11 marzo 2018 - omelia S. Messa trigesimo

Prima lettura 2Cr 36,14-16.19-23 Salmo responsoriale Sal 136 Seconda lettura Ef 2,4-10 Vangelo Gv 3,14-21

Omelia

La lunga e controversa storia di amore tra Dio e il suo popolo è segnata da dolorose e umilianti infedeltà. Anche i sacerdoti assieme al popolo, ricorda la prima lettura, si sono ripetutamente contaminati, imitando in tutto gli abomini degli altri popoli, profanando la città e il tempio del Signore. (cfr. 2Cr 36,14) Lo scenario desolante di vuoto, di morte, di tradimento di Dio e dell’uomo non è tuttavia l’ultima parola sulla storia e sulle vicende umane: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo” (Ef 2,4). Ed è per grazia che siamo salvati mediante la fede.

La fedeltà tradita è così rigenerata nella fede in Gesù che ci salva dal vuoto del peccato e della morte per ripresentarci al Padre nella sua stessa obbedienza e santità. La fede, dunque, è la grazia più grande che possiamo ricevere perché ci ridona fiducia in Dio e fedeltà al Suo amore. Ci dona, cioè, di vivere nella certezza che l’amore di Dio è più grande di ogni nostra debolezza.

San Paolo spiega con efficace chiarezza che “Quando infatti eravate sotto la schiavitù del peccato, eravate liberi nei riguardi della giustizia. Ma quale frutto raccoglievate allora da cose di cui ora vi vergognate? Infatti il loro destino è la morte. Ora invece, liberati dal peccato e fatti servi di Dio, voi raccogliete il frutto che vi porta alla santificazione e come destino avete la vita eterna. Perché il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù nostro Signore.” (Rm 6,20-23)

La morte rappresenta la rottura di ogni relazione. Ci pone con dolore di fronte ad un corpo freddo ed indifferente alle persone, alle loro lacrime e a tutto ciò che si svolge attorno a lui, ma soprattutto chi la sperimenta è affacciato sull’abisso del nulla eterno. Allora la terra diventa straniera, secondo le parole del salmo: “Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». Come cantare i canti del Signore in terra straniera?” (sal 136) Anche il ricordo di Gerusalemme diventa perciò per noi motivo di solitudine e disperazione.

Quando il nostro cuore può testimoniare che Gesù è il vincitore del peccato e della morte, tutta la vita rifiorisce per il tempo e per sempre. Nella fede tutto è salvato, ogni persona e cosa presente, passata e futura è nella luce. “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.” (Gv 3,15)

La fede in Gesù assicura chiunque crede che Dio ci ha amato tanto e, nel suo amore, vuole che nessun credente in lui vada perduto. Quanto è consolante la fede, quanto è potente! Essa ci presenta al giudizio di Dio non in virtù delle nostre buone opere, ma della fede. Non c’è nessuna persona intelligente che possa presentarsi al cospetto di Dio e degli uomini senza qualche timore. Ma il Vangelo ci assicura che “Il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. … chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio” (Gv 3,19.21)

La fede ci porta dunque ad accogliere la luce che è Gesù, venuto nel mondo, e a vivere andando verso di lui nella sua luce.

Vogliamo perciò ricordare con intima gratitudine la mamma che il Vescovo Massimo ha descritto proprio con queste stesse parole nel giorno delle esequie: “Vittoria è stata una donna luminosa. Luminosa, perché ha saputo accogliere la luce e trasmetterla. La luce è il Signore. L’ha accolta in tutte le dimensioni della sua personalità: intellettuale, affettiva, morale; l’ha accolta come luce di gioia, come luce di iniziativa, e poi l’ha trasmessa. Vi era in lei quasi una trasmissione naturale di questa luce. E tutti un po’ ne siamo rimasti, chi per un verso e chi per un altro, riscaldati, guidati e anche affascinati. Ringraziamo allora il Signore per l’unica ragione per cui possiamo anche ringraziare un uomo o una donna: di essere trasparenti dei doni di Dio.”

Proprio così: queste parole affettuose ed ispirate trovano nella liturgia di oggi una conferma importante. E non è possibile per noi parlare della mamma senza appoggiarci con sicurezza alla Parola di Dio nella Scrittura e nella Chiesa. possiamo perciò affermare che ha vissuto nella fede che salva dalla morte e da tutte le tristezze. Non c’è speranza più grande di questa che possiamo condividere.

L’Eucaristia diventa allora la più bella risposta alla sua vita. Indubbiamente l’intima sofferenza per la sua partenza è profonda e non possiamo sfuggirle. Sappiamo che il tempo non è sufficiente per guarire la sua tagliente ferita. Le lacrime abbondanti, tuttavia, sono il segno di un amore sincero che scava un’attesa di compimento. Ma più grande di questa evidenza è il ringraziamento al Signore per avercela donata. E a Maria per il modo tanto gentile e rispettoso con cui l’ha presa con se.

È questo il sentimento che domina il nostro cuore in questi giorni, nella riconoscenza condivisa con tanti amici e nella sensibile unità della nostra famiglia con il papà, i fratelli, i nipoti e con tutta la famiglia allargata che siete voi. In questo modo sentiamo di poter corrispondere al suo cuore allegro e attento a tutti e a tutto, desideroso di vita, di pace e di unità. Sono proprio queste le ultime parole con cui ha concluso la sua giornata terrena: “L’importante è volersi sempre bene”.

Con tale espressione, consegnata agli amici di comunità, ha voluto esprimere il suo testamento spirituale, nella consapevolezza di quanto è preziosa la grazia della comunione. Non v’è dubbio che queste parole, così vicine a quelle del testamento spirituale di don Pietro, siano espressione di ciò che la mamma ha desiderato e approfondito fino all’ultimo istante. E che ci lascia in eredità impegnativa, come il bene più grande ricevuto e offerto, da coltivare con la grazia di Dio.

La provvidenza, che sempre ci stupisce, ci ha riservato poi un dono speciale: proprio nel giorno in cui la mamma ci ha salutato, il papa ha voluto che tutti possiamo celebrare ogni anno la memoria della Beata Vergine Maria Madre della Chiesa perché non possiamo dimenticare “alla luce della riflessione sul mistero di Cristo e sulla sua propria natura, … quella figura di Donna (cf. Gal 4, 4), la Vergine Maria, che è Madre di Cristo e insieme Madre della Chiesa.”

Il ricordo della mamma si coniuga per noi con quello della Madonna in modo indissolubile. Ogni volta che pensiamo a lei possiamo meglio comprendere ed accogliere il dono che Gesù ha fatto alla Chiesa, a noi, della sua mamma.

Alla Beata Vergine qui ricordata per le sue apparizioni a Lourdes, affidiamo perciò le pene e le gioie che sono nel nostro cuore come la mamma faceva ogni giorno nel Rosario, spesso recitato proprio davanti all’immagine della grotta di Massabielle, perché ciascuno possa vivere nella luce nella quale ci tutti conosceremo e ci incontreremo.