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7/9/2017

E' ormai muro contro muro tra Barcellona e Madrid, dopo il voto del parlamento catalano sul referendum per l'indipendenza dalla Spagna.

Lo scontro fra treni nella politica spagnola è ormai un dato di fatto, dopo l'atto di convocazione ufficiale, da parte del Parlamento catalano, del referendum sull'indipendenza dalla Spagna per il prossimo primo ottobre. La durissima reazione di Madrid non si è fatta attendere: il premier iberico Mariano Rajoy ha annunciato che il Governo, riunito in sessione straordinaria, ha dato ordine all'avvocatura dello Stato di presentare un "immediato ricorso di incostituzionalita'" davanti alla Corte, definendo il referendum "illegale". Rajoy si è spinto oltre, annunciando che il referendum catalano non si terrà. "Un chiaro e intollerabile atto di disobbedienza alle nostre istituzioni democratiche", lo ha definito il premier spagnolo, che sta coagulando intorno a sèl'appoggio delle altre forze politiche iberiche, in primis il Partito Socialista di Sanchez. E' ormai evidente che Barcellona e Madrid -dopo lo scontro istituzionale- viaggiano su binari paralleli, in attesa del prossimo incidente: il portavoce della Generalitat catalana ha accusato il Governo centrale di Madrid di aver imposto "uno stato d'assedio latente" in Catalunya, il che non impedirà però -sostiene Barcellona- il regolare svolgimento del referendum. Giusto per non lasciare spazio a dubbi ulteriori, i lavori del Parlamento catalano sono ripresi con l'esame della Legge sulla Transizione, che dovrebbe regolare il passaggio dallo Stato spagnolo alla Repubblica Catalana, in caso di vittoria del sì al referendum. Lo spazio per il dialogo tra i due centri di potere appare ormai inesistente.

7/9/2017

In corso a Bruxelles la conferenza stampa del caponegoziatore europeo Michel Barniersulla Brexit. Conferenza stampa improvvisa, nel mezzo di negoziati non proprio semplici.

La Commissione Europea si è focalizzata oggi in particolare sulla questione del confine nordirlandese, indicando la necessità di continuare a tutelare e consolidare in ogni sua parte l'Accordo del Venerdì Santo, dopo il ritiro del Regno Unito dall'Unione Europea così come di continuare a riconoscere la zona di libera circolazione tra i due Paesi. Bruxelles ha messo nero su bianco che nella prima fase dei negoziati intende raggiungere un'intesa con Londra proprio sulle conseguenze del suo ritiro sull'Accordo del Venerdì Santo e sulla zona di libero spostamento. Solo successivamente, la discussione si sposterà sulla ricerca di soluzioni flessibili per evitare l'insorgere di una frontiera fisica sull'isola di Irlanda. Rischio concreto, nel caso la Gran Bretagna sospendesse gli attuali accordi doganali con l'Europa. Intanto ha preso il via a Londra il dibattito ai Comuni sulla legge quadro che revoca la normativa europea, il Brexit Repeal Bill. Quello che sarebbe dovuto essere un passaggio formale rischia di trasformarsi in un calvario per la premier Theresa May: i laburisti intendono votare contro il provvedimento e sperano in una ribellione dei deputati conservatori filoeuropei. Sempre più forti le crepe nell'esecutivo britannico, dove i Ministri più tiepidi verso la Brexit non accettano la probabile stretta sull'immigrazione, annunciata in settimana dal Guardian.

9/8/2017

Si estende -in Europa- il caso delle uova contaminate, che ieri ha raggiunto anche il piccolo Granducato di Lussemburgo, portando così a otto il numero di Paesi comunitari toccati dall'allerta sanitaria - Italia fortunatamente esclusa.

Il caso è esploso la scorsa settimana in Olanda, dove le autorità hanno individuato una concentrazione particolarmente elevata del pesticida fipronil -definito dall'OMS "moderatamente pericoloso"- all'interno di alcune partite di uova. Nel giro di pochi giorni, altri lotti contaminati sono stati scoperti nei Paesi limitrofi, principalmente del centro-nord Europa, facendo scattare un allarme generale. Ieri le autorità olandesi hanno reso noto di aver avviato test anche sulla carne di pollo, nelle aziende in cui sono state rinvenute le uova contaminate. Contemporaneamente, sono scattate le contromisure: i supermercati di Germania, Olanda e Belgio hanno ritirato dai loro scaffali milioni di uova. E milioni di polli rischiano adesso di essere abbattuti. Intanto la Commissione Europea "potrebbe aprire una procedura di infrazione" contro il Belgio, qualora dovesse essere confermato il ritardo -da parte delle autorita' nazionali- nelle comunicazioni sul caso delle uova contaminate.

7/8/2017

Downing Street non conferma. Anzi, smentisce ufficialmente le indiscrezioni di stampa sulla volontà di chiudere il contenzioso finanziario post-Brexit con Bruxelles, staccando un assegno da 40 miliardi.

Il caos all'interno del Governo May sembra aumentare di settimana in settimana, a soli due mesi dalle elezioni, con la premier che -dopo le rumorose anticipazioni del Sunday Telegraph- ha mandato un portavoce in televisione a smentire tutto. La verità -a quanto è possibile ricostruire- è che le divisioni e le spaccature prosperano: non solo al'interno del Governo, tra Ministri euroscettici e Ministri eurofili. Ma anche tra l'esecutivo e il centinaio di funzionari che stanno lavorando sul dossier Brexit. A questi ultimi andrebbero fatte risalire le indiscrezioni sul conto da 40 miliardi. "E' molto difficile per questo Governo mettere sul tavolo una posizione chiara", ha commentato l'ex-alto diplomatico Simon Fraser, esplicitando quanto è sotto gli occhi di tutti. A livello formale, i negoziati tra Londra e Bruxelles riprenderanno a fine agosto: la prossima settimana i britannici dovrebbero pubblicare il primo di una serie di documenti preparatori. Chi non sembra capirci più nulla sono gli stessi che un anno fa sono andati alle urne per votare al referendum: il 61% dei cittadini britannici, secondo un sondaggio, disapprova l'operato del Governo May sullaBrexit.

3/8/2017

"La possibilità che l'operazione Sophia proceda con la fase tre, all'interno delle acque libiche, è prevista fin dall'inizio del suo mandato. Se le autorità di Tripoli lo chiederanno, siamo pronti ad agire": così il Commissario Europeo all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos, in un'intervista all'Ansa, guarda ai possibili sviluppi della missione, il cui mandato è stato appena rinnovato ed ampliato.

Avramopoulos ha toccato anche il tema rimpatri: "occorre che il loro processo sia accelerato e le procedure snellite", dice, riferendosi al fatto che -spesso- solo la detenzione obbliga i migranti economici -che non hanno diritto a restare- a cooperare con le autorità. Avramopoulos loda in questo senso la legge Minniti. Infine, dal Commissario Europeo, l'invito affinchè tutte le Ong aderiscano al codice di condotta proposto dal Viminale. Sempre da Bruxelles, una portavoce della Commissione ha preferito non prendere posizione sul sequestro della nave Iuventa, ordinata dalla procura di Trapani. "Fiducia nelle autorità italiane", si limita a dire.

3/8/2017

E' ormai un caso la "guerra ai turisti" in corso in questi giorni a Barcellona e nel resto della Spagna.

Una vicenda ha come protagonista il gruppo Arran, ala giovanile del partito radicale CUP, tra i principali sostenitori dell'indipendenza catalana da Madrid. Nei giorni scorsi Arran ha assaltato, imbrattandolo, uno dei numerosi autobus turistici che circolano sulle strade di Barcellona, imbrattandolo con scritte contro i turisti. Nei giorni successivi le azioni del gruppo si sono estese al resto dei Paesi catalani, quali Baleari e Comunidad Valenciana. Preso d'assalto un ristorante a Palma de Mallorca, dove l'azione vandalica si è estesa agli yacht ormeggiati al porto. Proteste pure a Valencia. L'associazione degli albergatori di Barcellona ha denunciato che -solo quest'anno- sette hotel sono stati oggetto di azioni vandaliche. L'obiettivo è sempre lo stesso: protestare contro l'eccessivo sfruttamento turistico della città. Questione che, al di là dei deprecabili vandalismi, è da anni oggetto di denunce da parte dei residenti, esasperati da orde di turisti spesso ubriachi e irrispettosi delle più elementari regole civili. Una questione complessa, per una città e una regione -la Catalunya- che solo lo scorso giugno hanno incassato oltre 2 miliardi di euro dal turismo straniero, + 18% in un anno. E non finisce qui: a partire da domani inizierà uno sciopero a singhiozzo dei lavoratori ai varchi di sicurezza dell'aeroporto di Barcellona. Un consiglio: armarsi di pazienza, e prepararsi ad ore di coda in attesa di effettuare i controlli.

3/8/2017

Stx e Tim diventano il terreno di scontro principale, in un braccio di ferro industriale tra Italia e Francia. Intervenendo alla Camera, il Ministro dello Sviluppo Economico Calenda ribadisce la linea della fermezza con Parigi.

Ma minaccia anche il ricorso allagolden share, laddove possibile. Calenda non cede sulle linee rosse prospettate martedì, dopo l'incontro col Ministro francese Le Maire. Difende l'operato di Fincantieri nella vicenda, poi tuona contro i rigurgiti di nazionalismo e protezionismo. Tiene la porta aperta con Parigi: "non c'e' dubbio che la costruzione di un grande campione del settore navale sia un progetto meritevole di essere studiato, ma cio' non fa venire meno la necessita' di rispettare i patti". Attacca -Calenda- coloro che chiedono rappresaglie contro la Francia: "una cosa è difendere l'interesse e la dignità nazionale, altra cosa è minacciare chiusure o ritorsioni basate sulla nazionalità dell'investitore". In realtà, il Governo è nei fatti già passato al contrattacco. Nelle stesse ore Palazzo Chigi avvia un'istruttoria per individuare i possibili presupposti per esercitare la golden share su Tim, avvolta nella nebbia dei piani della francese Vivendi. Calenda nega che le due vicende siano collegate. Ma è impossibile non cogliere un nesso.

2/8/2017

Linea della fermezza, mantenendo aperto un canale di dialogo costruttivo con Parigi. Anche se -nel frattempo- è nei fatti iniziata una guerra industriale strisciante tra Italia e Francia.

Alla Camera, il Ministro dello Sviluppo Economico Calenda non cede sulle linee rosse prospettate nella vicenda Stx. Difende l'operato di Fincantieri nella vicenda, poi tuona contro i rigurgiti di nazionalismo e protezionismo. Tiene la porta aperta con Parigi: "non c'e' dubbio che la costruzione di un grande campione del settore navale sia un progetto meritevole di essere studiato, ma cio' non fa venire meno la necessita'di rispettare i patti". Attacca -Calenda- coloro che chiedono rappresaglie contro la Francia: "una cosa è difendere l'interesse e la dignità nazionale, altra cosa è minacciare chiusure o ritorsioni basate sulla nazionalità dell'investitore". In realtà, il Governo è nei fatti già passato al contrattacco. Nelle stesse ore Palazzo Chigi avvia un'istruttoria per individuare i possibili presupposti per esercitare la golden share su Tim, avvolta nella nebbia dei piani della francese Vivendi. Calenda nega che le due vicende siano collegate. Ma è impossibile non cogliere un nesso.

2/8/2017

Vertice storico oggi a Berlino tra Governo tedesco, dirigenti dell'industria automobilistica, governatori dei Laender, rappresentanti sindacali e imprese.

L'obiettivo, in un Paese duramente colpito dallo scandalo Dieselgate, è trovare soluzioni concrete per ridurre i gas inquinanti dei motori diesel, al fine di evitare il rischio di divieto totale di circolazione per tutte le vetture a gasolio, che alcune grandi città tedesche stanno introducendo. Presenti al forum tutti i principali costruttori di vetture diesel, tra cui Volkswagen, Daimler, Opel e Ford. In gioco ci sono numeri importanti: oltre 800mila occupati nel settore, 13 milioni di proprietari di auto diesel, oltre un miliardo di euro di sovvenzioni statali elargite a livello federale per ricerca e sviluppo, negli ultimi dieci anni. Il tutto, mentre il Dieselgate -nato con la scoperta di software elettronici manipolati da Vokswagen per aggirare i controlli sulle emissioni- ha seriamente minato la credibilità delle case costruttrici. E mentre città come Stoccarda, sede di Mercedes e Porsche, stanno per implementare il bando totale di vecchi veicoli diesel inquinanti dal centro. "L'industria automobilistica si è messa in una situazione difficile, adesso deve assumersi delle enormi responsabilità per riguadagnare la fiducia persa", ha detto il ministro dei Trasporti, Alexander Dobrindt. La Germania ha già ricevuto un avvertimento dalla Commissione Europea sulla qualità dell'aria nelle grandi città.

1/8/2017

All'uscita programmata della Gran Bretagna dall'Unione Europea -nel marzo 2019- cesserà anche il libero movimento dei cittadini comunitari verso il Regno Unito.

Nel caos generale che sta contraddistinguendo gli ultimi mesi, la premier britannica Theresa May prova a mettere un po' di ordine, agitando lo spettro più temuto dai partner comunitari. Nell'annuncio, però, la May non specifica cosa accadrà concretamente dopo: se, come suggerito dai Ministri Hammond e Rudd, pedine di peso dell'esecutivo, fino al 2022 entrerà in vigore un periodo transitorio, durante il quale basterà registrarsi per trasferirsi Oltremanica. O se, come sostiene un altro Ministro, Liam Fox, non c'è alcuna intesa in seno al Governo su questo periodo transitorio. Ad aggiungere confusione, la dichiarazione del Ministro della Salute Hunt, secondo cui la sanità britannica continuerà a reclutare medici e personale europei anche dopo laBrexit - almeno fino a quando non sarà stata varata una nuova politica migratoria. E' noto come il sistema sanitario britannico rischi il collasso, se privato di dottori e infermieri dal Continente. Il tutto mentre è scaduto alla mezzanotte di ieri il termine per le candidature per ospitare l'Agenzia del farmaco e l'Autorita' bancaria europea, che lasceranno Londra a causa della Brexit. L'Italia ha partecipato alla competizione per l'Ema, offrendo la sede di Milano. Un obiettivo su cui si è avventato anche il Governo spagnolo, che ha formalizzato ieri la candidatura di Barcellona. Otto -in totale- i competitor più seri per la candidatura di Milano.

31/7/2017

Fine del libero movimento dei cittadini europei verso il Regno Unito a partire dal marzo 2019. Nel caos generale che sta contraddistinguendo gli ultimi mesi, la premier britannica Theresa May prova a mettere un po' di ordine, agitando lo spettro più temuto dai partner comunitari.

Nell'annuncio, però, la May non specifica cosa accadrà concretamente dopo: se, come suggerito dai Ministri Hammond e Rudd, pedine di peso dell'esecutivo, fino al 2022 entrerà in vigore un periodo transitorio, durante il quale basterà registrarsi per trasferirsi Oltremanica. O se, come sostiene un altro Ministro,Liam Fox, non c'è alcuna intesa in seno al Governo su questo periodo transitorio. Ad aggiungere confusione, la dichiarazione del Ministro della Salute Hunt, secondo cui la sanità britannica continuerà a reclutare medici e personale europei anche dopo laBrexit - almeno fino a quando non sarà stata varata una nuova politica migratoria. E' noto come il sistema sanitario britannico rischi il collasso, se privato di dottori e infermieri dal Continente. Il tutto mentre scade a mezzanotte il termine delle candidature per ospitare l'Agenzia del farmaco e l'Autorita' bancaria europea, che lasceranno Londra a causa della Brexit. Oltre trenta, secondo le indiscrezioni, le citta'in corsa. L'Italia partecipa alla competizione per l'Ema con Milano. Un obiettivo su cui si è avventato anche il Governo spagnolo, che ha appena formalizzato la candidatura di Barcellona. Otto -in totale- i competitor più seri di Milano.

31/7/2017

Arrivano le critiche del presidente del Parlamento Europeo Tajani alla nazionalizzazione di Saint Nazaire da parte del Governo francese: "pone sicuramente un problema politico generale. Non e' questa la strada per dare all'Europa una politica industriale e una politica industriale per la difesa. Abbiamo bisogno di campioni europei, e non di campioni nazionali", afferma Tajani in un'intervista al Corriere della Sera.

"Non e' una questione tra Italia e Francia", dice, "ma qualcosa di molto piu' importante. Non e' nazionalismo italiano, pongo la questione di quale sia la strategia vincente. La cantieristica francese avrebbe solo benefici da Fincantieri, tanto piu' che la gestione coreana si e' rivelata inadeguata". Spinge insomma sulla questione dei campioni europei il presidente dell'assemblea di Strasburgo, in giornate molto calde sull'asseRoma-Parigi. Il Governo transalpino starebbe cercando di chiudere la contesa con Roma, proponendo al nostro esecutivo di allargare la cooperazione relativa a Saint-Nazare, al fine di costruire un campione europeo dell'industria navale, mediante una cooperazione militare. A questo proposito il Ministro dell'Economia Bruno le Maire sarà domani a Roma, per incontrare i Ministri dell'Economia Padoan e dello Sviluppo Economico Calenda: obiettivo di Parigi è resettare giorni di tensione, con un gesto d'apertura. Basterà?

28/7/2017

L'emergenza migranti si trasforma nell'ennesimo scontro -stavolta strisciante- tra Francia e Italia, in una giornata fatta di botta e risposta a distanza, e da colloqui diretti ai massimi livelli, che si chiudono in serata con un ramoscello d'ulivo lanciato dall'Eliseo.

Parigi precisa di non voler emarginare alcun partner europeo, in particolare l'Italia, nella gestione della crisi libica. E si dice anzi disponibile ad ulteriori azioni di solidarieta' nel controllo delle frontiere, ad esempio con il rafforzamento di Frontex, e nelle rilocalizzazioni. Sarà, ma la giornata ha proposto spartiti diversi, con la fuga in avanti dello stesso Macron, che da Orleans annunciava la creazione di hotspots in Libia per la presa in carico delle domande di asilo, al fine di scoraggiare i migranti dall'affrontare pericolose traversate nel Mediterraneo. L'annuncio spiazzava tutti, Italia ed Europa comprese. Più tardi veniva parzialmente rettificato, ma solo nella tempistica: hotspots pronti non dall'estate, ma da quando ci saranno le condizioni di sicurezza necessarie. Su un punto Macron non molla: l'accoglienza dei migranti economici, che arrivano a decine di migliaia sulle nostre coste. Qui l'atteggiamento permane di chiusura, nonostanteGentiloni li includa nella sua richiesta di aiuto. Gentiloni che incassa il sostegno del candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca Schulz, e che -sollecitato a replicare alle parole di Macron sugli hotspots in Libia- marca una chiara distanza da Parigi.

27/7/2017

Il premier Gentiloni chiede un impegno comune sui migranti, mentre Parigi annuncia hotspot in Africa a partire da questa estate.

Le nuove richieste di aiuto dell'Italia si intrecciano con l'ennesimo balzo in avanti francese. Ricevendo il candidato Spd alla cancelleria Martin Schulz, Gentiloni ribadisce lo spartito seguito negli ultimi mesi. "Il messaggio e' che serve un impegno comune, non ci rassegniamo all'idea che questa sfida migratoria -anche dei migranti economici- possa essere lasciata a singoli Paesi, per scelta del caso e della geografia", dice. Schulz, da ex-presidente dell'Europarlamento, non si tira indietro: "non si possono lasciare soli i Paesi, abbiamo bisogno di una politica sui migranti solidale. E' il momento giusto per prendere iniziative vincolanti su immigrazione legale e criteri di redistribuzione". Ma la notizia di giornata arriva da Orleans, con il presidente francese Macron che annuncia la creazione di hotspots in Libia per la presa in carico delle domande di asilo, al fine di scoraggiare i migranti dall'affrontare pericolose traversate nel Mediterraneo. Un annuncio che spiazza tutti, e che nel corso della giornata viene parzialmente rettificato dall'Eliseo: "procederemo con gli hotspots in Africa quando ci saranno le condizioni di sicurezza necessarie. Ora non ci sono". L'idea sarebbe quella di coinvolgere anche l'Onu. Su un punto Macron resta inflessibile: l'accoglienza dei migranti economici. Qui le distanze con l'Italia restano inconciliabili.

27/7/2017

"Sui migranti serve un impegno comune": incontrando a Roma il candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca Martin Schulz, il premier Gentiloni rilancia il suo appello all'Europa, per una decisa virata verso una politica pienamente integrata.

Schulz, da ex-presidente dell'Europarlamento, non si tira indietro: "non si possono lasciare soli i Paesi, abbiamo bisogno di una politica sui migranti solidale. E' il momento giusto per prendere iniziative vincolanti su immigrazione legale e criteri di redistribuzione", dice. Peccato solo che difficilmente vincerà lui le prossime elezioni, per cui l'iniziativa resterà con ogni probabilità nel campo di Angela Merkel. Il tutto mentre la Francia, nel suo attuale iperattivismo diplomatico, torna a lanciaresegnali non esattamente edificanti: in visita a Roma, la Ministra per gli Affari Europei Loiseau ha ribadito che Parigi non considera la modifica delle regole europee per l'accoglienza dei migranti. Una pietra tombale sulla modifica del regolamento di Dublino. Allo stesso tempo, il presidente francese Macron spiazza tutti, lanciando l'iniziativa di creare hotspot su suolo africano già da questa estate, per filtrare le domande dei richiedenti asilo, senza che intraprendano pericolose traversate via mare.

27/7/2017

Rispetto del regolamento di Dublino anche in caso di emergenza migratoria, e stop ai ricorsi dell'Est Europa contro i ricollocamenti dei rifugiati. Dalla Corte di Giustizia Europea notizie agrodolci per l'Italia, proprio nel giorno in cui dalla Commissione si passa alle maniere forti contro quelle nazioni che -proprio sui ricollocamenti- continuano a fare orecchie da mercante.

Andiamo per ordine: la Corte Europea conferma la validità di uno dei principi più contestati tra le normative comunitarie. Quello secondo cui il Paese di primo approdo di un immigrato è il responsabile della sua richiesta di asilo. E stabilisce che non ammette eccezioni. Lo fa in una causa relativa alla Croazia, ma il suo impatto sull'Italia è maggiore. Questo per le cattive notizie. Mentre è positivo il pronunciamento dell'avvocato generale della stessa Corte, che chiede di respingere i ricorsi di Slovacchia e Ungheria contro il meccanismo di ricollocazione provvisorio dei profughi, deciso per alleviare i flussi verso Italia e Grecia. A peggiorare le cose per il gruppo dei Paesi dell'Est -contrari alle quote- la notizia che la Commissione è passata alla seconda fase della procedura di infrazione contro Budapest, Varsavia e Praga per il mancato rispetto degli obblighi sui ricollocamenti. A darne notizia il Commissario alla Migrazione Avramopoulos. Il quale ha annunciato che a giugno i ricollocamenti di rifugiati da Italia e Grecia hanno ripreso vigore. Mille immigrati hanno lasciato la Penisola nel corso del mese, portando il totale a quasi ottomila. Avramopoulos ha spinto per una revisione del regolamento di Dublino, alla luce anche della sentenza della Corte.

26/7/2017

Una serie di sentenze e pronunciamenti della Corte Europea di Giustizia riporta sotto i riflettori il regolamento di Dublino e -le più recenti- misure per il ricollocamento dei migranti, con notizie agrodolci per l'Italia.

Il primo pronunciamento pone una pietra tombale sulle speranze di trovare sentieri alternativi alle norme in vigore, in caso di crisi migratoria. Esaminando i ricorsi di cittadini siriani e afghani, che si sono visti contestare le domande di asilo presentate in Austria e Slovenia -in quanto entrati in Europa da territorio croato- i giudici di Lussemburgo hanno stabilito che anche in periodi di emergenza tocca allo Stato di ingresso esaminare tale domanda. Nel secondo, che non è una sentenza, ma la proposta dell'avvocato generale della Corte, si suggerisce il respingimento dei ricorsi di Slovacchia e Ungheria contro il meccanismo di ricollocazione provvisorio dei profughi, deciso a livello comunitario per alleviare i flussi verso Italia e Grecia. A peggiorare le cose per il gruppo dei Paesi dell'Est Europa -contrari alle quote- la notizia che la Commissione è passata alla seconda fase della procedura di infrazione contro Budapest, Varsavia e Praga per il mancato rispetto degli obblighi sui ricollocamenti. A darne notizia il Commissario alla Migrazione Avramopoulos. Il quale ha annunciato che a giugno i ricollocamenti di rifugiati da Italia e Grecia hanno ripreso vigore. Mille immigrati hanno lasciato la Penisola nel corso del mese, portando il totale a quasi ottomila. Avramopoulos ha invitato ad accelerare sui ricollocamenti, e ha spinto per una revisione del regolamento di Dublino, alla luce anche della sentenza della Corte.

26/7/2017

"Un coraggio storico": così il presidente francese Macron ha salutato l'intesa sottoscritta ieri alle porte di Parigi dai due uomini forti libici.

Il leader ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale -al Sarraj- e il comandante dell'Esercito nazionale Khalifa Haftar. Intesa che spiana la strada a elezioni generali probabilmente già la prossima primavera, stando a quanto dichiarato da Macron, e che -soprattutto- impegna i due leader a un cessate il fuoco, limitando le attività armate alla sola lotta contro il terrorismo. Significativo infine l'impegno comune per la costruzione di uno Stato di diritto, insieme allo smantellamento delle milizie paramilitari. Nè è da sottovalutare, al punto otto della dichiarazione, l'intesa per un lavoro comune sul controllo dei flussi migratori in transito, lottando contro i trafficanti di esseri umani. Parole che saranno messe ora alla prova concreta dei fatti. Da parte sua il presidente francese Macron ha ringraziato il premier italiano Gentiloni per il lavoro svolto, precisando che l'Italia è pienamente associata all'iniziativa per la stabilizzazione e la pacificazione della Libia. Postilla necessaria, considerato l'intervento a gamba tesa di Parigi in un'area dove il lavoro diplomatico italiano è significativo. Proprio oggi Gentiloni vedrà al-Sarraj a Roma: Tripoli sarebbe pronta a dichiarare ufficialmente la propria "area di ricerca e salvataggio" in mare, e starebbe lavorando con l'Italia ad un progetto di fattibilita'.

25/7/2017

Importanti spiragli di ottimismo sulla soluzione del caos politico in Libia, con importanti ricadute anche sulla lotta al traffico di esseri umani sulla rotta del Mediterraneo Centrale: "credo che oggi il processo di pace in Libia abbia fatto grandi progressi", ha dichiarato poco fa il presidente francese Emmanuel Macron al termine dell'incontro a Parigi tra il presidente del Consiglio presidenziale di Tripoli Fayez al-Sarraj e il comandante dell'Esercito nazionale libico Khalifa Haftar.

Macron ha annunciato che i due leader, riuniti al castello di La Celle-Saint-Cloud, alle porte di Parigi, hanno adottato la prima dichiarazione congiunta sull'avvenire del Paese, che prevedono un'intesa su elezioni nella primavea 2018 e un cessate il fuoco. "La pace puo' vincere", ha aggiunto Macron, parlando di "impegno storico". Il presidente francese, conscio delle polemiche seguite a questo intervento a gamba tesa di Parigi, in un'area dove è intenso il lavoro diplomatico italiano, ha ringraziato il premier Gentiloni. "L'Italia e' pienamente associata" nell'iniziativa per la stabilizzazione e la pacificazione della Libia", ha tenuto a precisare Macron. Gentiloni vedrà domani a Roma il premier libico al-Sarraj, proprio mentre Tripoli sarebbe pronta a dichiarare ufficialmente la propria 'area di ricerca e salvataggio', e starebbe lavorando con l'Italia ad un progetto di fattibilita'. L'indiscrezione emerge all'indomani dell'incontro dei Ministri dell'Interno euroafricani a Tunisi.

20/7/2017

Si prepara un nuovo capitolo nella saga che contrappone Roma e Vienna sulla questione migranti, anche se -prevedibilmente- dovrebbe segnare un abbassamento dei toni -se non altro diplomatico- tra le due capitali: oggi il Ministro degli Esteri Alfano incontra a Vienna l'omologo austriaco Sebastian Kurz, giovane leader del partito di centrodestra Oevp, attualmente in testa nei sondaggi in vista delle elezioni di ottobre.

Emergenza migranti e rotta del Mediterraneo centrale nell'agenda. Lo stesso Alfano, prima di spostarsi nella capitale austriaca, ha lanciato un messaggio conciliante da Bolzano: "al Brennero le cose funzionano bene, continueremo a garantire il massimo della sicurezza". Ma non ha risparmiato una stoccata polemica al vicino austriaco, quando ha aggiunto che i toni sull'immigrazione tra i due Paesi si abbasseranno, non prima però delle prossime elezioni a Vienna. Il tutto mentre a Roma il Ministro dell'Interno Minniti negava la necessità di ricorrere alla dichiarazione dello stato di emergenza sui migranti: "la politica sui flussi migratori, salvo eventi straordinari, deve essere affrontata in modo strutturale e lontano da logiche emergenziali", diceva Minniti al questiontime. Intanto il sindaco pentastellato di Civitavecchia, Cozzolino, annunciava: "l'hotspot qui non si fara', aderiremo al progetto Sprar, ma ci hanno assicurato che l'hotspot non e' in programma".

19/7/2017

Non ci sono le condizioni per la dichiarazione dello stato di emergenza sui migranti: a dichiararlo il Ministro dell'Interno Marco Minniti, nel corso del question time.

"Ne' il Ministero ne' il Governo ritengono sussistere tali condizioni", ha precisato Minniti, secondo cui "la politica sui flussi migratori, salvo eventi straordinari, deve essere affrontata in modo strutturale e lontano da logiche emergenziali". Sul tema è intervenuto da Bolzano anche il Ministro degli Esteri Alfano: "al Brennero le cose funzionano bene, noi continueremo a garantire il massimo della sicurezza, così come e' stato in questi anni e così come sta accadendo in questi giorni". Per Alfano, dopo le elezioni austriache, previste a metà ottobre, si abbasseranno inevitabilmente anche i toni sull'asse Roma-Vienna. Le dichiarazioni rassicuranti del titolare della Farnesina sono state riprese con ampio risalto dai media austriaci. Il tutto mentre Bolzano è stata teatro anche dell'incontro tra rappresentanti della Lega Nord e del partito di estrema destra austriaco Fpoe, attualmente secondo nei sondaggi elettorali: al centro del meeting tra l'europarlamentare leghista Fontana e il segretario generale Fpoe Vilimsky le misure di contrasto all'immigrazione clandestina e quelle per risolvere il caos libico.

19/7/2017

A tre mesi dalle elezioni, la politica austriaca non perde di vista il Brennero, centro focale di una partita destinata ad essere giocata soprattutto a destra.

Non stupisce dunque che lo stesso presidente austriaco, il verde Alexander Van der Bellen, prodotto di quel fronte repubblicano coalizzatosi contro l'estrema destra, si dica preoccupato per il botta e risposta tra Vienna e Roma sulla questione migranti. Poi però smorza: "vorrei tranquillizzare, in entrambi i Paesi sono in vista elezioni. Si tratta di momenti che non si prestano a discussioni pacate, tantomeno a soluzioni", ha detto Van der Bellen. Sarà, ma l'Oevp, partito di centrodestra in testa nei sondaggi, è da giorni un profluvio di dichiarazioni anti-immigrati: ieri il Ministro dell'Interno Sobotka, in un'intervista alla Bild Zeitung, ha ha minacciato per l'ennesima volta la chiusura della frontiera al Brennero. "La chiuderemo, se il numero di migranti illegali verso l'Austria aumenterà", ha detto. Sobotka chiede anche pene severe per i "sedicenti soccorritori dei mari", accusando leOng di cooperare direttamente con i trafficanti sulle coste libiche. E prevede un possibile degenerare della situazione, sul fronte degli arrivi. I media austriaci, da parte loro, parlano apertamente di "irritazione italiana" nei confronti delle continue uscite di esponenti del Governo di Vienna, tra cui il giovane leader di centrodestra Kurz. Sullo sfondo, il possibile approdo dell'estrema destra Fpoe al Governo di Vienna, a ottobre.

18/7/2017

Ribadisce, l'Unione Europea, che l'Italia non può rilasciare permessi per circolare liberamente nell'area Schengen ai richiedenti asilo, mentre l'Austria torna a fare la voce grossa sul Brennero.

Il tema migranti lascia inquiete le capitali europee, con un deja vu di dichiarazioni e minacce che gravitano ancora una volta intorno al confine tirolese. Il ministro degli Interni austriaco Sobotka ha minacciato per l'ennesima volta la chiusura della frontiera del Brennero: "la chiuderemo, se il numero di migranti illegali verso l'Austria aumenterà", ha detto in un'intervista al tabloid tedesco Bild Zeitung. Sobotka chiede anche pene severe per i "sedicenti soccorritori dei mari", accusando le Ong di cooperare direttamente con i trafficanti sulle coste libiche. E prevede un possibile aggravamento della situazione, sul fronte degli arrivi. Questo mentre i media austriaci danno ampio rilievo all'irritazione italiana sulle continue dichiarazioni dei politici di Vienna. Da ultima, quella del leader di centrodestra Fpoe Sebastian Kurz, anche lui convinto della necessità di chiudere il Brennero, in caso di nuove ondate. Dichiarazioni figlie della campagna elettorale: questo mentre in un'altra campagna elettorale, quella tedesca, il candidato Spd Schulz dice: "i profughi devono essere distribuiti equamente nella Unione Europea. Da questo faro' dipendere i pagamenti tedeschi all'Unione".

18/7/2017

Un contrasto che stride, quello tra Italia e resto dell'Europa, in tema di occupazione e giovani. Contrasto che emerge dall'indagine annuale della Commissione sull'occupazione e gli sviluppi sociali.

Le premesse sono positive: nell'Unione il tasso di occupazione non è mai stato così elevato - oltre 234 milioni di lavoratori. Il problema emerge però quando il rapporto arriva al capitolo italiano. Il nostro Paese stabilisce infatti il record comunitario di giovani inattivi: coloro che non sono impegnati nè in attività di formazione nè lavorative erano pari al 19,9%, lo scorso anno. Otto punti sopra la media comunitaria. In calo sì, rispetto al 2015, ma pur sempre al top europeo, davanti persino a Grecia, Romania, Spagna e Bulgaria. Nè può consolare il fatto che -per disoccupazione giovanile- siamo terzi a livello continentale: lo scorso anno ha sfiorato una media del 38%, dietro Grecia e Spagna. Essere giovani, in Italia, non appare proprio un bonus: se hai meno di 30 anni guadagni poco più della metà di un lavoratore ultrasessantenne. Per questo saluti il nido famigliare dopo i 30. Tutte cose che già sappiamo. Ma l'Europa fa bene a ricordarcele.

17/7/2017

Record europeo di giovani inattivi in Italia: la denuncia arriva dal rapporto europeo sullo stato dell'occupazione e dello sviluppo sociale, che mette nero su bianco come i giovani connazionali non sono impegnati nè in attività di formazione nè lavorative erano pari al 19,9%, lo scorso anno.

Otto punti sopra la media comuitaria. In calo sì, rispetto all'anno precedente, ma pur sempre al top europeo, davanti persino a Grecia, Romania, Spagna e Bulgaria. Nè può consolare il fatto che -per disoccupazione giovanile- siamo terzi a livello continentale: lo scorso anno ha sfiorato una media del 38%, dietro Grecia e Spagna. Non è purtroppo l'unico record di cui soffre -in negativo- il nostro Paese: siamo anche la nazione europea dove la differenza tra uomini e donne che lavorano è al 20%, dove il numero di persone che vivono in povertà estrema è al 12, e dove chi un impiego magari lo trova... in oltre il 15% dei casi si deve rassegnare a contratti atipici. Essere giovani, in Italia, non appare proprio un bonus: se hai meno di 30 anni guadagni poco più della metà di un lavoratore ultrasessantenne. Per questo saluti il nido famigliare dopo i 30. Tutte cose che già sappiamo. Ma l'Europa fa bene a ricordarcele.

16/7/2017

Un mea culpa di Emmanuel Macron sul ruolo svolto dalla Francia nell'Olocausto, e un invito al rilancio dei negoziati di pace israelo-palestinesi. Le commemorazioni per i 75 anni della deportazione di massa di migliaia di ebrei francesi hanno offerto lo spunto a Macron per riaffermarsi come nuovo playmaker della politica internazionale.

"E' stata la Francia a organizzare la deportazione", ha dichiarato Macron, nel corso della cerimonia a cui ha partecipato anche il premier israeliano Netanyahu. "Neanche un tedesco fu coinvolto, fu la polizia francese a collaborare con i nazisti", ha insistito il capo dell'Eliseo, bollando come "comode ma false" le tesi dell'estrema destra francese, che addossano ogni colpa al regime collaborazionista di Vichy. Un secondo mea culpa, dopo quello sul passato coloniale della Francia in Algeria, che lo scorso febbraio provocò una tempesta di reazioni nel pieno della campagna elettorale. In occasione del suo primo incontro con Macron, Netanyahu ha detto di essere venuto a Parigi "per commemorare le vittime. Settantacinque anni fa, un buio pesante scese su questa citta'". Macron ha sollecitato il premier israeliano a riprendere i negoziati di pace in Medio Oriente, evidenziando la necessita' di attuare la soluzione dei due Stati.

14/7/2017

Un anno dopo, la minaccia terrorista in Francia è ancora ben presente. Il piano Vigipirate, nato per fronteggiarla, è tuttora in vigore. Testimonianza macabra di un triennio di terrore che ha raggiunto l'apice con le stragi di Charlie Hebdo, il Bataclan e Nizza.

Senza dimenticare gli innumerevoli incidenti minori che hanno costellato gli ultimi mesi, uno su tutti l'assassinio di un poliziotto sugli Champs Elysees, alla vigilia delle ultime presidenziali. Non avere sofferto -quest'anno- un attacco di ampie proporzioni non permette ovviamente a Parigi di sentirsi al sicuro. Non gli concede questo lusso, nonostante l'arretramento territoriale dell'Isis in Medio Oriente. Gli attacchi su suolo britannico di fine maggio sono un avvertimento della necessità di tenere alta la guardia. Zone turistiche, mezzi di trasporto e luoghi ad alta affluenza sono stati dichiarati sorvegliati speciali in Francia almeno fino a settembre, quando riprenderanno le normali attività lavorative. Quello che è cambiato -negli ultimi due mesi- è il clima politico Oltralpe: all'Eliseo è arrivato un presidente giovane, ambizioso, riformatore, che proietta all'esterno un'immagine dinamica del Paese. Un presidente che ha annunciato -prossimamente- la fine dello stato di emergenza. La sua elezione ha rappresentato una catarsi, più obbligata che convinta, almeno nelle prime fasi, di un popolo fiaccato da cinque anni di crisi e di paura. La sfida, per Macron, sarà ora quella di rianimare non solo la Francia. Ma anche l'Europa. Renderla più sicura è una delle priorità assolute. Anche con una gestione integrata delle frontiere. Qui ci aspettiamo qualcosa di più, Monsieur le President.

13/7/2017

Non si sforza di mostrare il bicchiere mezzo pieno il premier Paolo Gentiloni, al termine del trilaterale con la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Macron, a margine del summit sui Balcani di Trieste.

In precedenza, Gentiloni era tornato a chiedere una condivisione politica dei migranti nell'Unione Europea, facendo leva anche su un'Europa più forte e coesa. La Merkel, da parte sua, ha riconosciuto il grande compito fin qui svolto dall'Italia, e ha reiterato la necessità di solidarietà, definendo "fantastica" l'azione di Roma. Lo sguardo della cancelliera è volato soprattutto alle politiche da intraprendere in Libia, dove la situazione va stabilizzata. La Merkel ha ribadito la necessità di lottare contro l'immigrazione illegale. Questione che la vede in piena sintonia con il francese Macron: il quale è tornato su un punto che aveva già messo in chiaro prima del G20. Non si può confondere, dice Macron, l'immigrazione illegale -quella dei migranti economici- con le persone che vengono in Europa in cerca di protezione, e che hanno diritto allo status di rifugiati. Facendo chiaramente intendere che l'impegno francese di solidarietà con l'Italia si concentrerà su questa seconda tipologia. Su questo, promette, "faremo la nostra parte". Pungola Gentiloni a fine giornata: "la distinzione che fa Macron e' legittima. Ma non si puo' ignorare la realta' delle grandi migrazioni" provocate non solamente dalle guerre.

12/7/2017

Solidarietà -ancora a parole- all'Italia sui migranti, ma sia la cancelliera tedesca Merkel che il presidente francese Macron tengono le posizioni. All'apertura del summit di Trieste sui Balcani il premier Gentiloni rilancia l'appello a un'Europa troppo spesso inerte, sull'emergenza immigrazione.

La Merkel riconosce il grande compito fin qui svolto dall'Italia, e afferma che occorre solidarietà. Definisce anzi "fantastica" l'azione di Roma, ma guarda soprattutto alle politiche da intraprendere in Libia, dove -dice- la situazione va stabilizzata. E ribadisce la necessità di lottare contro l'immigrazione illegale. Punto che la vede in piena sintonia con il francese Macron: il quale torna a ribadire un punto che aveva già messo in chiaro prima del G20. Non si può confondere, dice, l'immigrazione illegale -quella dei migranti economici- con le persone che vengono in Europa in cerca di protezione, e che hanno diritto allo status di rifugiati. Macron fa chiaramente intendere che l'impegno francese di solidarietà con l'Italia si concentrerà su questa seconda tipologia. E garantisce: "faremo la nostra parte". Da Macron l'impulso a rivitalizzare il progetto europeo, partendo dai Paesi fondatori.

12/7/2017

Tira dritto per la sua strada il Ministro dell'Economia Padoan, al termine di una due giorni a Bruxelles nella quale l'eco dell'attacco di Renzi al Fiscal Compact ha inevitabilmente lasciato il segno. Il messaggio che lancia all'Europa Padoan è uno solo, almeno finchè ci sarà questa legislatura. Continuità.

Padoan ha parlato al termine dell'Ecofin, che ha dato il via libera alla strategia per affrontare il problema dei crediti deteriorati. Tra le azioni proposte, un rafforzamento della sorveglianza bancaria, lo sviluppo di un mercato secondario per i crediti inesigibili e nuove misure per facilitare la ristrutturazione del settore bancario. Padoan ha spostato l'attenzione su un altro braccio di ferro in corso con Bruxelles: quello sull'aggiustamento strutturale dei conti allo 0,3%, così come chiesto da Roma - inferiore però a quanto chiesto dall'Europa. Questo per poter far combaciare le necessità di consolidamento di bilancio con quella di alimentare la crescita. Il vicepresidente della CommissioneDombrovskis, da parte sua, ha replicato che una risposta sarà inviata a Roma nei prossimi giorni. Infine, sulla crisi migranti, da segnalare il sostegno greco all'Italia: "le richieste di Roma all'Europa sono giuste: un problema europeo ed internazionale non puo' avere una soluzione nazionale", ha dichiarato il Ministro ellenico per le migrazioniMouzalas.

11/7/2017

Stretto tra l'incudine di un Renzi all'assalto della diligenza del Fiscal Compact e il martello di un'Europa che non sembra esattamente orientata a permetterlo, il Ministro dell'Economia Padoan risponde così a chi gli chiede se le proposte del segretario PD influenzeranno la prossima legge di stabilita'.

Padoan ha parlato al termine dell'Ecofin di Bruxelles, che ha dato il via libera alla strategia per affrontare il problema dei crediti deteriorati. Tra le azioni proposte, un rafforzamento della sorveglianza bancaria, lo sviluppo di un mercato secondario per i crediti inesigibili e nuove misure per facilitare la ristrutturazione del settore bancario. Padoan ha spostato l'attenzione su un altro braccio di ferro in corso con Bruxelles: quello sull'aggiustamento strutturale dei conti allo 0,3%, così come chiesto da Roma - e inferiore a quanto chiesto dall'Europa. Questo per poter far combaciare le necessità di consolidamento con quella di alimentare la crescita. Il vicepresidente della Commissione Dombrovskis, da parte sua, ha replicato che una risposta sarà inviata a Roma nei prossimi giorni. Infine, sulla crisi migranti, da segnalare il sostegno greco all'Italia: "le richieste di Roma all'Europa sono giuste: un problema europeo ed internazionale non puo' avere una soluzione nazionale", ha dichiarato il Ministro ellenico per le migrazioni Mouzalas. Mouzalas ha proposto di replicare con la Libia -tenendo conto delle evidenti differenze- l'intesa stretta tra Europa e Turchia sui migranti.

7/7/2017

Sarà ancora un "Trump contro tutti" sul clima? Stando alle bozze del comunicato finale del G20 circolate ieri, la spaccatura tra gli Stati Uniti e il resto della comunità internazionale potrebbe venire messa nero su bianco nella due giorni di Amburgo: tutti, Washington a parte, darebbero un chiaro segnale per una veloce applicazione dell'intesa di Parigi, limitandosi a prendere atto dell'addio americano.

Clima a parte, pure il commercio dovrebbe giocare un ruolo importante al vertice: ieri l'accordo tra Europa e Giappone ha dato -nelle stesse parole del presidente della Commissione Juncker- un forte messaggio a favore di un commercio aperto ed equo. E contro il protezionismo. Eliminati un miliardo di dazi pagati dalle imprese continentali. Un capitolo importante lo giocherà la sicurezza, intesa sia come lotta al terrorismo, sia come minaccia alla stabilità internazionale, dopo le ultime bravate del dittatore nordcoreano, che rischiano di aprire una crisi regionale. Il presidente americano Trump ieri ha lanciato messaggi in codice all'omologo russo Putin, col quale avrà oggi un primo -attesissimo- faccia a faccia. "La Russia cessi le sue attività destabilizzanti in Ucraina e in altre parti del mondo, per unirsi alla comunità di nazioni responsabili, nella nostra lotta contro nemici comuni", ha detto Trump di fronte alla piazza amica di Varsavia. Trump ha ammesso a denti stetti che Mosca può aver cercato di influenzare le elezioni presidenziali, ma ha annacquato la rivelazione con la constatazione che anche altri Paesi avrebbero cercato di farlo. Al di là dei temi del G20, il Russiagate aleggerà pesantemente sulla due giorni di Amburgo.

6/7/2017

Tutti gli occhi puntati su Tallin. Il vertice che si apre oggi in Estonia tra i Ministri dell'Interno europei, pur tecnicamente informale, deve dare risposte a un'Italia rimasta principale terminale di pressione migratoria sulla rotta del Mediterraneo centrale.

Nell'informativa di ieri in Parlamento il Ministro dell'Interno Minniti ha scelto di non rompere con un'Europa tentennante, definendo "piccoli passi" quelli fatti domenica a Parigi e martedì con il piano d'azione della Commissione Europea - che ha accolto alcune richieste italiane, e che sarà la base della discussione al summit odierno. Minniti chiede alle Ong di cooperare con la polizia giudiziaria e annuncia una riunione a Tripoli con i sindaci della Libia. "Sono convinto al 100% che si decidera' qualcosa, quello delle migrazioni non e' un tema che puo' essere risolto da un solo Paese, e' una preoccupazione congiunta di tutta l'Europa", ha dichiarato a Strasburgo il premier estone Ratas, che promette "soluzioni molto concrete". Intanto emergono nuovi dati sull'immigrazione, presentati dall'agenzia europea per l'asilo EASO. L'Italia ha ricevuto quasi 123mila domande d'asilo nel 2016, +47%. Il maggior numero di richieste di asilo ha riguardato la Germania, oltre 745mila domande. Anche Easo conferma la crescita di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale.

5/7/2017

Piccoli passi, ma è un bene che il piano d'azione della Commissione Europea abbia accolto le proposte italiane, come il codice di comportamento per le Ong che operano in mare.

Il Ministro dell'Interno Minniti non rompe con un'Unione Europea fin qui tentennante, nell'aiutare l'Italia, in attesa del vertice informale dei titolari dell'Interno a Tallinn. Minniti chiede alle Ong di cooperare con la polizia giudiziaria e annuncia una riunione a Tripoli con i sindaci della Libia, poi chiede l'unità al Parlamento su un tema cruciale come l'immigrazione. Domani le contraddizioni europee e le richieste italiane cercheranno un punto di sintesi al summit dei Ministri degli Interni europei. "Sono convinto al 100% che si decidera' qualcosa, quello delle migrazioni non e' un tema che puo' essere risolto da un solo Paese, e' una preoccupazione congiunta di tutta l'Europa", ha dichiarato a Strasburgo il premier estone Ratas, che promette "soluzioni molto concrete". Intanto emergono nuovi dati sull'immigrazione, presentati dall'agenzia europea per l'asilo EASO. L'Italia ha ricevuto quasi 123mila domande d'asilo nel 2016, +47%. Il maggior numero di richieste di asilo ha riguardato la Germania, oltre 745mila domande. Anche Easo conferma la crescita di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale, che ha registrato nel 2016 "un numero record".

5/7/2017

La crisi migratoria "e' la sfida piu' urgente da affrontare, una sfida che non vediamo da decenni: abbiamo il dovere di assistere in Europa i migranti e aiutarli in questa tragedia".

Ad affermarlo oggi il premier estone Juri Ratas, presentando davanti al Parlamento europeo le priorita' della presidenza di turno europea. "Nessuno Stato membro - afferma Ratas - puo' risolvere la crisi da solo, possiamo rendere l'Europa sicura se agiamo insieme". E domani, al vertice informale di Tallinn dei Ministri degli Interni, il tema migranti sarà centrale - sul tavolo il piano presentato ieri dalla Commissione Europea. Intanto ci sono nuovi dati sull'immigrazione, presentati questa mattina a Bruxelles dall'agenzia europea per l'asilo EASO. L'Italia ha ricevuto quasi 123mila domande d'asilo nel 2016, pari a un aumento del +47%. Le 122mila960 richieste costituiscono il 9,5% del totale europeo. La maggior parte dei richiedenti asilo in Italia sono nigeriani. Il maggior numero di richieste di asilo ha riguardato la Germania, con 745.155 domande. Nel complesso, le domande di asilo in Europa sono state quasi 1,3 milioni. Anche Easo conferma la crescita di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale, che ha registrato nel 2016 "un numero record", soprattutto dall'Africa subsahariana, occidentale e dal Corno d'Africa. 181.459 migranti: un aumento del 18%. Oggi il Ministro dell'Interno Minniti riferirà in Parlamento sulla crisi.

5/7/2017

280 milioni di euro in più, di cui 35 per aiutare l'Italia a gestire l'emergenza migranti, e quasi 250 a favore dell'Africa, Libia in testa: la Commissione Europea fa -per sua stessa ammissione- quanto può, per alleggerire la pressione migratoria ai confini italiani, in vista del vertice che si apre domani a Tallin tra i Ministri dell'Interno comunitari.

Nel piano d'azione Bruxelles spinge anche su rimpatri, ricollocamenti e riforma del regolamento di Dublino sull'asilo - qui lo scoglio di alcuni Paesi membri appare decisamente più difficile da superare. Il vicepresidente della Commissione Timmermans ha definito "pienamente giustificata" la richiesta di aiuto pervenuta dal Governo italiano. Il piano della Commissione prevede richieste anche a Roma, quali la redazione di un codice di condotta per le Ong attive nel Mediterraneo. Questo mentre un'Austria in piena campagna elettorale torna a far la voce grossa sul confine del Brennero. Vienna ha portato quattro mezzi corazzati Pandur al confine con l'Alto Adige, avviando i preparativi per il ripristino dei controlli alle frontiere. 750 militari in stato di preallerta: potrebbero venire dispiegati nell'arco di tre giorni, qualora la situazione lo rendesse necessario. Il Ministro della Difesa austriaco Doskozil è esplicito: se la situazione si aggrava, decideremo per controlli alla frontiera con l'Italia. Solidali lo siamo stati, ma non ci è possibile esserlo ogni anno". Rincara il Ministro degli Esteri Kurz: "i preparativi per i controlli alla frontiera con l'Italia non sono solo giusti ma anche necessari. Difenderemo il nostro confine se sara' necessario".

4/7/2017

35 milioni di euro in più per aiutare l'Italia nella gestione dell'emergenza migranti, nuovo sistema di reinsediamenti, nuovi accordi di riammissione, accelerazione dei ricollocamenti, più fondi per il fondo fiduciario euroafricano, riforma del regolamento di Dublino sull'asilo.

Questi alcuni dei punti del piano d'azione presentato dalla Commissione Europea, per alleggerire la pressione migratoria sulla Penisola, in vista della riunione dei Ministri dell'Interno di giovedì a Tallinn. Il vicepresidente della Commissione Timmermans ha definito "pienamente giustificata" la richiesta di aiuto pervenuta dal Governo italiano. Il piano della Commissione prevede richieste anche a Roma, quali la redazione di un codice di condotta per le Ong attive nel Mediterraneo. Questo mentre un'Austria in piena campagna elettorale torna a far la voce grossa sul confine del Brennero. Vienna ha portato quattro mezzi corazzati Pandur al confine con l'Alto Adige, avviando i preparativi per il ripristino dei controlli alle frontiere. 750 soldati in stato di preallerta: potrebbero venire dispiegati nell'arco di tre giorni, qualora la situazione lo rendesse necessario. Il Ministro della Difesa austriaco Doskozil è esplicito: se la situazione si aggrava, decideremo per controlli alla frontiera con l'Italia. Solidali lo siamo stati, ma non ci è possibile esserlo ogni anno". Rincara il Ministro degli Esteri Kurz: "i preparativi per i controlli alla frontiera con l'Italia non sono solo giusti ma anche necessari. Difenderemo il nostro confine se sara' necessario".

4/7/2017

Si fa sempre più tesa la situazione sui migranti, dopo che l'Austria questa mattina ha portato al Brennero quattro mezzi corazzati Pandur delle forze armate, che dovrebbero essere impiegati nelle operazioni di controllo sull'immigrazione, annunciate questa mattina in un'intervista dal Ministro della Difesa Doskozil.

Il dispositivo potrebbe essere attivato nel giro di tre giorni e comprende 750 militari, 450 dei quali saranno messi a disposizione da reparti stanziati nella regione del Tirolo, mentre i restanti verrebbero dal comando militare della Carinzia. Anche la Svizzera, più sommessamente, ha annunciato che intende rafforzare il dispositivo di polizia lungo le frontiere con Piemonte e Lombardia. La pressione migratoria è in aumento, alle frontiere d'Europa, come dimostra l'assalto di 800 migranti al muro che circonda l'enclave spagnola di Ceuta, posizionata in territorio africano. La Guardia Civil iberica e la Gendarmeria marocchina hanno fermato il tentativo di assalto: le forze di polizia si trovavano già in stato di allerta, dopo che erano stati osservati un migliaio di immigrati stazionare -negli ultimi giorni- al di fuori dell'enclave. Mentre l'Europa del sud è sotto la forte pressione migratoria, nell'aula dell'Europarlamento è andata in scena una violenta lite tra il presidente della Commissione Juncker e quello dell'Europarlamento Tajani. Juncker si è giustamente risentito per la scarsissima presenza di eurodeputati in Aula, appena una trentina, ma ha volutamente cercato lo scontro, definendo l'Europarlamento "ridicolo". Di lì la risentita reazione di Tajani, che avete ascoltato. Proprio oggi la Commissione Europea presenterà nuove misure sull'emergenza migranti - misureimmediamente applicabili, come l'incremento dei finanziamenti europei, che serviranno da base per il vertice informale dei Ministri dell'Interno europei, che inizia dopodomani a Tallinn.

4/7/2017

Festeggia il suo primo 4 luglio presidenziale regalandosi il suo secondo viaggio in Europa, Donald Trump, che domani si lascerà alle spalle un Paese con il quale la luna di miele -se mai c'è stata- sembra chiusa.

A casa gli ultimi sondaggi indicano un'approvazione del suo operato pari solamente al 37%, venti punti in meno rispetto a chi invece non lo gradisce, mentre il presidente americano sembra più impegnato ad attaccare l'establishment dell'informazione che a portare a casa risultati: la nuova riforma sanitaria post-Obamacare è in panne, il bando sugli immigrati è stato un mezzo Vietnam con un unico mezzo successo finale, l'uscita dall'intesa sul clima è stata contestatissima - soloWall Street sembra sorridergli. Da domani Trump torna nel Vecchio Continente, sul terreno teoricamente sicuro della Polonia, dove la destra ultraconservatrice di Kaczinskygongola all'idea del suo arrivo. Putin lo sarà un po' meno. Proprio Putin aspetta Trump al G20 di Amburgo nel weekend, con Siria e Ucraina in primo piano nell'agenda, insieme alla lotta al terrorismo. Con il Russiagate che infuria a casa, sarà interessante vedere come Trump gestirà l'incontro, anche a livello di linguaggio del corpo. Senza dimenticare l'Europa, pronta a dare battaglia sul clima, dopo il nulla di fatto a Taormina. Ma aperta invece alla discussione su commercio e lotta al terrorismo. A festeggiare il 4 luglio -nel Mediterraneo- ci sarà invece la portaerei George Bush, attraccata ad Haifa, in Israele, e destinata ad essere la punta di diamante americana nella guerra all'Isis.

1/7/2017

Torneranno? La Brexit apre scenari inediti per l'oltre mezzo milione di italiani residenti nel Regno Unito, a un anno dallo sciagurato referendum voluto da David Cameron, a ventuno mesi dalla data fissata per l'uscita di Londra dall'Unione Europea, e nel pieno di un'incertezza politica fomentata dalla poco rassicurante gestione May.

Un italiano su cento, Oltremanica, è docente o ricercatore: una comunità di élite che ha -fino ad ora- prosperato, in un Paese definito "un modello di successo nella ricerca scientifica". I possibili -futuri- tagli al settore, uniti all'incertezza sullo status di residenza, spingono però molti dei nostri cervelli a chiedersi quale possa essere il loro destino. Un sondaggio condotto su oltre 600 di loro ha rivelato che l'82% degli intervistati considera di lasciare la Gran Bretagna, anche se -come spiega l'ambasciatore PasqualeTerracciano- prevale un atteggiamento di "wait and see", prima di prendere decisioni definitive. Solo tre su dieci, in caso di abbandono del Regno Unito, prendono in considerazione l'ipotesi di un rientro in Italia. La metà resterebbe in Europa. Il nostro Paese appare ancora troppo poco attrattivo, in vista di un controesodo. Lo stesso Cnr, nell'ambito di un convegno svoltosi ieri a Londra con i nostri ricercatori emigrati, non lo ritiene possibile, almeno nel breve termine. Più in generale, sono tanti i nostri connazionali che chiedono aiuto all'ambasciata, per risolvere l'enigma Brexit.

29/6/2017

"Gli Stati Uniti sono una parte importante del G20. Faremo di tutto per lavorare anche con loro, senza far finta di niente". La cancelliera tedesca Merkel riassume così le attese europee in vista del summit di Amburgo della prossima settimana, in cui la Germania si troverà a gestire l'ingombrante ospite americano - nella persona di Donald Trump.

"Noi diciamo un si' convinto all'accordo di Parigi, e questo e' un messaggio ai Paesi in via di sviluppo", ha ribadito la Merkel, riecheggiando parole già pronunciate in mattinata di fronte al Bundestag. La posizione di Washington sull'intesa sul clima rappresenta la vera novità, rispetto al G7 di Taormina: a fine maggio Trump non aveva ancora annunciato l'uscita dall'accordo di Parigi. "Stiamo lavorando a soluzioni alternative sul clima, ma non vorrei attivare speculazioni", ha precisato la Merkel. La questione clima non sarà l'unico dossier al centro del summit, nè quello più divisivo: anche il commercio si annuncia una questione complicata, tra neoprotezionismo americano e spinte francesi per lo scudo sui settori strategici. Infine, la lotta al terrorismo, ma qui le differenze potrebbero essere più russo-americane - tra l'altro, è in forte dubbio un faccia a faccia Trump-Putin ad Amburgo. "Il G20 affrontera' le grandi sfide dei nostri tempi. I rischi non sono mai stati cosi' grandi. L'Europa deve essere coerente", ha affermato il presidente francese Macron, che ha sposato la linea Merkel: "lavoriamo con gli Stati Uniti, abbiamo bisogno di loro, anche se ci sono disaccordi su clima e commercio".

29/6/2017

Anche le nuove emergenze legate alla sicurezza, su tutte immigrazione e lotta al terrorismo, cambieranno negli anni a venire il budget comunitario.

La Commissione Europea ha lanciato ieri l'allarme, per bocca del titolare al Bilancio Guenther Oettinger: la Brexit porterà con sè un buco da 10-11 miliardi l'anno nelle casse comunitarie. "La Gran Bretagna era un contributore netto dell'Europa", ha spiegato Oettinger. "Tagli saranno necessari nei prossimi 10 anni", ha sottolineato. Ma non finisce qui: proprio i nuovi impegni europei su sicurezza e difesa, il primo obbligatorio a causa delle emergenze terrorismo e migranti, il secondo varato all'ultimo Consiglio Europeo, potrebbero persino raddoppiare il buco. Portandolo così a circa 25 miliardi l'anno. Di qui l'unica constatazione possibile: i tagli colpiranno le due grandi aree, che da sole assorbono il 73% delle risorse europee. Agricoltura e fondi regionali per la coesione. La si può vedere anche sotto un altro punto di vista: le priorità stanno cambiando per l'Europa, in un mondo sempre più globale e sempre più incerto. Aree storiche di investimento, quali la PAC agricola o i fondi regionali, con i Paesi dell'Est ben felici di raccogliere fondi europei - ma molto meno generosi nell'aiutare a ricollocare i migranti, potrebbero dunque essere le prime vittime di questa riorganizzazione di bilancio.

28/6/2017

Un buco da 10-11 miliardi l'anno per effetto della Brexit: la futura uscita della Gran Bretagna dall'Unione impone a Bruxelles una riflessione sul bilancio comunitario. Una torta da 1087 miliardi spalmati su sette anni, sulla cui riforma si aprono molteplici possibilità.

"La Gran Bretagna era un contributore netto dell'Europa, nonostante il rebate tatcheriano", ha spiegato il Commissario Europeo al Bilancio Oettinger, motivando così il buco che si aprirà nelle finanze post-2020. "Tagli saranno necessari nei prossimi 10 anni", ha sottolineato Oettinger. Ma non finisce qui: i nuovi impegni europei su sicurezza e difesa, il primo obbligatorio a causa delle emergenze terrorismo e migranti, il secondo varato proprio all'ultimo Consiglio Europeo, potrebbero raddoppiare il buco. Portandolo a circa 25 miliardi l'anno. Di qui l'unica constatazione possibile: i tagli colpiranno le due grandi aree, che da sole assorbono il 73% delle risorse europee. Agricoltura e fondi regionali per la coesione. Nel documento di riflessione sul budget preparato da Bruxelles si illustrano diverse opzioni, su come riformare il bilancio: per esempio, aumentare le risorse proprie, oppure ridurre e razionalizzare la spesa. Tra le righe, la Commissione prepara la rivoluzione: legare i fondi comunitari, in tempi di vacche magre, al rispetto degli impegni europei. Cattive notizie per i Paesi dell'Est che non accettano ricollocamenti dei migranti dal Sud Europea. I loro amati fondi comunitari potrebbero essere a rischio, in futuro.

28/6/2017

"Google ha impedito ad altre aziende di competere sul merito - soprattutto, ha negato ai consumatori europei una scelta genuina tra i servizi offerti": così la Commissaria Europea alla Concorrenza Vestager ha motivato ieri la decisione comunitaria di imporre al gigante americano una maximulta da 2,42 miliardi di euro, per abuso di posizione dominante nel settore dei motori di ricerca, chiudendo un'indagine durata sette anni.

Il gigante di Mountain View avrebbe operato una distorsione del mercato, privilegiando i risultati dei prodotti venduti da Google Shopping Services, il suo servizio di acquisti comparativi, rispetto a quelli dei concorrenti, relegati nella parte bassa delle pagine web. Bruxelles ha concesso tre mesi di tempo al colosso per mettere fine alle sue pratiche anticoncorrenziali, o fronteggiare ulteriori sanzioni. Che -a conti fatti- potrebbero tramutarsi in ulteriori 14 milioni di dollari di multa al giorno. "Non siamo rispettosamente d'accordo con le conclusioni annunciate, stiamo considerando di fare ricorso, e continueremo a perorare la nostra causa": questa la laconica replica di Google. Il caso si inserisce in una sempre più aperta tensione transatlantica, con Bruxelles all'attacco dei monopoli americani, e gli Stati Uniti schierati a difesa dei loro giganti, pronti anzi ad accusare l'Europa di protezionismo mascherato. Solo un anno fa la decisione su Apple, con l'ordine all'Irlanda di recuperare 13 miliardi in tasse non pagate. Dublino, recalcitrante a farlo, sta provvedendo solo ora a dare seguito all'ordine europeo.

27/6/2017

2,42 miliardi di euro: una multa record, quella inflitta dalla Commissione Europea al gigante online Google, per abuso di posizione dominante.

Nell'annunciare la maxistangata, la Commissaria alla Concorrenza Vestager ha spiegato che l'infrazione contestata riguarda l'abuso di posizione dominante nel settore dei motori di ricerca. In sintesi, il gigante di Mountain View avrebbe operato una distorsione del mercato, privilegiando i risultati dei prodotti venduti da Google ShoppingServices, il suo servizio di acquisti comparativi, rispetto a quelli dei concorrenti, relegati nella parte bassa delle pagine web. Bruxelles ha concesso tre mesi di tempo al colosso per mettere fine alle sue pratiche anticoncorrenziali, o fronteggiare ulteriori sanzioni. Che -a conti fatti- potrebbero tramutarsi in 14 milioni di dollari di multa al giorno. "Google ha impedito ad altre aziende di competere sul merito - soprattutto, ha negato ai consumatori europei una scelta genuina tra i servizi offerti", ha commentato la Vestager. "Non siamo rispettosamente d'accordo con le conclusioni annunciate, stiamo considerando di fare ricorso, e continueremo a perorare la nostra causa": questa la laconica replica di Google. Il caso si inserisce in una sempre più aperta tensione transatlantica, con Bruxelles all'attacco dei monopoli americani, e gli Stati Uniti schierati a difesa dei loro giganti, pronti anzi ad accusare l'Europa di protezionismo mascherato. Solo un anno fa la decisione su Apple, con l'ordine all'Irlanda di recuperare 13 miliardi in tasse non pagate. Dublino, recalcitrante a farlo, sta provvedendo solo ora a dare seguito alla misura europea.

23/6/2017

Complementarietà tra UE e Nato, un fondo europeo per la difesa, e un programma di sviluppo comune. Questi alcuni degli elementi-chiave del progetto di Europa della Difesa che è stato ufficialmente approvato con oltre 60 anni di ritardo, dopo il clamoroso fallimento del 1954.

Quel progetto fu prima portato avanti e poi ucciso sul nascere da Parigi, in una clamorosa inversione ad U politica. Ironicamente, la nuova difesa europea viene lanciata nella settimana in cui scattano ufficialmente i negoziati di addio di un altro Paese storicamente allergico al progetto - la Gran Bretagna. Tra gli altri elementi-chiave, prevede il lancio di una cooperazione strutturata permanente tra i Paesi europei partecipanti: entro tre mesi sarà messa a punto una lista di criteri comuni e impegni vincolanti. Molto rilevante anche la creazione di battaglioni comunitari. Per il presidente europeo Tusk, si tratta di un passo storico. Per il presidente francese Macron, al suo esordio nei vertici europei, le misure adottate sulla difesa comune sono "un avanzamento reale" e "all'altezza della posta in gioco storica. "Non si sono mai visti passi avanti tali in materia", dove a differenza di altri ambiti "non si vede un'Europa che balbetta e zoppica", per questo "si puo' essere ragionevolmente ottimisti", ha detto Macron.

22/6/2017

Difesa e sicurezza in primo piano al Consiglio Europeo di Bruxelles, con l'approvazione della cooperazione permanente strutturata, il fondo per la difesa e i battaglioni comuni.

Per il presidente europeo Tusk, si tratta di un passo storico. "Tutti i Paesi sono invitati a partecipare, nei prossimi tre mesi sarà stilata una lista comune di criteri e impegni", dice. Intesa anche per approfondire gli sforzi contro i 'foreign fighters' e per cooperare piu' strettamente con le industrie online contro il terrorismo. La prima sessione di lavori è stata preceduta da un bilaterale tra il presidente della Commissione Juncker e la premier britannica May. I negoziati sulla Brexit sono ufficialmente iniziati lunedì, ma i messaggi di apertura a Londra, affinchè consideri l'opportunità di tornare sui propri passi, si stanno moltiplicando. In tal senso si sono espressi anche il presidente dell'Europarlamento Tajani, e il nuovo Taeisoach irlandese Varadkar. L'attesa è forte, affinchè la Gran Bretagna chiarisca meglio i contorni delle sue proposte sui diritti dei cittadini europei che rimarranno Oltremanica una volta che Londra avrà lasciato l'Europa. La Brexit offre un potenziale terreno di scontro per la due giorni di summit: quello della ricollocazione delle due agenzie comunitarie attualmente basate in territorio britannico - quella del farmaco, e quella bancaria: Italia si dice più ottimista in merito alle chances di Milano di aggiudicarsi la prima, dopo le ultime modifiche apportate alle conclusioni del vertice.

21/6/2017

Prime grane per Emmauel Macron, tra rimpasto di Governo e allerta terrorismo: sul fronte politico il neopresidente, reduce dalla schiacciante vittoria alle elezioni legislative, deve fare i conti con la bufera che ha travolto l'alleato centrista Modem.

La Ministra della Difesa Goulard, il volto più europeista dell'esecutivo, ha presentato le sue dimissioni , dopo essere finita nell'inchiesta sui presunti incarichi fittizi all'Europarlamento - con assistenti pagati per lavorare a Strasburgo e assunti invece presso il partito a Parigi. In bilico anche la titolare degli Affari Europei De Sarnez, mentre resiste il leader di Modem Bayrou, titolare della Giustizia ed alleato di ferro di Macron. Ironia della sorte, proprio Bayrou sta preparando una riforma etica della politica. A questo punto quello che doveva essere un puro ritocco cosmetico del Governo di Edouard Philippe rischia di trasformarsi, nelle prossime ore, in un ampio rimpasto. Problemi anche per Macron, dopo le perquisizioni -ieri- negli uffici di un gruppo pubblicitario e di un'agenzia legata al Ministero dell'Economia. La vicenda riguarda un viaggio di Macron a Las Vegas quando era Ministro - la procura sospetta un possibile favoritismo nell'assegnazione dell'organizzazione del viaggio. Altro fronte complicato l'allerta terrorismo: ieri non solo è emerso che Adan Djaziri, l'uomo schiantatosi lunedì contro un furgone della polizia a Parigi, aveva prestato giuramento all'Isis, ma infuria anche la polemica sul fatto che gli fosse stato confermato il porto d'armi e consentito di girare armato fino ai denti. Poteva essere una strage.

20/6/2017

La prima crisi politica della presidenza Macron arriva a soli due giorni dalla vittoria piena alle elezioni legislative, con un doppio colpo. Il primo riguarda il rimpasto di Governo - doveva essere una pura formalità, con le dimissioni del premier Philippe, la sua rinomina, e qualche ritocco assolutamente cosmetico.

Ma il tema della moralizzazione, imposto dallo stesso Macron in campagna elettorale, si è trasformato in un boomerang - e potrebbe portare ad un ampio rimpasto: la Ministra della Difesa Sylvie Goulard, il volto più europeista dell'esecutivo, ha annunciato che lascerà, dopo che il suo nome è comparso nell'inchiesta sui presunti impieghi fittizi degli assistenti all'Europarlamento. Inchiesta che ha già toccato Marine Le Pen: in sostanza, l'ipotesi è quella di assunzione di assistenti nella sede del partito Modem a Parigi, ma con soldi comunitari, riservati per impieghi a Strasburgo. Lo tsunami rischia di travolgere l'intera prima linea dei centristi del partito Modem al Governo: la Ministra per gli Affari Europei De Sarnez non esclude di lasciare l'esecutivo, e lo stesso leader di Modem Bayrou, Ministro della Giustizia e alleato di ferro di Macron, potrebbe non uscirne indenne. Per Macron qualche grattacapo arriva anche dalle perquisizioni condotte presso il gruppo pubblicitario Havas e l'agenzia ministeriale Business France: la procura di Parigi indaga per presunto favoritismo nell'assegnazione di un appalto -ad Havas- per l'organizzazione di un viaggio di Macron a Las Vegas, quando era Ministro dell'Economia.

19/6/2017

Vince, ma non stravince, La Republique En Marche di Emmanuel Macron, che conquista un'ampia maggioranza assoluta all'Assemblea Nazionale francese. Macron ha a questo punto le mani libere per governare in solitudine, anche se non potrà non tenere conto dell'astensionismo record che ha segnato il secondo turno, lasciando intravedere una crescente disaffezione dei francesi verso la politica.

"I francesi hanno preferito la speranza alla collera", ha dichiarato il premier transalpino Edouard Philippe, secondo cui un tale rinnovamento politico era inimmaginabile. Philippe ha riconosciuto che l'alta astensione "non è mai una buona notizia per la democrazia", ma ha promesso che ora "inizia il tempo dell'azione". Seconda forza del Parlamento è -come previsto- la destra de Les Republicains, che supera ampiamente la soglia del centinaio di seggi, ma resta profondamente divisa tra chi guarda ad una collaborazione col Governo in carica e chi la osteggia. Marine Le Pen, sconfitta alle presidenziali, ottiene il premio di consolazione dell'ingresso in Parlamento, insieme ad una manciata di deputati del Front National, insufficiente a formare un gruppo politico autonomo. "Siamo l'unica forza di resistenza alla delusione del popolo", urla la Le Pen. Per il Partito Socialista non suona ancora il de profundis, ma il confronto con la precedente Assemblea Nazionale è impietoso - per questo il segretario Cambadelis annuncia le sue dimissioni. Discreto risultato per l'estrema sinistra della France Insoumise. Il leader Melenchon definisce l'astensione "uno sciopero civico".

18/6/2017

Vittoria, ma non trionfo assoluto per La Republique En Marche, il partito del presidente francese Emmanuel Macron: questo raccontano le prime proiezioni del secondo turno delle legislative francesi, che assegnano al partito del presidente 355 seggi sui 577 dell'Assemblea Nazionale.

Al secondo posto la destra de Les Republicains, con 125 seggi, seguita dall'alleanza di centrosinistra capeggiata dai socialisti, a soli 49 seggi. Il segretario del PS, Cambadelis, ha annunciato le sue dimissioni. 8 seggi per il Front National: eletta Marine Le Pen. I francesi hanno espresso una "maggioranza chiara, stabile e coerente, per realizzare le grandi priorita' del contratto concluso tra Emmanuel Macron e i francesi", ha detto la presidente di En Marche!, Catherine Barbaroux, nella dichiarazione dal quartier generale del partito a Parigi. Questo risultato "e' una chance per la Francia", ha aggiunto.

18/6/2017

La Francia manda oggi in soffitta un intenso mese e mezzo elettorale, consegnando pure le chiavi del Parlamento al politico-rivelazione di questo 2017: Emmanuel Macron, che dopo aver conquistato a inizio maggio l'Eliseo, si prepara ora a coronare la sua marcia con un'ampia maggioranza all'Assemblea Nazionale.

La Republique En Marche ha portato al ballottaggio il numero record di 519 candidati, il che -secondo i pronostici- dovrebbe garantirgli oltre 400 deputati, ovvero circa il 70% dei seggi parlamentari. Una maggioranza a tutti gli effetti gollista. Il resto del panorama politico spera nel miracolo, ma intanto raccoglie i cocci: il maggior partito d'opposizione, il centrodestra de LesRepublicains, è già diviso tra chi considera l'ipotesi di un appoggio esterno al premier macroniano Philippe, e chi rifiuta l'ipotesi. Il Front National conterà i deputati sulla dita di una mano, sperando almeno nell'elezione di Marine Le Pen, i socialisti hanno già toccato il fondo e continuano a scavare, Melenchon e comunisti dovranno allearsi per costituire un gruppo parlamentare, in crisi infine anche i centristi di Udi. L'incognita odierna sarà la probabile ulteriore crescita dell'astensionismo: comunque vada a finire,Emmanuel Macron da domani avrà tutte le leve del potere in mano per governare. E dovrà a quel punto realizzare le promesse di rinnovamento e riforme che lo hanno portato all'Eliseo.

17/6/2017

Se ne è andato in silenzio, in una mattina di fine primavera, nel letto della sua modesta casa di Ludwighsafen. La Germania e l'Europa piangono la scomparsa di Helmut Kohl, il cancelliere della riunificazione tedesca e dell'unità continentale, morto a 87 anni.

Una vita in politica, quella di Kohl, iniziata subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, in una Germania ancora devastata dal conflitto. Nel '69 il suo primo incarico di prestigio: Governatore del Land del Rheinland-Pflaz. Ma è nel 1982 che il suo destino politico si intreccia con la storia: diviene cancelliere, posizione che manterrà per 16 anni, amministrando la riunificazione delle due Germanie, e gettando i semi dell'architettura istituzionale dell'attuale Unione Europea, grazie anche all'asse di ferro col francese Mitterrand. Lo scandalo fondi neri della Cdu, nel '98, ne decreta la fine politica, senza però macchiarne la moralità: l'ultimo ventennio lo vive lontano dai riflettori, soffrendo il suicidio della moglie Hannelore e con una salute in progressivo deterioramento. Gli ultimi anni li trascorre su una sedia a rotelle. "Helmut Kohl ha cambiato la mia vita in modo decisivo, e gli sono grata", ha dichiarato la sua erede Angela Merkel, proprio la donna che salvò il partito dalla tempesta dello scandalo, ma al prezzo di un parricidio proprio contro Kohl. Da tutto il mondo sono giunti messaggi di cordoglio per uno degli ultimi grandi statisti continentali. A mezz'asta le bandiere delle istituzioni europee a Bruxelles.

16/6/2017

Germania in lutto, per la morte di Helmut Kohl, il padre della riunificazione tedesca e uno degli ultimi grandi statisti continentali. Nonchè ispiratore -insieme a Francois Mitterand- del salto in avanti del progetto europeo.

Nato a Ludwigshafen il 3 aprile 1930, Kohl entra in politica subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, assumendo la prima carica di rilievo nel '69, anno della sua elezione a Governatore del Land del Rheinland-Pfalz. Nel '73 l'elezione alla presidenza della Cdu, che lascerà 25 anni dopo. Nel '76 la sua prima candidatura a cancelliere, persa contro Helmut Schmidt. Sei anni dopo Kohl diventa cancelliere della Repubblica Federale, incarico che manterrà -con la Germania riunificata- fino al '98. "Non dobbiamo permettere che si ripetano i meccanismi di odio e sfiducia, perpetrati dai comunisti. Dobbiamo avere comprensione l'uno per l'altro. Occorre apertura e tolleranza, con l'esercizio della comprensione reciproca", così Kohl nel settembre '90, alla prima seduta comune del nuovo Parlamento tedesco. Il decennio successivo è segnato dai frenetici avanzamenti nell'integrazione europea: l'uscita di scena che attende il Bundeskanzler non è però all'altezza della statura politica. Nel '98 l'esplosione dello scandalo fondi neri alla Cdu lo obbliga al ritiro dalla politica: aveva sì infranto le regole, ma non aveva usato quei soldi per arricchirsi. Non rivelerà mai i nomi dei suoi finanziatori: "ho dato loro la mia parola d'onore". Nel 2001 il suicidio della moglie Hannelore, e una vita lontano dai riflettori, con rarissime uscite pubbliche. Negli ultimi anni si risposa, ma vive malato su una sedia a rotelle.

16/6/2017

Il padre della riunificazione tedesca, nonchè del progetto europeo Helmut Kohl è morto questa mattina nella sua casa di Ludwigshafen, all'età di 87 anni. Nato il 3 aprile del 1930, Kohl è stato cancelliere della Repubblica Federale tedesca dal 1982 al 1990, e della Germania riunificata dal 1990 al 1998, anno in cui è stato costretto a lasciare la vita politica in seguito all'emergere dello scandalo fondi neri della Cdu.

Kohl è entrato nella vita politica giovanissimo, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1947. Tra il 1969 e il 1976 è stato governatore del Land del Rheinland-Pfalz, tra il 1973 e il 1998 è stato presidente della Cdu. Sotto il suo cancellierato, ha gestito il crollo della DDR e la successiva riunificazione tedesca: con il francese Francois Mitterrand ha posto le basi dell'attuale Unione Europea e dell'introduzione dell'Euro. Dopo lo scandalo fondi neri, che ne ha segnato la fine politica, si è ritirato a vita privata, rifiutandosi sempre di fornire i nomi dei finanziatori illeciti della CDU: "ho dato loro la mia parola d'onore", si giustificava. Negli ultimi anni di vita Kohl viveva su una sedia a rotelle, a causa di diverse operazioni. Anche la sua vita privata è stata complicata: nel 2001 il suicidio della storica moglie Hannelore, nel 2008 si era risposato con Maike Richter.

14/6/2017

Boom degli occupati nel primo trimestre 2017: oltre 234 milioni nel complesso dell'Unione Europea, di cui 154 milioni nella zona Euro, "il piu' alto livello di sempre per entrambe le aree", sottolinea Eurostat.

In percentuale, l'occupazione e' cresciuta dello 0,4% sia nell'Eurozona che nel complesso dell'Unione, rispetto al trimestre precedente. Se prendiamo invece la comparazione anno su anno, la crescita è stata pari al punto e mezzo percentuale. I Paesi a far registrare l'incremento maggiore in termini di occupazione sono stati nell'ultimo trimestre l'Estonia, con un +2,8%, seguita da Malta, +1,7% e la Svezia, +1,2%. Calo invece in Lettonia, Romania e Croazia. Se prendiamo invece le comparazioni sull'anno, è ancora Malta a far registrare un vero e proprio boom di occupati, con un netto +6%, seguita da Irlanda, Cipro, Portogallo e Lussemburgo, tutte sopra quota 3%. Segno meno invece per Lettonia, Lituania e Romania. Nel contesto europeo, l'Italia si colloca ancora nella forchetta bassa della classifica continentale: +0,3% gli occupati nell'ultimo trimestre, in leggera frenata rispetto al trimestre precedente, e +1% nel raffronto sull'anno.

9/6/2017

Preoccupazione per il futuro dei negoziati sulla Brexit. Insieme ad una umana soddisfazione per il passo falso dell'avversario. E' stato questo mix di sentimenti ad accogliere -a Bruxelles- il clamoroso autogol elettorale di Theresa May, che -dopo aver convocato elezioni anticipate per ottenere un forte mandato negoziale- ne è uscita azzoppata.

"Non c'è tempo da perdere", ha twittato il presidente europeo Tusk, aggiungendo un tocco di confusione: "non sappiamo quando le trattative inizieranno, nè quando finiranno". Tusk si è augurato che si arrivi ad un'intesa tra Londra e Bruxelles, che sia il meno dirompente possibile. I negoziati sarebbero dovuti ufficialmente partire intorno al 19 giugno, con qualche settimana di ritardo sul previsto causa elezioni, ma -a questo punto- l'incertezza è totale. Lo stesso negoziatore europeo, Michel Barnier, ha dichiarato che "le trattative dovrebbero iniziare quando il Regno Unito sarà pronto". Una situazione paradossale, se teniamo conto che mancano solo ventuno mesi all'addio di Londra, e che i negoziati si preannunciano lunghi e complicati. L'unico a suonare la sveglia è il presidente della Commissione Juncker: il risultato delle elezioni britanniche non deve causare ulteriori ritardi nei negoziati sulla Brexit, dice, mentre il Commissario agli Affari Economici Moscovici ammette: "le cose si sono fatte più complicate" - forse pensando alla potenziale imprevedibilità negoziale di un Governo britannico già traballante. Ed è proprio questa sensazione di incertezza e confusione a preoccupare l'Europa, che rimetterà il dossier Brexit al centro del prossimo vertice a fine giugno.

9/6/2017

Voleva vincere facile, Theresa May. Soprattutto non le bastava la maggioranza assoluta lasciatale in eredità dal suo predecessore David Cameron, per trattare con Bruxelles. Ne voleva una ancora più forte, e -soprattutto- più coesa, per andare a negoziare con l'Europa sulla Brexit.

Trattare a muso duro, perché -se è vero che i negoziati non sono tecnicamente entrati nel vivo- i primi scambi di battute e minacce al vetriolo sono già partiti, sull'asse Londra-Bruxelles. La May non ha però fatto tesoro dell'insegnamento che proprio Cameron le ha lasciato in eredità: non andarsele a cercare, non provocare gli elettori se non assolutamente necessario. Cameron è caduto sul referendum per la Brexit, di cui non si sentiva affatto l'esigenza. La May ha convocato, con la leggerezza di chi sente già la roboante vittoria in tasca, un'elezione che nessuno realmente chiedeva. Voleva un mandato forte, per decidere senza nemmeno più il fastidio dell'opposizione interna a casa, e andare poi a battere i pugni sul tavolo a Bruxelles. L'ironia della storia ha però ribaltato i rapporti di forza, rispetto a un anno fa: incredibilmente, l'Unione Europea è riuscita a compattare il fronte politico verso Londra, adottando all'unanimità un mandato negoziale in due fasi - prima le regole sul divorzio, e solo dopo un nuovo quadro di cooperazione con la Gran Bretagna. Mentre il quadro politico Oltremanica, dopo queste elezioni, esce indebolito. La Brexit rischia di diventare un Vietnam, per il nuovo Governo che si insedierà a Londra. Un Vietnam parlamentare in primis a Westminster, che renderebbe inevitabilmente complicate le trattative a Bruxelles. I negoziati sulla Brexit partiranno ufficialmente dopo la metà di giugno: il tema sarà in cima all'agenda del prossimo Consiglio Europeo.

9/6/2017

Si profila una vittoria di Pirro per la premier britannica Theresa May, che -secondo gli exit polls resi noti subito dopo la chiusura delle urne- avrebbe sì conquistato la maggioranza dei seggi a Westminster, ma avrebbe perso quella assoluta che gli aveva lasciato in eredità David Cameron.

Al momento i Tories avrebbero conquistato 314 seggi, 12 sotto la maggioranza assoluta, e 17 in meno rispetto a quelli conquistati nel 2015. Forte balzo in avanti invece per i laburisti di Jeremy Corbin, che sarebbero saliti a 266 seggi, 34 in più rispetto a due anni fa. Terzo schieramento, ma in forte calo, i nazionalisti scozzesi dell'SNP, stimati a 34 seggi, 22 in meno rispetto al precedente Parlamento, mentre i Libdem riemergono dall'abisso in cui erano sprofondati nel 2015, anche se la loro presenza resterebbe minoritaria: 14 seggi, sei in più. Restano invece a bocca asciutta i nazionalisti dello UKIP. Un simile scenario potrebbe rendere il Parlamento britannico potenzialmente ingovernabile, tecnicamente sarebbe un "hungParliament": nessuno tra Labour, Libdem ed Snp accetterebbe un Governo di coalizione con Theresa May, impegnata com'è in una linea negoziale molto dura e spigolosa con l'Europa sulla Brexit. Più probabile un Governo di minoranza, che la esporrebbe però a un Vietnam parlamentare continuo. Mentre appare non impossibile -ma altamente improbabile per ora- un Governo di coalizione guidato dal Labour, con Libdem, Verdi e scozzesi. Proprio i Libdem hanno già detto che non faranno accordi di coalizione. Tutti questi ragionamenti, lo ribadiamo, sono fatti sulla base degli exit polls - ogni ipotesi andrà poi rivalutata all'alba, quando il quadro della distribuzione dei seggi sarà più chiaro e definito. "Disastro per Theresa May", titola già il Financial Times dopo gli exit polls: a parlare intanto sono i mercati, con la sterlina che -di fronte all'ipotesi di un Parlamento ingovernabile- è crollata del 2%, a 1,28 sul dollaro e sotto quota 1,14 sull'euro.

8/6/2017

Il giorno del giudizio dunque, per la politica britannica, è arrivato: fra quattro ore le urne chiuderanno in tutta la Gran Bretagna, in un voto segnato da un doppio attacco terroristico nelle ultime settimane, da aspri dibattiti sulle misure di austerità, e che avrà soprattutto inevitabili riflessi sul futuro della Brexit.

Massime le misure di sicurezza adottate a protezione dei seggi, mentre -uno dopo l'altro- i principali leader politici -su tutti la premier uscente conservatrice Theresa May e lo sfidante laburista JeremyCorbyn- si sono recati al seggio. "E' il giorno della nostra democrazia", ha detto Corbyn, mentre la May è finita al centro delle ironie social non per quanto ha detto, ma per la presenza di una donna travestita da personaggio dei Muppets fuori dal suo seggio, immortalata in ogni foto circolata su internet, a pochi metri dalla premier. Gli ultimi sondaggi oggi davano ancora un vantaggio dei conservatori sui laburisti, stimato tra l'1% e il 10%, a seconda degli istituti di rilevamenti. La tendenza -condivisa- è quella di un riavvicinamento tra Tory e Labour, così come certificato nelle ultime settimane, il che mette inevitabilmente a rischio la maggioranza assoluta che i conservatori attualmente detengono in Parlamento. Quella maggioranza assoluta che le permetterebbe di negoziare la Brexit in assoluta tranquillità. Motivo-principe per il quale ha convocato le elezioni con ben tre anni di anticipo, sperando di potersi ulteriormente rafforzare. Alle 23 ora italiana le prime risposte, prima di una lunga notte di spoglio delle schede.

6/6/2017

Il tema sicurezza prende il sopravvento nelle elezioni britanniche, con il sindaco di Londra, il laburista Sadiq Khan, che passa all'attacco: "i futuri tagli alla Metropolitan Police sono insostenibili, e renderebbero difficile sventare altri attacchi terroristici", ha denunciato Khan, snocciolando le cifre: se i Conservatori vincono le elezioni, si rischiano sforbiciate per 400 milioni di sterline, che potrebbero portare all'uscita di quasi 13mila poliziotti.

Tagli pesanti, soprattutto in tempi di minaccia terroristica. Le parole di Khan hanno attraversato la campagna elettorale come lame, in un dibattito reso già bollente dagli ultimi due episodi di terrorismo. Immediata la replica del Ministro degli Esteri Boris Johnson, secondo cui i numeri della polizia restano alti e i cambi di assegnazione effettuati in passato, con meno funzionari alla scrivania e più bobbies per le strade. Il problema, come osservano diversi commentatori, è che nel suo periodo da Ministro dell'Interno, l'attuale premier e candidata conservatrice Theresa May ha tagliato 20mila poliziotti, nonostante la ferma opposizione dei sindacati di categoria. Un boomerang, che le si sta ritorcendo contro in questi giorni infuocati. La premier uscente ha reagito, dicendo di attendersi una revisione dell'operato di polizia e servizi segreti dopo le polemiche sulle falle dell'anti-terrorismo. la May ha auspicato una procedura simile a quella già adottata a Manchester, rispetto alla quale l'MI5 ha avviato un'inchiesta interna per fare luce su possibili errori nella prevenzione della strage.

5/6/2017

"L'attacco di sabato sera non era solo contro Londra ma contro il mondo libero". Lo ha detto questa mattina la premier britannica Theresa May, che ha presieduto una riunione del comitato di emergenza Cobra prima di tornare in campagna elettorale.

La May ha ribadito che il livello di allerta anti-terrorismo resta "grave", e ha confermato il rafforzamento delle misure di sicurezza sui ponti di Londra, con barriere a protezione dei pedoni. "Abbiamo visto un cambiamento nel tipo di minaccia", ha aggiunto. Intanto le autorità britanniche non hanno ancora reso noto le identità dei tre terroristi, benchè siano ormai state definite. Qualcosa è già possibile ricostruire: secondo il canale televisivo Channel 4, uno dei tre killer sarebbe comparso in un documentario sull'integralismo islamico nel Regno Unito, mentre srotolava una bandiera dell'Isis a Regent's Park. Altre testimonianze, raccolte a Barking, dove ieri si è svolto il primo raid delle forze speciali, raccontano uno dei terroristi come un uomo affabile, membro attivo della comunità, con moglie e due figli. Un altro dei terroristi sarebbe infine stato invece segnalato due volte alla polizia per le sue idee radicali. Sul fronte delle indagini, la polizia londinese ha fatto irruzione questa mattina in altre due abitazioni in un quartiere nella zona est della capitale (Dagenham). Mentre, per quanto riguarda le vittime, ha un nome la prima identificata, tra le sette che hanno perso la vita sabato: è canadese, si chiamava Christine Archibald. Di un'altra vittima si sa che è francese. Mentre c'è uno spagnolo disperso: Ignacio Echevarria, questo il suo nome, avrebbe affrontato uno dei terroristi quando lo ha visto pugnalare una donna. Da allora si sono perse le sue tracce. Più tardi nel pomeriggio si terrà una veglia di preghiera nei pressi di London Bridge.

3/6/2017

Nessuna dichiarazione comune sul commercio, che fa saltare l'appoggio congiunto ufficiale all'intesa sul clima di Parigi: è un vertice in chiaroscuro quello che si chiude a Bruxelles tra Europa e Cina.

A mettere nero su bianco i motivi del dissidio è il presidente della Commissione Europea Juncker: "abbiamo accorciato le distanze su questioni quali la sovraccapacità nella produzione di acciaio cinese e l'implementazione dell'articolo 15 di adesione della Cina al Wto. Ma non abbiamo ancora l'intesa". Immediata la replica del premier cinese Li Keqiang - "le regole del Wto devono essere implementate, l'Europa dovrebbe rispettare gli obblighi dell'articolo 15". Il messaggio è chiaro: dovete considerarci economia di mercato. Al di là dell'eccessivo trionfalismo del presidente europeo Tusk, che parla del summit eurocinese "più promettente della storia", vengono comunque firmati dieci memorandum di intesa e cooperazioni in vari settori, tra cui ricerca e proprietà intellettuale. Riconosciute anche duecento indicazioni geografiche, tra cui 26 eccellenze agroalimentari italiane. Il siparietto più divertente alla fine della conferenza stampa, quando il presidente della Commissione Juncker sbotta che l'auricolare della traduzione non funziona. "Ma non èmade in China!", interviene subito il premier Li Keqiang.

2/6/2017

Battute, sorrisi e clima rilassato non nascondono il sostanziale fiasco di un vertice Europa-Cina che vede gli interpreti del potenziale nuovo asse mondiale alternativo all'America di Trump uniti sì sul clima, ma ancora divisi sul commercio.

Il climax lo si raggiunge a fine conferenza stampa, ritardata da tre ore extra di colloqui, quando il presidente della Commissione Juncker sbotta che l'auricolare della traduzione non funziona. "Ma non è made in China!", interviene subito il premier Li Keqiang, ironizzando sui luoghi comuni. Dietro le quinte, però, le divergenze imponevano la cancellazione della dichiarazione finale, compreso persino il comune appoggio all'accordo di Parigi. Secondo fonti del Consiglio Europeo, non è stato possibile raggiungere il consenso sull'accesso di Pechino allo status di economia di mercato. Juncker qualche dettaglio lo fa trapelare: "abbiamo accorciato le distanze su questioni quali la sovraccapacità nella produzione di acciaio e l'implementazione dell'articolo 15 di adesione della Cina al Wto. Ma non abbiamo ancora l'intesa". Immediata la replica di Li Keqiang - "le regole del Wto devono essere implementate, l'Europa dovrebbe rispettare gli obblighi dell'articolo 15". Il messaggio è chiaro: dovete considerarci economia di mercato. Esagera nel trionfalismo il presidente europeo Tusk: "quello odierno è stato il summit eurocinese più promettente nella storia". Qualche risultato però arriva: firmati dieci memorandum d'intesa per una migliore cooperazione. E accordo per pubblicare una lista di duecento indicazioni geografiche, 26 delle quali italiane.

2/6/2017

"Ci ritiriamo dell'intesa sul clima di Parigi". Donald Trump annuncia, come previsto, la ritirata americana dal maggiore patto per l'ambente mondiale.

A niente sono dunque servite le pressioni ricevute da mezza Europa, Vaticano compreso, solo una settimana fa: quando Trump appare per rendere nota la decisione, con mezz'ora abbondante di ritardo, l'unica sorpresa la riserva lasciando aperte le porte a una rinegoziazione dell'intesa: "avvieremo trattative per rientrare nell'accordo di Parigi, o in accordi completamente nuovi". Per rendere chiaro il concetto va fino in fondo: l'uscita degli Stati Uniti dall'accordo di Parigi è immediata. E Washington cesserà anche di contribuire al fondo per il clima dell'Onu. "Ci costa una fortuna", taglia corto. I concetti su cui ruota l'intero discorso di Trump sono due: il primo. L'Intesa di Parigi costa troppo all'industria e alla popolazione americana, in termini di produzione, posti persi e riduzione dei salari. Il secondo. Mentre gli Stati Uniti vengono puniti dall'intesa, altri Paesi come Cina e India, che inquinano molto di più, ricevono agevolazioni maggiori e minori obblighi. Il presidente americano tenta pure il travestimento ambientalista, quando annuncia che gli Stati Uniti resteranno un Paese leader sul fronte ambientale. Infine rende chiaro a chi parla. "Sono stato eletto dai cittadini di Pittsburgh, non da quelli di Parigi". Immediate le proteste del suo predecessore Obama e dei maggiori Paesi europei: proprio l'Europa, nel summit odierno a Bruxelles con la Cina, lancerà un inedito asse ambientale a sostegno degli accordi di Parigi.

31/5/2017

La governance dell'Euro ha bisogno di un'ulteriore riforma: con questa premessa la Commissione Europea ha lanciato una delle proposte più attese per il futuro dell'Eurozona, sottoforma di contributo alla riflessione.

Entro il 2019 Bruxelles propone di ridurre i rischi derivanti dai crediti bancari deteriorati, avviando una prima forma di bond sovrani dell'area euro - una forma assolutamente elementare, che non prevederebbe tra l'altro la messa in comune dei rischi. Tra gli altri obiettivi, il completamento dell'unione bancaria, un backstop comune per il fondo salva-banche e l'incremento della convergenza tra gli Stati. Tra il 2020 e il 2025 la Commissione punta invece su obiettivi più coraggiosi, con la vera e propria rivoluzione della nascita di un Tesoro europeo unico, guidato da un Ministro che riunisca i poteri del presidente dell'Eurogruppo e quelli del Commissario agli Affari Economici. Prevista anche l'idea della creazione di un Fondo Monetario Europeo, funzione che verrebbe assunta dall'attuale fondo salva-Stati. Sul tema più spinoso, quello degli Eurobond, la Germania non sembra però intenzionata a cambiare idea, almeno con questo Governo: "la posizione di rifiuto degliEurobond e di condivisione del debito non e' cambiata", ha immediatamente affermato la portavoce del Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.

31/5/2017

Tempi difficili per Donald Trump, in difesa -a casa- per il Russiagate, e all'attacco -in Europa- contro la Germania. Dopo il genero, Jared Kushner, che si dice pronto a collaborare, anche l'avvocato personale di Trump, nonchè uomo di assoluta fiducia Michael Cohen finisce nel cono d'ombra del Russiagate.

Le commissioni di intelligence del Congresso lo hanno invitato a testimoniare e a fornire informazioni su suoi possibili contatti col Governo di Mosca. Lui -al contrario di Kushner- respinge l'invito al mittente. Ma è un altro segnale che il cerchio si stringe, mentre alla Casa Bianca lascia il direttore della comunicazione, Mike Dubke, ufficialmente per "ragioni personali", mentre il volto di Washington, il portavoce Sean Spicer, mantiene il suo posto ma sarà sempre meno presente fisicamente ai briefing stampa. Dalla difesa all'attacco: Trump, probabilmente irritato dalle parole della cancelliera tedesca Merkel nel post-G7, ricorre ancora a Twitter per esternare il suo sentimento antitedesco: "abbiamo un deficit commerciale enorme con la Germania, loro pagano molto meno di quanto dovrebbero alla Nato. Molto male per gli Stati Uniti. Questo cambierà", minaccia Trump. In serata getta acqua sul fuoco la Casa Bianca: Donald Trump ha forti relazioni con Angela Merkel, ''vanno d'accordo'', sostiene la linea ufficiale, anche se è evidente che i rapporti sull'asse Washington-Berlinosiano ai minimi. Questo nonostante la stessa cancelliera Angela Merkel avesse cercato di smorzare i toni: "le relazioni con gli Stati Uniti sono di importanza capitale".

30/5/2017

Casa Bianca nuovamente sotto i riflettori, dopo il turbolento weekend di Taormina. Se ne va il direttore della comunicazione, Mike Dubke, per "ragioni personali", mentre il volto di Washington, il portavoce Sean Spicer, mantiene il suo posto ma -dopo alcune gaffes- sarà sempre meno presente fisicamente ai briefing per la stampa, e lascerà la scena al presidente stesso, che proverà a gestire in prima persona la comunicazione.

Trump, intanto, forse scocciato dall'attacco diretto della cancelliera tedesca Merkel nel post-G7, ricorre ancora a Twitter per esternare il suo sentimento antitedesco: "abbiamo un deficit commerciale enorme con la Germania, inoltre loro pagano molto meno di quanto dovrebbero alla Nato. Molto male per gli Stati Uniti. Questo cambierà", minaccia Trump. E' ormai evidente che i rapporti sull'asse Washington-Berlino siano ai minimi storici dal Dopoguerra. Questo nonostante la stessa cancelliera Angela Merkel avesse cercato di smorzare i toni proprio oggi: "le relazioni con gli Stati Uniti sono di importanza capitale", ha affermato. La Merkel ha ribadito l'importanza per l'Europa di avere una politica estera comune. Tornando infine a Trump, nuove nubi all'orizzonte sulRussiagate, che ora lambisce anche Michael Cohen, il suo avvocato personale. Per la Cnn, dirigenti russi discussero di informazioni potenzialmente "denigratorie" nei confronti dell' allora candidato presidenziale repubblicano Trump e di alcuni suoi collaboratori in alcune conversazioni intercettate dall'intelligence americana nel 2016.

30/5/2017

Unità nella lotta al terrorismo. Differenze di vedute su Siria e Ucraina. Emmanuel Macron e Vladimir Putin si incontrano a Versailles per quello che loro stessi definiscono un confronto "franco e diretto", nel quale sfoderano una volontà pragmatica di arrivare a soluzioni comuni sulle crisi più urgenti. Un primo meeting post-G7, nei marosi di un'Europa che vive la crisi nei rapporti transatlantici. Se l'obiettivo di sradicare l'Isis è condiviso, Siria e Ucraina restano terreno più minato.

Sulla Siria, Macron sottolinea la necessità di una transizione pacifica, preservando lo Stato siriano, per evitare il replicarsi di situazioni come la Libia. Putin non coglie la sfumatura della transizione politica, ma si dice d'accordo sulla necessità di preservare lo Stato siriano. Sull'Ucraina si continua a tentare la strada diplomatica. Macron rilancia il formato della Normandia e si augura una de-escalation, Putin contrattacca: "le sanzioni contro di noi non servono a risolvere la crisi". Ma è sulle presunte interferenze russe nelle elezioni francesi che l'atmosfera si scalda. Incurante della presenza di Putin, Macron definisce i media Russia Today e Sputnik come "strumenti di interferenza". "Non sono organi di stampa, per questo li ho esclusi in campagna elettorale". E chiude pragmatico: "quello che ci dovevamo dire ce lo siamo detti dopo la mia elezione". Putin incassa l'affondo sulle sue creature mediatiche, nega interferenze di hacker russi e giustifica l'invito a Marine Le Pen in campagna elettorale come la risposta a una richiesta della leader del Front National.

29/5/2017

Un confronto franco e diretto, con differenze sui diversi dossier, ma anche unità nella lotta contro il terrorismo. Il primo faccia a faccia tra Emmanuel Macron e Vladimir Putin non copre le divergenze tra i due leader sui temi più sensibili, ma dimostra pureuna volontà pragmatica di arrivare a soluzioni comuni sulle crisi più urgenti. Se l'obiettivo di sradicare l'Isis dimostra totale identità di vedute, Siria e Ucraina restano un terreno più minato.

Sulla Siria, Macron sottolinea la necessità di una transizione pacifica, preservando lo Stato siriano, per evitare il replicarsi di situazioni come la Libia. Macron ha aggiunto che l'utilizzo di armi chimiche rappresenta una linea rossa, superata la quale scattano le rappresaglie. Putin non coglie la sfumatura della transizione politica, ma si dice d'accordo sulla necessità di preservare lo Stato siriano. Sull'Ucraina si continua a tentare la strada diplomatica. Macron rilancia il formato della Normandia, Putin contrattacca: "le sanzioni contro di noi non servono a risolvere la crisi". Ma è sulle presunte interferenze russe nelle elezioni francesi che l'atmosfera si scalda. Incurante della presenza di Putin, Macron definisce i media Russia Today e Sputnik come "strumenti di interferenza". "Non sono organi di stampa, per questo li ho esclusi in campagna elettorale". E chiude pragmatico: "quello che ci dovevamo dire ce lo siamo detti dopo la mia elezione". Putin incassa l'affondo sulle sue creature mediatiche, nega interferenze di hacker russi e giustifica l'invito a Marine Le Pen in campagna elettorale come la risposta a una richiesta della leader del Front National.

29/5/2017

Tra mezz'ora circa l'atteso faccia a faccia Macron-Putin alla reggia di Versailles, che sarà seguito a metà pomeriggio da una conferenza stampa congiunta.

Incontro -fanno sapere da Mosca- voluto dallo stesso Macron, dopo che Putin aveva annullato, nell'ottobre di solo un anno fa, un meeting bilaterale con l'allora inquilino dell'Eliseo Francois Hollande, sull'onda delle tensioni del conflitto in Siria. Ancora la Siria, l'Ucraina e la lotta al terrorismo saranno al centro delle discussioni, anche sull'onda del G7 di Taormina - dove queste crisi hanno fatto capolino nelle conclusioni del vertice. Macron verosimilmente informerà Putin delle discussioni avute nella città siciliana, ma cercherà allo stesso tempo di riallacciare un rapporto tra Francia e Russia, dopo mesi di tensione, alimentate peraltro dagli stessi russi, con i palesi tentativi di hackeraggio della campagna elettorale del neopresidente francese e il plateale sostegno accordato alla candidata di estrema destra -poi perdente- Marine Le Pen. Proprio la Le Pen è tornata oggi a far sentire la propria voce, appoggiando la normalizzazione delle relazioni franco-russe. La visita di Putin si inserisce in un quadro geopolitico straordinariamente fluido, dopo l'uscita di ieri della cancelliera tedesca Merkel, che ha pubblicamente affermato che l'Europa non può più dipendere completamente dalle storiche alleanze con Stati Uniti e Gran Bretagna.

27/5/2017

Tutti contro Trump, Trump contro tutti. Ma senza rotture evidenti, perché Washington terrà in ostaggio ancora per qualche giorno l’intesa di Parigi sul clima.

Il presidente americano irrompe come un elefante nella cristalleria del G7, primattore ruspante nei gesti e spesso isolato dagli altri -anche per motivi di sicurezza- se non addirittura ritardatario. Si accoda nell’unità contro il terrorismo, ma fa saltare i nervi sul commercio, quando tesse la tela dei rapporti post-Brexit con la britannica May quando il comunicato finale in materia è ancora tutto da scrivere, e soprattutto sul clima. "L'intera discussione sul clima e' stata difficile, o piuttosto molto insoddisfacente", sbotta prima di andarsene la cancelliera tedesca Angela Merkel, giurando che non si faranno sconti sull’accordo di Parigi. La Merkel non ha digerito l’ennesimo -sguaiato- attacco di Trump alla Germania in materia di surplus commerciale. Più diplomatico il neopresidente francese Macron: “ho visto un Trump che ha convinzioni forti, che condivido solo in parte - ma anche un uomo aperto al confronto e alle discussioni multilaterali”, dice. Giudizio condiviso anche dall’italiano Gentiloni. Lui, the Donald, chiude il suo primo viaggio internazionale facendo sapere di aver raggiunto tutti gli obiettivi prefissati. E lasciando aperto l’enigma su chi sia davvero. E su cosa voglia, soprattutto.

27/5/2017

Tutti uniti contro il terrorismo, passi avanti sul commercio, compromesso al ribasso sui migranti, fallimento sul clima.

Il G7 di Taormina si chiude tra gli alti e i bassi di un comunicato finale che riflette alleanze e divisioni emerse nella due giorni di summit. Incassata -venerdì- l’unità dei 7 Grandi sul terrorismo, anche se -esclusa la lotta contro la radicalizzazione online- sono poche le novità di sostanza, il comunicato finale riesce a strappare una dichiarazione contro il protezionismo in materia commerciale alla presidenza americana più protezionista degli ultimi anni - "confermiamo il nostro impegno a mantenere aperti i nostri mercati e a combattere il protezionismo", siamo contro "tutte le pratiche scorrette di commercio", scrivono i 7. Sui migranti le conclusioni rappresentano un bilanciamento soppesato tra le priorità italiane, per costruire partnership coi Paesi di origine e di transito difendendo i diritti umani, e quelle americane, per la difesa dei confini garantendo la sicurezza nazionale. Il clima rappresenta sicuramente il punto più debole del summit, con sei Paesi contro uno: i sei si impegnano a implementare l’accordo di Parigi, intanto lasciano aperta la porta all’America di Trump, che -giura- deciderà la prossima settimana cosa fare. Nel comunicato spazio anche alla Russia, coi 7 che minacciano ulteriori sanzioni contro Mosca, se necessario. Analogo discorso per la Corea del Nord e la sua minaccia nucleare. Parole di prammatica infine sull’Africa e sulla necessità di sostenere la crescita. Grande novità del summit la lunghezza del comunicato: solo sei pagine, anche se scritte fitte.

27/5/2017

Ultima sessione di lavoro al G7, che dovrà tirare le fila sui punti più controversi dell’agenda.

Dopo la dichiarazione sul terrorismo, firmata ieri, e un compromesso sull’immigrazione inevitabilmente al ribasso, per la rigidità americana sulla protezione dei confini contro i flussi illegali, restano aperti i capitoli clima, commercio e Russia – su quest’ultimo punto si discuterà se implementare nuove sanzioni contro Mosca. Sul clima in realtà l’intesa sarà una “non intesa”: sei Paesi lasceranno aperta la porta agli Stati Uniti per restare nell’accordo di Parigi – in caso contrario, saranno ovviamente problemi seri. La Francia per il momento si accontenta, considerato il pericolo di un’uscita unilaterale di Washington. Sul commercio, qualche piccolo passo avanti, così almeno segnalano fonti europee, considerato che gli Stati Uniti avrebbero accettato di inserire nel comunicato finale il concetto di “lotta al protezionismo”. Da Bruxelles confermano che quello di Taormina si è rivelato uno dei G7 più difficili degli ultimi anni, mentre Donald Trump, in quello che appare sempre di più uno splendido isolamento, esce dallo spartito dei temi di giornata e twitta sulla lotta al terrorismo e sul successo ottenuto con l’incremento delle spese di difesa degli alleati Nato. Anziché tenere una conferenza stampa finale, Trump parlerà alle truppe americane a Sigonella. Anche la cancellieraMerkel lascerà il summit senza fare dichiarazioni alla stampa.

27/5/2017

Sta per concludersi la sessione del G7 allargata all’Africa, che precederà l’ultima e –si spera- decisiva sessione di lavoro dell’ora di pranzo.

Sul piatto dell’agenda generale restano ovviamente i nodi ancora da sciogliere su clima e commercio, irrisolti da ieri a causa del veto statunitense. Mentre si teme un compromesso al ribasso sul tema portante della presidenza italiana, quello dell’immigrazione, sul quale ancora una volta l’ostacolo statunitense -con Washington rigida sulle sue posizioni di contrasto all’immigrazione clandestina- pesa in modo non indifferente. Donald Trump è arrivato ai lavori della seconda giornata in ritardo e se ne andrà senza fare conferenza stampa, così come Angela Merkel. Merkel che -nei minuti precedenti l’inizio della seconda sessione dei lavori- è stata vista discutere intensamente con il neopresidente francese Macron. L’intesa tra i due è parsa evidente. Questo G7 conferma quantomeno il rinsaldarsi dell’asse franco-tedesco.

27/5/2017

Accordo sulla dichiarazione in 15 punti contro il terrorismo. Il G7 di Taormina trova l’intesa -nel primo giorno- sul punto meno controverso in agenda, la lotta all’Isis, che passerà da un maggiore contrasto alla radicalizzazione via internet, coinvolgendo i giganti del web, per combattere la propaganda online.

Previsto anche un capitolo foreignfighters, per evitare un loro ritorno massiccio in Europa. Terzo e ultimo capitolo, il taglio dei canali di finanziamento del terrorismo. Soddisfatta la premier britannica May, rientrata ieri a Londra per riprendere la campagna elettorale in vista del voto di giugno. “I leader del G7 si sono uniti alla Gran Bretagna nel condannare l’atto barbarico di violenza di Manchester. Sono momenti come questo che ci ricordano l’importanza dell’unità di questo gruppo di nazioni”, dice la May. La coesione nella lotta contro l’Isis non riesce però a nascondere le crepe apertesi sulle due sponde dell’Atlantico: in primis sui migranti, dove si rischia un compromesso al ribasso rispetto alle intenzioni italiane di varare un approccio globale, passando per il capitolo commercio -dove è esplosa ieri la polemica tra Stati Uniti e Germania sul surplus commerciale tedesco- e finendo con il clima. Qui la cancelliera tedesca Angela Merkel non lesina frecciate a Washington. “Sul clima siamo sei contro uno, gli Stati Uniti hanno reso chiaro di non aver ancora raggiunto una decisione sul rispetto degli accordi di Parigi”. Alla fine il temuto schema di Trump contro tutti è diventato la regola di questo anomalo summit. Agli sherpa il compito di ricomporre le posizioni.

26/5/2017

Una sola conferenza stampa ad ora, prima dell’avvio dei lavori del G7 – nello specifico quella dell’Unione Europea, con il presidente Tusk e quello della Commissione Juncker.

“Il summit più impegnativo degli ultimi anni”, così Tusk ha definito il G7. Tusk ha aggiunto che l’Europa lavorerà per l’unità e per trovare un’intesa sulle questioni più importanti. Ottimismo europeo per l’unità di vedute sulla crisi ucraina con la nuova amministrazione americana – unità tutt’altro che scontata, considerati i legami dell’entourage di Trump con Mosca, mentre sui temi-cardine, quali migranti, clima e commercio, l’Europa si affida più alla speranza di compattare il fronte transatlantico, che non a concrete convinzioni che un’intesa sia davvero alla portata. La preoccupazione sul clima al centro dell’intervento di Juncker. “L’accordo sul clima di Parigi va applicato interamente”, dice Juncker, che prova anche a sopire la polemica nata dopo il presunto attacco di Trump ieri alla Germania in materia di commercio – secondo Juncker il presidente americano non avrebbe definito “cattiva” la Germania, ma avrebbe detto che esiste un problema con il surplus commerciale di Berlino rispetto a Washington. Proprio Trump ha twittato poco fa che le sue priorità per il G7 sono crescita, terrorismo e sicurezza. Fonti della Casa Bianca parlano di una “discussione robusta” in vista, soprattutto su clima e scambi commerciali. In mattinata vari bilaterali: il presidente francese Macron ha incontrato la premier britannica May e quello canadese Trudeau, mentre Trump ha visto il premeir giapponese Abe.

26/5/2017

“Il summit più impegnativo in anni”, così il presidente europeo Tusk ha definito il G7 che si apre tra mezz’ora qui a Taormina. Le massime cariche comunitarie, reduci dall’incontro di ieri a Bruxelles con Donald Trump, hanno toccato i temi più importanti del vertice.

Tusk ha aggiunto che l’Europa lavorerà per l’unità e per trovare un’intesa sulle questioni più importanti. Ottimismo europeo per l’unità di vedute sulla crisi ucraina con la nuova amministrazione americana – unità tutt’altro che scontata, considerati i legami dell’entourage di Trump con Mosca, mentre sui temi-cardine, quali migranti, clima e commercio, l’Europa si affida più alla speranza di compattare il fronte transatlantico, che non a concrete convinzioni che un’intesa sia alla portata. Il presidente della Commissione Europea Juncker si limita a ribadire che l’accordo sul clima di Parigi va applicato interamente, e smentisce indiscrezioni relative a un Trump che avrebbe definito “cattiva” la Germania, sull’annoso problema del surplus commerciale. Juncker ha specificato che Trump avrebbe sottolineato che c’è un problema con questo surplus. Unità di intenti -quantomeno- sul terrorismo, forse il capitolo su cui un’intesa fra i Sette sarà più semplice. Il summit non è ancora iniziato, ma alcuni bilaterali hanno già avuto luogo, come quello fra il presidente francese Macron e la premier britannica May, o fra lo stesso Trump e il premier giapponese Abe. Lo dicevate voi poc’anzi, il premier Gentiloni ha garantito che “sul terrorismo e sicurezza faremo una dichiarazione importante".

26/5/2017

Terrorismo, immigrazione, clima e commercio: ruoterà intorno a questi cardini il G7 che si apre oggi a Taormina, preceduto da una giornata di faccia a faccia tra Nato, Europa e Donald Trump.

Il terrorismo, con l’attentato di Manchester, ha condizionato pesantemente l’agenda, portando la lotta contro l’Isis in primo piano. Molto probabile una dichiarazione ad hoc dei leader, proprio per rimarcare la situazione di emergenza. Su questo punto non ci dovrebbero essere grossi intoppi, considerata la presenza al summit di Theresa May, che dovrà lasciare il G7 in anticipo per tornare a Londra a seguire l’evolversi della situazione. I legami libici dell’attentatore di Manchester Salman Abedi potrebbero aiutare l’Italia a portare proprio Tripoli -e la sua perenne instabilità- sotto i riflettori. Spostando così l’attenzione sul problema immigrazione. Per Roma resta centrale una politica globale sui migranti, che includa sia il contrasto a quella clandestina, sia la cooperazione con i Paesi di origine e di transito. Qui però potrebbe scontrarsi con un Trump interessato solo ai risvolti legati alla sicurezza contro il fenomeno migratorio. Non sarà probabilmente un G7 come gli altri, paludati e con comunicati finale-fiume, conditi da impegni di cui si è persa memoria. La presenza del nuovo inquilino della Casa Bianca potrebbe renderlo molto più pragmatico e ricco di contrasti: le posizioni di Washington su clima e commercio internazionale, spesso antitetiche a quelle dell’Europa, potrebbero portare a sorprese e risvolti imprevedibili. Il braccio di ferro sta per iniziare.

25/5/2017

L’allerta terrorismo piomba sul G7, stravolgendone potenzialmente l’agenda, inizialmente più focalizzata su migranti e clima.

Tra le ultime notizie rimbalzate qui in Sicilia, il fermo di quattro presunti affiliati all’Isis, avvenuto a Mosca – secondo i servizi segreti russi stavano preparando attentati sulla rete dei trasporti della capitale, utilizzando ordigni artigianali. Trovato anche un laboratorio per la produzione di esplosivi. L’allerta terrorismo, dicevamo, irrompe nel programma del summit, tanto che si ipotizza una dichiarazione dei leader mondiali ad hoc – un documento in cui verrebbe riaffermata la coesione e l’unità dei sette Grandi nella lotta al terrore: il premier Gentiloni ha già garantito un impegno comune contro il terrorismo, e l’ingresso della Nato a pieno titolo nella coalizione anti-Isis faciliterà le cose. Per paradosso, inoltre, i legami libici dell’attentatore di Manchester potrebbero offrire un’interessante sponda anche al tentativo italiano di portare sotto i riflettori della comunità internazionale la situazione in Libia, Paese ancora destabilizzato e diviso dopo la caduta di Gheddafi, trasformatosi negli anni sia nella base operativa dei gruppi criminali che alimentano il traffico di migranti, sia in uno degli obiettivi territoriali del cosiddetto Stato Islamico. Il primo effetto pratico sul vertice riguarderà la presenza della premier britannica May, che lascerà il summit in anticipo, per tornare a seguire da Londra le evoluzioni della crisi seguita all’attentato di Manchester.

23/5/2017

L'Italia incassa il via libera europeo, evita gli esami di riparazione, ma tornerà sotto osservazione in autunno.

Questa in sintesi la raccomandazione emersa ieri da Bruxelles, con la quale la Commissione ha dato l'ok alle misure di bilancio addizionali da oltre tre miliardi prese da Roma per l'anno in corso, precisando che non sussistono le condizioni per una procedura per squilibri macroeconomici - squilibri che restano, ma che sono rimediabili proseguendo con le riforme. Anche se, nota con l'Europa, gli impegni italiani sono limitati dall'assenza di dettagli sull'adozione delle riforme e dalla mancanza di un calendario di attuazione. Elevato debito pubblico, lenta crescita della produttività, perdita di competitività, crediti deteriorati nei bilanci bancari, tempi della giustizia civile. Queste alcune delle zavorre strutturali di cui soffre il nostro Paese. "Rivaluteremo la conformita' con il criterio del debito sulla base delle nostre previsioni di autunno", ha dichiarato il Commissario agli Affari Economici Moscovici, che ha garantito che l'Italia continuerà a godere di un margine di flessibilità, purché rispetti i patti. Moscovici ha sottolineato come -per il prossimo anno- Bruxelles non abbia indicato cifre per lo sforzo di aggiustamento necessario - tuttavia, è chiaro fin da ora che dovrà essere "sostanzioso". A proposito del 2018, a far discutere è soprattutto la richiesta europea di spostare il carico fiscale dalla produzione a settori meno dannosi per la crescita. Di qui la proposta: reintrodurre l'Imu sulla prima casa, per i redditi più elevati.

22/5/2017

OK alla manovra. E nessuna procedura sugli squilibri macroeconomici. Anche se in autunno Bruxelles tornerà a verificare lo stato di attuazione delle riforme.

L'Italia passa dunque l'esame della Commissione Europea, anche se resta tra gli Stati sotto osservazione. Nelle raccomandazioni-Paese la Commissione ha dato il via libera alle misure di bilancio addizionali da oltre tre miliardi prese da Roma per il 2017, e ha aggiunto che non ci sono le condizioni per una procedura per squilibri macroeconomici - squilibri che restano, ma che sono rimediabili proseguendo con le riforme. Anche se, nota con preoccupazione l'Europa, gli impegni italiani sono limitati dall'assenza di dettagli sull'adozione delle riforme e dalla mancanza di un calendario di attuazione. Elevato debito pubblico, lenta crescita della produttività, perdita di competitività, crediti deteriorati nei bilanci bancari, tempi della giustizia civile. Queste alcune delle zavorre strutturali di cui soffre il nostro Paese. "Rivaluteremo la conformita' con il criterio del debito sulla base delle nostre previsioni di autunno", ha dichiarato il Commissario agli Affari Economici Moscovici, che ha garantito che l'Italia continuerà a godere di un margine di flessibilità, purché rispetti i patti. Moscovici ha sottolineato come -per il prossimo anno- Bruxelles non abbia indicato cifre per lo sforzo di aggiustamento necessario. A proposito del 2018, a far discutere è soprattutto la richiesta europea di spostare il carico fiscale dalla produzione a settori meno dannosi per la crescita. Di qui la proposta: reintrodurre l'Imu sulla prima casa, per i redditi più elevati.

22/5/2017

Eurogruppo in corso, con la Grecia in primo piano: arrivando al summit, il Commissario agli Affari Economici Pierre Moscovici ha dichiarato che dopo il voto da parte del Parlamento ellenico su nuove misure economiche, Atene ha dimostrato di rispettare gli impegni. E spetta dunque ora ai suoi partner -leggi l'Europa- prendersi le proprie responsabilità.

La giornata odierna ha avuto al centro le raccomandazioni-Paese della Commissione Europea, che in un rapporto di dieci pagine ha certificato come l'Italia -al pari di Cipro e Portogallo- continui a registrare squilibri macroeconomici eccessivi. Tuttavia Bruxelles ha deciso di non avviare alcuna procedura di infrazione. A patto ovviamente che questi Paesi attuino pienamente il percorso di riforme indicato. Sotto la lente di ingrandimento di Bruxelles, nel caso italiano, sono finiti -oltre all'elevato debito pubblico- anche la lenta crescita della produttività, la perdita di competitività e i crediti deteriorati nei bilanci bancari. "Rivaluteremo la conformita' con il criterio del debito sulla base delle nostre previsioni di autunno", ha dichiarato Moscovici, sottolineando come per il prossimo anno Bruxelles non abbia indicato cifre per lo sforzo di aggiustamento necessario all'Italia. C'è stata anche una polemica a distanza sull'asse Roma-Bruxelles: la Commissione chiede di reintrodurre l'Imu sulla prima casa per le famiglie ad alto reddito. Replica il Ministro dell'Economia Padoan: "cambiare idea su una tassa che e' stata modificata pochi mesi fa non e' una buona idea".

20/5/2017

E' made in Italy il primo supermagnete che permetterà, da qui a otto anni, il via alla sperimentazione della fusione nucleare. 300 tonnellate per 9 metri di ampiezza e 13 di altezza, il magnete sarà impiegato a Cadarache, nella Francia del Sud, dove Iter, progetto a guida europea -ma con forte partecipazione internazionale- produrra' energia pulita come quella del sole.

Il magnete è stato prodotto nello stabilimento Asg Superconductors, di La Spezia. E' il primo dei diciotto che andranno a costituire il cuore di Iter, dieci dei quali saranno costruiti nella Penisola, destinati a contenere il plasma a 150 milioni di gradi centigradi, che genereranno un campo magnetico un milione di volte piu' potente di quello della terra. La tecnologia italiana entra in gioco anche nella fase di produzione dell'energia utile ad avviare la macchina, con i progetti avviati a Padova per accelerare le particelle ad altissima energia che dovranno scaldare il plasma. L'Europa ha investito oltre 6 miliardi di euro in 13 anni nel progetto Iter: nel 2025 la prima sperimentazione di fusione nucleare, che riprodurra' la produzione di energia solare in modo pulito e senza emissioni inquinanti o scorie radioattive.

16/5/2017

Piena intesa con la cancelliera tedesca Angela Merkel. E un conservatore moderato a capo del nuovo Governo, per garantirsi una -a questo punto possibile- maggioranza parlamentare alle elezioni di giugno. Emmanuel Macron mette il turbo, nel primo pomeriggio di lavoro all'Eliseo. O meglio, da Berlino, dove Macron viene accolto con grande calore da una Merkel raggiante. E non solo per la storica vittoria nelle elezioni regionali nel Nordrhein Westfalen.

"Lavoreremo a stretto contatto", garantisce la cancelliera, che elenca i cantieri di lavoro aperti in Europa, quali il rafforzamento dell'Eurozona, i nuovi progetti di politica fiscale, l'immigrazione e l'asilo, i dossier commerciali, la difesa. A sorpresa, la Merkel apre anche a una revisione dei Trattati europei. Macron raccoglie la sfida della revisione dei Trattati, chiude sugli Eurobond, e ricorda di non aver dimenticato il voto di rabbia del popolo francese, prima di elencare le riforme da fare in Francia, nei settori economico, sociale ed educativo. "Occorre più pragmatismo e meno burocrazia nell'Unione Europea", sottolinea Macron, che auspica un ritorno della fiducia sull'asse Parigi-Berlino. Il pomeriggio era stato dominato dall'annuncio del nuovo primo ministro, Edouard Philippe. Conservatore moderato, con un passato socialista e di "enarca", e un presente di fedelissimo dell'ex-premier Juppè, Philippe rappresenta una pedina-chiave nella futura maggioranza parlamentare e nella sfida di Macron di costruire un Governo che superi la tradizionale rivalità destra-sinistra. Oggi l'annuncio della composizione del Governo, domani mattina primo Consiglio dei Ministri.

11/5/2017

428 candidati, il 52% dalla società civile, divisi esattamente a metà tra uomini e donne, e tutti con una fedina penale pulita. Età media: 46 anni. Questo l'identikit dei possibili futuri parlamentari de La Republique En Marche, schieramento politico che costituisce la naturale evoluzione del movimento che ha portato Emmanuel Macron all'Eliseo. Obiettivo: vincere e portare a casa la maggioranza, evitando una faticosa coabitazione al potere.

"La promessa di cambiamento è mantenuta", sentenzia il segretario generale Richard Ferrand, che ricorda come il movimento abbia ricevuto ben 19mila candidature. Zuccherino anche per l'ex-premier socialista Manuel Valls, la cui autocandidatura è stata respinta al mittente: En Marche non gli opporrà alcun contendente, qualora dovesse candidarsi -anche da indipendente- nel suo collegio. Meglio è andata ad altri 24 deputati socialisti, passati con Emmanuel Macron. E ci saranno pure candidati appartenenti alla formazione centrista Modem. Il tutto mentre si apre un nuovo caso di conflitto industriale in un impianto della Creuse, nel centro della Francia, dove un gruppo di operai ha minato con bombole di gas una fabbrica specializzata nell'indotto per l'industria automobilistica. Il sito è a rischio chiusura: in bilico quasi 300 posti di lavoro. I delegati sindacali non escludono di portare il caso a Parigi, per appellarsi al nuovo presidente Macron.

10/5/2017

Respinto al mittente. Il tentativo di Manuel Valls, ex-premier ed ex-aspirante presidente francese socialista, di riciclarsi nel movimento politico di Emmanuel Macron En Marche, frana miseramente sulle parole di Jean Paul Delevoye, incaricato dallo stesso Macron di definire le liste di candidati per le elezioni parlamentari di giugno.

Dopo aver rotto una prima volta coi socialisti, sostenendo la candidatura di Macron, Valls aveva pubblicamente firmato il divorzio dal suo partito due giorni dopo il trionfo del candidato di En Marche, annunciando in radio la sua volontà di presentarsi col nuovo movimento. Una scelta che non ha pagato: il giorno dopo Delevoye ha gelato ogni speranza. "Al momento la richiesta di investitura di Manuel Valls non soddisfa i criteri per l'accettazione da parte di En Marche!". Come se non bastasse, Delavoye aggiunge che -per la circoscrizione di Valls- c'è già una candidata, e che La Republique En Marche non ha la vocazione di riciclare politici uscenti. Dietro le parole, si intravede la vendetta -servita fredda- dello stesso Macron, con cui Valls ha avuto rapporti a tratti burrascosi, quando quest'ultimo era premier e l'attuale presidente-eletto Ministro dell'Economia. Vicini sui temi economici, la pensano diversamente su molte altre questioni, anche a causa della visione più autoritaria di Valls, che avrebbe più volte provato ad umiliare il collega-rivale Macron, anche pubblicamente. Chi la fa l'aspetti.

10/5/2017

Emmanuel Macron avrebbe chiesto a Donald Trump di non abbandonare l'accordo di Parigi sul clima durante la telefonata di congratulazioni che il tycoon gli ha fatto lunedì. Lo ha riferito il portavoce del presidente eletto francese alla Cnn. Intanto torna a scaldarsi il clima politico Oltralpe.

Partiti francesi in fermento, dopo la vittoria di Emmanuel Macron alle presidenziali: oggi il presidente eletto incontrerà un'ultima volta quello uscente Hollande, prima del passaggio ufficiale di consegne domenica all'Eliseo. Il clima nel Partito Socialista, sull'orlo dell'implosione, è pesantissimo. L'ex-premier Manuel Valls, che aveva già rotto con la linea ufficiale appoggiando la candidatura di Macron, annuncia in un'intervista che si presenterà alle parlamentari di giugno nelle liste de La Republique En Marche. Per aggiungere sale sulle ferite di un partito a pezzi, Valls ha definito il partito socialista uno schieramento morto. Dal movimento di Macron si sono subito affrettati a precisare che la candidatura di Valls nelle loro liste non è affatto automatica. Anche perché si stanno tuttora vagliando migliaia di profili: domani la definizione delle liste, con la difficoltà di dover bilanciare i volti nuovi della società civile con i politici di professione. I socialisti, in pieno marasma, provano a uscire dall'empasse approvando una piattaforma programmatica che abolisce alcune delle proposte più estreme di Hamon, mentre la destra dei Republicainsdibatte se fare ostruzione o collaborare con il nuovo presidente, in caso di maggioranza parlamentare. Infine il Front National, dove Marion Marechal Le Pen, in rotta di collisione col rinnovamento annunciato dalla zia Marine, saluta e abbandona la vita politica.

9/5/2017

La campagna per le elezioni legislative in Francia si apre con l'implosione -attesa ma non per questo meno fragorosa- del Partito Socialista, finito ai minimi termini nell'elezione presidenziale.

L'ex-premier Manuel Valls, che aveva già rotto con la linea ufficiale appoggiando fin da subito la candidatura di Emmanuel Macron, annuncia in un'intervista che si presenterà alle parlamentari di giugno nelle liste de La Republique En Marche, la formazione presidenziale. Per aggiungere sale sulle ferite di un partito a pezzi, Valls ha definito il partito socialista uno schieramento morto. Dal movimento di Macron si sono subito affrettati a precisare che la candidatura di Valls nelle loro liste non è affatto automatica. Anche perché si stanno ancora vagliando migliaia di profili: obiettivo è avere almeno metà di candidature dalla società civile, portando aria fresca nella politica. Non esattamente l'identikit di Valls. A peggiorare le cose la rivelazione di un ex-consigliere di Hollande, secondo cui il presidente uscente avrebbe votato Macron anche al primo turno, boicottando il candidato del suo partito, Hamon. I socialisti provano a uscire dall'empasse approvando una piattaforma programmatica che abolisce alcune delle proposte più estreme di Hamon, mentre la destra dei Republicains dibatte se fare ostruzione o collaborare con il nuovo presidente, in caso di maggioranza parlamentare. Infine il FrontNational, dove si avvicina il ritiro dalla politica di Marion Marechal Le Pen, in rotta di collisione col rinnovamento annunciato dalla zia Marine.

9/5/2017

Un passaggio di consegne simbolico. Francois Hollande celebra la vittoria alleata sul Nazismo, sotto l’Arco di Trionfo e dopo una parata blindata sugli Champs Elysees, chiamando vicino a sé il suo successore. “Una complicità paternalistica”, commentano i media francesi, osservando come Hollande guidi fisicamente i passi di Macron, introducendolo alle regole del protocollo presidenziale.

“Sarò sempre al suo fianco”, chiosa Hollande: tra cinque giorni il passaggio di consegne ufficiale all’Eliseo: in comune anche un ultimo incontro -per Hollande- e un primo incontro -per Macron- con la cancelliera tedesca Angela Merkel, per sottolineare una volta di più su quale asse far ripartire l’Europa. I voti definitivi delle presidenziali regalano a Macron la soddisfazione di aver superato quota 66%, con due terzi esatti dei votanti a suo favore: dopo le dimissioni da leader di En Marche si prepara per lui un altro mese difficile, con le elezioni legislative da preparare e alleanze politiche da costruire, per evitare la trappola di un Parlamento ostile. Senza contare il totonomi per il prossimo premier e squadra di Governo. La marcia del maratoneta Macron affronta l’ultimo miglio. Il più insidioso.

8/5/2017

Le coincidenze della storia regalano a Emmanuel Macron una prima uscita da presidente eletto nel giorno della Festa per la Vittoria alleata contro il nazismo. Proprio lui che -in una domenica da ricordare- ha ricacciato nell’angolo i fantasmi dell’estrema destra. Il presidente uscente Francois Hollande si mostra rilassato e felice, nell’accoglierlo sotto l’Arco di Trionfo, per le celebrazioni blindate sugli Champs Elysees.

“Sarò sempre al suo fianco”, dichiara a margine delle celebrazioni Hollande, sottolineando con le parole il linguaggio del corpo, definito dai media francesi come “complice” e paternalistico, anche nel guidarlo fisicamente nel rispetto del protocollo. Hollande e Macron faranno il passaggio di consegne ufficiale domenica: in comune avranno anche un ultimo incontro -per Hollande- e un primo incontro –per Macron- con la cancelliera tedesca Angela Merkel, per sottolineare una volta di più su quale asse far ripartire l’Europa. I voti definitivi delle presidenziali regalano a Macron la soddisfazione di aver superato quota 66%, con due terzi esatti dei votanti a suo favore: dopo le dimissioni da leader di En Marche si prepara per lui un altro mese difficile, con le elezioni legislative da preparare e alleanze politiche da costruire, per evitare la trappola di un Parlamento ostile. Senza contare il totonomi per il prossimo Governo. Giorni in salita per il più giovane presidente della storia francese.

8/5/2017

Alle 20 in punto l’Esplanade du Louvre esplode in un boato liberatorio, quando l’elezione diventa certa: decine di migliaia di manifestanti celebrano la solida e convincente vittoria di Emmanuel Macron, che ricaccia i fantasmi dell’estrema destra nell’angolo. Il più giovane presidente nella storia repubblicana compare un’ora dopo, collegato dal suo quartier generale, per tracciare le linee dei suoi prossimi cinque anni all’Eliseo.

"Difendero' l'Europa, la comunanza di destini che si sono dati i nostri popoli. Ricostruiro' il legame tra l'Europa e i popoli che la compongono, tra l'Europa e i suoi cittadini”, dice, dopo aver salutato la rivale Le Pen, e aver garantito che lotterà per estirpare i motivi che hanno portato gli elettori a votare l’estrema destra. Elenca alcune delle sfide che lo attendono: la lotta al terrorismo, il cambio climatico, la cooperazione allo sviluppo. E rende chiaro che si apre una nuova pagina di storia, quella della speranza e della fiducia ritrovata. Quando un’ora dopo Macron arriva al Louvre, per il meritato bagno di folla, sceglie l’inno europeo per entrare in scena. Non quello francese. Un altro clamoroso cambio di passo. I suoi supporter sono felici, guardano a lui con speranza, ma niente assegni in bianco: lo misureranno sui risultati. A ricordarglielo l’alta astensione e il record di schede bianche o nulle. Si apre intanto la battaglia per le legislative, il mese prossimo, nelle quali Macron dovrà conquistarsi una solida maggioranza parlamentare, se vuole evitare un’ostica coabitazione al potere. Marine Le Pen incassa la sconfitta, e volta pagina, facendo sapere che il Front National sarà rifondato. A partire dal nome. Il padre Jean-Marienon la prende bene. Oggi prima uscita da presidente eletto Macron, a fianco di quello uscente Hollande, nelle celebrazioni per l’8 maggio.

8/5/2017

Entra in scena sulle note dell’Inno alla Gioia Emmanuel Macron, dopo che le sue decine di migliaia di sostenitori avevano festeggiato e ballato a ritmo di musica per un’intera serata sull’Esplanade du Louvre, nel cuore di Parigi.

Sceglie volutamente l’inno europeo, rimpiazzando -in una prima assoluta- quello francese, per lanciare un chiaro segnale alla Francia e al mondo su come con lui si cambi passo. Emmanuel Macron incassa i due terzi dei voti al ballottaggio, e ricaccia Marine Le Pen nell’angolo, negandole la soddisfazione di una pur rumorosa sconfitta. Macron ringrazia i sostenitori dal palco, ricalcando le parole di Barack Obama, nove anni fa a Chicago. "Stasera la Francia ha vinto. Chi diceva 'non e' possibile' non conosce la Francia”. Poi rende chiaro che la partita non è ancora vinta: a giugno ci sono le elezioni parlamentari, nelle quali Macron dovrà assicurarsi una maggioranza, se non vuole fare la fine del presidente in coabitazione con l’opposizione. Infine porta la moglie Brigitte sul palco, mano nella mano. La folla applaude e sventola le bandiere tricolori, sapendo di vivere la storia: davanti a lei il più giovane presidente repubblicano, a capo di un partito che un anno fa neppure esisteva. Da parte sua Marine Le Pen incassa la sconfitta e fa sapere che il Front National canbierà nome, scatenando subito una guerra col padre Jean-Marie. La Francia volta pagina, scegliendo il suo volto più giovane, europeo e inclusivo. Oggi la prima uscita di Macron, a fianco di Francois Hollande, nelle celebrazioni per la vittoria dell’8 maggio.

7/5/2017

L’ora del voto: le elezioni più anomale della Quinta Repubblica francese arrivano alla tappa finale, lasciandosi alle spalle le macerie della tradizionale alternanza destra/sinistra.

Chiunque sarà il presidente stasera, la Francia entrerà in un’era nuova: tra misure di sicurezza rafforzate, con 50mila poliziotti e gendarmi schierati a protezione del voto, 47 milioni di francesi sono chiamati alle urne. Da tenere d’occhio l’incognita astensione, che potebbe favorire soprattutto la leader di estrema destra Marine Le Pen. Tuttavia,Emmanuel Macron resta il grande favorito, e si prepara a festeggiare al Louvre coi suoi sostenitori. Proprio Macron è stato suo malgrado protagonista della giornata di ieri, dopo che un hackeraggio massiccio di documenti, e-mail e dati del suo movimento En Marche sono finiti online. Il presidente uscente Hollande promette una risposta a questa ingerenza – si sospetta straniera, anche se i media transalpini hanno elegantemente sorvolato sul contenuto del materiale trafugato. I francesi d’Oltremare e delle Americhehanno già cominciato a votare: code chilometriche segnalate ai seggi in Quebec.

6/5/2017

Il caso hackeraggio irrompe nella giornata di silenzio elettorale, con la campagna di Macron che denuncia un’operazione massiccia di diffusione online di documenti, e-mail e dati dell’equipe del candidato di En Marche, specificando come molti di questi documenti siano persino falsi, se non irrilevanti.

La Commissione di Controllo della campagna elettorale ha chiesto ai media di non diffondere i contenuti di provenienza illecita. Il presidente uscente Hollande ha promesso una risposta a questa ingerenza. Intanto la macchina del voto finalizza i preparativi, tra misure di sicurezza rafforzate: 50mila i poliziotti e gendarmi impegnati a vegliare sul voto, in un Paese minacciato dal terrorismo. Le operazioni si sono già aperte nei territori d’Oltremare e in Quebec – a Montreal segnalate code chilometriche di elettori in fila per votare. Gli ultimi sondaggi dannoEmmanuel Macron largamente in testa su Marine Le Pen.

6/5/2017

Una poltrona per due. Con l’incognita astensione. Emmanuel Macron naviga col vento in poppa verso un’impensabile -solo un anno fa- elezione a presidente della Repubblica.

Decisivi a suo favore i guai giudiziari di Fillon, insieme al crollo socialista dopo cinque anni di presidenza Hollande. A meno di clamorosi stravolgimenti, un replay dello choc-Trump appare difficile, anche in ragione di sistemi elettorali diversi, tra Francia e Stati Uniti. Marine Le Pen si aggrappa alla speranza dell’astensione, prevedibilmente più alta rispetto al primo turno. Ma dovrebbe pregare per un miracolo, a volerla dire tutta. La candidata di estrema destra si è bruciata in tre giorni gli anni spesi a lavare e ripulire l’immagine di un partito da sempre considerato fascista: la sua imbarazzante ignoranza in materia economica e i toni eccessivamente aggressivi sfoggiati nel dibattito televisivo a due, insieme alle onnipresenti contestazioni che l’hanno accompagnata negli ultimi due giorni, hanno fatto riscoprire alla Francia le radici di un partito che non può avere posto in Europa. A meno di non volerla sfasciare. Se tutto va come previsto, lunedì ci sveglieremo con due incognite: quale presidente sarà davvero EmmanuelMacron, quali progetti di riforma ha per la Francia e l’Europa, con quale maggioranza parlamentare li potrà portare avanti. E quanti voti avrà conquistato Marine Le Pen. L’anima nera della Francia può ancora riservare sorprese.

5/5/2017

Giornata da dimenticare per Marine Le Pen. E giornata di sostegni a pioggia, compreso quello -pesantissimo- di Barack Obama, per Emmanuel Macron. Il post-dibattito riflette l'esito del duello televisivo, vinto da Macron, con una Le Pen in caduta libera di immagine.

In una singolare legge del contrappasso, proprio lei che aveva propiziato giorni fa i fischi contro Macron ad Amiens, è finita sotto i lanci di uova in Bretagna, al grido di "via i fascisti". Un brutto colpo all'immagine, nel giorno in cui Macron la denunciava per "falso e propagazione di notizie false, destinate ad avere influenza sul voto". Quella frase, scappata alla Le Pen in televisione, nella quale ipotizzava conti offshore del rivale alle Bahamas, le è costata un'indagine preliminare della procura di Parigi. Come se non bastasse, pure Francois Hollande si è burlato della leader del Front National: "l'ignoranza può farti arrivare al ballottaggio, ma non può permetterti l'elezione a presidente della Repubblica", ha detto. L'evidente disagio della Le Pen sui dossier economici ha lasciato il segno. L'ex-presidente americano Barack Obama, ancora molto amato in Europa, ha diffuso un video per sostenere Macron; "fa leva sulle speranze della gente, non sulle paure", dice Obama. Lui, il leader di En Marche, promette intanto che porterà fino in fondo la promessa di rinnovamento. I sondaggi gli sorridono. Ieri i suoi consensi sono cresciuti per il terzo giorno consecutivo, portandolo al 61%, contro il 39 della Le Pen.

4/5/2017

Il giorno dopo il dibattito presidenziale più teso e rissoso nella storia politica francese Marine Le Pen raccoglie i cocci di un clima rovente: in visita in Bretagna, la Le Pen è dovuta fuggire, per evitare il lancio di uova da parte di un gruppo di contestatori, che l'hanno attaccata al grido di "via i fascisti". Un risveglio brusco, per una Le Pen che ha perso ai punti il confronto televisivo, dimostrando molta aggressività ma scarsa conoscenza dei dossier economici.

Il presidente uscente, Francois Hollande, non ha risparmiato ironie sull'"ignoranza" della Le Pen: "l'elezione presidenziale non è un concorso, non vengono verificate le conoscenze e quindi può accadere che -nonostante l'ignoranza- si possa essere qualificati al secondo turno, ma l'ignoranza non può permettere l'elezione a presidente della Repubblica". Emmanuel Macron intanto ha sporto denuncia per 'falso e propagazione di false notizie destinate ad avere influenza sul voto', dopo le insinuazioni fatte dalla LePen nel corso del confronto, circa possibili conti offshore del rivale alle Bahamas. La procura di Parigi ha aperto un'indagine preliminare. Per Macron è sceso in campo anche l'ex-presidente americano Obama: "ammiro la sua campagna elettorale. Macron fa leva sulle speranze della gente, non sulle paure". I sondaggi spingono il candidato liberale: per il terzo giorno consecutivo guadagna punti, ora è dato al 61%, contro il 39 della Le Pen.

2/5/2017

Ultima settimana di fuochi d'artificio elettorali in Francia, in attesa del confronto decisivo di domani sera in televisione. Emmanuel Macron e Marine Le Pen si sfidano a distanza nel giorno del primo maggio, mentre i sondaggi danno il candidato liberale con un confortevole vantaggio di 59 a 41 sulla rappresentante dell'estrema destra. Vittoria sì, ma non trionfo - anzi, un potenziale smacco per il fronte repubblicano coagulatosi contro la Le Pen.

"Il Front National è il partito dell'anti-Francia", ha incalzato Macron da Parigi, aggiungendo: "combatterò sempre il Front National, perché non merita la vostra collera, la sfrutta". Macron si è presentato come il leader della resistenza e della rinascita, ha affermato che non rinuncerà alla legge sul mercato del lavoro, e ha intrecciato la sua visione di futuro sulla Francia con quella dell'Europa. Marine Le Pen ha scelto invece Villepinte, una banlieue a nord i Parigi, per l'ultimo grande comizio: la candidata di estrema destra ha preso di mira il suo avversario, definendoMacron come l'uomo che intende aggiungersi alla "lista dei presidenti per diritto divino". Un rappresentante del mondo della finanza. A lui si è contrapposta, presentandosi come la candidata dell'altra Francia. Quella che si sveglia presto per lavorare. E dopo segnali di un clamoroso ammorbidimento sull'uscita dall'Eurozona, la Le Pen ha precisato: "negozieremo fino a otto mesi, poi ci sarà un referendum. E il popolo deciderà".

1/5/2017

Primo maggio di campagna elettorale in Francia, entrata ufficialmente nell'ultima settimana prima del ballottaggio presidenziale.

In un comizio a Parigi il candidato liberale Macron, dietro al quale si è coalizzata la maggior parte dell'establishment politico transalpino, ha definito il Front National come il partito dell'anti-Francia, il partito della menzogna. Macron ha invocato una fase di ricostruzione, e ha disegnato un progetto di futuro, basato su una Francia patriottica, riformatrice, efficace e giusta - una Francia forte in un'Europa che la protegge. A proposito di Europa, Macron ha invocato il ritorno sul proscenio della Francia, a sostegno di un'Europa forte, democratica, potente e rispettata. Marine Le Pen ha scelto invece Villepinte, banlieue a nord i Parigi, per l'ultimo grande comizio della campagna: la candidata di estrema destra ha preso di mira il suo avversario, definendo Macron come l'uomo che intende aggiungersi alla "lista dei presidenti per diritto divino". Poi ha incalzato: "l'avversario del popolo francese è la finanza, e stavolta ha un nome, una faccia, un partito, e si è candidato. Si chiama Emmanuel Macron". La Le Pen si è presentata come la candidata dell'altra Francia. Quella che si sveglia presto per lavorare. Per Marine Le Pen l'appoggio del padre Jean-Marie, giunto a margine del tradizionale omaggio del primo maggio -da parte dell'estrema destra- a Giovanna D'Arco. Nei sondaggi Macron continua a dominare, con uno scarto tra i 16 e i 22 punti. Il che lascerebbe presagire una vittoria. Ma non un trionfo.

29/4/2017

L'Unione Europea serra i ranghi, aprendo un mese cruciale per porre le basi della futura Brexit. Lo fa sullo sfondo sia delle ormai imminenti elezioni britanniche, sia di una crescente tensione diplomatica sulle due sponde della Manica - prova ne è stato il botta e risposta a distanza tra le due donne forti in campo, la tedesca Merkel e la britannica May.

"Non fatevi illusioni, non avrete più i diritti di uno Stato comunitario", ha detto la Merkel. "Vi state coalizzando contro di noi, tutti e 27", ha ribattuto la May. Prologo del battibecco, un incontro a Downing Street tra la Commissione Europea e la premier britannica, definito "costruttivo" nei comunicati ufficiali, ma che -secondo fonti comunitarie- sarebbe andato molto male. Visto da Bruxelles, Londra non ha ancora davvero compreso cosa significhi lasciare l'Unione. Intanto Londra vede rallentare -dimezzandosi- la corsa del pil, a un modesto +0,3% nel primo trimestre. Nella sua lettera di invito al summit odierno, il presidente europeo Tusk ha ribadito che prima occorrerà definire chiaramente i termini del divorzio. E solo dopo si potrà discutere dei rapporti di cooperazione futuri. Due i punti irrinunciabili: le garanzie per i cittadini europei che vivono Oltremanica. E l'adempimento di tutti gli obblighi finanziari da parte di Londra: un conto salato, pari a diverse decine di miliardi. Nelle ultime ore ha fatto capolino pure la questione nordirlandese: Dublino spinge per concedere a Belfast la possibilità di un accesso automatico all'Unione. I 27 leader nel pomeriggio dovrebbero varare le linee guida negoziali: a maggio calcio d'inizio dei negoziati.

28/4/2017

Tassi bassi ai livelli attuali, o inferiori, ancora a lungo e ben oltre la fine del Quantitative Easing. Il presidente della Bce Draghi non cede sulla politica monetaria espansiva, su cui Francoforte ha puntato tutto negli ultimi anni per uscire dalla crisi. E per rendere chiaro il concetto Draghi chiarisce che il board Bce non ha discusso eventuali cambi di direzione in vista di giugno, così come trapelato sulla stampa internazionale.

Il motivo è chiaro: prima di ragionare su una normalizzazione della politica monetaria, è necessario che l'inflazione raggiunga il livello desiderato da Francoforte, vicina ma inferiore al 2%. Questo in modo durevole e non limitato a un solo Paese - riferimento esplicito alla Germania, che ha centrato l'obiettivo, a differenza di altri pesi massimi europei, tra cui l'Italia. Anche per questo, spiega il presidente Bce, qualora le prospettive economiche peggiorassero, il programma di acquisti previsto dal Quantitative Easing potrebbe pure venire rafforzato e prolungato oltre dicembre. "Non facciamo politica monetaria sulla base dei risultati elettorali", ha quindi specificato Draghi, guardando a un calendario fitto di appuntamenti alle urne. Il primo dei quali in Francia, tra poco più di una settimana: "discutiamo di politiche, non di politica", ha precisato, rispondendo a una domanda specifica sul ballottaggio transalpino. Sulla ripresa nell'Eurozona, infine, Draghi l'ha definita "sempre più solida. I rischi sono diminuiti, anche se le pressioni inflazionistiche restano moderate".

26/4/2017

Il pacchetto della Tripla A Sociale: Bruxelles lancia la svolta anti-austerità, per contrastare l'onda populista ed euroscettica - alimentata dalla lunga crisi finanziaria e da una globalizzazione mal governata.

Oggi la Commissione Europea presenta un insieme di misure su salari, contrattazione collettiva, congedo parentale, orario di lavoro e accesso universale al welfare a tutela dei lavoratori. Obiettivo di Bruxelles: porre fine al dumping tra i Paesi dell'Est e dell'Ovest, e fermare l'erosione dei diritti dei lavoratori, estendendoli pure alle nuove forme di lavoro atipico. Dialogo sociale, salari, contrattazione collettiva, reddito minimo, sistemi pensionistici, salute e sicurezza sul lavoro i dossier sul piatto. Bruxelles presenterà anche quattro iniziative specifiche: una sull'equilibrio vita privata-lavoro, con la revisione della direttiva sul congedo parentale. Altre due misure sull'estensione degli standard minimi dei diritti sociali, pensione inclusa, ai lavoratori atipici o autonomi. Infine, uno "strumento interpretativo" per la direttiva sull'orario di lavoro. Più in generale, sarà presentato un "Reflection Paper" sulla dimensione sociale in Europa. Il terreno resta impervio, considerati gli scarsi poteri di Bruxelles in materia. Il tutto mentre il Ministro dell'Economia Padoan, insieme a quattro esponenti del partito socialista europeo, ha chiesto in una lettera -proprio alla Commissione- di rimettere al centro delle politiche dell'Eurozona il pilastro sociale, riformando il patto di stabilità. In senso ovviamente più flessibile.

24/4/2017

Un presidente senza maggioranza parlamentare? Il paradosso di un possibile -e al momento probabile- successo di Emmanuel Macron al ballottaggio del 7 maggio sta tutto nel suo movimento, En Marche, che con un solo anno di vita è ancora troppo giovane per essere radicato sul territorio, al pari di schieramenti più tradizionali.

Al momento En Marche non è rappresentato tra i 577 deputati dell'Assemblea Nazionale, tuttora saldamente nelle mani dei socialisti, i grandi sconfitti di ieri. Macron promette una rottura nel metodo di selezione dei candidati per le liste elettorali: negli ultimi mesi 13mila curricula di potenziali deputati hanno raggiunto il suo quartier generale. Il leader liberale punta a portare 400 deputati -rappresentanti della società civile- in Parlamento. Il suo potere parlamentare resta però tutto da misurare: per questo ogni opzione resta aperta. La più favorevole è quella di un premier di En Marche, magari in coalizione con i centristi di Modem e -soprattutto- i socialisti. In mezzo l'ipotesi di un Governo guidato dal rappresentante di un altro partito, alleato però di Macron. Ipotesi peggiore quella di un Parlamento ostile. In ogni caso resta probabile un'inedita versione -per la Francia- di un esecutivo di coalizione. L'ipotesi di una Le Pen presidente apre uno scenario opposto: lei ha un partito strutturato, in grado di raggiungere percentuali importanti alle prossime legislative. Ma -al contrario di Macron- rischia di non trovare un solo schieramento con cui costruire una coalizione: a quel punto dovrebbe cercare un appoggio -difficile- da parte della destra di Fillon. Il voto parlamentare dell'11 e 18 giugno rischia di trasformarsi nel terzo e quarto tempo della sfida per le presidenziali.

24/4/2017

La mappa elettorale che rispecchia il voto francese divide il Paese letteralmente in due tra i candidati al ballottaggio: l'ovest a Macron, l'est alla Le Pen. Il candidato centrista e liberale fa il pieno di voti in Bretagna e nei Paesi della Loira, dove trova il suo serbatoio elettorale.

Fondamentale a questo proposito l'appoggio del Ministro della Difesa e presidente regionale bretone Jean-Yves Le Drian, uno dei primi socialisti a schierarsi con Macron. Il candidato di En Marche sfonda anche nel sudovest della NouvelleAquitaine e nel centro dell'Auvergne-Rhone Alpes. Conquistando anche la cruciale regione di Parigi, l'Ile De France. Marine Le Pen si conferma nei suoi bastioni tradizionali, dove esce vincitrice: il nord di Normandia e Pas de Calais, l'est di Strasburgo, il sud del Mediterraneo, con la Costa Azzurra e Marsiglia. I due candidati arrivati terzi quasi a pari merito seguono invece un'altra linea di divisione, quella nord-sud: Fillon arretra rispetto a Sarkozy, mantenendo alcuni bastioni in Normandia, Paesi della Loira e sulle Alpi, ma crolla nella zona di Bordeaux, feudo del suo sfidante alle primarie Juppè. Sud-ovest e Mediterraneo sono stati invece i bastioni del candidato di estrema sinistraMelenchon, che si è tolto qualche soddisfazione anche nella regione parigina. Per i socialisti meglio evitare di studiare la mappa del voto: una vera e propria Caporetto.

24/4/2017

Tira un sospiro di sollievo l'Europa, per la vittoria al primo turno di Emmanuel Macron. Proprio il Vecchio Continente si giocava un pezzo importante del proprio futuro in queste elezioni. E proprio Macron era considerato a Bruxelles il più "europeista" tra i candidati alle presidenziali.

Non è dunque un caso che tra i primi a congratularsi con lui ci sia stato il presidente della Commissione Europea Juncker. Sollievo pure dalla Germania, con Angela Merkel che -attraverso il suo portavoce- si rallegra del fatto che Macron abbia vinto con il suo corso pro-europeista e il suo progetto di economia di mercato sociale. Dello stesso avviso il candidato socialdemocratico alla cancelleria Schulz. Dopo l'Olanda pare che "anche la Francia non avra' una guida anti-europea, ma il fenomeno Le Pen non va sottovalutato", avverte il presidente dell'Europarlamento Tajani. Appoggio esplicito per il candidato liberale dal premier danese Rasmussen e dal cancelliere austriaco Kern. Per Marine Le Pen si schiera di fatto la sola estrema destra europea: per lei congratulazioni dal leader Fpoe austriaco Strache e dall'olandese Wilders, mentre il Cremlino -storico sostenitore della leader dell'estrema destra francese- non si espone direttamente, ma fa parlare il presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento, Kosachev: "la speranza è l'ultima a morire", scrive su Facebook, col pensiero rivolto al difficile secondo turno che l'aspetta. Infine, le prime pagine dei quotidiani francesi sottolineano il momento senza precedenti: "la destra KO", titola Le Figaro, che parla di "sconfitta storica" per la destra francese rappresentata da Fillon, mentre Liberation titola sulla marcia che ora attende la Francia contro il pericolo Le Pen.

24/4/2017

Le prime reazioni al voto francese non potevano che essere europee: l'Europa si gioca infatti in questo doppio turno di presidenziali un'importante fetta del proprio futuro. Ed erano in tanti, nel Vecchio Continente, a tifare per Emmanuel Macron, considerato come il più europeista tra i candidati alle presidenziali.

Non è dunque un caso che tra i primi a congratularsi col vincitore del primo turno ci sia stato lo stesso presidente della Commissione Europea Juncker. Juncker ha augurato a Macron di vincere anche al ballottaggio. Sollievo anche dalla Germania, con Angela Merkel che -attraverso il suo portavoce- si rallegra del fatto che Macron abbia vinto con il suo corso pro-europeista e il suo progetto di economia di mercato sociale. Dello stesso avviso il candidato socialdemocratico alla cancelleria Schulz. Dopo l'Olanda ora pare che "anche la Francia nonavra' una guida anti-europea, ma il fenomeno Le Pen non va sottovalutato", avverte il presidente dell'Europarlamento Tajani. Sostegno a Macron anche dal capo-negoziatore europeo sulla Brexit, il francese Barnier. Appoggio esplicito per il candidato liberale anche dal premier danese Rasmussen e dal cancelliere austriaco Kern. Per Marine Le Pensi schiera così di fatto la sola estrema destra europea: per lei congratulazioni dal leader Fpoe austrriaco Strache e dall'olandese Wilders, mentre il Cremlino -storico sostenitore della leader dell'estrema destra francese- non si espone direttamente, ma fa parlare il presidente della Commissione Affari Esteri del Parlamento, Kosachev: su Facebook scrive, riferendosi al difficile secondo turno che aspetta la Le Pen... "la speranza è l'ultima a morire".

18/4/2017

Il rush finale verso il primo turno delle presidenziali francesi si consuma nel lunedì di Pasquetta, con i sondaggi che riportano ottimismo tra i favoriti al ballottaggio di inizio maggio: il liberale Macron, dato al 24%, e la leader dell'estrema destra Le Pen, al 23%.

Proprio la Le Pen ha vissuto una serata particolarmente animata, ieri allo Zenith di Parigi: prima l'aggressione contro un deputato del Front National all'esterno della sala, con insulti, lancio di oggetti e persino cocktail molotov. Poi l'irruzione di un'attivista sul palco con un mazzo di fiori, lanciati contro la leader di estrema destra. Infine lo striptease di un'altra donna si è spogliata in platea: sul petto, slogan anti-Le Pen. Nel suo comizio la leader di estrema destra ha avvertito: "domenica la Francia rinasce. O la Francia affonda". "Ridateci il nostro Paese", ha incalzato, centrando il suo comizio sui suoi cavalli di battaglia: no all'immigrazione di massa, sì al ripristino delle frontiere, immigrazione uguale terrorismo, no alla mondializzazione, no a questa Europa. Fino alla novità: se eletta presidente, proporrà una moratoria sull'immigrazione legale. "A maggio prenderemo il potere, ma per condividerlo con voi, per trasformare insieme la Francia", ha promesso il liberale Macron da Bercy. "Restituiremo la Francia al suo ottimismo, alla sua fede nel futuro", ha detto, invitando a combattere coloro che vogliono chiudere le frontiere. Convinto di potercela fare ad arrivare al ballottaggio il candidato di destra Fillon, mentre il leader di estrema sinistra Melenchon ha tenuto un comizio in navigazione sulla Senna. Senza speranze il socialista Hamon.

17/4/2017

E' l'Austria il Paese europeo più determinato nel chiedere -confermando la propria linea di chiusura verso la Turchia- prima l'interruzione delle trattative di adesione di Ankara all'Unione Europea, peraltro impantanate da anni.

Poi lo stop dei finanziamenti di preadesione, elargiti da Bruxelles ai Paesi candidati all'ingresso nel club continentale. "Non c'e' bisogno di aiuti per favorire l'avvicinamento della Turchia all'Unione, considerato che da anni non c'e' alcun avvicinamento, bensi' solo un allontanamento", ha dichiarato il Ministro degli Esteri austriaco Kurz. Lo stesso Kurz ha escluso la possibilità di un'entrata in vigore della liberalizzazione dei visti, che Erdogan chiede come contropartita all'accordo per lo stop al flusso di migranti. La cancelliera tedesca Merkel, che conosce bene il potere negoziale di Erdogan con l'Europa sulla questione immigrazione, chiede ad Ankara di incentivare il dialogo, in un Paese evidentemente diviso. Il suo Ministro degli Esteri, il socialdemocratico Gabriel, chiede a Bruxelles di elaborare nuove forme di cooperazione con la Turchia, per assicurarne un futuro democratico. Gli Stati Uniti lanciano un appello al Governo di Ankara, affinche' protegga i diritti e le liberta'fondamentali - così il portavoce del dipartimento di Stato. Mentre dal presidente dell'Europarlamento Tajani arriva l'appello a "rispettare lo stato di diritto e i diritti fondamentali".

17/4/2017

Ultimo giro di valzer per le presidenziali francesi, che entrano nella traiettoria finale della campagna elettorale - il tutto, nella più totale incertezza. I sondaggi sul primo turno di voto, in programma domenica prossima, indicano i due outsider dati come favoriti per mesi, il liberale Macron e la leader di estrema destra Le Pen, in affanno.

Entrambi navigano intorno al 22%, in calo rispetto alle ultime settimane, e con due preoccupazioni diverse: Macron, la grande rivelazione, sembra aver finito la benzina della novità, e potrebbe scontare l'elevato numero di indecisi - non avendo il suo movimento forti radici territoriali. La Le Pen, risucchiata nel gorgo di una campagna senza schemi definiti, ha perso lo smalto del suo "essere contro", pagando forse la minore spinta dei movimenti populisti, orfani della sponda di Trump e in crisi dopo il voto olandese. Nel suo caso gli indecisi pesano meno, ma le indagini sugli incarichi fittizi all'Europarlamento e la polarizzazione intorno al suo nome -prova ne sono gli scontri ieri a Parigi in una manifestazione convocata contro di lei- non aiutano. La vera novità è così il candidato dell'estrema sinistra Melenchon, decollato nei sondaggi, e ora al 20%. Lui non si fida, e continua ad attaccare gli avversari - sperando di essere la rivelazione. Non molla il candidato di destra Fillon: senza lo scandalo Penelopegate avrebbe già in tasca la nomina presidenziale, ma col 19% nei sondaggi spera ancora nel miracolo finale. Chi invece vede il suo nome già iscritto nella storia dei grandi disastri elettorali è il socialista Hamon. Se arriva all'8% può solo ringraziare.

15/4/2017

"Arrabbiata con la Chiesa: si immischia in tutto, tranne che in ciò che la riguarda. Se Papa Francesco invita alla carità, all'accoglienza del prossimo e dello straniero non ho nulla in contrario.

Ma la carità può essere solo individuale: il Pontefice non può esigere dagli Stati che vadano contro l'interesse dei popoli, non ponendo condizioni all'arrivo di una immigrazione importante": la leader dell'estrema destra Marine Le Pen sceglie il più importante quotidiano cattolico nello stato laico per eccellenza, la Francia, per ringalluzzire la sua campagna elettorale. Dalle colonne de La Croix, la Le Pen si dichiara "estremamente credente", affermazione necessaria per non esagerare troppo con gli attacchi, alienandosi così i voti dell'ala cattolica del Paese - ma decide di parlare soprattutto all'ala più conservatrice della Chiesa, il cui apprezzamento per Papa Francesco è abbastanza limitato. Un attacco studiato, quello della Le Pen, anche perché rovista nel terreno a lei più congeniale: quello della lotta contro l'immigrazione. Dopotutto la leader del Front National, dopo aver fatto coppia fissa con il liberale Macron in testa ai sondaggi, vede pericolosamente scendere la sua quota di consensi in vista del primo round delle presidenziali, domenica 23. Incalzano, a breve distanza, sia il candidato di destra Fillon, sia quello di estrema sinistra Melenchon. Che promettono sorprese. La prossima settimana sarà decisiva, per definire i due candidati destinati al ballottaggio per l'Eliseo.

6/4/2017

Russia isolata in sede Onu sulla Siria, dopo il "no" alla bozza di risoluzione. Nonostante la distensione dell'era Trump sull'asse Washington-Mosca, sono stati proprio gli Stati Uniti a sferrare l'attacco più duro.

"Le terribili azioni del regime di Assad non saranno piu' tollerate", ha detto il presidente americano Trump. "Il mio atteggiamento verso la Siria e verso Assad è cambiato molto da ieri", ha aggiunto, senza specificare come questo potrebbe modificare la strategia americana nella regione. Poco prima era stata la rappresentante americana Nikki Haley a ufficializzare la svolta all'Onu, chiedendo di agire: "non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle immagini dei bambini morti. L'attacco di ieri porta le impronte del regime di Assad", ha detto. E, rivolgendosi a Mosca, tuonava: "la Russia non può sottrarsi alle proprie responsabilità". "Non vediamo un particolare bisogno di adottare una risoluzione", ha controbattuto il vicerappresentante russo. Mosca ha condannato l'uso di armi chimiche, sottolineandopero' che "la campagna anti-Damasco deve essere cestinata nella discarica della storia". La versione russa è che gli attacchi aerei siriani avrebbero colpito un deposito di armi chimiche. Durissimi attacchi verso il regime di Assad sono giunti dalla conferenza per il futuro della Siria, svoltasi a Bruxelles. Francia, Germania e Gran Bretagna hanno parlato di crimini di guerra, e definito Assad un tiranno: promessi sei miliardi di dollari in aiuti umanitari alla popolazione.

1/4/2017

Partenza dei negoziati veri e propri a fine maggio, con l'obiettivo di chiudere -possibilmente in modo amichevole- in un anno e mezzo. E procedere al divorzio tra Gran Bretagna e Unione Europea nel marzo 2019: si chiariscono sempre di più i contorni dell'addio di Londra all'Europa.

Ieri è stata Bruxelles a mettere nero su bianco le proprie strategie negoziali, in vista del vertice straordinario dei leader comunitari a fine aprile. Il presidente europeo Tusk ha pubblicato le linee guida: nove pagine, nelle quali si chiarisce al Governo May che l'Europa intende sciogliere in primis i nodi del divorzio. E solo in un secondo momento avviare una partnership speciale. Al di là dei tecnicismi, però, che saranno fondamentali in questo delicato puzzle diplomatico, ci sono questioni pratiche da risolvere. La prima riguarda i tempi: se ufficialmente Londra sarà fuori tra due anni, una nuova partnership post-Brexit potrebbe dover passare la ratifica dei parlamenti nazionali - un periodo di transizione ulteriore non è quindi da escludere. Il documento europeo affronta anche i problemi di cittadini e imprese. L'Europa chiede garanzie sullo status dei cittadini residenti Oltremanica. Per loro non cambia nulla - nel prossimo biennio. Poi si vedrà. Chi invece progetta un futuro lavorativo o di studi nel Regno Unito, deve considerare che dopo il 2019 potrebbero aumentare le tasse universitarie, e non sono da escludere quote per gli immigrati. Da considerare anche i rischi di un possibile vuoto giuridico per le imprese europee operanti Oltremanica.

31/3/2017

Dopo le sei pagine della lettera di divorzio britannica, l'Unione Europea -per bocca del suo presidente Tusk- mette nero su bianco le condizioni della separazione.

Da Malta, Tusk ha chiarito che l'approccio sarà in due fasi: prima saranno chiariti i termini del divorzio, e solo successivamente sarà discussa la nuova partnership tra Londra e Bruxelles. Respinta l'idea britannica di affrontare insieme le questioni. Tusk ha precisato che la Gran Bretagna dovrà onorare tutti gli impegni finanziari sottoscritti. Al di là dei tecnicismi, però, che saranno fondamentali in questo delicato puzzle diplomatico, ci sono questioni pratiche da risolvere. La prima riguarda i tempi: ufficialmente, entro marzo 2019, Londra sarà fuori. Ma poiché il possibile trattato commerciale post-Brexit potrebbe dover passare la ratifica dei parlamenti nazionali, un periodo di transizione ulteriore non è da escludere. Il documento europeo affronta anche i problemi di cittadini e imprese. L'Europa chiede garanzie sullo status dei cittadini residenti Oltremanica. Esempio ne sono il mezzo milione di italiani espatriati. Per loro non cambia nulla - nel prossimo biennio. Poi si vedrà. Chi invece progetta un futuro lavorativo o di studi nel Regno Unito, deve considerare che dopo il 2019 potrebbero aumentare le tasse universitarie, e non sono da escludere quote per gli immigrati. Da considerare anche i rischi di un possibile vuoto giuridico per le imprese europee operanti Oltremanica. Da fine maggio -col fischio d'inizio dei negoziati- occorrerà trovare risposte a tutte queste domande.

30/3/2017

"Lasciare l'Unione Europea non significa lasciare l'Europa. Continueremo ad essere parte dell'Europa, e a lavorare con i nostri partner europei". Lo scrive nella lettera che fa scattare l'articolo 50. E lo ripete in voce, la premier britannica Theresa May: un giorno storico, quello vissuto ieri a Westminster.

"I giorni migliori sono davanti a noi", ha sottolineato la May in Parlamento, mostrando ottimismo per il futuro. La premier britannica ha confermato che la Gran Bretagna non farà parte del mercato unico, una volta uscita dall'Unione. Ha ribadito che serviranno due anni di negoziati tra Londra e Bruxelles, e "periodi transitori", per adattarsi alla nuova situazione. Infine, ha raffreddato le speranze secessioniste di Edimburgo: "voglio semplicemente ricordare che la Scozia e' parte del Regno Unito". "Non c'è ragione di considerare quello di oggi un giorno felice", commenta -da Bruxelles- il presidente europeo Tusk, che pone come prima priorità quella di minimizzare le incertezze. E promette che l'Unione proteggerà gli interessi dei 27 Paesi membri. "Non c'è da vincere, c'è solo da limitare i danni, minimizzando i costi per cittadini, imprese e Stati membri". L'obiettivo, sintetizza Tusk, è quello di una uscita ordinata di Londra. "Ci dispiace che la Gran Bretagna lascera' l'Unione, ma siamo pronti per il processo che dovremo seguire": così i 27 Paesi rimasti, in una dichiarazione congiunta. Prossimo passo le linee guida per i negoziati, che lo stesso Tusk metterà a punto entro il weekend per far partire le trattative.

29/3/2017

Sei pagine per dirsi addio. E' scuro in volto e non fa nulla per nasconderlo, il presidente europeo Tusk, quando mostra ai giornalisti i sei fogli firmati dalla premier britannica Theresa May, nelle quali viene invocato formalmente l'articolo 50, che innesca il processo di uscita della Gran Bretagna dall'Unione Europea.

"Non c'è ragione di considerarlo un giorno felice", sintetizza Tusk, che pone come prima priorità quella di minimizzare le incertezze. E promette che Bruxelles proteggerà gli interessi dei 27 Paesi membri. "Non c'è da vincere, c'è solo da limitare i danni, minimizzando i costi per cittadini, imprese e Stati membri". L'obiettivo, sintetizza Tusk, è quello di una uscita ordinata di Londra. "Ci dispiace che la Gran Bretagna lascera' l'Unione, ma siamo pronti per il processo che ora dovremo seguire": così i 27 Paesi rimasti, in una dichiarazione congiunta. Prossimo passo le linee guida per i negoziati, che lo stesso Tusk metterà a punto entro il weekend per far partire le trattative. La premier britannica Theresa May, parlando a Westminster, ha invece ricordato come l'uscita di Londra avvenga secondo la volontà del popolo. "I giorni migliori sono davanti a noi", ha sottolineato, mostrando ottimismo per il futuro. La May ha confermato che la Gran Bretagna non farà parte del mercato unico, una volta uscita dall'Unione. Ha ribadito che serviranno due anni di negoziati tra Londra e Bruxelles, e "periodi transitori", per adattarsi alla nuova situazione. Infine, ha raffreddato le speranze secessioniste di Edimburgo: "voglio semplicemente ricordare che la Scozia e' parte del Regno Unito".

26/3/2017

L'esortazione del presidente della Repubblica Mattarella chiude -al Quirinale- il vertice che ufficializza la Dichiarazione di Roma, nel 60esimo anniversario dei Trattati.

Mattarella sprona i 27 leader a far fare al progetto comune un salto di qualità, anche riformando il libro delle regole. Salto di qualità che passa anche da un atto di coraggio. Quello richiamato dal premier Paolo Gentiloni. La cerimonia al Campidoglio ha mostrato un'Europa unita, almeno nella facciata: in quindici minuti i leader hanno apposto le proprie firme sulla Dichiarazione di Roma, pietra miliare della ripartenza post-Brexit. Lo splendido scenario del Campidoglio, con la storica Sala degli Orazi e Curiazi, ha fatto da sfondo ai discorsi celebrativi, che hanno messo in chiaro le sfide che attendono l'Unione Europea. Dalla prossima settimana questa unità da cartolina sarà nuovamente messa alla prova, con l'avvio ufficiale del divorzio britannico. Un primo e salutare test, per un'Europa che ieri ha promesso di ripartire, affrontando le sfide di questo nuovo mondo globale. Sfide che inquietano i suoi cittadini.

25/3/2017

Il coraggio di cambiare pagina. E la necessità di una fase costituente di riforme per l'Europa. Sono racchiusi in questi due messaggi, rispettivamente del premier Gentiloni e del presidente Mattarella, l'alfa e l'omega della cerimonia in pompa magna che ha celebrato in Campidoglio i 60 anni dei Trattati, producendo la Dichiarazione di Roma, piano in quattro pilastri per rilanciare l'Unione.

Sono bastati quindici minuti ai 27 leader per apporre le firme: una mostra di unità insolita e benaugurante, in un'Europa politicamente in crisi e divisa. Il premier Gentiloni ha ricordato i progressi europei, ma ha ammesso i ritardi. Toccante il discorso del presidente europeo Tusk, che ha ricordato come -nel secolo scorso- sia già esistita un'Europa a due velocità, in quanto separata dalla cortina di ferro.Tusk ha lanciato frecciate ai Paesi più euroscettici - Polonia e Ungheria in testa: "non basta protestare contro le diverse velocità. Bisogna saper tutti rispettare le nostre regole comuni". Dal capo dello Stato Mattarella infine un invito -durante il pranzo al Quirinale- ad avanzare con la fase costituente. "Il nostro futuro è insieme", ha concluso Mattarella.

25/3/2017

"Si apre una fase costituente per riformare l'Europa. Il nostro futuro è insieme": con questo messaggio il presidente della Repubblica Mattarella ha salutato i 27 leader europei, nell'atto conclusivo delle cerimonie di celebrazione per i 60 anni dei Trattati.

I leader sono stati ospiti a pranzo al Quirinale, prima di lasciare la capitale. La Dichiarazione di Roma, che fissa quattro priorità per il prossimo decennio -sicurezza, crescita economica, dimensione sociale, politica estera e difesa- è stata firmata in quindici minuti da tutti i Paesi membri nella sala degli Orazi e dei Curiazi in Campidoglio, la stessa che nel pomeriggio del 1957 ospitò i sei leader fondatori. "Un passo in avanti", lo ha definito il premier Paolo Gentiloni, che nel discorso ufficiale ha invocato il coraggio -da parte dell'Europa- di cambiare pagina. Frecciate ai Paesi più euroscettici -inclusa la sua Polonia-sono state lanciate invece dal presidente europeo Tusk, mentre dal presidente della Commissione Juncker è arrivato un appello all'unità. Un'unità che è stata mostrata -almeno nella facciata- da tutti i leader: nelle prossime settimane si capirà quanto sia effettivamente reale. Il primo test saranno i negoziati per la Brexit.

25/3/2017

"Un passo in avanti”: così, nella stringatissima conferenza stampa alla fine della cerimonia per il 60esimo anniversario dei Trattati, il premier Paolo Gentiloni ha definito la Dichiarazione di Roma, sottoscritta unanimemente stamattina da tutti i 27 Paesi membri.

Esplicito il riferimento del premier Gentiloni alle cooperazioni rafforzate, che nella Dichiarazione si sarebbero dovute tradurre nel concetto di diverse velocità, poi annacquate in un generico concetto di “ritmi e intensità diversi”. La cerimonia è stata -come previsto- in pompa magna, nello splendido scenario del Campidoglio e della storica sala degli Orazi e Curiazi. Nella Dichiarazione ribaditi i quatto pilastri da cui far ripartire l’Europa: Gentiloni in particolare ha auspicato passi in avanti su difesa comune e politiche economiche e sociali. Nella conferenza stampa ha fatto capolino il rischio di avanzata degli euroscettici in Francia: “francesi, non dimenticate cos’è la Francia, rimanete francesi!”, ha esortato il presidente della Commissione Juncker. Mentre il presidente transalpino Hollande ha affermato: “insieme siamo più forti”. Soddisfatto il premier greco Tsipras, che minacciava fino a pochi giorni fa di boicottare la firma: “abbiamo ottenuto un chiaro riferimento al sociale”. Ora i 27 leader sono a pranzo al Quirinale, dopodichè lasceranno Roma.

25/3/2017

66 righe per rilanciare un'Europa in crisi: la Dichiarazione di Roma viaggia spedita verso la firma da parte di tutti i 27 Paesi che proseguiranno col progetto comune nell'era post-Brexit. Dopo il via libera di Grecia e Polonia, che ieri hanno tolto i propri veti sul testo, la Dichiarazione potrà essere sottoscritta alle 11.20: un momento simbolico, che -nelle intenzioni- dovrà rilanciare un progetto in crisi.

Teatro quella stessa sala degli Orazi e Curiazi del Campidoglio, protagonista -60 anni fa- del varo dei Trattati, pietra miliare dell'Europa moderna. Chi si attende svolte clamorose oggi rimarrà deluso: il testo della Dichiarazione è frutto dell'ennesimo -limatissimo- compromesso, utile a sanare le fratture tra nord e sud e tra est e ovest, ma poco efficace nel dotare l'Europa di nuovi e più efficienti strumenti. Quattro i pilastri da cui si ripartirà: sicurezza, crescita e lavoro, dimensione sociale, politica estera e difesa. Mentre l'idea delle "diverse velocità", necessarie a portare avanti una maggiore integrazione tra gruppi di Paesi omogenei, è stata pesantemente annacquata, con perifrasi prive di reali soluzioni innovative. Resta l'ammonimento del presidente Mattarella a non sbagliare più: "alla costruzione europea mancano pezzi, va completata. Diversamente l'equilibrio instabile, che la caratterizza, non potra' durare".

24/3/2017

Si rasserena il clima alla vigilia della firma della Dichiarazione di Roma, prologo necessario al rilancio di un'Unione Europea impantanata da anni di crisi. Prima la Grecia, poi la Polonia hanno eliminato le ultime riserve, spianando la strada alla firma unanime della Dichiarazione, che conterrà i quattro pilastri sulla base dei quali i 27 leader rilanceranno l'Unione post-Brexit: sicurezza, crescita e lavoro, dimensione sociale, politica estera e difesa.

Il concetto delle diverse velocità, voluto dai grandi Paesi, sarà soppiantato da un più generico concetto di "andature e intensità diverse, muovendosi nella stessa direzione". Un annacquamento che non fa ben sperare in prospettiva, per un'Unione più efficace e capace di offrire risposte concrete ai problemi dei cittadini. Ma di più non si è riuscito a fare. Resta così l'ammonimento congiunto di Mattarella e Juncker: il presidente della Repubblica avverte, "alla costruzione europea mancano pezzi, va completata. Diversamente l'equilibrio instabile, che la caratterizza, non potra' durare". Mentre il presidente della Commissione Juncker ammette: "in Europa non stiamo parlando delle cose che incidono sulla vita quotidiana delle persone: per questo il divario tra i policymakers europei e la gente comune si sta allargando".

22/3/2017

Il Belgio si è fermato, nel primo anniversario dalla strage all'aeroporto e alla metropolitana, che costò la vita a 32 persone, lasciandone indelebilmente segnate altre 320 - ferite.

"Impariamo di nuovo ad ascoltarci l'un l'altro, a rispettare le nostre reciproche debolezze, ma soprattutto osiamo la tenerezza": cosi' il re Filippo. Che con la moglie, dopo il minuto di silenzio a Zaventem e quello alla fermata della metro di Maelbeek, ha partecipato anche a una terza cerimonia per l'inaugurazione di un monumento dedicato a tutte le vittime del terrorismo. "All'odio e alla violenza - ha detto il re rivolgendosi ai sopravvissuti - avete risposto con la dignita'. Al dubbio e alla paura avete opposto il coraggio. Nessuno puo' capire quello che avete vissuto". Toccanti i momenti della cerimonia: all'aeroporto sono stati scanditi i nomi delle 16 vittime, di sette nazionalità diverse, accompagnati dal suono di un violoncello. Le commemorazioni sono proseguite alla stazione di Maelbeek, con un altro minuto di silenzio -alle 9.11- in ricordo delle 16 persone che vi persero la vita. Successivamente una scultura commemorativa è stata inaugurata nei pressi della sede della Commissione Europea. L'ultima tappa il raccoglimento di fronte alla Borsa, che nei drammatici giorni di un anno fa divenne il punto focale del dolore e del raccoglimento della gente di Bruxelles.

22/3/2017

Impegno a proseguire sulla strada delle riforme e trattativa sulle banche che prosegue, senza alcuna pressione legata a scadenze precise: il Ministro dell'Economia Padoan lascia l'Ecofin soddisfatto.

Padoan ha parlato con la Vestager pure della situazione delle banche venete in difficoltà - per loro si attende la decisione della Bce in merito alla sostenibilità. Sul fronte delle riforme, Padoan ha "ribadito" all'Ecofin che "l'azione del Governo continua, anche se tecnicamente stiamo entrando in un anno elettorale". Avanti anche sulla manovra correttiva da 3,4 miliardi entro fine aprile. Soddisfazione infine per l'intesa sulla tassazione degli e-book. In realtà c'è solo un'intesa di massima, mentre un accordo formale deve ancora essere siglato: in arrivo a ottobre la proposta della Commissione Europea.

21/3/2017

Incontro positivo sulle banche con la Commissione Europea, e impegno a proseguire sulla strada delle riforme: il Ministro dell'Economia Padoan lascia l'Ecofin soddisfatto.

Padoan ha parlato con la Vestager pure della situazione delle banche venete in difficoltà - per loro si attende la decisione della Bce in merito alla sostenibilità. Sul fronte delle riforme, Padoan ha "ribadito" all'Ecofin che "l'azione del Governo continua, anche se tecnicamente stiamo entrando in un anno elettorale". Avanti anche sulla manovra correttiva da 3,4 miliardi entro fine aprile. Soddisfazione infine per l'intesa sulla tassazione degli e-book. In realtà l'intesa di massima c'è, ma un accordo formale deve essere ancora siglato nei prossimi mesi.

21/3/2017

Bilanci nazionali in primo piano nella due giorni di vertice dei Ministri finanziari a Bruxelles. Resta ottimista sull'Italia il Commissario agli Affari Economici Moscovici, chiudendo l'Eurogruppo.

"Non ho ragione di pensare che il Governo italiano non abbia intenzione di fare il necessario sulla base degli impegni presi. Abbiamo discussioni positive e costruttive sia sui numeri che sul calendario", afferma Moscovici, che oggi vedra' il Ministro delle Finanze Padoan. Padoan da parte sua assicura che la manovra chiesta dall'Europa per rispettare il Patto di stabilita' si fara' nei tempi richiesti, entro il 30 aprile, e sara' presentata qualche giorno dopo il Def. Più in generale il presidente dell'Eurogruppo Dijsselbloem ha precisato che -per quanto riguarda i Paesi i cui bilanci non rispettano le regole comunitarie- "finora non sono state prese misure aggiuntive, ma diversi Ministri hanno annunciato che sono in via di preparazione". Padoan da parte sua, che venerdì vedrà a Roma il Commissario per l'Euro Dombrovskis, incontrerà oggi la responsabile alla Concorrenza Vestager, con la quale sta negoziando la delicata questione bancaria: Mps e istituti veneti i nodi più delicati. Infine, sulla Grecia, l'Eurogruppo non ha chiuso -come previsto- la seconda revisione del programma ellenico. Tutto rimandato, ma l'obiettivo è accelerare, per sbloccare la nuova tranche di aiuti ad Atene.

20/3/2017

Mercoledì 29 marzo: alla fine la premier britannica Theresa May ha stabilito il D-day che porrà le basi del divorzio tra Regno Unito e Unione Europea. Downing Street ha annunciato che lo farà con una lettera al Consiglio Europeo, nella quale chiederà che i negoziati sull'uscita inizino nel minor tempo possibile.

Poi la premier May si recherà a Westminster, dove terrà un discorso per esporre la propria strategia. L'obiettivo è portare Londra fuori dall'Europa entro al massimo marzo 2019: due anni che si preannunciano complicati, sia per il rischio di scontri diplomatici tra Gran Bretagna e Bruxelles, sia per i rischi intrinseci di disgregazione dello stesso Regno Unito, dove aleggia l'ombra di un secondo referendum scozzese. Status degli europei residenti, immigrazione, conti in sospeso da pagare e scambi commerciali si annunciano le materie più spinose. Gli sherpa dei 27 Paesi membri si sono già riuniti per una prima valutazione: poi toccherà al presidente europeo Tusk formulare le linee guida negoziali, che saranno discusse verso fine aprile dai leader in un summit straordinario. "Pronti a cominciare il negoziato", dice la Commissione Europea, mentre la cancelliera tedesca Merkel non teme che la notizia rovinerà le celebrazioni per i 60 anni dei Trattati a Roma.

15/3/2017

Alza i toni l'Unione Europea contro la Turchia, dopo l'escalation nella crisi diplomatica che ha contrapposto L'Aja e Ankara: l'Europa non aderisce alla Turchia, e' la Turchia che vuole aderire all'Unione Europea.

Cosi' il presidente della Commissione Juncker alla plenaria dell'Europarlamento. Juncker si dice "choccato da quanto sentito dalla Turchia contro Olanda e Germania: non accettero' un raffronto tra i nazisti e i Governi attuali. Chi lo sta facendo prende la distanza dall'Europa e non vuole inserirsi nell'Unione". Rincara il presidente dell'Unione Tusk: "l'Olanda e' Europa, Europa e' l'Olanda, posto di liberta' e democrazia. Se qualcuno vede fascismo a Rotterdam e' completamente distaccato dalla realta'".

14/3/2017

Non si placa lo scontro tra Olanda e Turchia, raggiungendo nuovi abissi di insulti a distanza: la miccia l'accende, tanto per cambiare, il presidente turco Erdogan, che attacca: "conosciamo l'Olanda e gli olandesi dal massacro di Srebrenica.

Sappiamo che carattere marcio hanno dal loro massacro di 8000 bosniaci". Erdogan rincara: l'Olanda è "responsabile della peggiore strage dalla Seconda guerra mondiale", riferendosi al battaglione olandese di caschi blu dell'Onu che non impedi' l'uccisione di 8000 musulmani da parte delle forze serbo-bosniache. Le affermazioni di Erdogan "sono una disgustosa distorsione della storia", ribatte a muso duro il premier olandese uscente Mark Rutte, alla vigilia di difficilissime elezioni, che potrebbero sancire la vittoria dell'estrema destra di Wilders. "Non ci abbasseremo al suo livello, e' inaccettabile", ha aggiunto Rutte. Erdogan ne ha anche per la Germania: Berlino e L'Aja sono ''stati banditi'' che stanno ''danneggiando l'Unione Europea'', ha aggiunto. E per non dimenticare nessuno, il delirio nazionalista di Ankara si allarga all'intera Europa: la posizione di Bruxelles a difesa dell'Olanda, contesta la Turchia, "rafforza gli estremisti". Una "posizione miope". dice il Ministero degli Esteri turco che "non ha alcun valore per noi".

13/3/2017

Il presidente turco Erdogan non molla la presa: per lui la guerra diplomatica con l'Olanda si sta trasformando in un formidabile palcoscenico elettorale, per spingere il consenso alla sua riforma presidenzialista, su cui i turchi si esprimeranno a metà aprile.

"L'Olanda nazista e fascista pagherà un prezzo per il suo comportamento vergognoso", torna a tuonare Erdogan contro L'Aja, rea di aver respinto ben due Ministri di Ankara, accorsi nei Paesi Bassi per fare propaganda referendaria alle comunità di emigrati turchi. Mentre Erdogan getta benzina sul pericoloso fuoco del nazionalismo, e chiede persino sanzioni internazionali contro l'Olanda, il Ministro degli EsteriCavusoglu, libero di parlare a un gruppo di sostenitori nella città francese di Metz, attacca: "l'Olanda è la capitale del fascismo". Il resto dell'Europa osserva incredulo: la Francia chiede ad Ankara di abbassare i toni, e la Danimarca fa sapere al premier turco Yildrim che la sua visita a fine marzo a Copenhagen è da ritenersi posticipata. Arriva anche il gesto provocatorio di un uomo, che issa la bandiera turca sul consolato dei Paesi Bassi a Istanbul. Il premier olandese Rutte, che mercoledì dovrà lottare per arginare l'onda elettorale dell'estrema destra di Wilders, reagisce duro: "fuori discussione le nostre scuse alla Turchia, sono loro a doversi scusare per le loro dichiarazioni inaccettabili". Non è finita qui.

12/3/2017

La crisi diplomatica tra Olanda e Turchia raggiunge un nuovo apice, dopo le espulsioni di Ministri turchi, gli scontri di Rotterdam e gli affondi verbali di sabato.

L'Olanda "paghera' il prezzo" per il comportamento "vergognoso" nei confronti dei nostri Ministri, attacca il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che -temendo forse di non aver lasciato un messaggio chiaro- ribadisce gli insulti verso i Paesi Bassi: "nazisti e fascisti", definisce gli olandesi. Erdogan arriva persino a chiedere alle organizzazioni internazionali di imporre sanzioni contro l'Olanda. Quali, non è dato capire. Un crescendo di tensioni diplomatiche che si innescano -con potenzialità incendiarie- su ben due appuntamenti elettorali: le elezioni olandesi di mercoledì, e il referendum costituzionale turco di metà aprile, disegnato su misura per soddisfare gli appetiti di potere diErdogan. Il Ministro degli Esteri turco Cavusoglu, cui è stato consentito di tenere un comizio a Metz, nella Lorena francese, si è scagliato con toni infuocati contro le autorità olandesi: "l'Aja è la capitale del fascismo", ha attaccato, mentre la folla rispondeva al grido di "Allah è grande". Parigi da parte sua, pur non vietando i comizi di esponenti del Governo turchi, ha chiesto ad Ankara di porre fine alle tensioni. In Danimarca invece il premier Rasmussen ha chiesto al collega turco Binali Yildrim di posticipare la visita a Copenhagen -prevista a fine marzo- per via degli "attacchi" della Turchia alla Olanda. Probabilmente non è finita qui.

12/3/2017

Crisi diplomatica tra Olanda e Turchia, dopo il divieto di ingresso sul territorio dei Paesi Bassi per ben due Ministri di Ankara. Il casus belli inizia con il divieto all'atterraggio per il volo del Ministro degli Esteri turco Cavusoglu, atteso a Rotterdam per una manifestazione a sostegno del referendum costituzionale.

"Rischi di ordine pubblico e sicurezza", così le autorità olandesi giustificano la decisione. La reazione irata del presidente turco Erdogan è istantanea. Gli olandesi sono "vestigia del nazismo e del fascismo, impedite pure al nostro Ministro di volare, ma d'ora in poi vediamo come atterreranno i vostri voli in Turchia", minaccia e insulta Erdogan in un comizio pubblico. In serata anche la Ministra per la Famiglia Sayan Kaya, che aveva provato a varcare il confine via terra dalla Germania, viene fermata. Si scatena il putiferio diplomatico: l'ambasciatore olandese "non deve tornare in Turchia per un periodo", contrattacca il Ministero degli Esteri turco. Sul tavolo due partite, entrambe elettorali: quella turca del 16 aprile, quando Erdogan proverà a diventare il nuovo Ataturk, con un referendum costituzionale che ne amplierebbe i poteri presidenziali. E la legislative olandesi: mercoledì si vota nei Paesi Bassi, con la minaccia concreta di una vittoria dell'estrema destra di Geert Wilders. Il premier olandese uscente Rutte è obbligato alla replica: da Erdogan una "folle affermazione, fuori misura".

11/3/2017

Dopo la Germania, la Turchia ingaggia un nuovo pesantissimo scontro diplomatico con un altro Paese europeo: l'Olanda, rea di aver negato l'atterraggio al volo del Ministro degli Esteri turco Cavusoglu, atteso a Rotterdam per una manifestazione a sostegno del referendum costituzionale.

Decisione motivata con i "rischi di ordine pubblico e sicurezza", che la sua presenza nella citta' avrebbe comportato. Ed, esattamente come accaduto con Berlino, non si è fatta attendere la reazione irata del presidente turco Erdogan. Gli olandesi sono "vestigia del nazismo e del fascismo, impedite pure al nostro Ministro degli Esteri di volare, ma da ora in poi vediamo come atterreranno i vostri voli in Turchia", ha minacciato e insultato Erdogan in un comizio pubblico. Un replay, ma a muso ancora più duro, dello scontro con la Germania di una settimana fa. Scontro che piomba nel pieno di due campagna elettorali: quella turca del 16 aprile, quando Erdogan proverà a diventare il nuovo Ataturk, con un referendum costituzionale che ne amplierebbe i poteri presidenziali. E la campagna elettorale olandese: mercoledì si vota nei Paesi Bassi, con la minaccia concreta di una vittoria dell'estrema destra di GeertWilders. Wilders si è già autointestato il merito dello stop all'atterraggio del Ministro turco, mentre il premier olandese uscente Rutte contrattacca: da Erdogan una "folle affermazione, fuori misura".

11/3/2017

E' un'Europa divisa, quella che si prepara al vertice dell'unità e del rilancio del progetto comunitario, tra due settimane a Roma.

Un paradosso, che dà la misura di quanto sia difficilmente governabile la nuova Unione a 27: lo scoglio maggiore appare quello delle diverse velocità, con la Polonia -ancora lei- che si fa stavolta portavoce dei Paesi dell'Europa centroorientale, minacciando lo sbarramento -su questo fronte- nella Dichiarazione di Roma. Il timore è di finire in una sorta di Serie B continentale: il presidente della Commissione Juncker rassicura, "nessuna nuova cortina di ferro". Ironicamente, neppure i grandi Paesi europei offrono una definizione univoca di cosa significhi questa Unione "a diverse velocità". Con ogni probabilità, per evitare strappi clamorosi, la terminologia verrà soppressa nella forma ma non nella sostanza, aprendo la strada a un maggiore utilizzo delle attuali cooperazioni rafforzate. Non è l'unico fronte di spaccatura: i riferimenti all'Europa sociale presentano significati diversi per i Paesi del nord, a vocazione rigorista, e quelli del sud, fiaccati da anni di crisi. Nei prossimi quattordici giorni si annunciano negoziati febbrili, per limare un testo che metta d'accordo tutti. E che, al di là delle dichiarazioni solenni, non finisca per essere il solito catalogo delle buone intenzioni.

10/3/2017

E' un'Europa per paradosso divisa, quella che esce dal vertice europeo di Bruxelles, l'ultimo prima del summit di fine a marzo a Roma, nel quale i 27 cercheranno di rilanciare il progetto comunitario.

Dopo lo scontro andato in scena con la Polonia -ieri- per la conferma di Tusk a presidente europeo, oggi è stato il tema delle diverse velocità a tenere banco: "per qualcuno l'idea di una Europa a diverse velocita' marcherebbe una linea di divisione tra est e ovest, come "una nuova cortina di ferro. Ma non e' questa l'intenzione", ha affermato il presidente della Commissione Juncker. Sulla forma che dovrà avere questa nuova Europa i coltelli sono già affilati: ancora la premier polaccaSzydlo, facendosi portavoce del sentimento di quattro Paesi dell'Est, ha affermato che i quattro "non saranno mai d'accordo a parlare di un'Europa a piu' velocita'", lasciando intravedere che il rischio è che non tutti firmeranno la Dichiarazione di Roma. Opzione estrema e improbabile: le trattative si annunciano serrate. "Sono ottimista che avremo una buona Dichiarazione", afferma la cancelliera tedesca Merkel.

4/3/2017

Destra ed estrema destra francese nelle secche della campagna per le presidenziali: una crisi che corre parallela sui binari di inchieste giudiziarie che stanno mettendo in difficoltà sia Francois Fillon sia Marine Le Pen. Si prepara un weekend di passione per i due candidati, anche se quello che rischia di più è sicuramente Fillon.

In un videomessaggio su Twitter ha lanciato un appello ai suoi sostenitori, affinchè accorrano numerosi -domani alle 15- a Place du Trocadero, per quello che potrebbe essere l'ultimo atto: i toni usati da Fillon -"resistete!"- e l'invito ad affollare la piazza appaiono l'appello disperato di un uomo all'ultima spiaggia. Che la situazione sia quasi senza via d'uscita lo dimostrano le dimissioni di Patrick Stefanini, direttore della sua campagna elettorale. "Motivi personali, morali e politici", ha addotto Stefanini, che ha manifestato aperta contrarietà alla decisione di Fillon di continuare la corsa, nonostante l'indagine che lo ha travolto per gli incarichi pubblici fittizi a moglie e figli. Piove sul bagnato: l'alleato centrista UDI ha annunciato di voler abbandonare Fillon, chiedendo un cambio di candidato al centrodestra. Dietro le quinte si prepara lo sconfitto alle primarie, il moderato Alain Juppè: i sondaggi dicono che con lui si potrebbe vincere, alle presidenziali. Se Fillon piange, la Le Pen non ride: la leader del Front National e' stata raggiunta da una convocazione dei giudici per la vicenda degli assistenti parlamentari di Strasburgo, in vista di una sua iscrizione fra gli indagati. Lei ha ribadito di non voler rispondere alla convocazione.

1/3/2017

"Resto in corsa per le presidenziali": a sorpresa, dopo una lunghissima mattinata di indiscrezioni che ne pronosticavano la ritirata, il candidato di centrodestra per le prossime elezioni francesi, Francois Fillon, non esce di scena e anzi rilancia, a neppure due mesi dal voto.

La novità ora è che Fillon è formalmente indagato, insieme alla moglie Penelope, per lo scandalo che ha coinvolto proprio la consorte e i figli, che avrebbero ricevuto incarichi fittizi -questa l'accusa- retribuiti con soldi pubblici. Entrambi, marito e moglie, sono stati convocati dai giudici per metà mese. Anzichè ritirarsi, lasciando al rivale nelle primarie Juppè il testimone della candidatura per Les Republicains, Fillon ha convocato una conferenza stampa, nel corso della quale ha attaccato frontalmente i giudici: "la convocazione è una decisione interamente calcolata, per impedirmi di essere candidato. Con questa scelta di calendario si assassina non solo me ma l'intera elezione presidenziale - e' un omicidio politico", ha accusato. Non solo: Fillon ha denunciato come "lo stato di diritto venga sistematicamente violato, e la presunzione di innocenza sia completamente scomparsa". Di qui la sfida: Fillon si è rivolto al popolo, affinchèsiano gli elettori a giudicarlo. Il rivale liberale Macron ha commentato: Fillon ha perso il senso della realtà, mentre il socialista Hamon denuncia l'incredibile violenza delle sue parole contro il sistema giudiziario. Nei sondaggi Fillon continua a languire al terzo posto al primo turno delle presidenziali, dietro Marine Le Pen e Macron.

1/3/2017

"Un'Europa unita a 27 deve dare forma al proprio destino e promuovere una visione del suo futuro": sarebbe questa una delle frasi contenute nel preambolo al Libro Bianco che il presidente della Commissione Europea Juncker presenterà fra tre ore al Parlamento Europeo.

Una pubblicazione molto attesa, con la quale Bruxelles prova a indirizzare i negoziati politici sul futuro dell'Europa, che culmineranno nel vertice di Roma del 25 marzo. Dopo l'Europarlamento, anche la Commissione si inserisce dunque -con un peso inevitabilmente ben maggiore- nella complessa partita a scacchi per costruire l'Europa post-Brexit, in un quadro geopolitico che consiglia di evitare ulteriori temporeggiamenti. Secondo anticipazioni di stampa il libro bianco, sottoposto a limature nelle ultime ore, si dovrebbe articolare in quattro -forse anche cinque- possibili opzioni: la prima è il mantenimento dello status quo. Formula che non sembra però più funzionare. La seconda: una visione pienamente federalista, che porti alla realizzazione degli Stati Uniti d'Europa. Ambiziosa, ma irrealizzabile, con questi chiari di luna. La terza opzione si avvicina alla suggestione lanciata da Angela Merkel a Malta: cooperazioni rafforzate in settori ritenuti cruciali, come già peraltro avviene, ma senza potere di veto da parte dei Paesi che decidono di non aderirvi. Un'ipotesi più realistica, che eliminerebbe dal gioco gli Stati più freddi verso l'integrazione, come la Polonia. C'è poi il quarto scenario, il più misterioso e innovativo, che combinerebbe tutte le opzioni precedenti in una nuova proposta - la preferita da Juncker. La partita è iniziata, in vista della Dichiarazione di Roma sul futuro dell'Unione Europea. Forse davvero l'ultima chance, perché il progetto comunitario venga rilanciato e rafforzato, abbandonando il sentiero di declino intrapreso con la crisi economica e migratoria - solo per citarne alcune.

1/3/2017

Quattro -forse persino cinque- possibili opzioni sulla direzione da far prendere all'Europa, con un messaggio chiaro ai leader comunitari che si riuniranno a Roma a fine marzo: "basta fare promesse che non siete in grado di mantenere".

Questo pomeriggio il presidente della Commissione Europea Juncker presenterà ufficialmente il libro bianco sul futuro dell'Europa: un testo contrassegnato in partenza da una serie di controversie - alcuni leader non vedono di buon occhio la sua pubblicazione ora, la stessa Commissione non è granitica in tema di visione sul futuro dell'Europa, il tutto condito dalle indiscrezioni su un possibile addio anticipato dello stesso Juncker, poi smentite. Anticipazioni di stampa lasciano intravedere che il menù che metterà in campo Juncker comprenderà varie opzioni: la prima è il mantenimento dello status quo. Formula che non sembra però più funzionare. La seconda: una visione pienamente federalista, che porti alla realizzazione degli Stati Uniti d'Europa. Ambiziosa, ma irrealizzabile, con questi chiari di luna. La terza opzione si avvicina alla suggestione lanciata da Angela Merkel a Malta: cooperazioni rafforzate in settori ritenuti cruciali, come già peraltro avviene, ma senza potere di veto da parte dei Paesi che decidono di non aderirvi. Un'ipotesi più realistica, che eliminerebbe dal gioco gli Stati più freddi verso l'integrazione, come la Polonia. C'è poi il quarto scenario, il più misterioso e innovativo, che combinerebbe tutte le opzioni precedenti in una nuova proposta - la preferita da Juncker. Il presidente della Commissione, secondo indiscrezioni, chiederà ai leader europei di non sovraccaricare le istituzioni comunitarie con compiti che non possono portare a termine. "Un'Europa unita a 27 deve dare forma al proprio destino e promuovere una visione del suo futuro", avrebbe scritto Juncker nella premessa del libro bianco. Un riferimento indiretto alla crisi innescata dalla Brexit, che chiede una risposta ora. Senza altri rinvii. Di continui rinvii l'Europa può solo morire.

25/2/2017

"Non mi presenterò fino a giugno": la leader del Front National Marine Le Pen oppone l'immunità parlamentare, ai magistrati che intendono interrogarla per il caso delle assunzioni fittizie all'Europarlamento. Una presunta frode da ben 340mila euro, ai danni dei contribuenti europei, che potrebbe minare -sul lungo termine- la campagna della leader di estrema destra.

"La giustizia non deve perturbare -con un'inchiesta che può essere tranquillamente rimandata- la campagna presidenziale, che è un momento fondamentale per la nostra democrazia", aveva sostenuto la Le Pen la sera di mercoledì. I giudici potrebbero avviare una procedura per chiedere la revoca dell'immunità, ma non avrebbe tempi rapidi. Si fermano però qui i motivi di tranquillità per la leader del Front National: il suo capo di gabinetto Catherine Griset è stata formalmente incriminata per occultamento e abuso di d'ufficio. L'accusa è grave: frode al Parlamento Europeo, perpetrata con impieghi fittizi. Sia la Griset sia la guardia del corpo della Le Pen, Thierry Legier, sarebbero stati assunti all'Europarlamento, ma avrebbero lavorato al quartier generale del Front National in Francia. Per il Commissario Europeo Moscovici, Marine Le Pen "vuole uccidere l'Europa. Il suo è un crimine politico". I sondaggi per ora continuano a sorriderle: un eventuale scandalo potrebbe però azzopparne la corsa.

24/2/2017

Muro contro muro tra la candidata del Front National Marine Le Pen e la magistratura francese: convocata mercoledì per un interrogatorio a Nanterre, nel quadro dell'inchiesta sugli incarichi fittizi dei suoi assistenti parlamentari a Strasburgo, la Le Pen ha risposto con una lettera di rifiuto, opponendo la propria immunità. E ha sostenuto che non risponderà ad alcuna convocazione fino alla conclusione del ciclo elettorale, il 18 giugno, data del secondo round delle politiche.

"La giustizia non deve perturbare -con un'inchiesta che può essere tranquillamente rimandata- la campagna presidenziale, che è un momento fondamentale per la nostra democrazia", aveva sostenuto la Le Pen la sera di mercoledì. Nonostante i sondaggi non lo registrino ancora, la Le Pen rischia un autogol politico: il suo capo di gabinetto Catherine Griset è stata formalmente incriminata per occultamento e abuso di d'ufficio. L'accusa è grave: frode al Parlamento Europeo per circa 340mila euro, portata avanti con impieghi fittizi. Sia la Griset sia la guardia del corpo personale della Le Pen, Thierry Legier, sarebbero stati assunti a all'Europarlamento, ma avrebbero lavorato, nei fatti, al quartier generale del Front National in Francia. Intanto il viceministro degli esteri israeliano ha lanciato l'allarme per i crescenti episodi di antisemitismo: l'ultimo, l'aggressione contro due giovani con la kippa a Saint Denis, nord di Parigi, per motivi ancora da chiarire.

24/2/2017

Muro contro muro tra la candidata del Front National Marine Le Pen e la magistratura francese: convocata mercoledì per un interrogatorio a Nanterre, nel quadro dell'inchiesta sugli incarichi fittizi dei suoi assistenti parlamentari a Strasburgo, la Le Pen ha risposto con una lettera di rifiuto, opponendo la sua immunità. E ha sostenuto che non risponderà ad alcuna convocazione fino alla conclusione del ciclo elettorale, il 18 giugno, data del secondo round delle elezioni politiche.

"Bisogna rispondere alle preoccupazioni della campagna elettorale. La giustizia non è un potere, è un'autorità: non deve perturbare -con un'inchiesta che può essere tranquillamente rimandata- la campagna presidenziale, che è un momento democratico fondamentale per la nostra democrazia", aveva sostenuto la Le Pen la sera di mercoledì, in un'intervista televisiva. Il caso per il quale gli investigatori vogliono vederci chiaro non è di poco conto: la leader del Front National era stata convocata nello stesso giorno in cui i magistrati dovevano ascoltare il suo capo di gabinetto Catherine Griset, che in seguito è stata formalmente incriminata per occultamento e abuso di d'ufficio. L'accusa è grave: frode al Parlamento Europeo per circa 340mila euro, portata avanti con impieghi fittizi. Sia la Griset sia la guardia del corpo personale della Le Pen, Thierry Legier, sarebbero stati assunti a Strasburgo, ma avrebbero lavorato, nei fatti, al quartier generale del Front National in Francia.

22/2/2017

Anche Cipro e Portogallo, insieme all'Italia, presentano gli squilibri macroeconomici più gravi nell'Eurozona. Questa la denuncia contenuta nella comunicazione della Commissione Europea.

Ciò a causa di "debolezze strutturali persistenti". Anche Lisbona e Larnaca -dunque- vedranno la propria posizione rivista a maggio, sulla base -notaBruxelles- del livello di ambizione dei loro programmi nazionali di riforma. Sono sei comunque i Paesi, più in generale, che soffrono di squilibri macroeconomici eccessivi: il quadro è completato infatti da Bulgaria, Francia e Croazia. Mentre Irlanda, Spagna, Paesi Bassi, Slovenia, Svezia e Germania presentano dei semplici squilibri economici. In particolare, per Berlino, la Commissione annota come "gli ultimi sviluppi non lasciano intravedere una correzione" del surplus commerciale tedesco. Bruxelles promette di continuare a tenere d'occhio la Germania. Anche se Berlino, sul suo surplus commerciale, appare abbastanza sorda -e da anni- a correggere la rotta. Mentre, caso virtuoso, la Finlandia non presenta squilibri. Per il Commissario all'Economia Moscovici, nell'ultimo anno molti Paesi comunitari hanno compiuto progressi supplementari, anche se non ancora sufficienti, nell'affrontare le sfide economiche fondamentali.

21/2/2017

Via libera al ritorno dell'ex-troika ad Atene. Con un importante alleggerimento sul fronte delle politiche di austerità: l'Eurogruppo, per bocca del suo presidente Dijsselbloem, ha lanciato un messaggio distensivo verso la Grecia.

Nullaosta dunque al ritorno dei rappresentanti delle istituzioni nella capitale ellenica nei prossimi giorni, con l'obiettivo di chiudere in fretta la seconda revisione sul terzo programma di salvataggio del Paese ellenico. La vera notizia però riguarda il cambio di prospettiva: per ammissione dello stesso Dijsselbloem, ad Atene non saranno richieste nuove misure di austerità, ma riforme strutturali orientate alla crescita - in particolare su pensioni, fisco e mercato del lavoro. I margini di bilancio che si apriranno dall'atteso aumento del Pil andranno a sostenere ripresa e occupazione. Un'apertura che segna una linea di demarcazione rispetto al dogma dell'austerità, imposto ad Atene nell'ultimo decennio. Apertura per la quale la Grecia deve parzialmente ringraziare il Fondo Monetario Internazionale, il cui disaccordo con la linea tedesca ha obbligato l'Eurozona a fare concessioni importanti. Non tanto sul taglio del debito, sul quale la Germania continua ad opporsi, ma quantomeno su una riduzione dell'austherity. Soddisfazione ad Atene, che dovrà ora rimettere mano alle riforme, e che aveva posto come linea del Piave la richiesta di non incrementare di un solo euro i sacrifici collettivi. L'Eurogruppo ha infine confermato Klaus Regling alla guida del fondo salva-Stati Esm.

20/2/2017

Riprenderanno la prossima settimana i negoziati sul bailout greco: l'Eurogruppo calma le acque -ultimamente decisamente agitate- intorno ad Atene, dando il via libera al ritorno dei rappresentanti dell'ex-troika nella capitale ellenica.

A confermarlo il presidente dell'Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, annunciando che è stata trovata l'intesa per preparare un accordo definitivo con la Grecia. "Un passo positivo", lo ha definito. Secondo Dijsselbloem, le misure che saranno prese dal Governo Tsipras riguarderanno -tra le altre cose- mercato del lavoro e fisco - l'attenzione, ha precisato, sara' spostata anche sulle misure sociali a sostegno della crescita e dell'occupazione. 'Non si parla di solaausterita'', ha tenuto a sottolineare, dopo che una fonte dell'esecutivo ellenico, nel confermare la ripresa dei negoziati sulla revisione del programma di bailout, aveva chiarito che questo non implicherà un solo euro in più di sacrifici. Atene insomma ha accettato nuove riforme a partire dal 2019, a condizione che il loro impatto fiscale sia neutro. Il Commissario agli affari Economici Moscovici ha negato ogni ipotesi di Grexit e si è detto fiducioso sul ruolo attivo dell'Fmi. Ribadisce -il Ministro delle Finanze tedesco Schaeuble- che l'Fmi sarà a bordo, e che la Grecia deve diventare più competitiva, grazie alle riforme. I Ministri dell'Eurozona hanno infine rieletto Klaus Regling a capo del fondo salva-Stati Esm.

20/2/2017

Conti italiani e Grecia in primo piano all'Eurogruppo che si apre nel pomeriggio a Bruxelles. Per il Ministro dell'Economia Padoan la tappa europea non può arrivare in un momento peggiore, con un Governo fortemente indebolito dalle tensioni interne al PD.

Padoan proverà a rassicurare i partner dell'Eurozona e lo stesso Commissario EuropeoMoscovici sul fatto che l'esecutivo italiano recupererà i 3.4 miliardi -sui quali Bruxelles non intende fare sconti- per raddrizzare i conti pubblici. Proprio la Commissione si prepara a pubblicare -dopodomani- il rapporto sul nostro debito, che certificherà uno scostamento non giustificato dagli obiettivi. Anche se Bruxelles, considerato il momento politicamente delicato sia a Roma sia in Europa, potrebbe non chiedere immediatamente l'apertura di una procedura di infrazione, regalando tempo utile allo stesso Padoan per sistemare le cose, concretizzando gli impegni -fin qui vaghi- rimbalzati da Roma a Bruxelles. E sulla Grecia si apre qualche spiraglio di ottimismo: il Ministro delle Finanze tedesco Schaeuble calma le acque, intervistato dalla televisione tedesca ARD: prima esprimendo fiducia, sul fatto che l'FMI parteciperà al terzo programma di aiuti, pari a 86 miliardi, in favore di Atene. Schaeuble non fa però retromarcia, sul sacro dogma del taglio del debito ellenico, che lo stesso FMI insiste nel chiedere: "non è previsto dal diritto europeo", taglia corto. Schaeuble smentisce anche di aver mai minacciato un'uscita della Grecia dall'Eurozona. Si limita a dire, con un tono che nasconde più di una minaccia: "se la Grecia non fa le riforme abbiamo un problema".