Acqua e Luce

“In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.”

Con queste parole inizia il libro della Genesi capitolo 1.

Sembra quindi che l’acqua fosse già presente quando Dio creò il cielo e la terra, poi subito dopo creò la luce. Solo il quarto giorno verranno poste nel firmamento il sole la luna e le stelle.

Che cosa era la luce creata prima del sole e delle stelle?


L’ acqua, elemento fondamentale per la vita, la possiamo vedere informe e trasparente così come esce da un rubinetto o in tutte le forme viventi (ricordo che l’uomo è composto, in numero, per il 99% da molecole d’acqua). L’acqua è l’attore principale in tutte le reazioni biochimiche.

La luce assume diversi significati per esempio nella fisica classica è la porzione dello spettro elettromagnetico visibile dall'occhio umano, nella fisica moderna la luce, e tutta la radiazione elettromagnetica, viene composta da unità fondamentali, o quanti di energia, chiamati fotoni, mentre nel capitolo precedente la luce era intesa come conoscenza, elevazione intellettuale, spirituale morale. Luce è anche sinonimo di elettricità.


All’inizio dell’Ottocento, quando nasce Cesare Mattei, luce, elettricità e magnetismo sono i tre protagonisti della ricerca scientifica. E’ ancora sconosciuta la natura, corpuscolare e ondulatoria, della radiazione luminosa e Oersted non ha ancora dimostrato l’azione della corrente elettrica su di un ago magnetico.

Il secolo, fondamentale per lo sviluppo della scienza, si chiuderà con un’immagine completamente diversa della natura. La luce è un fenomeno elettromagnetico e tutti i fenomeni elettrici e magnetici sono riconducibili a cinque equazioni matematiche dove compare l’unità di carica elementare, l’elettrone.


Il Conte Mattei nella sua vita ha giocato molto sia con l’acqua che con l'elettricità vediamo come.

Dalla terrazza accessibile dalla sala della visione si vede, sul lato est della torre quadrata, un tubo di scarico d’acqua (a destra della foto cerchiato in rosso).

Questa foto del 1880 oltre ad essere bellissima ci dice molte cose:

La terrazza era, al tempo del Conte, più bassa di come è adesso e vi ci si accedeva attraverso la scala esterna che vediamo a destra nella foto.

Quando si apriva la portafinestra della camera di mezzo (sala della visione), non essendoci la balaustra, ci si trovava immersi nella vallata del Limentra con in primo piano Montovolo, il Vigese e il Monte di Vigo. Immaginatevi di notte con Orione che domina il cielo e Sirio che sorge dalla cima del Vigese.

Al centro della foto erge il pennone sulla torre della stanza della favorita. Il pennone, si vedrà dalle foto, è simile ai 4 che erano, al tempo del Conte, sulla torre tonda.


Ma torniamo al tubo di scarico evidenziato nella foto, per trovare da dove parte seguiamo il muro all’interno e troviamo che, sopra al meccanismo utilizzato per alzare il ponte levatoio, c’è un piccolo serbatoio di scambio dell’acqua piovana proveniente dal tetto della torre quadrata (il tetto della camera del Conte).

Nella foto di sinistra si vede il serbatoio che prende l’acqua dal tetto attraverso un foro quadrato. L’ acqua raccolta doveva poi uscire dal foro circolare, visibile nella foto di destra, per essere incanalata e portata magari nella vasca sotto il ponte levatoio.

Il tubo che vediamo dalla terrazza è dunque il troppo pieno di questo piccolo serbatoio.

Lo scroscio dell’acqua che usciva dal tetto doveva essere simile al rumore di una piccola cascata e il fatto poi che questa stanza sia aperta sulla scala curva mi fa pensare alla parola di passo del secondo grado Shibboleth (vedi capitolo precedente).

Ecco quindi un’ altro simbolo, questa volta acustico, della tavola di secondo grado. Il Conte non finisce mai di stupirci.

Da Wiki:

Shibboleth : la parola originale ebraica שבולת significa 'fiume' o 'torrente' o, a seconda delle fonti, 'spiga'. La parola acquistò la funzione di segno di riconoscimento in base ad una narrazione biblica.

La stanza dove si trova il serbatoio comunica con l’ingresso alla torre tonda in corrispondenza della scala curva.

Il rumore dell'acqua ti ricorda la parola di passo.

Quindi il Conte raccoglieva l’acqua piovana e la portava all’interno del castello in questo caso probabilmente per riempire la vasca sotto il ponte levatoio.

Notiamo a sinistra sul muro della torre quadrata, oltre al troppo pieno appena descritto, in basso una piccola finestra che illumina la scala a chiocciola prima del ponte levatoio e sotto la finestra 2 fori quadrati (evidenziati in rosso) che sono i troppo pieno della fossa sotto il ponte levatoio. Sopra la torre tonda 4 aste un poco ricurve rivolte verso il cielo.

Esaminiamo ora altre foto dell’esterno:

Altra foto bellissima del1880. Concentriamoci sulla torre tonda si vede la finestra lato nord della camera di mezzo, sul tetto 4 torrette con 4 pennoni e sul lato ovest della torre (a destra nella foto) una traccia scura che ci porta a pensare ad un altro scarico d’acqua.

Vediamo in dettaglio su di un’altra foto dell’epoca:

La foto, presa da sud-ovest, mette in luce il tubo di scarico (evidenziato in rosso) all’altezza delle prese d’aria rettangolari della torre tonda sopra una finestra che ora è stata murata.

Possiamo quindi supporre che ci sia un’ altro punto di raccolta dell’acqua nella torre tonda.

Se analizziamo il tetto della torre tonda vediamo che:

Nella foto del 1880 (a sinistra) non se ne vede il culmine, sulle 4 torrette a base quadrata ci sono i 4 pennoni, se ne intravvede uno anche spuntare dalla torre quadrata (tetto della camera del conte dove abbiamo visto veniva raccolta l'acqua piovana). Si vede anche un’ altro scarico appena sopra il tetto spiovente di tegole (evidenziato in rosso).

Dalla foto dei giorni nostri (2016)(a destra) si vede che molte modifiche sono state apportate alla torre tonda. All’ultimo piano sono state aperte delle trifore, il tetto è stato rifatto con il culmine verso l’alto, i tetti delle torrette sono stati rivestiti di lamiera, i pennoni sono scomparsi. Lo scarico sopra il tetto di tegole è stato chiuso (si vede la stuccatura beige).

Vediamo in pianta com’è fatta ora la torre tonda:

Nella parte a ovest, dove nelle vecchie foto abbiamo visto un tubo di scarico dell’acqua, all’interno c’è una scala a chiocciola magari con un tubo che scende? Andiamo a vedere…

Entriamo quindi negli ambienti privati del conte, passiamo il ponte levatoio, passiamo la camera del conte, continuiamo sulla scala curva ed entriamo nella camera di mezzo (sala della visione) siamo quindi nella torre tonda prendiamo la scala a chiocciola e saliamo.

Le finestre sulla scala sono diventate 3, nessuna traccia di un tubo dell’acqua

Entrando nella sala all'ultimo piano della torre ci troviamo in un locale intonacato di fresco,

ci rendiamo conto che troppe cose sono cambiate, dove doveva essere il tubo di troppo pieno ora c’è una trifora, la scala a chiocciola che ora vediamo è stata probabilmente fatta dal Venturoli all'origine doveva esserci una stretta scala a rampe se ne vedono le tracce nel laboratorio sotto la camera di mezzo.

Se alziamo lo sguardo vediamo il soffitto in legno del Venturoli. Grazie ad una apertura riusciamo a vedere il muro che sorregge il tetto analizziamo la foto:

Nella parte sinistra della foto si vede il soffitto in legno del Venturoli.

La parte scura nel centro della foto e’ l'attuale tetto.

Se analizziamo la parte destra della foto si vedono le tegole murate alle pareti della torre che fanno parte del tetto originale.

Subito sotto le tegole al centro della foto si intuisce come doveva essere il vecchio tetto pendente verso l’interno della stanza. (11 gradi)

Quindi se il tetto rientrava di 11 gradi l’acqua piovana doveva essere raccolta ed il tubo che vediamo ad ovest nelle foto del 1880 poteva essere il troppo pieno di una grande vasca di raccolta che doveva essere molto pesante.

Questo spiegherebbe la presenza di un grosso trave di legno nel pavimento del stanza all’ultimo piano, dove ci troviamo, ora puntellato dalle imponenti impalcature che troviamo nella sala sottostante (sala della visione).


Passiamo ora alla parte elettrica.

l'elettricità e il magnetismo sono fondamentali per la vita sulla terra. Le reazioni chimico biologiche sono guidate dal campo elettromagnetico. Tutto ciò che sentiamo che proviamo è elettromagnetismo. Il campo elettromagnetico è in grado di trasportare la luce e l'energia del sole indispensabili alla vita sula terra.


Il termine elettricità deriva dal greco electron. Electron significa ambra. Se strofiniamo un pezzo di ambra (isolante) con un una pelliccia esso si caricherà di elettricità statica.

Già gli antichi greci nel 600 a.c. si accorsero del fenomeno e notarono che l'ambra carica attirava oggetti leggeri come i capelli.

Furono sempre i greci che nella provincia di magnesia trovarono un materiale che aveva la proprietà di attirare il ferro la chiamarono magnetite.

Una svolta nello studio dell' elettricità e del magnetismo si è avuta nel diciottesimo secolo quando le macchine elettrostatiche e gli strumenti di misurazione venivano continuamente perfezionati e si elaboravano teorie scientifiche che tentavano di spiegare i vari fenomeni.

Nel 1745 Kleist condusse un esperimento per tentare di elettrizzare l'acqua contenuta in una bottiglia. La bottiglia di vetro piena di acqua aveva infilato nel tappo un pezzo di metallo che serviva a portare l'elettricità da un generatore elettrostatico all'acqua. Tenendo con una mano la bottiglia di vetro e mettendo l'altra sul conduttore infilato nel tappo ricevette una potente scossa.

Un anno dopo Pieter van Musschenbroek, di Leyda nei Paesi Bassi, eseguì lo stesso esperimento e inventò così la bottiglia di Leyda.

Le bottiglie di Leida, essendo fatte da una bottiglia di vetro rivestite di metallo all'interno e all'esterno, possiedono una capacità elettrica piuttosto elevata, che unita all'alta rigidità dielettrica del vetro, le rende ideali come condensatori per alta tensione.

Nel giugno del 1752 uno scienziato americano Beniamino Franklin nell'osservare lo scaricamento della "bottiglia di Leyda" notò che quando si verificava la scarica elettrica questa emetteva una scintilla luminosa bluastra e un crepitio. Intuitivamente fece una comparazione con ciò che avveniva quando era in corso un temporale.

Proprio durante un temporale fece alzare in volo un aquilone trattenendolo con un lungo filo di seta, poi all'estremità in basso legò ad un altro filo di seta tenuto all'asciutto una chiave.

Quando la corda bagnata si era caricata di elettricità in mezzo alle nuvole toccò la chiave e percepì una scarica elettrica. Esperimento molto pericoloso.

Fece poi un altro esperimento collegando il filo dell'aquilone ad una bottiglia di Leyda, e questa immagazzinò elettricità nell'acqua come se fosse stata erogata da un generatore elettrico.

Riflettendo sull'esperimento capì che bastava avere un'asta esposta su un tetto di una casa collegata con un filo a terra per evitare quell'accumulo di elettricità che poi è l'origine una scarica disastrosa. Inventò così il parafulmine.

I fulmini erano la causa della distruzione di campanili e torri dell'epoca. Sul campanile della basilica di S. Marco a Venezia venne installato un parafulmine nel 1766, dopo essere stato danneggiato da un fulmine per la nona volta. Nel 1791, quando un fulmine colpì una basilica fuori Assisi, Pio VI ordinò che dopo il restauro fossero aggiunte "le aste elettriche di Franklin".

Anche a Bologna i danni maggiori alle famose due torri furono causati dai fulmini, che provocarono diversi incendi, tra cui quello che distrusse la passatoia, e che colpirono la torre più alta diverse volte finché a metà 1800 venne installato un parafulmine.


Sulla torre Asinelli fu installato, a cura del prof. Francesco Orioli (1783-1856) e dell'ingegnere comunale Filippo Miserocchi.

Il prof. Orioli, docente di fisica dell'università di Bologna nel 1820, scrisse un libro sui parafulmini e i paragrandini

DE’ PARAGRANDINI METALLICI “

Il libro è la trascrizione della relazione fatta dal prof. Orioli alla società agraria di Bologna nel 1820.

Segue un estratto:


Le nuvole sono spesso cariche d’una spezie di fuoco (a), il quale dai Fisici è detto fuoco elettrico. Quando ne sono cariche tendono a scaricarsene o sopra la terra, o sopra le altre nuvole. Qualche volta è la terra stessa che si scarica sopra di loro. Quando la scarica del fuoco è molto gagliarda, subito dopo cade acqua agghiacciata, o grandine, la quale senza questa scarica non cade .

Chi dunque potesse impedire, o diminuire la scarica suddetta, impedirebbe secondo tutte le apparenze o diminuirebbe la caduta della grandine.

I metalli hanno facoltà di tirare a se questo fuoco (massimamente se sono terminati in punta rivolta verso il cielo) e di condurlo sino a terra per la via ch’essi gli offrono.

Tuttociò si sapeva da settant’ anni a questa parte, ed ora non se ne disputava più. Si benediceva la Provvidenza di questo nuovo trovato, come del trovato del vaccino contra il vajuolo , de’ lazzaretti contra la peste, del solfato di chinina contra le febbri, e se ne usava allegramente.

Tuttavia nessuno aveva ancora pensato a mettere in uso lo stesso rimedio contra la grandine.”

Per persuadersi di ciò basta riflettere bene alla facoltà de’ fili metallici aguzzi.

Prendete un filo di metallo alto solamente due piedi, e terminante in acuto da una parte '. Cacciatelo colla parte ottusa diritto dentro una focaccia di pece o di solfo; ed esponete questo piccolo congegno all’aria in un luogo scoperto, e bastantemente elevato, quando il cielo è coperto di nuvole che minacciano temporale ma badate bene di non accostarvi troppo, perchè l’esperienza è pericolosa. Dopo breve tempo v’accorgerete a molti segni, che il Vostro filo di metallo benché cosi corto e piccolo pure opera sensibilmente sul fuoco elettrico delle nuvole.

Ve ne accorgerete, perché dopo breve spazio potrete trarne scintille di fuoco anco grosse, e spesso lunghissime,

La schiacciata di zolfo nella quale è infitto il filo serve a impedire la comunicazione diretta del metallo col suolo. Lo solfo o la pece, come dicono, sono isolanti, cioè, per una loro particolare proprietà, impediscono al fuoco delle nuvole bevuto dal metallo di passare 'nel terreno o al contrario Però esso fuoco s’ accumula a poco a poco nel metallo stesso, e cosi dà origine alle dette fiammelle, e alle dette esplosioni , che non succederebbero dove il filo fosse semplicemente confitto nel suolo.

Ora se questo accade in piccolo in un filo di metallo di uno o due piedi, meglio accade in un filo più alto.

E dunque palese che fili metallici convenientemente alti, drizzati nell’atmosfera possono realmente senza provocare l’ uscita di fulmini dalle nuvole , vòtarle del loro fuoco”


La teoria del prof. Orioli è quella di estrarre dalle nuvole l'energia necessaria per fare scoccare i fulmini utilizzando una serie di parafulmini con lo scopo di ridurre la grandine.

Orioli spiega l'esistenza di questa energia con degli strumenti facili da realizzare come la schiacciata di zolfo che immagazzina l'energia delle nuvole fino a far scoccare le scintille.


Questo esperimento potrebbe aver acceso qualcosa nella testa del Conte

Ma continuiamo nel libro di Orioli che spiega come realizzare i paragrandine.


“ Poiché alcuni di troppo facile contentatura han supposto che potessero a questo effetto bastare trecce di sola paglia, ed altri al contrario han creduto che si richiedessero grosse verghe di metallo come quelle de’ parafulmini più massicci. Ora io credo, che gli uni e gli altri vadano errati .

Dirò brevemente rispetto ai secondi , ch' io stimo sufficienti al bisogno i paragrandini di semplice filo metallico, non più grosso d'una linea in diametro ed anco meno .

Questo è chiaro, e lo fa chiaro , se non altro, tutta la schiera numerosissima degli esperimenti fatti col cervo volante.”


Il riferimento è all'esperimento con gli aquiloni dove si usano fili sottili.

Ricordo che la linea è un vecchia unità di misura di lunghezza adoperata in Francia prima dell'adozione del sistema metrico. 1 linea = 2,2558291 mm.

Orioli ora ci spiega come realizzare il paragrandine:


“ Il palo (se s' adopera questo a sostegno del filo) può essere di qualunque spezie di legno . Si può abbrustolirlo tutto nella superficie, con che diviene più resistente all’ umidità; ovvero coprirlo di vernice al modo stesso del filo. Ad ogni modo l’ estremità inferiore da conficcarsi in terra sarà utile che sia bene abbrustolita. E’ necessario, che tutta la punta di rame, e l’ estremità superiore del ferro, per circa un piede o meno, sorga fuori della sommità di esso palo.

Il filo conduttore che unirà la punta col suolo basterà che sia di ferro , passato per trafila , ben unito ed omogeneo, per le quali condizioni meglio si conserva.

Per le giunzioni del filo di ferro; soprapponendo l’ una all’altra le due estremità battute e spianate per la lunghezza circa di un pollice; fissando l’ un pezzo sull’altro con due chiodetti ben ribaditi di guisa che il contatto sia della maggiore perfezione che si può; e adeguando poi tutto col martello e colla lima.

La parte del paragrandine vicina a terra sarà bene che sia coperta od infasciata da un pezzo di vecchia stuoìa o di canniccio ad altezza d’uomo, e circondata poscia di spini affine che nessumo vada presso del filo per guastarlo.”


Quindi nel libro del prof. Orioli Impariamo a fare i paragrandini con del filo di metallo fissato con chiodi a delle verghe di legno. I pali devono essere molti così da scaricare in più punti le nuvole e non far scoccare il fulmine. Impariamo poi a fare le giunte con i chiodi al filo di ferro che va verso il palo di terra, impariamo anche a costruire dei semplici accumulatori di fulmine con un filo e una palla di pece isolata da terra.

Analizziamo ora i pennoni del castello:

Abbiamo molti pennoni nel castello nella foto se ne vedono 5 ma ce ne sono altri.

Un pennone uguale ai 4 sulla torre tonda è posizionato sulla torre della favorita.



Vediamo di ricavare la dimensione del palo facendo le proporzioni con le dimensioni della torre che sono note. Il palo in questo caso è dritto, almeno da questa vista, ed ha la punta piatta.

Sapendo che la torre della favorita ha un diametro di 6,5m, facendo le proporzioni

Si ottiene che:

6,5:8,5 = X:4,02 X = 6,5:8,5*4,02 X=3,2

6,5:8,5 = Y:0,21 Y = 6,5:8,5*0,21 Y=0,16

Il palo era alto 3,2 m e aveva un diametro di 16 cm

Un tondino (pieno) di ferro di 160 mm di diametro pesa 158kg al m per un tot di 158*3,5= 553kg.

Un tubo di ferro di 168mm di diametro con spessore 4mm pesa 20 kg al m

quindi peserebbe 20*3,5 =70 kg

Visto che alcuni pali sono visibilmente storti potrebbero anche essere di legno.

Magari con filo di metallo attaccato con chiodi come suggerisce Orioli.

Potrebbe essere un modo per caricare l’acqua raccolta dal tetto con l’energia delle nuvole.

Vediamo la seguente foto:

Questa foto è stata scattata quando cominciarono i lavori per aprire quella che ora è la porta principale del castello. La parte per noi interessante sono i “fili” bianchi che si vedono scendere praticamente da ogni punta del castello verso terra vediamo in dettaglio:

Ci sono dei “fili”? bianchi che vanno dalle punte delle torri a terra notare che tutte le punte a cono sono di sasso non di metallo.




Anche nella torre tonda c'è un filo bianco che dal tetto va verso terra.

Il principio potrebbe essere quello del paragrandine del prof Orioli cioe' del comune filo conduttore sorretto da pali di legno che raccoglie l’energia delle nuvole.

Vediamo cosa rimane dei collegamenti elettrici sulle foto dei nostri giorni (2016).

Le foto seguenti si riferiscono alla torre tonda.

Nell torre tonda c'è un collegamento elettrico che dalla terra, a fianco la porta che va sul giardino, sale fino al tetto. Il collegamento è fatto con una squadretta di ferro giuntata come consigliato da Orioli con 2 chiodi ribattuti e che nella parte inferiore è protetta da filo spinato (i particolari nelle foto).

Se supponiamo che i pennoni fossero dei paragrandini, visto che ce ne sono 4 sulla torre tonda e 1 nella torre quadra e cioè dove si raccoglieva l'acqua, potevano essere messi per evitare che le vasche d'acqua attirassero i fulmini.


Oppure scollegando i fili dei pali dal filo di terra si poteva raccogliere l'energia dalle nuvole ed energizzare l'acqua come tentava di fare Kleist nel 1745 o caricare delle bottiglie di Leyda.


Anche nelle altre torri della parte alta del castello troviamo dei collegamenti verso terra ma sono realizzati con materiale diverso rispetto a quelli della torre tonda. Ci sono occhielli di ferro murati con un filo di ferro tondo anzichè quadro

Nella foto di destra si vedono i vecchi passanti arruginiti e il “moderno” collegamento In guaina.

Appendice

Un po di storia della ricerca sulla elettricità di quegli anni:

Tra il 1785 e il 1791 Charles Augustin de Coulomb utilizzando una bilancia di torsione, uno strumento con cui misurare la forza del campo elettrico, riuscì a dimostrare sperimentalmente ed enunciare, che la forza di attrazione tra due corpi era inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza e scoprì che la carica elettrica si distribuiva in modo uniforme su una superficie sferica. Tale legge è conosciuta quindi come legge di Coulomb.

Luigi Galvani osservò delle contrazioni muscolari nelle zampe di una rana a contatto con un conduttore metallico e ipotizzò la presenza di un'elettricità animale in due opere pubblicate nel 1791 e nel 1794.

Nel 1799 Volta inventò la pila che fu il primo generatore statico di energia elettrica.

Hans Christian Ørsted (o Oersted) osservò nel 1820 la relazione tra corrente elettrica e fenomeni magnetici, sviluppando la teoria elettromagnetica. I suoi studi furono proseguiti da André-Marie Ampère che enunciò le leggi dell'elettromagnetismo, nell'opera pubblicata nel 1826. Nello stesso anno Georg Simon Ohm enunciò la legge di Ohm sulla resistenza elettrica. Continuando le ricerche in campo elettromagnetico Michael Faraday scoprì nel 1831 l'induzione elettromagnetica, il principio alla base dei motori elettrici. A lui si devono inoltre l'enunciazione delle leggi dell'elettrolisi e l'invenzione della gabbia di Faraday. Sviluppò infine la teoria secondo la quale l'elettricità non era un fluido, bensì una forza trasmessa da una particella di materia all'altra.

Negli anni 1830 Faraday mise a punto il primo generatore elettromagnetico di corrente elettrica (dinamo e alternatore). Joseph Henry, aveva perfezionato un elettromagnete di particolare potenza permettendo in tal modo la trasmissione dell'energia elettrica a grande distanza. Negli stessi anni, Samuel Morse sfruttò il passaggio di elettricità in un filo conduttore come strumento per comunicare, giungendo all'invenzione del telegrafo con i fili. Nel 1847 Ernst Werner von Siemens inventò un altro modello di telegrafo e fondò la compagnia Siemens.

Nel 1851 Heinrich Daniel Ruhmkorff costruì il primo rocchetto a induzione (rocchetto di Ruhmkorff). Nel 1859 Antonio Pacinotti inventò l'anello di Pacinotti, in grado di trasformare l'energia meccanica in energia elettrica continua. Nel 1869 Zénobe Theophilé Gramme dimostrò che la dinamo poteva anche lavorare al contrario come motore elettrico e sfruttò commercialmente la sua invenzione, basata sull'anello di Pacinotti.

Negli anni 1860 si utilizzò la corrente elettrica per la lavorazione del rame. Nel 1864 Wilhelm Eduard Weber pubblicò un sistema per la misurazione assoluta della corrente elettrica, nel 1873 James Clerk Maxwell pubblicò la propria teoria sulla natura unitaria della luce e dei campi elettromagnetici e nel 1888 Heinrich Rudolf Hertz scoprì le onde elettromagnetiche e le loro possibilità di trasmissione attraverso il vuoto. Negli anni 1870 videro la luce alcune delle invenzioni più importanti del XIX secolo: il telefono di Antonio Meucci (brevettato da Alexander Graham Bell, fondatore della Bell Telephone Co.), il fonografo (1877) di Thomas Alva Edison e la lampadina a incandescenza, che lo stesso Edison migliorò, dopo aver acquistato i precedenti brevetti (tra cui quello di Joseph Wilson Swan), e commercializzò a partire dal 1879. Nel 1880 un modello perfezionato di lampadina venne costruito da Alessandro Cruto, che fondò una piccola industria ad Alpignano TO, più tardi assorbita dalla Philips.

Negli anni 1880 si costruirono le prime centrali elettriche (a corrente continua). Nel 1885 Galileo Ferraris inventò il campo magnetico ruotante, alla base del motore elettrico polifase, brevettato negli Stati Uniti da Nikola Tesla (1888) ; anche questi brevetti furono successivamente acquistati dalla Westinghouse. Pochi anni più tardi(1890), lo stesso Nikola Tesla inventò le tecniche della trasmissione dell'elettricità in corrente alternata, permettendo così per la prima volta la trasmissione di elettricità a distanze geografiche ed avviando l'uso industriale su larga scala dell'elettricità.

Nel luglio del 1892, dalla centrale idroelettrica situata nel "Santuario di Ercole Vincitore" a Tivoli, si sperimentò per la prima volta nel mondo la trasmissione a distanza di corrente elettrica alternata, che fu inviata a Roma, dove una centralina situata a Porta Pia provvedeva a distribuirla agli impianti di illuminazione pubblica allora predisposti in città.

Hendrik Antoon Lorentz formulò nel 1892 la teoria elettronica della materia e nel 1897 Joseph John Thomson dimostrò l'esistenza dell'elettrone. Nel 1900 Max Planck elaborò la teoria dei quanti e nel 1906 Albert Einstein propose una teoria sulla luce come composta da fotoni. Nel 1919 Carl Ramsauer elaborò la teoria della natura ondulatoria degli elettroni.