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LA GUERRA NEL CUORE









La prima regola di un pensiero corretto e costruttivo: mai prescindere dalla realtà. Per quanto ovvio possa sembrare, il principio viene troppo spesso disatteso, più o meno consapevolmente, e soppiantato da pregiudizi, luoghi comuni, opportunismo ideologico e moralista: per rendersene conto, basta assistere una sola volta, a un qualunque dibattito televisivo. Nel proprio intimo invece, ben al riparo da condizionamenti, nessuno può impedire di esplorare qualsiasi argomento, anche il più scabroso, come la guerra ...

Vengo a sapere che sul GIORNALE del 30 novembre scorso, il professor Marco Gervasoni ha presentato il saggio War: how conflict shaped us, appena pubblicato da Margaret MacMillan. L’illustre storica del Novecento, senza tanti scrupoli e mal di pancia, parla della guerra per quello che è, che è sempre stata e sempre sarà nell’incessante sviluppo delle vicende umane. È meglio lasciare agli studiosi l’onore di affrontare una materia così vasta e complicata, ma restando a livello dell’esperienza di vita comune a chiunque, me compreso, qualche ragionamento in proprio si può fare.

Capita da bambini o già ragazzini, di fare qualcosa di brutto, magari senza conseguenze gravi, ma davvero brutto: chessò, rubare dal borsellino di mamma o falsificare la firma di papà, prendere a sassate lucertoline, mentire spudoratamente o spiare da una serratura ...

Non si sa bene come, ma crescendo si può migliorare e addirittura smettere di fare certe cose, anche se non tutti ci riescono. Strada facendo, ci siamo assolti auto commiserandoci. Oppure, meno comodamente e con maggior profitto, ci siamo inginocchiati in un confessionale. Di sicuro - a parte qualche Pater, Ave e Gloria – non abbiamo fatto granché per rimediare. Neppure un accenno a: “Mamma, papà, vi ho derubato e ingannato, vi prego di perdonarmi ... “. Non sempre, ma spesso, l’amore dei genitori verso i figli è davvero straordinario: tollerano di tutto fingendo di non vedere e non sapere, lasciano che il figliolo vinca il male con la sua volontà e si limitano a generici richiami e vaghe raccomandazioni. Quindi, siamo sopravvissuti alle nostre “marachelle” ed ora, siamo fieri - e sollevati - di non esser diventati delinquenti abituali ed abbiamo imparato ad essere tolleranti, almeno un poco.

Parimenti, abbiamo subito dei torti: scappellotti e minacce alle elementari, dolorose ginocchiate, vergognose esibizioni e sfottò d’ogni tipo, dalle medie fino al liceo. Ma siamo sopravvissuti senza rancori ed ora siamo più tranquilli, sicuri di saperci difendere o comunque, di saper stare lontano dai guai e dalle persone moleste.

Ma non succede sempre così, purtroppo.

Consideriamo il caso, ahimè non raro, di abusi sessuali su un giovane di qualsiasi genere, spesso aggravato da brutalità; oppure, anche di un semplice pugno in faccia, non durante una rissa o un duello, ma per violenza gratuita o a scopo intimidatorio: che succede nel cuore della vittima, ammesso che sopravviva?

Può subire la dolorosa mortificazione, soccombere e vivere da sconfitto, ricorrendo alle cure e ai farmaci dei protocolli psicoterapeutici; può sprofondare nel marasma, facendo del male a sé stesso e ad altri; può anche fare entrambe le cose, contemporaneamente: oppure, reagisce e combatte la sua guerra, inseguendo la vittoria.

Prima di affrontare il nemico con determinazione, la vittima deve riconoscerlo: ciò che ha subito è opera di qualcuno che si è imposto volontariamente come tale, che non vuole bene al prossimo in generale e alla vittima in particolare, non ha fatto nulla per evitarle sofferenze ed anzi, ha goduto nell’infliggerne. Il cuore della vittima è in subbuglio e l’unico pensiero che gli da sollievo, è la prospettiva della vittoria: ha subito un’invasione, un sopruso umiliante e doloroso, lo considera un atto d’aggressione ingiusto e intollerabile. Pertanto, la vittima si dispone a reagire, per ottenere piena soddisfazione a spese del nemico. Non si tratta di vendetta, che è il gradino più basso della civiltà umana, ma di riconquistare libertà e dignità, così violentemente sottratte.

In astratto, è certamente opportuno arrivarci per via giudiziaria e perciò, sarebbe davvero importante che la giurisdizione fosse efficace e sempre attenta alle istanze delle vittime, più che alla protezione dei carnefici. In concreto, la guerra divampa nel cuore della vittima, finché non ottiene pienamente giustizia e riparazione, ma la devastazione si ferma lì. Le guerre tra gruppi, popoli o nazioni invece, dilagano nella Storia e nella società, e poco o nulla possono fare le osannate istituzioni internazionali, prive come sono di autorevolezza condivisa.

Dunque, la guerra esiste nel cuore degli uomini, prima ancora di manifestarsi dappertutto anche al di fuori. È terribile e bisogna sempre cercare di prevenirla, ma non si può evitare. E con buona pace dei pacifisti buoni di professione, non la si può neppure nascondere perché sgradita e dannosa, come si fa con la morte, ignorata finché non ci si sbatte il naso.

Un esempio limpido, per capirci: a Reggio Emilia esiste una via parallela a via Gorizia e intitolata a Tito, il papà delle foibe. In quella stessa città è stata negata la dedica di una via a Norma Crosetto, la giovane simbolo delle atrocità subite dagli italiani per mano dei partigiani: ecco la guerra, ancora viva e feroce sotto una maleodorante coltre di omertà e bugie.