Sergio Marino
Il faro di Mengore
Menzione di merito "Cento anni dall'inizio della Grande Guerra"
Menzione di merito "Cento anni dall'inizio della Grande Guerra"
Sergio Marino
Menzione di merito "Cento anni dall'inizio della Grande Guerra"
Chi vuole oggi la pace? Probabilmente nessun essere umano ne ha mai individuato i principi fondanti o l’ha davvero ricercata. Eppure, la formula di struttura ideata da Einstein, ha prodotto le devastanti distruzioni d’Hiroshima e Nagasaki.
Tuttavia, esiste, nella Valle dell’Eden, in Tanzania, un fenomeno, quello della TRANSUMANZA, dove i confini della pacifica convivenza non sono stati violati: qui, grazie ad un sorprendente spostamento di massa, la perfezione divina, perpetuandosi anno dopo anno, potentemente si manifesta. Dalla sommità del Ngorongoro, cratere situato nella pianura di Serengeti, (2200 m. circa) si possono ammirare animali di specie diverse avviarsi, in fila indiana, come in una processione, alla ricerca d’acqua o di terreni fertili; è davvero sorprendente vedere i leoni tenere fra le loro fauci la coda delle gazzelle o dei gerenuk, l’elefantino legarsi con la proboscide al codino della madre o il facocero alla iena.
Come fa l’umanità a non vedere o a non capire un tale evento? La natura potrebbe insegnarci a vivere in pace. Ma oggi si assiste ad un capovolgimento di tali valori perché a causa dell’uso di combustibili ad alto potere energetico, che si diffondono nell’atmosfera, il nostro habitat si sta gradatamente distruggendo. Fra breve, anche l’uomo potrebbe fare la stessa fine! Potremmo mai tornare indietro? Di questo passo, se non verranno trovate forme di energia alternativa per salvare l’ecosistema, potrebbe verificarsi un disastro globale.
Dopo tali esempi, vorrei introdurre la tematica della guerra. A tale proposito, ritengo doveroso ricordare il sacrificio di tanti giovani soldati, morti per la libertà. Mi auguro che il ricordo delle loro imprese eroiche non venga dissolto dalla polvere o dal vento del deserto.
Lawrence d’Arabia, nel suo libro, “I sette pilastri della saggezza”, affondando i piedi nella sabbia, affermava: “Ogni granello, o fiocco di neve si differenzia l’uno
dall’altro”. Pur essendo inglese, non riusciva a condividere gli stratagemmi e le tattiche del comando militare britannico. Nel libro che lo ha reso famoso, egli pronuncia queste parole: “Un leader che vede le due facce delle cose non può comandare o quantomeno non può farlo in buona fede”. A suo parere, per risolvere i contrasti fra i popoli, erano necessari il dialogo ed un’efficiente diplomazia. Si sarebbe senz’altro opposto all’utilizzo d’armi strategiche di distruzione di massa e a qualsiasi interesse trasversale di tipo politico finalizzato a fini economici. Egli riteneva che la rappacificazione globale non si potesse attuare tramite i conflitti armati e il riammodernamento bellico. Purtroppo questa strategia è parte integrante dell’attuale politica espansionistica americana, che, col pretesto di voler ‘esportare la democrazia’, sta creando un vero e proprio falso ideologico.
Prima di addentrarmi nel mio racconto, desidererei fare un piccolo accenno alla 1^ Guerra Mondiale, e, in modo particolare, alla cruenta disfatta di Caporetto. Solo coloro che hanno vissuto l’esperienza traumatica della trincea, possono davvero comprendere cosa significhi perdere un caro amico, stretto fino all’ultimo con una bottiglia di Stock 84 in mano, fra quei sacchi di sabbia , divenuti poi tumolo delle sue stesse spoglie”.
I burocrati non potranno mai comprendere i sacrifici e gli stenti a cui molti alpini furono sottoposti, con ai piedi un paio di vecchi scarponi, numero 43 l’uno e 40 l’altro, fasciati con pezzi di stoffa sgualciti e col dito mignolo e medio raggelati dal freddo siderale del ghiaccio e della neve. E tutto questo per lunghe ore, interi giorni o addirittura mesi .
Sono un ricercatore di residuati bellici: più di una volta mi sono addentrato, munito del mio ‘metal detector’ in quel tratto dell’alto Isonzo che dal Monte Rombon scende nella conca di Plezzo fino a Mengore, per poi risalire alle pendici del Monte Nero abbassandosi infine verso Tolmino.
E’ qui che io, con il mio carissimo amico sloveno Igor, per molto tempo, ci siamo addentrati nella folta boscaglia, trovando una gran quantità di oggetti arrugginiti: fibbie, stemmi, pallottole, baionette, croci di guerra e chiodi corrosi dal tempo.
Un giorno, mentre ci arrampicavamo verso la Sella di Mengore, ( circa 590 metri), il beep del nostro strumento variava a seconda delle dimensioni e profondità dei metalli. La collina ci appariva come un formicaio, brulicante di gallerie. La sua conformazione era simile ad un labirinto, con i punti di partenza e d’arrivo intersecati da un fitto andirivieni di camminamenti ed indicazioni incise a mano. Al tempo del primo conflitto mondiale, la sua forza strategica era portentosa come quella del periscopio di un sommergibile: in effetti, proprio in quel sito, esistevano luoghi di appostamento per contingenti speciali. E all’interno delle caverne, un minaccioso allestimento di mitragliatrici e mortai era pronto per la difesa.
Mengore era stata trasformata, dai lavori di fortificazione, in una collina imprendibile. Tale luogo è passato alla storia per la sua stazione fotoelettrica, consistente in un riflettore dall’enorme diametro (Scheinwerfer cm. 60), poggiante su di uno spesso basamento, che di giorno restava riparato mentre nottetempo veniva innalzato per illuminare la piana sottostante o per disturbare gli osservatori d’artiglieria italiani appostati sui rilievi vicini.
Tale faro era denominato “Sputafuoco” perché con i raggi infrarossi accecava i nemici fuoriuscenti dalle trincee. Lungo il dorsale della montagna, è ancora oggi possibile visitare la casa dei ciclisti, un tempo destinata al ricovero dei rincalzi.
Giunti in cima, ammirammo il paesaggio. A un tratto le mie pupille si bloccarono in forma atropinica e all’improvviso ebbi una raggelante visione: il cielo s’illuminò di luci abbaglianti, contornandosi di bagliori rossastri e mi sembrò quasi di rivivere quei momenti fatidici quando i fuochi delle bombe incendiarie esplodevano tra le grida di rabbia e coraggio dei combattenti, le trombe intonavano inni, e il terreno veniva sollevato dalle cannonate delle bombarde. Mi pareva di rivedere i barellieri, simili a formiche, che saltavano da un luogo all’altro o si distendevano a terra in cerca dei feriti.
Nel blu del firmamento non vidi più le stelle. La notte divenne giorno e tutto sembrava una grande festa In un’assordante ed unica fantasmagorica sinfonia.
Per ore ed ore risentii il richiamo degli Austroungarici e dei Tedeschi che incitavano gli Italiani alla resa. A tal fine, veniva continuamente ripetuto dagli altoparlanti il seguente messaggio:
“Cari amici Italiani, venite con noi,
Vi daremo da mangiare e da bere,
dolci, vino, cioccolato, latte, pane,
sigari e tante donne prosperose e
sorridenti in regalo”.
La lotta però imperversava e l’esercito italiano era paragonabile alla bolgia dei dannati, cotta al vapore e bruciata alla brace: i lanciafiamme polverizzavano i soldati mentre le bombe li riducevano a brandelli.
Poi ripensai a tutti i militari che persero la loro vita, che importa quale fosse la loro provenienza, se venissero da Hermagor (Austria) o da Oderzo (Italia); ancora bagno questo foglio da una lacrima se rifletto sulla dinamica pazzesca della guerra, sui milioni di ragazzi, mossi come pedine all’interno di una scacchiera da generali cinici, ambiziosi e pazzi.
Sto male nell’immaginare la superficialità con cui certe azioni di guerra o avanzamenti di grado vengono ancor oggi decisi, nei circoli ufficiali, durante le partite a ramino giocate dalle eleganti e divertite consorti di alti ufficiali del corpo d’armata.
Il soldato delle trincee, pur sapendo di dover morire, scriveva lettere d’amore. I destinatari erano sempre tre: l’indimenticabile mamma, la donna amata e la Madonna. Egli teneva sempre al collo una medaglietta della Vergine e nei momenti più difficili, La invocava con immenso amore mistico, supplicandoLa così: “Ti prego, fammi tornare a casa!”.
Ridestandomi dal mio torpore, dopo essermi accomiatato da Igor, mi avviai verso Modreice per riordinare i miei ritrovamenti . C’era una strana tranquillità, e anche la mia tensione si stava dipanando: dopo tutti quei tristi ricordi, avevo bisogno di distendermi per eliminare l’angoscia.
Un giorno stavo incamminandomi in un bosco silenzioso e molto selvaggio in un ambiente da tregenda dell’imprevedibile Slovenia, (dove Dante s’ispirò per il suo “Inferno”). Improvvisamente intravidi, tra i fitti arbusti, muretti nascosti fra rami spinosi: imbrigliato tra liane e radici di alberi moribondi, mi muovevo aiutandomi con le braccia, temendo di rompere anche il delicato strumento che mi portavo appresso.
Le verdi foglie delle betulle tremavano al primo fruscio di vento. Anche i faggi erano stupendi e i riflessi luminosi, entrando in quella raffigurazione come spilli d’acciaio, creavano un meraviglioso contrasto chiaroscurale.
Guardai verso l’alto e mentre il sudore mi grondava dalla fronte, notai stupito una luce abbagliante. Mi avvicinai maggiormente e…… Nell’intrico di quella vegetazione scorsi un soldato….o meglio…il suo SCHELETRO……seduto con le gambe a penzoloni su di una roccia.
Sembrava stesse riposando, con la testa (il cranio) leggermente inclinata e con le orbite facciali rivolte all’infinito.
Controllai la sua lastrina di riconoscimento ma non capii la reale provenienza di quel giovane: “ E’ bosniaco, italiano, austriaco o tedesco?” pensai fra me e me.
Accanto ai suoi resti, vi erano una scatola di sardine, semiaperta a riccio, un barattolo chiuso con dei sigari, una baionetta arrugginita, un elmetto con un foro e fra le dita, una busta lucida di latta. Il riflesso di quel sottile strato di lamiera mi riportò subito alla mente il faro di Mengore. Al suo interno, trovai una lettera in italiano. Eccone il contenuto:
“ Io sogno e mi sembra di essere già morto! Mah!
Quante volte dovrò morire per essere felice!”
Con affetto gli strinsi la mano, e aggiunsi: “Amico mio, non credere di farmi paura!”.
In quell’istante, il sole, che penetrò con prepotenza ma anche con tanto rispetto, si diffuse vivamente sui nostri due corpi, uno vivo e l’altro morto. L’immagine di quell’ ex-combattente penetrò, come un dono nella mia anima, avvolto nell’involucro di un baco da seta. Infine, un’altra luce azzurrognola s’infiltrò, rendendoci uniti e fusi nell’amore.
Quindi, preparai una croce e lo seppellii. Feci una piccola buca rettangolare deponendone le fragili ossa. Con un lembo della mia camicia, preparai un cuscino per il suo capo.
Recitai una preghiera e gli chiesi: “Come ti chiami? Beh…non importa, ora riposa in pace”. Ricoprii la salma con della terra, appoggiandovi sopra la placca metallica che chiudeva in modo ermetico la lettera. In un pezzo di carta scrissi:
“Io, Sergio Marino, fra non molto ti raggiungerò. Ci siamo amati, fumando insieme un ultimo sigaro. Ricordati, caro compagno, che con l’Attak ho incollato anche un bacio della tua mamma ed uno della tua dolce morosa. Infine, Maria ti avvolga nel Suo manto bianco e sottile e ti porti in cielo in una soffice polvere d’oro”.
Mi alzai dandogli un ultimo sguardo per non dimenticarlo mai più. Curiosamente, vidi dei trifogli germogliare da quel tumolo!
Appena mi fui allontanato, levai in aria un grido : “Sono anche spiritoso con te, lo sai che oggi a distanza di 100 anni ci sono anche le discoteche?”.
Incamminandomi verso casa, feci queste riflessioni: “i militari hanno sempre mandato al fronte dei giovani che hanno lottato per la libertà altrui, perdendo spesso anche la loro stessa vita e lasciando a tutti il ricordo indelebile del loro sacrificio.
Prima di andare a combattere, durante il C.A.R., che è una vera scuola di guerra, veniva loro inculcato il rispetto assoluto nei confronti dei superiori, della patria e l’odio verso il nemico.
A mio avviso, sono sempre stati strumentalizzati, (ancora oggi, però, la loro situazione è la medesima, perché non avendo prospettive per un futuro adeguato, si sentono rinchiusi come polli in batteria).
Dopo la guerra, è stato rinvenuto un carteggio segreto, censurato precedentemente, in cui, molti ragazzi al fronte, rivelavano, nei brevi momenti di tregua, la loro opposizione alla violenza e agli ordini militari. Molte lettere hanno addirittura rilevato esempi di fraternizzazione fra soldati appartenenti ad eserciti nemici. Pur augurando la vittoria per la loro patria, tali scritti evidenziano un profondo anelito alla pace.
Riporto, qui di seguito, il contenuto sgrammaticato della lettera di un soldato della I^ Guerra mondiale:
“Spera, cara molie, che vada terminata
Questa guerra micidiale che sempre più fa piangere madri,
padri, molie, figli, fratelli e sorelle… Vorrei stare tanto in vostra
compagnia, di raccontare i miei patimenti per la mia bella patria,
non importa volarebbe soffrire anche di più e basta che
un giorno si unisca tutta intera e di firmare una pace
eternamente e non dichiarare guerra a nessuno”.
Qualche settimana fa, anche Papa Bergoglio, ha espresso questo chiaro messaggio:
“ La guerra è una follia e..dietro ad essa ci sono interessi enormi, falsi predicatori di
libertà, fabbricanti e mercanti d’armi. I mass media danno lustro al piano di sviluppo
per una pace duratura (che, a mio avviso, però, non sia attuerà mai). ..”C’è bisogno di
distruggere prima di tutto il male ed il marcio per riattivare una nuova economia”.
Papa Francesco ha aggiunto:” Mentre Dio porta avanti la Sua creazione e noi uomini
siamo chiamati a collaborare alla Sua opera, la guerra ci distrugge”.
Concludo dicendo che “lo sforzo scientifico costituisce un tutto naturale, le cui parti sono fra loro reciprocamente dipendenti”.
“Ma il vero problema è nella mente e nel cuore degli uomini. Dobbiamo parlare onestamente e portare al mondo la conoscenza che fornisce la forza della natura. Dobbiamo essere generosi e sottometterci ad un’autorità superiore, necessaria per la sicurezza del mondo. Non si possono fare contemporaneamente progetti di pace e di guerra.
Quando saremo liberi nella democrazia, troveremo il coraggio di superare la paura che incombe sulla terra”. (*)
Bibliografia
- (*) l. Ambrosoli- E. Bianchetti- L. Escofier “Le idee e la realtà”- Antologia- Le Monnier 1984
- La Tribuna 20/09/2014 : S. Allievi: “Francesco vede l’ombra di Caino”
- “Caporetto: storia di una disfatta” Nicola Labanca- Ed. Giunti 1997