“Il Dio delle donne non è una Persona, né un Ente, né una Sostanza: è la loro divina potenzialità espressiva.” Luisa Muraro
“Siamo pervase dalla nostalgia per l’antica natura selvaggia. (..) Ma l’ombra della Donna Selvaggia ancora si appiatta dietro di noi, nei nostri giorni, nelle nostre notti. Ovunque e sempre, l’ombra che ci trotterella dietro va indubbiamente a quattro zampe.”
Clarissa Pinkola Estés da “donne che corrono coi lupi"
La teoria zodiacale della scuola di Lisa Morpurgo ipotizza che la vita nell’ universo sia ciclica: ad un ciclo patriarcale, quello in cui viviamo, si contrappone uno matriarcale, regolato da principi ed usi speculari.
Vorrei qui illustrare come siano rimaste tracce di questo universo speculare nei miti e nelle fiabe. In particolare, le figure mitologiche da cui prendo ispirazione sono quelle delle saghe nordiche altoatesine, che dal mio punto di vista discendono da un’umanità che aveva un modo molto diverso rispetto all’attuale di comprendere la natura e conviverci. Archeologi come Maria Gimbutas hanno potuto ricostruire tramite reperti questi culti, tra i quali quello legato alla figura della Grande Madre. Il motivo dominante nell’ideologia e nell’arte era la celebrazione della vita e la natura diveniva fonte di sacro. La dea era in tutte le sue manifestazioni il simbolo dell’unità di tutte le forme di vita esistenti.
“Furono il Paleolitico e Neolitico lunghi periodi di notevole creatività e stabilità, epoche prive di conflitti. La fase seguente, quella degli Dei guerrieri, pastorali e patriarcali, che soppiantarono o assimilarono il pantheon delle Dee rappresentò una fase intermedia prima dell’era cristiana e del diffondersi del rifiuto filosofico di questo mondo. La Dea, gradualmente, si ritirò nel profondo delle foreste o sulle vette delle montagne e lì sopravvisse sino ai nostri giorni nelle credenze e nelle fiabe”
(Maria Gimbutas tratto da “il linguaggio della dea”).
“Fiabe, miti e storie offrono un sapere e una comprensione che aguzzano la nostra vista in modo tale da permetterci di distinguere e di riprendere il sentiero tracciato dalla natura selvaggia”
(Clarissa Pinkola Estéz, scrittrice ed analista junghiana)
Le fiabe ed i miti possono dunque essere una sorta di rimedio per superare le complessità della vita perché riescono a portare in superficie gli archetipi della natura selvaggia delle donne; nonostante l’alterazione dei cardini originari che si è verificato nel corso dei secoli contengono, disseminate qua e là, le istruzioni per comprendere gli antichi misteri delle donne. I miti e le fiabe ci avvertono su come nulla appare come è in realtà. Queste idee sono molto in linea con i concetti Zodiacali e con l’idea che il pensiero dell’artista non si manifesta in modo chiaro osservando solo la sua opera. Per poterlo comprendere bisogna conoscere le “istruzioni” che solo l’artista può decidere se condividere con gli altri tramite i suoi scritti, perché nell’arte come nei miti nulla è come sembra, ed una cosa sottende sempre a qualcos’altro.
Fra le tante figure mitologiche che fanno parte ipoteticamente di questo universo matriarcale ho scelto di prendere spunto dalle figure mitologiche delle Salighe, delle Ondine e di Frau Hölle.
Le Salighe sono figure ricorrenti nelle saghe altoatesine e rappresentano l’archetipo di una natura libera, selvaggia ed incontaminata: un collettivo femminile che mantiene la propria individualità. Condividono e tramandano i loro saperi legati alla natura ed ai cicli della vita per e far raggiungere una crescita interiore. Esprimono una condizione originaria femminile, una energia primordiale che è ormai scomparsa. Rappresentano il sé contro la massificazione dell’individuo della cultura di massa.
Le Ondine sono le fate dell’acqua, misteriose creature abitatrici dei laghi di montagna, molto simili alle sirene greche. Nascono dalla spuma dei lago, salgono in superficie al tramonto per salutare il sole, raccogliere fiori e danzare sul prato. Il loro canto è delizioso e simile al suono di campanelli d’argento, nessun uomo riesce a resistere ad esso ed alla loro bellezza.
Frau Hölle è la dea dalle molte vite e dai tanti nomi. Vive attorniata da numerose Salighe in un palazzo nascosto negli abissi delle montagne, dal quale si entra tramite porte segrete vicino ai nevai, in mezzo alle selve o fra le pareti rocciose, ben mimetizzate dalla natura stessa. Soggiorna volentieri in fondo ai laghetti e nelle fonti delle montagne. Qualche volta la si può vedere maestosa e bellissima mentre fa il bagno di notte in qualche fiume o laghetto. Nevica quando rifà il suo letto di piume. È l’archetipo della donna saggia che appare nei castelli e consiglia la famiglia minacciata da pericoli. Ma è anche la guida infernale che cavalca di notte spinta dal Fohn, che preannuncia la primavera. In questa veste è circondata da molti gatti, da uno stuolo di streghe e seguita da una lunghissima schiera di fiammelle (spiriti) e animali. La dualità di comportamento è una caratteristica prevalente in tutte queste figure mitologiche
Vorrei in sostanza parlare della creatività femminile: un ritorno alle origini la cui esperienza estetica rimanda inevitabilmente al tema della donna che crea, genera, rinnova, per riscoprire la radice comune femminile e per ricordare che accanto ad un sentire maschile patriarcale, la forza dell’Uno che vede nell’altro il nemico, esiste un sentire al femminile, accogliente, che armonizza con gli altri, la forza della collettività fatta di unione e solidarietà; nello Zodiaco questa dialettica viene illustrata in modo chiaro ed esaustivo dall’asse Ariete - Bilancia.
Questo spazio diviene anche l’ambientazione per presentare due performance rituali, una all’inizio ed una alla fine della mostra. I dipinti e le sculture formano così una sorta di cornice all’interno del progetto. Le figure rappresentate nei dipinti sono a dimensione reale e diventano al contempo presenze arcane e manifeste. La voce, il canto, la musica sono astrologicamente elementi femminili, in assonanza con il tema ispiratore della mitologia norrena (da cui sono tratte buona parte delle saghe altoatesine) e questi si trasformano in elementi centrali. La performance condivisa con il pubblico alla vernice è stata progettata assieme alla studiosa del suono Elisabetta Morri: è un massaggio “sonoro” rituale, esplicativo del concetto zodiacale 1-7; il potere dell’uno ha di fronte dialetticamente il potere della collettività, ed il suono può essere il canale di scorrimento fra i due. Il potere della collettività è fatto di unione e partecipazione, pensando alla terra come ad un solo corpo che risuona di milioni di voci, ognuna delle quali è la voce della Dea simbolo dell’unità di tutte le forme di vita esistenti in natura. Esiste infatti un vivere al femminile, fatto di accoglienza verso gli altri e di solidarietà: Il sentiero così tracciato è emblema dell’equilibrio nella dualità perfettamente esplicato nella struttura zodiacale, così come una parte oscura si deve sempre opporre ad una luminosa, perché la scura schermerà dall’accecante luce dell’altra. L’ambiente è immerso in un paesaggio sonoro naturale, con suoni tratti dai boschi altoatesini alternati a voci femminili.
In Alto Adige si celebra un rito molto antico in primavera per scacciare l’inverno e auspicare fertilità all’anno iniziato lanciando nella notte dei dischi infuocati. La performance di chiusura, “Scheibenschlagen” rievoca questo rito risalente a tempi pagani. Volando nella notte il disco incandescente rilascia dietro di sè una scia luminosa simile a quella delle stelle cadenti. Più è lungo il lancio e più è fortunata la persona a cui è stato dedicato. Nella performance il disco non è dedicato ad una persona in particolare ma a tutti indistintamente. Il lancio dei nostri dischi all’interno della scena vuole esortare a diverse concezioni di pensiero, non meramente nuove, in quanto queste ci riportano alle più antiche radici della nostra umanità: al tempo pre-cristiano, in cui esisteva un’umanità capace di vivere senza produrre armi letali o costruire dissennatamente fortificazioni nei luoghi inaccessibili, ma costruiva magnifici templi, comode abitazioni, ceramiche e sculture meravigliose come scrive Maria Gimbutas nel libro “il linguaggio della Dea”.