello economico e sociale del continente".