Elena Girardello interpreta "Umana Avventura", un racconto di fatti realmente accaduti a Sergio Marino. Questa lettura è stata tratta durante l'esposizione di alcune sue nuove opere presso il Museo del Cenedese a Vittorio Veneto nel Settembre 2012, intitolata appunto "Umana Avventura".
14 Settembre 2012
Museo del Cenedese Serravalle di Vittorio Veneto
L'opera di Sergio Marino è molto eterogenea. Non si basa sull'asservimento a modelli già esistenti, per quanto a lui noti, ma sullo studio attento della realtà.
Oltre all'interesse realistico per i particolari, molti quadri di Marino fanno riferimento, in forma simbolica, agli aspetti contraddittori e complementari dell'esistenza: in essi, infatti, l'amore e la morte, la gioia e il dolore. la magia e la realtà si compenetrano, fondendosi.
Elemento fondante dell'ispirazione di Marino resta, ad ogni modo, l'Amore, che spesso viene rappresentato da una sorgente luminosa, che irrora ogni cosa con la sua luce, abbagliando con i suoi raggi infuocati la realtà. L'amore è qui inteso con la "A" maiuscola, come anelito verso l'infinito o come motore propulsore di ogni evento e linfa di ogni creatura vivente
Vi sono stati, nella vita dell'autore, alcuni episodi che ancora oggi influenzano notevolmente le sue rappresentazioni pittoriche. Primo fra questi è stata un'esperienza singolare da lui vissuta un giorno, mentre s'inoltrava fra i sentieri impervi di un bosco in Slovenia, la cui natura selvaggia, cara al pittore, spesso ne ha ispirato l'opera.
Alzando gli occhi, ai piedi di una radura, improvvisamente gli parve di scorgere una figura. Immaginazione? Realtà? Avvicinandosi maggiormente, l'artista si accorse che si trattava delle spoglie mortali di un ex-combattente della prima guerra mondiale.
"Era seduto con le gambe penzoloni e c'era un foro sull'elmo di ferro arrugginito", egli racconta. Da qui nasce una comunicazione struggente e intima fra i due: nelle sue memorie, Marino descrive gli oggetti usati dal soldato prima della sua morte: una scatola di sigari, una busta di latta nera con una stretta apertura, dentro la quale erano contenure tre lettere: una dedicata all'indimenticabile mamma, la seconda alla sua dolce fidanzata e la terza alla Madonna adorata.
Il pittore strinse la mano al soldato, e sembrò quasi che in quel momento epifanico, in quell'estremo atto d'amore, i confini fra la vita e la morte per un attimo si fossero dissolti.
Un altro evento che ha contribuito a rafforzare nell'artista l'amore per la natura, è stato, senza dubbio, un safari a cui partecipò, nel cuore del Kenya, alcuni anni fa. Durante tale viaggio il pittore rimase estasiato dagli scenari spettacolari e dalla ricca fauna: gli gnu, gli elefanti, i leoni, veri abitatori della foresta e della savana africana.
"Questa terra, miracolo della creazione" come si legge nei suo diario "è talmente bella da disorientarmi; i colori sono così vividi ed intensi che mi abbacinano....Mi sembra di vedere Dio! Come si può raffigurare la perfezione?" si chiedeva, mentre guardava attonito la tela, destinata a rimanere vuota.
Ma quando conobbe alcuni cacciatori di frodo, si rese conto dell'efferata violenza con cui, per avidità, gli animali venivano uccisi e scorticati. Spesso vedeva zebre e ghepardi ancora sanguinanti, venir scuoiati con crudeltà, per ricavarne le pelli, ed una spessa coltre di nubi cominciò ad inondare i suoi pensieri.
Marino ha paragonato, nei suoi scritti, il comportamento dei cacciatori europei da lui osservati con l'atteggiamento, descritto da Hemingway nel suo libro "Verdi colline d'Africa", di un vecchio assistente nero nel corso di una battuta. Mentre i bianchi "si avventavano sulla preda con ferocia". il secondo "si mimetizzava con gli animali, per comprenderne le mosse".
Pertanto, dopo tre mesi di permanenza in Africa, Marino decide di andarsene: l'idillio, un tempo esistente fra gli animali e il loro habitat, si era definitivamente spezzato; l'Africa rimaneva irrappresentabile: " I miei quadri non riflettono la luce brillante del sole, le immagini non possiedono contorni ben definiti ", annotava nei suoi appunti.
AI suo ritorno, anche se quella terra incantata restava nella sua memoria, la sua mente era ancora pervasa dalle scene cruente cui aveva assistito. Ma un giorno, dopo aver scovato una carta nautica del Mar Adriatico, all'interno della biblioteca Marciana di Venezia, si convinse che la potenza del mare avrebbe potuto dileguare le sue pene.
In effetti, s'imbarcò per la costa dalmata fino a giungere in una deliziosa isoletta deserta, "piena di ulivi, alberi di fico, circondata dal profumo di lavanda e finocchio selvatico".
Inizialmente fu davvero entusiasmante: il pittore si sentiva finalmente libero di cantare e di correre. Come Robinson, installò la sua tenda, costruì un'amaca e si cibava di tutto il pesce che riusciva a pescare con il suo "parangal".
Con il discendere la sera, il peso della solitudine lo assaliva; tuttavia non si fece sopraffare dalla disperazione perché una forza, coinvolgente e calorosa lo cullò e lo spronò a non cedere, a continuare a creare, per tre mesi. Quella forza era la NATURA, che l'artista aveva già scoperto dentro di sé e la cui energia si spandeva ovunque.
A poco a poco, la sua mente si stava acquietando: il conflitto esistente fra le idee e i suoi sensi si stava per gradi attenuando. Le immagini, esattamente come la sua anima, avevano ripreso ad impregnare, con vigore e coraggio, la sua tela di tinte calde e fredde, luci ed ombre, ridando vita e luminosità ai colori.
Si tratta soltanto di tre fra le tante umane avventure che Sergio Marino potrebbe raccontare. Avventure discordi, che si alternano ai tanti interessi silenziosamente coltivati dall'autore: l'ottica e la scrittura, la micologia, la pesca e la cucina. E inevitabilmente, la pittura. Discipline diverse, diverse suggestioni, tutte determinate da un medesimo sentire la vita come un meraviglioso e non risolvibile enigma.