10 luglio 2020

Influencer e cultura


Nel mondo contemporaneo troviamo, rispetto a qualche decennio fa, una figura ormai considerata professionale a tutti gli effetti: quella dell’influencer, tanto amata quanto odiata. Su tutte le piattaforme social, follower e like sono direttamente proporzionali alla possibilità di assicurarsi collaborazioni con noti marchi di prodotti e di conseguenza il guadagno che si può ottenere. In poche parole: più persone ti seguono più aziende ti contatteranno per una sponsorizzazione sul tuo profilo e più soldi guadagnerai. Per questo, è sempre più frequente, per gli account su Instagram in particolare, comprare seguaci e mi piace per aumentare la propria popolarità. Considerando che 1000 followers costano tra i 10 e i 15 euro e 250 like tra i 6 e i 10, facendo i calcoli ci accorgiamo che è vantaggioso ricorrere a questa strategia per assicurarsi i cosiddetti “progetti” con brand che pagano anche 1000 euro in cambio di una recensione positiva. Le opinioni di sconosciuti valgono sempre di più agli occhi della Z-generation, il 72% della quale considera ciò che dicono gli influencer affidabile in ogni caso, tra i millennials invece il 65% ritiene le parole dei propri idoli più attendibili di quelle dei marchi.

Le collaborazioni tra aziende e privati avvengono in molti ambiti, dalla moda alla cosmesi, dal turismo alla cultura e sono ormai così frequenti da essere diventate oggetto di critiche insieme agli influencer, etichettati, nei migliori dei casi, come “venduti”. Il criticismo è diventato quasi parte integrante della nostra società e prende piede soprattutto sui social, dove i “leoni da tastiera” non si fanno problemi, quando vedono una foto, a sfruttare l’occasione per rivolgere insulti gratuiti alla persona. Recentemente, ciò è accaduto a Chiara Ferragni che, dopo un photoshoot per Vogue Hong Kong all’interno della Galleria degli Uffizi di Firenze ha voluto postare un selfie con una delle opere del museo: la Venere di Botticelli. Subito gli utenti si sono scatenati, rivolgendo critiche al museo per l’autorizzazione al servizio fotografico, ma anche alla Ferragni per aver postato il selfie, sfociando spesso in commenti irrispettosi nei confronti dell’influencer. Così, in poco tempo il selfie si è trasformato in un pretesto per rivolgere insultare la persona in questione. Tra i tanti, lo storico dell’arte Tommaso Montanari dice senza peli sulla lingua che quest’operazione commerciale è “immondizia”. Tuttavia, non è la prima volta che sale museali vengono utilizzate per fare promozione. Anche a fronte della diminuzione delle entrate ai musei in tutto il mondo (il report annuale del Ministero dei Beni Artistici e Culturali contò nel 2019 55 milioni di visitatori, numero in calo rispetto al 2018), spesso luoghi di cultura fanno contratti con privati o aziende; esempi possono essere il Louvre, che affitta le sue sale da anni (da tempo Chanel ci organizza le sue sfilate e Jay Z e Beyonce ci girarono il videoclip di “The carters”), così come il Metropolitan di New York (in cui sono state registrate alcune scene del film Ocean8 e dove ogni anno viene organizzato il Met gala) e, se si vuole citare l’Italia, il Museo egizio di Torino (utilizzato da Mahmood per filmare il videoclip di “Dorado”). Tutte queste collaborazioni innanzitutto aiutano il museo a restare vivo e avere i finanziamenti necessari per il mantenimento. Tutti questi esempi, che sono solo una minima parte di tutte le collaborazioni che ogni anno vengono fatte tra privati e Musei, sono prove del fatto che la cultura e l’arte possono essere “mercificate” (se ci pensiamo, anche i grandi come Leonardo, Michelangelo e Raffaello eseguivano opere in cambio di denaro) e non sempre questo è un male. Il selfie pubblicato dalla Ferragni ha spinto 3600 giovani a recarsi agli Uffizi, facendo registrare al museo un incremento di visitatori pari al 24%, senza contare la visibilità che la Galleria ha raggiunto.

Il punto, quindi non è la pubblicità fatta su commissione o la sponsorizzazione dell’arte sui social, ma l’impatto positivo che queste operazioni possono avere sul fatturato dei Musei. L’Italia, infatti, nonostante sia piena di attrazioni culturali è uno dei Paesi che riesce a ottenere meno soldi da esse: il Boston Consulting e l’Ufficio del Ministero dei Beni Culturali hanno stimato che i 358 musei statali e siti archeologici del nostro Paese producono 278 milioni di euro annui, cifra al di sotto della media dei musei stranieri. A questo punto sorge spontanea una domanda: cosa si può fare per migliorare questa situazione? Società di consulenza hanno individuato diverse alternative, che combinate possono aiutare a incrementare il fatturato proveniente dalla cultura: una maggior presenza social (solo il 52% dei musei italiani possiedono un profilo social e meno del 20% adotta servizi digitali), una campagna di promozioni più ampia (come può essere quella della Ferragni), un aumento dei finanziamenti dei privati (ora essi ricoprono solo l’1% della quota di fatturato, a fronte del 20% in altri Paesi) e, come ultimo ma non per importanza, maggiori investimenti in servizi interni come bookshop e guide, in Italia troppo spesso gestiti esternamente.

Davanti a influencer che promuovono la cultura non dovremo partire all’attacco con criticismo superficiale e inutile ma piuttosto vedere le cose con un occhio diverso, una mentalità più aperta, guardare al vero impatto che hanno queste collaborazioni e gli effetti positivi che possono avere.


Carolina Broll



Fonti:

https://www.ftourism.it/influencer-marketing-e-utile-nel-turismo/

https://www.corriere.it/moda/cards/vacanze-italia-influencer-social-promuovono-nostro-turismo-estivo/promuovere-turismo-italia_principale.shtml

https://www.ninjamarketing.it/2020/07/23/chiara-ferragni-agli-uffizi/

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