Sporcizia e lamiera sono le caratteristiche delle baraccopoli, nel fango e nello sporco crescono i bambini e vivono le madri e i padri che rimangono.

Ma in mezzo allo sporco si hanno 2 regole principali: il saluto con il sorriso ed entrare a piedi nudi in casa, delicatamente.

È allora li che mi guardo dentro e mi rendo conto che anche nel mio Occidente ci sono le stesse lamiere e lo stesso fango, quelle mi compongono e che stanno dentro di me, e in alcune case di lamiera del mio cuore ho bisogno di entrarci, togliendomi le scarpe.

Poi mi alzo, mi guardo allo specchio e mi chiedo: chi è ora lo straniero?

Mattia Pezzi, Bangkok (Thailandia), 27/07/2019

Entrare nella casa di qualcuno è sempre particolarmente toccante, soprattutto quando per "casa" si intende qualche lamiera accatastata e una porta scardinata. Ma qui in Thailandia le porte sono sempre aperte. Le baraccopoli sono un'unica grande realtà, con i suoi profumi, odori, problemi, sorrisi.

Le persone riescono ad accogliere dieci ragazzi in una stanza di tre metri quadri e, soprattutto, riescono a farla sembrare un salone di lusso. È la magia di chi vuole bene.

Matilde R. - Bangkok (Thailandia), 29/07/2019

Ci viene detto di aprirci, "effatà", di parlare e di ascoltare gli altri, perché spesso dimentichiamo l'importanza della parola.

Tante volte ad esempio vorremmo dire cose che non riusciamo ad esprimere.

Qui in Thailandia sono tante le parole che mi mancano e sono quelle che vorrei usare per descrivere le mie sensazioni e i miei pensieri riguardo a tutto ciò che sto trovando.

Negli slums infatti vedi tutto, come una donna buddista che piange e prega di ricevere una visita da Dio, o come dei bambini che si divertono giocando con la plastica; senti tutto, ma allo stesso tempo non sai come esprimere la "perla preziosa" che ti si presenta davanti in maniera così genuina.

Le immagini infatti rimangono nitide e immobili nella mente, ma i pensieri sono sfuggenti e confusi.

Si tratta per me di una bellezza complessa, di un aprirsi senza, però, trovare parole.

Chiara Serena, Bangkok (Thailandia), 30/07/2019

Lui ha 45 anni.. la sua “casa” se ne sta lì, a circa 200 metri dal bivio riconoscibile dall’ammasso di immondizia e dall’odore che ti penetra le narici.

La madre ci fa entrare ma forse non si considera all’altezza di poter dialogare/ gesticolare con noi.. guarda in basso.

Molte donne anziane nelle baraccopoli si comportano in questo modo. Perché schivate il nostro sguardo? Per favore donateci la vostra ricchezza, se siamo qui è perché ne abbiamo veramente bisogno.

Ci avviciniamo a lui e il legno sotto ai nostri piedi mostra qualche segno di cedimento ma riesce comunque a condurci vicino al suo “letto” (5 metri quadrati di casa), la madre è sempre lì, in silenzio, custodisce le sue sensazioni.

Nat, seminarista thailandese di 21 anni, ci presenta la sua situazione. Come dicevo “Thu” ha 45 anni, è l’unico superstite di sei fratelli e una malattia cerebrale lo costringe coricato in terra, dentro un pannolone permettendogli solo di cambiare posizione da supino al fianco. Riesce a parlare e dimostra di essere brillante: non avendo libri da consultare chiede di essere interrogato in inglese in modo da non dimenticarlo. Chissà dove lo ha imparato, chissà in che occasioni potrà ancora utilizzarlo...

Finita la visita ritorniamo all’ umidità dell’aria aperta, mentre lui se ne starà lì immobile probabilmente fino alla fine della sua storia.

È grande il mistero che abita nella sofferenza di alcune di queste persone e dell’umanità. Ogni giorno qui rinnovo la mia volontà di voler camminare con coloro a cui la vita sembra non concedere più possibilità di riscatto.

Apriamo i nostri cuori e restiamo umani. Sempre.

Gabriele, Bangkok, (Thailandia) 31/07/2019

So chi non sono, so cosa non voglio, ma sento di essere solo all'inizio.

Lo sapevo anche prima di partire e questa esperienza non ha fatto che confermare la mia volontà di lavorare a stretto contatto con le persone, non so dove, non so con chi, ma so che voglio fare del mio tempo qualcosa di utile, spendermi in prima persona per quello in cui credo.

I sorrisi delle persone qui mi chiamano, i loro occhi sono narratori e anche se per poco mi sento onorata di poterli anche solo osservare, incontrarli nonostante la difficoltà di sapere che certe sofferenze non svaniranno.

Nel giocare con i bambini avverto chiaramente che noi uomini in fondo siamo tutti uguali e abbiamo le stesse necessità: amore e appartenenza.

Se non cambi è perché hai smesso di incontrare.

Letizia, Mae Sot, (Thailandia) , 06/08/2019

So chi non sono, so cosa non voglio, ma sento di essere solo all'inizio.

Lo sapevo anche prima di partire e questa esperienza non ha fatto che confermare la mia volontà di lavorare a stretto contatto con le persone, non so dove, non so con chi, ma so che voglio fare del mio tempo qualcosa di utile, spendermi in prima persona per quello in cui credo.

I sorrisi delle persone qui mi chiamano, i loro occhi sono narratori e anche se per poco mi sento onorata di poterli anche solo osservare, incontrarli nonostante la difficoltà di sapere che certe sofferenze non svaniranno.

Nel giocare con i bambini avverto chiaramente che noi uomini in fondo siamo tutti uguali e abbiamo le stesse necessità: amore e appartenenza.

Se non cambi è perché hai smesso di incontrare.

Letizia, Mae Sot (Thailandia) , 06/08/2019

Il profumo della Thailandia, quello che ti penetra nelle ossa, insieme ai suoi sapori, agli odori e ai rumori che ti chiamano lungo le strade e i vicoli stretti delle città,

quel profumo che piano piano, giorno dopo giorno, ti entra dentro e inizia a scorrerti nella vene fino ad arrivare dritto al cuore e non lasciarti più, fino a diventare tua essenza e parte incancellabile della tua persona.

È proprio quel profumo che mi porterò dentro dopo questo viaggio, quello che nessuna doccia può lavare via, e che da qui in avanti conserverò come qualcosa di raro, di magico e di sacro quando farò ritorno al mio paese, alla mia famiglia e alla mia vita di agi e di comodità.

Questa esperienza è stata vita vera, è stata linfa vitale, una scossa di adrenalina che risveglia dal torpore e dalla sonnolenza, un grido che chiama e ti cattura.

È stato trovare il cielo dentro di me e la felicità nelle piccole cose: nel riscoprirsi bambini, nel ricredersi;

in una doccia calda dopo un’intera giornata di pioggia che ormai ha permeato dentro le tue ossa; in un piatto caldo e in un rifugio offerto dopo un lungo stancante viaggio;

nel sorriso dei bambini che ti accolgono calorosi e sembrano non aver mai visto niente di più bello e di più confortante di te che vai loro incontro;

nell'accoglienza ospitale e generosa di una madre che nonostante abbia perso tutto e viva insieme a suo figlio paralizzato in una baracca di 5 metri quadrati,si alza per fare sedere te ospite e per portarti un bicchiere di acqua fresca;

nell'unione, nel sostegno reciproco nelle avversità e nelle difficoltà del cammino che è la vita; nell'amicizia e nella fratellanza;

nella consapevolezza di quanto sia vasto e sovrastante questo mondo;

nella gioia di vita, pura gratuita e incondizionata;

nella gratitudine e nella fede nell'umanità e nella solidarietà.

Profumo di Thailandia, di mondo e di casa.

Profumo di me.

Matilde Rossi Chiang Mai (Thailandia) 10/08/2019

Scrivo incredula questa ultima pagina di viaggio a Bangkok. Mi sembra di essere in Thailandia da chissà quanto tempo eppure sento che è troppo presto per tornare, qui tutto scorre diversamente e cambia la percezione del mondo. Il volo di ritorno si è avvicinato all'improvviso ormai inevitabilmente pur sapendo che doveva accadere prima o poi.

Si sapeva fin dall'inizio che sarebbe arrivato questo momento in quanto tappa finale del viaggio, che è parte integrante di esso, ma ora assume un sapore decisamente più amaro del previsto. Il ritornare adesso lo percepisco come un impegno pesante da assolvere, come se dovessi togliermi un dente per non pensarci più, forte dell’armatura che questa esperienza mi ha donato. Sarà come immergersi di nuovo in una realtà a cui sono sempre appartenuta ma che ora sento più distante. Porterò a casa con me un bagaglio pieno di emozioni diverse da quelle con cui ero partita, di cui la maggior parte neanche immaginate. Sono più le domande che le risposte perché in Thailandia perfino ciò che reputavi certo perde la sua validità ma non in senso negativo, anzi il contrario: assaggi una libertà nuova che ti mette alla prova per la sua immensità tanto da temere che i tuoi abiti italiani prima tanto comodi ora inizino a starti stretti. E questo mi destabilizza, all'improvviso capita di non riconoscermi più rispetto a come pensavo di essere, partendo dalle piccole cose. Si sente un cambiamento, a volte lento e graduale di cui ti accorgi per caso mentre alle volte invece lo senti molto forte e provocante anche se non sai bene nemmeno tu in che modo avviene.

Forse questa diversità me la confermerà chi mi rincontrerà in Italia, chi lo sa. Ma so a malincuore che non tutti potranno capire, probabilmente nessuno comprenderà perché se non l’hai vissuto, non puoi percepirlo davvero. E nemmeno se lo vivi riesci ad arrivarci fino in fondo: magari tra un po’ di tempo perfino io stessa mi accorgerò di cose che non noto ora. Questa rielaborazione probabilmente non finirà mai del tutto. È sorprendente come aspetti di questa terra tanto schivati all'inizio ti conquistino senza neppure accorgertene, ho capito che davvero ogni barriera può cadere soltanto se smetti di giudicare sulle tue logiche ed inizi ad ascoltare con il cuore ciò che ti circonda. Sono consapevole che mi mancheranno anche quegli aspetti pesanti che in momenti di crisi detestavo ma che ora hanno un loro perché sotto luci diverse, bastava semplicemente osservare con criteri diversi uscendo da se stessi. Sembra facile a dirsi ma incredibilmente difficile a farsi.

Sento che tornare a casa è quasi dannoso e allo stesso tempo è un bisogno. Lo definirei una sorta di Sindrome di Stoccolma essendo un luogo familiare che conosco e in cui so come muovermi ma che ridefinisco sbagliato adesso sotto più aspetti di cui prima di partire non mi ero mai neanche accorta. Non per menefreghismo ma semplicemente perché non li vedevo pur avendoli accanto. Credo di non appartenere più completamente all'Italia ma nemmeno abbastanza alla Thailandia. Di sicuro una parte di me rimarrà qui ma soprattutto prego che una parte di Thailandia mi segua nel mio cammino di vita. È pericoloso abbandonare le proprie convinzioni date per sicure ma è vitale e irrimandabile, non si può silenziare per sempre quella voce di verità presente in ognuno di noi, bisogna seguirla ma soprattutto va prima riconosciuta tra il caos dei nostri pensieri.

Vivo nel terrore all’idea di dimenticare questi giorni, sommersa dalle logiche utilitaristiche del mondo che come una camera a gas uccide la speranza di un cambiamento necessario e possibile da parte di ogni persona.

Non è utopia, è un processo lungo e mai terminato ma va iniziato e fatto crescere partendo dal proprio piccolo. Lascio le porte aperte senza l’esigenza di darmi subito le risposte che cerco perché arriveranno da sole al momento giusto, gli interrogativi che volevo risolvere al contrario si sono moltiplicati ma non mi spaventano:

È solo una questione di prospettive, come imparare a guardare ciò che hai sempre avuto sotto il naso con occhiali diversi.

Questa è stata la “prima Thailandia” ma sento che ogni luogo può diventare una nuova Thailandia e sarà mio impegno far crescere ciò che è iniziato qui partendo da casa e magari in chissà quali altri luoghi di questo meraviglioso mondo.

Rita, Bangkok (Thailandia), 12/08/2019