Lo sguardo

della libellula

Autobiografia sociologica

di Marti Gruter


PRIMA PARTE

(foto da pixabay.com/it/photos/libellule/Scarica immagini libere su Libellule dalla libreria di Pixabay di oltre 320.000 foto, illustrazioni e immagini vettoriali di pubblico dominio.)

La libellula è un piccolo animale davvero particolare e come indica il nome, è libera, bella, misteriosamente si occupa anche di libri e soprattutto vola … sulle ninfee, di palo in frasca e qualche volta molto più su! Il suo sguardo non è mai accigliato, ma piuttosto emotivo, impaziente ed acuto.

Appena qualcosa la disgusta o la spaventa, scarta di lato e si rialza inseguendo nuovi profumi, non s’attarda e non si lascia mai incantare. Ogni tanto, qualcosa d’importante può sfuggirle, ma quel che conta per lei è restare libera e giocosa, librandosi nell’aria fresca e pulita, lontano dagli stagni avvelenati, dalle viscide lingue dei rospi o dai denti ruvidi del persico.

PREMESSA dell’autore.

Una donna che non l’aveva mai letto prima, mi ha regalato Gli occhi dell’eterno fratello di Stefan Zweig. A Laura dunque, e al suo felice intuito femminile, devo l’impulso incontenibile di scrivere Oltre la radura lungo il fiume, ma soprattutto, la gioia d’aver letto Il mondo di ieri e la conseguente decisione di scrivere modestamente questa autobiografia sociologica, come ideale continuazione di quella di Zweig.

Mi sono convinto di conoscere ed amare questo gigante della letteratura universale, così mite, straordinariamente gentile e discreto. Sono certo che qualsiasi forma di violenza e prevaricazione sia totalmente incompatibile con la sua indole e pertanto, non mi rassegno al suicidio del 1942 e ancor meno riesco ad immaginarlo mentre maneggia un qualsiasi strumento di morte – compreso un dolce veleno -, tantomeno se rivolto contro l’amabile ed amata giovane moglie.

Non penso di rivelare chissà che, se affermo che il suicidio volontario è un’operazione complessa che matura nel tempo attraverso contesti psicologici progressivi, più o meno nascosti o invisibili. Non posso d’altra parte escludere che l’Eccellenza Intellettuale, di cui Stefan Zweig è luminoso astro, rinunci ad occuparsi dei propri fedeli anche nel momento della fine, pianificandola nei minimi particolari.

Può anche capitare, nei dintorni della criminalità, che il suicidio sia grossolanamente simulato, al punto che da riflessiva, la voce verbale si trasformi malignamente in transitiva: se fosse forzato o indotto con minacce spaventose, si tratterebbe di vero e proprio omicidio, aggravato da perfida ipocrisia.

Ho visto due foto che ritraggono i coniugi Zweig al momento del ritrovamento nella graziosa casetta di Petrópolis – amena località di mare non lontana da Rio de Janeiro - in quel 23 febbraio del 1942.

In entrambe sono completamente vestiti, ma la prima, presa da vicino e d’impulso, sembra striata da luce che filtra da una tapparella non abbassata del tutto e vede Lotte ancora avvolta dalle braccia di Stefan, abbandonarsi sul fianco del marito disteso sul letto, il capo riverso sulla sua spalla sinistra tanto da nascondervi il viso e quasi tutto il braccio sinistro intorno al collo... una posizione naturalmente appassionata, ma troppo scomoda per prolungarsi nel sonno di un qualunque definitivo assopirsi.





Nell’altra, nitida e ben centrata, la coperta che arrivava ai fianchi non c’è più e l’amore struggente si stempera in sobria tenerezza, i corpi vicini, quasi stretti ma non più avvinti, con la mano destra di Stefan adagiata in grembo, delicatamente accarezzata dalle dita di Lotte.



















E’ come se qualcuno avesse aperto l’abbraccio eccessivo e troppo angoscioso della prima foto, per mostrarne uno più quieto e rassicurante. Perché?

Così teneramente accoccolata a fianco del marito, ora un po’ più seduto che sdraiato e con la testa rivolta al soffitto, tutto farebbe pensare a un lungo soave momento di pace armoniosa, proprio nulla di concitato e doloroso... se non fosse per l’esile braccio di Stefan, così maldestramente schiacciato dal dolce peso di lei.

In aiuto alla mia peraltro già abbastanza fervida immaginazione, è arrivato Deonisio Da Silva, letterato brasiliano in grado di scrivere un romanzo sulla morte dell’augusta coppia.

Oltre al grande merito d’aver riproposto all’attenzione internazionale - non solo letteraria - un fatto di cronaca oramai dimenticato, l’autore trova il coraggio di tracciare ipotesi per nulla inverosimili - se non addirittura plausibili – sulle circostanze innaturali che hanno prematuramente sottratto all’Umanità, due persone di così raro valore.

In ogni indagine, osserverebbe il Commissario Maigret sgranocchiando delicatamente il bocchino della pipa, occorre anzitutto individuare i possibili moventi... e il suicidio non fa eccezione alla regola: chi e perché mai avrebbe avuto interesse alla morte di un intellettuale mite e generoso e della sua delicata e colta compagna?

Loro stessi, certo è possibile.

Una coppia accolta in tutto il mondo con grande ed affettuosa considerazione, economicamente al sicuro malgrado la guerra, anche solo per il credito ovunque disponibile, una dolce e matura affinità non solo intellettuale, potrebbe improvvisamente precipitare in una depressione acuta e parallela, talmente angosciosa da trascinare intelletti così elevati nell’abisso di un dolore che non sente ragione pur di smettere, subito e all’unisono. Non sono esperto in materia, ma questa versione ufficiale sostenuta frettolosamente e mai messa in dubbio per decenni, credo non abbia precedenti in dottrina.

Sforzandomi ancora, posso immaginare un quadro più sostanzioso ed immedesimarmi: una malattia incurabile potrebbe spingere ad un gesto d’amore supremo. La sofferenza e la paura dell’amata basterebbero a un uomo meno sensibile di Stefan Zweig per desiderare di proteggerla fino ad accompagnarla, rassicurandola e confortandola con la presenza e la totale condivisione dello stesso destino. E non sarei certo stupito che un cuore grande di donna possa fare lo stesso, anche quando l’amato non fosse l’uomo meraviglioso che è Stefan Zweig. Tuttavia, non c’è alcun indizio di qualche tremenda malattia che una coppia avveduta e benestante non possa affrontare in altro modo, almeno inizialmente.

Oltre a queste due ipotesi di libera scelta altamente improbabili nel particolare contesto, resta solo l’induzione criminale che ovviamente, andrebbe catalogata tra quelle di omicidio. Dunque, quale movente poteva spingere qualcuno a decidere la morte di Stefan e Lotte?

Volendo evitare di cacciare la testa sotto la sabbia davanti a un mistero così fitto, è naturale ed anche legittimo accantonare il metodo scientifico e pur di procedere, almeno affidarsi all’intuito. Pertanto, ora mi sento libero di superare le ipotesi di suicidio volontario, tranne quella riconducibile a malattia grave di uno dei due coniugi, per il solo fatto che riesumandoli, potrebbe essere oggigiorno facilmente verificata.

A mio modesto parere – anch’io scrittore, conosco certe dinamiche psicologiche degli autori -, l’accomodante quanto improbabile complotto passionale della prima moglie di Zweig – immaginato dal professor Da Silva -, è un arguto espediente narrativo che funge da schermo a ben altre più inquietanti e vergognose ipotesi. A più di settant’anni di distanza, è ormai lecito esaminare le circostanze che farebbero invece pensare ad un complotto politico per eliminare il letterato ebreo e tanto per non sbagliare, la sua innocente sposa.

Il 1942 vede il nazismo in procinto di vincere la guerra, impadronirsi dell’Europa e addirittura governare il mondo. Possiamo figurarci lo stato d’animo politico internazionale fin dall’inizio di quell’anno, sia in campo tedesco annebbiato da un entusiasmo freddo e determinato, sia in campo avverso dove oltre al panico, già serpeggia una viscida e lungimirante rassegnazione.

Che dire di quelle vaste aree politiche e sociali circostanti il conflitto, dal cui esito dipende il futuro del pianeta? Chissà quali progetti e aspettative, si alimentano in quei mesi elettrizzati dalle notizie che si rincorrono sui fili telegrafici e nei quotidiani di tutto il mondo che conta. In Brasile, per esempio, popolato com’è da pionieri europei senza troppi scrupoli, abituati a ragionare in termini di brusche opportunità e avventurose speculazioni.

In certi ambienti della borghesia imprenditoriale, oscuri circoli collegati saldamente alla madre patria che probabilmente finanziano o da cui sono finanziati, dove si maneggiano vasti terreni, immobili, titoli di partecipazione in miniere e piantagioni, contante in valute forti, pronte ad essere convertite in oro e metalli preziosi, in tale contesto borghese un po’ meschino e un po’ ambizioso, già si scommette cinicamente sul probabile vincitore. Un nuovo ordine si sta profilando e nessuno vuole perdere il treno che passa veloce e implacabile, spazzando gli ostacoli che osino opporsi...

Pochi mesi prima, in questo clima di cinica eccitazione, i libri del letterato più in vista al mondo, venivano bruciati sul selciato dell’amata Vienna che si scopre antisemita. Zweig stesso inorridisce apertamente, è nemico dichiarato del nazismo e personale di Hitler: non un lurido ebreo qualunque, ma il vessillo stesso dell’intellettualismo liberale e umanitario, unico nettamente contrapposto al gretto dilagare della razza ariana e delle sue storiche rivendicazioni. Per chi lo conosce e lo ama, è più facile pensare a Zweig ben consapevole dell’altissimo ruolo di baluardo della dignità umana che il nemico stesso gli attribuisce, piuttosto che ad un pavido esiliato in fuga dalla persecuzione culturale, cioè tutto sommato, solo psicologica.

Un altro aspetto significativo della vicenda è il tipo di veleno asserito nel bicchiere sul comodino da notte. Quando un gerarca nazista doveva dimettersi, in alternativa alla Luger con un sol colpo in canna, ricorreva al cianuro. La cultura di Stefan Zweig era immensa, ma la dimestichezza con i veleni, necessaria non foss’altro per porgerne a Lotte, non può che esser stata improvvisata e magari derivata da chi gli è stato intorno negli ultimi tempi. Appare abbastanza verosimile che quello utilizzato sia stato istantaneo ed abbia quindi risparmiato alle vittime spasmi dolorosi e interminabili.

Quanti odiosi criminali nazifascisti son riusciti a scappare in Sud America dopo la disfatta, trovandovi solidarietà, appoggi e persino un discreto benessere?

Tanti, e proprio in contrade lontane o ridenti cittadine, come quella che solo un paio d’anni prima aveva accolto i due illustri esuli. Siccome però un tessuto sociale non è cosa che possa comparire o dissolversi e trasformarsi solo cambiando d’abito o etichetta in qualche mese, è del tutto logico ritenere che gli ambienti filo nazifascisti preesistessero all’arrivo dei coniugi Zweig ed abbiano continuato a prosperare dopo la loro morte e perché no, fino ad oggi. Nell’impetuosa cavalcata verso la vittoria, il Terzo Reich non è mai stato solo e con i suoi più stretti alleati ha goduto di una rete internazionale di solidarietà molto efficiente, accuratamente segreta e dotata di mezzi praticamente illimitati.

Senza quindi volersi necessariamente riferire a un ordine partito dal Führer – circostanza comunque per nulla sorprendente – non è difficile immaginare l’atteggiamento servile di chi da ogni angolo della Terra già vede avanzare il lugubre carro dei vincitori, al punto da offrirgli spontaneamente in acconto la testa del pericoloso avversario ebreo e così carpire benevolenza carica di prestigio, vantaggi e prospettive. E quale perfido sollievo per Hitler, apprendere la morte del nemico giurato proprio e del Nazional Socialismo, del cane ebreo capace di entrare nella mente e nel cuore di milioni di persone con l’audacia disarmante del suo puro intelletto, di colui che con un solo libro avrebbe potuto denunciare l’infame ingiustizia e smascherare l’ignobile propaganda di regime...

In una gelida serata di febbraio, sembra di vederli brindare nella sala ben riscaldata da un enorme camino: compiacenti e compiaciuti, i fedelissimi non perdono l’occasione di attribuirgli anche quel merito scellerato:

Gut gemacht, mein Führer!

Non si tratterebbe dunque di spionaggio internazionale intento a tappare la bocca e spezzare la penna di un uomo libero e influente, né di una spedizione punitiva o dell’infantile ripicca di un pazzo sanguinario. Parrebbe piuttosto un’operazione ordita alla periferia dell’impero, per assicurare un posto in prima fila quando le redini del mondo fossero finalmente in mano nazista e allora poteri immensi e autorità durature, avrebbero potuto estendersi e delegarsi laddove vi fosse qualche provato merito a sollecitarli...

Nell’orrore equivalente non vedo differenze rilevanti e ulteriori ricerche potrebbero essere impossibili quanto ininfluenti. Piuttosto, sarebbe interessante indagare sugli esecutori del disegno criminale, indipendentemente dal fatto ch’essi possano essere anche mandanti.

Intorno alla coppia, si muovono infatti strani personaggi ben rintracciati e descritti dal professor Da Silva nella sua ricostruzione degli ultimi giorni. Prima, ai due coniugi sicuramente spaesati e forse in ansia per qualche minaccia più o meno velata, costoro riescono ad apparire solerti nell’accoglienza e prodighi di assistenza. Dopo però, si comportano in modo ambiguo, troppo sbrigativamente orientato a minimizzare con discrezione fatti e circostanze: un funerale frettoloso, niente autopsia, le tracce visibili tutte concordanti a favore di un mesto suicidio, titoloni sui giornali locali e poi il silenzio più totale, per decenni... e come non ricordare che lo stesso Primo Ministro brasiliano Vargas fosse presente ed abbia impedito le autopsie per non straziare le salme?

Rimangono solo quelle due foto, riportate con trepidante devozione, affinché il lettore si faccia liberamente un opinione.

Undici anni dopo il sacrificio di Stefan Zweig nascevo io in una lussuosa clinica di Milano, e se a qualcuno venisse mai in mente di raccontare che mi sono suicidato, non credetegli.

A conclusione della premessa, voglio chiarire che non intendo smaltare quest’opera di alcuna velleità scientifica in senso stretto. Tutt’altro! Alla mia età, si è andata esaurendo l’ansia di mettere il prossimo alle strette, costringendolo a sorbirsi verità assolute, scientificamente dimostrate e in quanto tali inoppugnabili.

Quanto scrivo è unicamente frutto delle mie personali impressioni e dei miei ricordi elaborati alla luce di eventi successivi, fino a formare convinzioni esclusivamente a mio uso e soddisfacente consumo.

Prima fra tutte e fondante: l’Umanità inciampa da sempre nell’incapacità d’immaginare le conseguenze del proprio agire. Sicché la Storia è un immenso e incessante fluire che trascina eventi, travolge dettagli contradditori e ingombranti come detriti, ma si ricompone nelle profondità dell’infinito e si mescola negli abissi dell’eternità: mirabile sintesi o atavico ricordo di un semplice contrapposto al no, della luce nelle tenebre, del bene sul male.

Che altri possano eventualmente condividere, non è nei miei propositi anche se, indubbiamente, ciò non potrebbe che farmi piacere, soprattutto quando si trattasse di persone entrate, a qualunque titolo, nella mia considerazione. In questo marasma, in questa giungla inestricabile, chi vuole impara presto a sopravvivere: basta distinguere chiaramente tra amici e nemici, cioè tra chi dice il falso - anche una sola volta - e chi non ti mente mai.

L’accusa di presunzione è scontata e frequente quanto quella d’essere un po’ complottista e un po’ visionario: entrambe fondate, almeno fintantoché i complotti rimangano tali e le visioni siano ancora abbastanza lontane dalla realtà contestuale. Comunque, di tali ignominie rispondo solo a me stesso.

CAPITOLO PRIMO:

come si nasce nell’immediato dopoguerra.

Una madre fragile ma entusiasta e un padre ingegnere, brillante e virile, mentre il rock and roll risuonava nella città rinascente del primo dopoguerra, mescolato a irriverenti ballate in lingua meneghina. Per tutti, voglia di vivere e di dimenticare. La guerra più feroce della Storia aveva appena sfiorato le famiglie dei miei genitori e i fili spezzati della borghesia medio alta potevano essere riallacciati, se pur faticosamente.

Mia madre Pat era nata in Inghilterra, fiera di quella sua foto mezzo busto in divisa di sergente dell’esercito di Sua Maestà Britannica. Per quanto caparbiamente indurito dall’orgoglio patriottico, quel ritratto non è mai riuscito a nascondermi la dolcezza di cui è stata capace per tutta la vita.

Essendo la nipote diletta di un magnate svizzero dell’industria tessile, d’estate veniva a trovare il vecchio zio che in suo onore organizzava memorabili feste danzanti in una villa di sogno a Stresa. Mio padre, giovane direttore della produzione in uno degli stabilimenti del gruppo, ebbe l’ardire di corteggiarla. Conoscendolo, penso che l’abbia incantata con la sua immensa cultura e l’inglese spigliato, benché autodidatta. Fatto sta che quattro mesi dopo è partito in treno per Manchester dove è riuscito a sposarla.

Anche questo faceva già parte del nuovo mondo che si apriva, libertà disponibile a tutti coloro che avessero il coraggio di prenderne a piene mani... e di coraggio mio padre ne aveva da vendere. Era stato cauto prima e dopo l’inizio delle ostilità, attento ad evitare i pericoli della retorica politica. Cosciente dell’importanza della vita e della stupidità della guerra, aveva fatto la sua parte come apprezzato collaudatore di velivoli, ma non aveva mai partecipato ad azioni belliche. Anche se dolorosamente in ritardo, gli sono grato per queste scelte che oltre ad assicurare la vita a me ed ai miei quattro fratelli, confortano il mio stesso disgusto per la follia umana che imperversa anche oggi, immersa come allora e forse più, nell’insipiente compiacimento dei luoghi comuni.