Nei primi giorni del Marzo 2022 scoppia la polemica mediatica tra l’Università Bicocca di Milano e il professor Paolo Nori, scrittore e traduttore che avrebbe dovuto tenere un corso su Dostoevskij nello stesso ateneo. Alla luce del conflitto russo-ucraino, l'Università dichiara di voler cancellare il suddetto corso. Il traduttore scoppia in lacrime in una diretta sul suo profilo Instagram: “lavoro di anni e anni e dedizione alla cultura, cancellati così”. Gli appassionati di letteratura insorgono, quindi la Bicocca rettifica subito. Nori riceve l’avviso che il suo corso si terrà a una condizione: a Dostoevskij verranno affiancati letterati ucraini (che Paolo Nori stesso ammette di non aver mai approfondito: “autori ucraini che non conosco”). Questa richiesta è ovviamente motivata dalla guerra in corso: non si può parlare di uno scrittore russo senza che egli venga affiancato, ossia compensato, da uno ucraino. Il professore rifiuta questa offerta scandalosa nella stessa diretta (“farò il corso altrove”): nessuno scrittore reggerebbe un doppio insulto alla cultura nel giro di meno di ventiquattr’ore (“una cosa ridicola”). Dostoevskij è stato giudicato per il solo fatto di essere russo: un autore senza tempo e senza confini è stato relegato a un periodo storico e a una nazione specifica. Lo spunto di riflessione ce lo dà Nori stesso nella sua diretta: “Non solo essere un russo vivo, ora anche essere un russo morto è una colpa”.
Per “russo vivo” lo scrittore fa riferimento al fotografo Gronsky, la cui mostra è stata cancellata sempre per motivi legati al conflitto. Dostoevskij ha fatto la medesima fine, a causa dell’anacronismo: dobbiamo capire che non possiamo censurare un russo dell' '800 per una guerra che si sta combattendo nel 2022.
È necessario fare pace con la cultura, sempre e comunque: essa non può prima essere esaltata e poi censurata a seconda di ciò che conviene al momento storico che si vive. Non possiamo pretendere di decidere chi ha diritto alla parola e chi no. La cultura non è strumento a nostro servizio: è testimonianza di vita, è una forma di arte senza tempo.
Temere di esporsi, temere di diffondere la cultura sarà la nostra morte. È quando si teme la cultura che la cultura piange.
Scritto da Teti Lucrezia 2^AR
Disegno di Giorgia Ferretti 1^AS