SOCIETÀ



SESSUALITÀ MALINTESA







C’è una donna, sui quarant’anni, madre di due ragazzini, operaia, impiegata o libera professionista, impegnata ad affrontare l’ambiente di lavoro e dintorni. Dopo una giornata di fatica, frustrazioni, speranze deluse, preoccupazioni e confronti duri con colleghi ed estranei, finalmente torna a casa, stremata. Qui prepara e disfa cena e bucati, ascolta le menate dei figli e del partner, tivvù, doccia e poi a letto ...

È difficile immaginare che in queste condizioni, possa desiderare ardentemente d’essere palpeggiata, costretta a cospargere di baci il partner e subire una serie di avvilenti preliminari, in attesa dell’ultima illusione: raggiungere il livello minimo di trasporto, sufficiente a permettere l’ineluttabile penetrazione e così, inscenare un’esecuzione rapida, indolore.

D’altra parte, salvo eccezioni contro natura, lei non sarebbe certo in grado di esprimere un approccio diverso. Come per esempio, corteggiare insistentemente il partner, per ottenere ristori sessuali, assidui quanto autoreferenziali. Molto più probabilmente, si girerà verso le pantofole e ben avvolta nelle proprie ossa puntute, chiuderà la serie interminabile di sbadigli con un flebile, ma incontrovertibile: “Buonanotte ...”.

C’è un quarantenne, il padre di quei due ragazzini, anche lui impegnato professionalmente, oppresso come lei, da tutto quanto sopra e che parimenti finisce a letto, finalmente. Se ancora abbastanza sano nel fisico e nella mente, non penserà ad altro che a metterle le mani addosso come sopra, riscattando così, brutalmente e convulsamente, le cupe mortificazioni quotidiane. In testa, un solo pensiero ossessivo: procrastinare quell’agghiacciante, definitivo “Buonanotte ...”.

Chi dei due malcapitati, sbaglia? Nessuno.

Dal punto di vista sessuale, lei è naturalmente e fisiologicamente predisposta ad accogliere, al punto che - in teoria - il suo piacere si realizza nel ricevere e assorbire l’energia sbrigativa ma inesauribile del partner. D’altra parte, lui è naturalmente e fisiologicamente predisposto ad offrire, senza tanti se e senza tanti ma ...

Purtroppo, il medesimo vissuto dei due ex innamorati frustra le inclinazioni naturali di lei e al contempo, moltiplica lo slancio compulsivo di lui, squalificandolo. Molto presto la coppia precipita nel gelido abisso della reciproca incomprensione, dove di spontaneo resta solo il disgusto.

A quanto pare, nella goffa e vana emulazione del modello maschile, la donna smarrisce la femminilità, mentre il maschio, spaventato com’è dall’inattesa concorrenza, si deprime fino a vergognarsi dell’antica virilità.

Ci sono rimedi? Sì, ma sono politicamente scorretti e comunque, lui è troppo pigro e vile per provare anche solo a pensarci, mentre lei, non vuole neppure sentirne parlare.







FRANCAMENTE ME NE INFISCHIO

Abbasso la violenza sulle donne e la melensa retorica a ciò dedicata! Guardando in questi giorni di arresti domiciliari l’ennesima partita di pallone in tivvù, non m’impressiona più vedere un braccio, un collo o una coscia decorati da orribili arabeschi bluastri, oppure variopinte capigliature da moicani, spacciatori o jihadisti ... e non faccio più caso alle continue secrezioni espulse dagli adorabili atleti nei modi più fantasiosi e disgustosi possibile. Però, ho sobbalzato vedendo sangue sulla faccia di un calciatore di razza bianca e poi anche su quella ispidamente barbuta di un africano e persino dell’arbitro: ma no! È uno sbaffo di rossetto che mettono per aderire allo sdegno contro la violenza sulle donne: un “femminicidio” ogni tre giorni ...

Sollevato, continuo a seguire il gioco, ma non riesco a sgombrare la mente: scusa, ma come mai c’è una buona metà dei giovanottoni, senza paura e senza macchia rossa sul viso: non saranno mica favorevoli alla violenza sulle donne?

Ma no, non ti preoccupare: avranno dimenticato di farlo, oppure si sono strofinati la faccia e col sudore o con qualcos’altro, la macchia è venuta via ...

Oppure - congetturo tra me e me – anche a buona parte di loro da fastidio la retorica che tutto trita e banalizza: il calcio è uno spettacolo meraviglioso e se non ci fosse, come potremmo sopravvivere?

L’intellighènzia, anche quella modesta, servile e provinciale che la puntella, si compiace del luogocomunismo imperante, ma io non ne faccio parte e non intendo rinunciare a una libera riflessione anche su questo aspetto della società in cui mi è capitato di vivere.

Già, quante donne vittime di uomini violenti ... ma quante invece no?

Quanti uomini si propongono con semplicità e chiarezza d’intenti e a fronte di un rifiuto più o meno cortese, si fanno da parte senza lamentarsi o reclamare alcunché? E dopo averle così faticosamente e costosamente “conquistate” e conservate, quanti uomini sanno controllarsi davanti alle umiliazioni, alle falsità, ai raggiri, ai ricatti, ai tradimenti o anche solo ai capricci e agli insulti mortificanti delle loro donne?

Vale più una vittima o un eroe? Non si sa. Comunque, non sarà mai indetta una giornata per ricordare gli uomini che sanno tenere la patta dei pantaloni ben chiusa e le mani, magari strette a pugno, ma ben in fondo alle tasche? Uomini che prima di uscire per sempre di scena, sappiano dire con voce ferma e virile: ... francamente, me ne infischio.




IL PRINCIPIO DI RECIPROCITA'



Nelle relazioni umane valgono principi di diritto naturale che gli ordinamenti giuridici moderni non riescono a sradicare del tutto. Tra questi, è importante la reciprocità che opera a livello di coppia, nei rapporti di amicizia, nelle relazioni d’affari e persino nelle relazioni tra Stati Sovrani. Anche il nostro Codice Civile lo ammette fin dall’articolo 16: “Lo straniero è ammesso a godere dei diritti civili attribuiti al cittadino a condizione di reciprocità”. Il che significa che dovrebbero essere negati i diritti civili italiani a quasi tutti quelli che, grazie agli accoglioni di sinistra, da anni violano i nostri confini e invadono i nostri territori, dedicandosi ad ogni crimine possibile ed inimmaginabile.

Infatti, come sarebbe trattato un italiano che si comportasse allo stesso modo in Libia, Tunisia, Egitto o Pakistan? Meglio non pensarci.

Se le persone coinvolte in una qualunque relazione non rispettano la reciprocità, presto o tardi il delicato equilibrio si perde e s’insinua la prevaricazione e via peggiorando. Al contrario, la reciprocità obbliga ad auto educarsi alla convivenza civile, che è premessa indispensabile della tanto agognata pace.

É facile immaginare che succede a marito e moglie, un tempo teneramente innamorati e poi nemici per la pelle, proprio perché è stata trascurato questo benedetto principio di reciprocità.

Attenzione a non confonderlo con la legge del taglione: la reciprocità conserva e sviluppa le relazioni, la vendetta le stronca irrimediabilmente.

Due Stati Sovrani confinanti possono sviluppare durature alleanze, attraverso politiche di reciproche concessioni, in ogni campo. Non solo, ma possono scongiurare pericolose tendenze, opponendo tempestivamente e con fermezza, le contromisure congruenti atte a scoraggiare eventuali attività dannose della controparte.

Un esempio, tanto per capirci: in virtù del doveroso rispetto per la cultura altrui, si possono concedere spazi di culto a gruppi provenienti da paesi lontani, se ed in quanto della medesima concessione possono godere i nostri concittadini che si trovino a vivere laggiù. Chi proverebbe ad erigere una chiesetta cattolica in Eritrea o in India? Nessuno, perché a nessuno piace l’idea di fare la fine dello zolfanello.

Dunque, perché mai un principio vigente così nobile ed equo non viene rispettato? Se un cittadino comune viola disposizioni molto meno altolocate, subisce drastiche ritorsioni a cura del zelante sistema giudiziario, ma quando l’infrazione è commessa da lor signori, nessuno ci fa caso e si dice che la norma è di fatto disapplicata: grazie tante! É proprio vero, come ebbe a dire recentemente l’illustre Avvocato Signora Giulia Bongiorno: “La legge è uguale per tutti, ma i giudici no”.


SINISTRA MALDESTRA











SINISTRA MALDESTRA

“Quel tipo aveva un’espressione sinistra ...” cioè cupa, torva, desolata e desolante ... un aggettivo inequivocabile che travasa significato nel sostantivo corrispondente, squalificandolo inesorabilmente. Se dunque la sinistra si presenta così, figuriamoci che succede attribuendole l’aggettivo maldestra! Ed è successo proprio così.

A Roma c’è una società che si occupa di eventi (?), capitale sociale di 4.000 euro e un solo dipendente in cassa integrazione da COVID19. È una delle ditte ad aver vinto la gara d’appalto governativo per la fornitura di banchi di scuola anti contagio: 180000 per 45 milioni di euro (250 euro cadauno).

Lasciamo perdere l’aspetto giuridico della vicenda, di cui prima o poi s’occuperà uno dei tanti pubblici ministeri non di sinistra e sorvoliamo anche la questione morale, sulla quale non s’avventeranno giornalisti e politici di sinistra, troppo presi a strapparsi vesti e capelli per le ignobili malefatte di Salvini e dintorni: limitiamoci a contemplare questa sinistra cupa, torva e dannosa, oltretutto goffa, cadente, sprovveduta, superficiale ... e per l’appunto, maldestra.

Così, forse, vien da sorridere ricordando la spocchia velenosa che condisce gli insulti pretestuosi ed esagerati, rivolti a chiunque la pensi diversamente e magari si opponga apertamente: la sinistra maldestra è nuda!







UN POPOLO DI GREGARI

Quanto sono importanti le parole e l’uso che se ne fa: il verbo aggregare e il corrispondente sostantivo aggregazione, vantano una connotazione positiva, mentre gregario,evidentemente collegato, quasi mai. Quindi, è bello e giusto aggregare risorse sparse e/o disperse, per indirizzarle a un vantaggio superiore e condiviso. Ma com’è triste l’attitudine del gregario a nascondersi nell’ombra rassicurante d’una congrega, rinunciando all’impegno personale, pur di sostentarsi sostenendola.

Siamo un popolo diviso in aggregazioni più o meno trasparenti, fatte di gregari inneggianti – sottovoce - al sinistro motto: tengo famiglia. Se il problema fosse tutto qui, potremmo ancora cavarcela. Purtroppo invece, questo sistema retrogrado ma persistente, perseguita chiunque osi andare contro corrente, soffocando così ogni altra possibilità di sviluppo e di crescita.

Disgregare e disgregazione suonano male, ma per venirne a capo, bisognerà pur lasciare un po’ di spazio alle energie indipendenti, almeno le più volenterose e creative, in ogni campo e partendo dalla cultura, che per tradursi in ricchezza sociale deve nutrirsi di libertà. Quindi, cominciamo a smantellare gli steccati del politicamente corretto e del luogocomunismo, a costo di qualche rinuncia in termini di posizione dominante, di privilegi o di cartelli sopra e sotto banco. Dai banchi di scuola e fino all’università, sia premiata l’originalità e scoraggiato l’opportunismo di gregge. Sul lavoro, si riconosca il merito dell’iniziativa e sia invece apertamente disapprovato il leccapiedi, yes man o gregario che dir si voglia. Il valore di un’iniziativa sia riferito ai risultati che promette ed ottiene, a prescindere da chi sia il promotore.

La Storia dei nostri territori insegna che all’origine dello sviluppo culturale che tutto il mondo c’invidia, c’è la frammentazione in piccoli municipi, comunità vivaci di famiglie fatte di uomini e donne liberi. Al contrario, a furia di unificare, omogeneizzare ed aggregare il popolo dei gregari si va spegnendo, ormai rassegnato a un irreversibile declino.





Importanza di una sana contrapposizione

C’è chi mena vanto di non aver nemici: è un’illusione, neppure tanto pia ... un po’ come quella, altrettanto superficiale, d’avere tanti amici. Comunque, prima di affrontare un nemico è bene accertarsi che lo sia per davvero. Abbiamo in dotazione vari sistemi di riconoscimento e per capirlo, non c’è bisogno di aspettare che se ne avvicini uno con la spranga in mano.

In generale, chiunque singolarmente o in gruppo persista con qualsiasi mezzo nel procurare danni rilevanti, è un pericoloso nemico, a prescindere da quanto sia consapevole di quello che fa e dalla valutazione delle sue ragioni. Il nemico non si identifica sempre e necessariamente con una o più persone: più spesso, quello davvero pericoloso e molto difficile da contrastare, si nasconde sotto un pensiero costruito da semplici parole, solo apparentemente innocue; oppure, dietro uno stile di vita o uno schema etico, morale e giuridico, in forma di politica o di religione sedicente tale. Mafia, massoneria, circoli militari, salotti dell’alta finanza e della magistratura, protocolli, sette, affiliazioni e congreghe varie, danneggiano tutto il tessuto sociale indistintamente e possono rivelarsi nemici mortali per chiunque. Invece, a parte il caso di circostanze drammatiche, il nemico personale è silente e basta non stuzzicarlo per starsene alla larga, in pace.

Su col morale: molti nemici, molto onore!

Fatto salvo il sacrosanto diritto di sottrarsi ai disagi e alle insidie della contrapposizione, il nemico va affrontato con coraggio e determinazione e chi afferma il contrario, magari accampando ambiguità moralistiche, è un agente a servizio del nemico e va parimenti contrastato. Si può, anzi si deve tentare la dissuasione, ma la fase di tolleranza non può perdurare fino a costituire uno svantaggio permanente.

Il nemico va studiato attentamente, misurando le sue risorse visibili e indagando quelle nascoste; bisogna intuire le sue strategie ed analizzare le tattiche che preferisce adottare, alla costante ricerca dei punti deboli sui quali concentrare la reazione. Guai a sottovalutare o svalutare il nemico, di cui anzi bisogna riconoscere – magari non pubblicamente - il valore e l’efficacia nell’azione, emulando la sua determinazione ed imparando le sue stesse tecniche, per neutralizzarle. D’altra parte, il nemico non va neppure sopravvalutato: la sua potenza vera o presunta può imporre cautela, mai incutere timore.

Quando non basta più stare alla larga, appena possibile bisogna avviare l’attività di contrasto, ma come?

Innanzitutto bisogna pianificare una strategia a lunga gittata, ideando le tattiche più adatte a raggiungere gli obiettivi primari e secondari. Questi non devono essere troppo ambiziosi, soprattutto se dichiarati: saper affrontare il nemico a viso aperto è già una grande vittoria di libertà, oltre che un visibile fondamento identitario.

Particolare attenzione va dedicata alle relazioni del nemico: i suoi amici e fiancheggiatori vanno trattati come nemici, sempre; al contrario, se pur con cautela, i suoi nemici vanno avvicinati e possibilmente coinvolti nella contrapposizione, almeno occasionalmente o in parte. In proposito, va ricordato che il nemico numero uno, Divisore atavico e antagonista primordiale dell’Uomo, è il “Principe di questo Mondo” (Gv 14,30), omicida e falsario fin dal principio (Gv 8,44): Satana. Sicché, si può ben dire che siano amici suoi o a suo libro paga, tutti coloro che più o meno direttamente provocano danni all’Umanità: oltre a ladri e violenti, l’insegnante che non insegna, il medico che non medica, il giudice che non giudica, lo studente che non studia, lo spazzino che non spazza, il ragioniere che non ragiona, l’ingegnere che non s’ingegna, il rappresentante che non rappresenta e così via.

Ogni corretta strategia di contrapposizione punta al contenimento e alla moderazione del nemico: la Storia ha dimostrato che ogni tentativo di annientarlo, fallisce e produce assai più danni di quanti ne avrebbe provocati di suo. Ciò non toglie che sia conveniente individuare e agevolare ogni processo capace di favorire l’estinzione del nemico, per via endogena e spontanea.

Quanto sopra vale qualunque sia il nemico: dal condominio alla politica, nella professione e persino in famiglia o in parrocchia, dobbiamo aspettarci di tutto ed essere pronti a tutto per non subire l’oppressione del nemico: sempre disponibili a cessare ogni ostilità, purché sia inderogabilmente rispettato il principio della reciprocità.

Quindi, ben lontani come siamo dal Regno dei Cieli che notoriamente “non è di questo mondo” (Gv 18,36), bando agli indugi moralistici, alle sirene buoniste a senso unico e a buon mercato: solo chiarezza dei valori in cui si crede e determinazione nel difenderli.








ELOGIO DELLA MASCHERINA



Non metterei la mano sul fuoco per garantire che la mascherina sia necessaria o anche solo utile, e neppure che possa essere dannosa. Comunque sia, è molto più salutare stare alla larga dagli sconosciuti, soprattutto se ammucchiati: la porto sempre con me, ma la indosso solo se esortato a farlo, gentilmente.

Osservo però che l‘impatto complessivo di un volto in grado di superare la barriera dell’indifferenza, comporta sempre un sì o un no, un giudizio immediato superficiale, spesso spietato e senz’appello. Su questo dato estetico sommario, da sempre si fondano arroganza e successo o ahimè, vi sprofondano mortificazione ed emarginazione. Grazie alle mascherine, l’attitudine antropologica di valutare l’aspetto degli altri, è bloccata dall’imprescindibile bellezza dello sguardo.

KALOS KAI AGAZOS: ciò che è bello è anche buono, dicevano arguti gli antichi greci. Credo si riferissero alle meraviglie dell’ordine naturale, come una mela succosa ... oppure alle opere d’arte, alla musica o alla poesia. Infatti, il legame tra bellezza e bontà è generalmente ideale e riguarda categorie astratte, non certo l’avvenenza di un’attricetta prosperosa o d’un atleta iper tatuato. Ed è giusto così perché altrimenti, il solo fatto di non essere abbastanza belli, comporterebbe la beffa d’essere considerati dei poco di buono.

Se però la bellezza sprigiona dalla Venere di Milo, dal Discobolo di Mirone o da Amore e Psiche di Canova, non è difficile percepire che il concetto sia davvero in qualche modo legato alla bontà, cioè al bene assoluto, che nulla ha da spartire con la vanità del gusto arbitrario e delle mode mercenarie.

Per chi ci crede, qualcuno potrebbe obiettare ...

Eppure, nei tempi più duri e oscuri del Covid, abbiamo sperimentato la bellezza dello sguardo, unico riscontro relazionale diretto disponibile. Se ne son visti di tutti i colori: distratti, vacui, agitati, ansiosi, furenti e persino minacciosi, ma sfido chiunque ad essersi mai imbattuto in uno sguardo brutto, in senso stretto. Indossando la mascherina, una cassiera insignificante può rivelare un vortice di generosa passione, un vecchio imbolsito lascia intravvedere un mare di rassicurante saggezza e un giovanotto maldestro, mille promesse di coraggio e fedeltà ...

Se dunque è vero che ogni sguardo è bello in sé e per sé, la contropartita in termini di bontà e di bene assoluto risiede nell’anima di cui è portavoce e che è originariamente “buona”. Un po’ come l’innocenza di un bimbo, almeno nei primissimi mesi di vita e finché non è piazzato davanti al televisore ...

Tant'è vero, che non è mai facile accorgersi delle anime pervertite e dannate – quante ce ne sono in giro! –, perché si prodigano a dissimulare la perfidia delle intenzioni, soprattutto con gli occhi. Ma non importa, non permetterò alla cara Prudenza di farsi diffidente e con o senza mascherina, continuerò a godermi la bellezza di ogni sguardo, anche di quelli fasulli, sfrontati o sfuggenti.








Il mito distruttivo della mediazione

Una volta, non tanto tempo fa, quando di qualcuno si diceva che fosse un mediatore, ai presenti non sfuggiva una malcelata allusione a qualcosa di spregevole. Perché mai?

In generale, mediare significa mettersi in mezzo, cioè collocarsi in un qualunque ganglio per favorirne il funzionamento, ma così facendo è breve il passo verso l’abuso parassitario.

Il mediatore più tradizionale frequenta i mercati di ciò che si compra e si vende, e non sempre si tratta di balocchi e profumi. Raramente la funzione di mettere in contatto domanda ed offerta di beni e servizi è nobile, perché implica attitudini non sempre trasparenti e la naturale inclinazione ad un opportunismo cinico e sbrigativo.

D’altra parte, bisogna ammettere che il mediatore se ne intende e avendo a che fare con interlocutori per lo più sprovveduti, i suoi servigi risultano determinanti per il buon esito delle pratiche. Un mediatore scaltro ha successo se realizza la soddisfazione di interessi naturalmente contrapposti, come quelli di compratore e venditore, utente e struttura erogante, cliente e fornitore, cittadino e autorità, lavoratore e padrone eccetera: anche solo per questo e più o meno volentieri, gli si riconosce un congruo compenso. Tuttavia, la caratteristica della remunerazione consiste nel prescindere dalla qualità della prestazione che si presume sufficiente, per il solo fatto che si realizzino le condizioni atte a determinarlo. Perciò, può capitare che il mediatore cerchi di ottenere maggiori ricavi manovrando sia il numero che il valore delle operazioni di cui si occupa.

Ma vediamo alcuni esempi di mediazione per verificare quanto sia davvero condivisibile la comune percezione di negatività. Forse, il mediatore meno spregevole è quello delle vacche perché nella sua semplicità, assume un ruolo importante e riconosciuto nella società agricola, rozza finché si vuole ma onorata e che di solito non ammette abusi. Il mediatore immobiliare è forse il più bravo a sopravvalutare i valori, sui quali poi calcola le provvigioni. Quello finanziario è famoso per macinare compensi su transazioni fantasiose, quello sanitario pasce il suo gregge un tanto a testa, parandosi le terga dietro protocolli burocratici. Il mediatore tributario soddisfa il fisco rapace facendo pagare di tutto e di più all’inerme contribuente, mentre quello politico – forse il più sfacciato – inganna apertamente l’elettore con promesse surreali. Il mediatore mediatico media - per l’appunto - tra gli interessi del suo onnipotente editore e le fragili menti dei suoi ascoltatori, ama farsi chiamare opinionista. Anche quello religioso pasce le sue pecore, ma da remoto – niente pascoli erbosi o acque tranquille –e somministrando sapienti dosi di antibiotici spirituali (sensi di colpa e moralismo di risulta), mentre quello scolastico offre ridondanza nozionistica e severo luogocomunismo, pur di mantenere i propri scolari nell’ignoranza più assoluta. Il mediatore informatico, di certo il più subdolo, avvolge il malcapitato in una rete intricata di processi e poi gli impone quel suo sapere posticcio, ma capace di sbrogliarli; al contrario, quello sessuale, detto anche pappone, è meno elegante e in cambio di “protezione”, trattiene gran parte dei proventi delle protette. Infine, ecco il mediatore universale aspecifico: l’ineffabile facilitatore, la cui esistenza è provata dalle continue comparsate sulle cronache giudiziarie.

L’unico mediatore inattaccabile e splendido è Nostro Signore Gesù Cristo, che a prezzo di sofferenze atroci e ingiuste, s’è posto tra noi e il Padre Creatore per indicarci la via del ritorno alla sua Casa Santa: peccato che a nessuno dei “colleghi” di cui sopra verrebbe mai in mente di considerarlo un modello da imitare, a meno di rimanere disoccupati.













































































Le radici giudaico luterane della metafisica tedesca, madre delle ideologie del 900 e nonna della società liquida




















































































Compassi, squadre e grembiulini: alcuni massoni celebri