27 marzo 2020

Questa è una storia di solidarietà


21 febbraio 2020, primo caso di coronavirus in Italia: “vabbè, vivo a chilometri di distanza, non arriverà nel mio paese”.

23 marzo 2020, primo decreto per prevenire la diffusione del virus: “sono solo misure precauzionali, non c’è pericolo”.

Ma dopo pochi giorni fu emanato un nuovo decreto, poi un altro e un altro ancora. “Forse non è sottovalutabile”, “Il numero dei morti cresce ogni giorno, dobbiamo iniziare a stare attenti” “Meglio andare al supermercato a fare la spesa” “E in farmacia per comprare le mascherine”.

11 marzo 2020, quarantena nazionale, possono rimanere aperte solo le attività indispensabili come negozi che vendono prodotti di prima necessità e ospedali.

A questo punto, gli italiani si fermano, respirano, all’interno delle loro case si chiedono “cosa facciamo adesso?”. Questo è l’inizio della nostra storia di solidarietà.


Dopo pochi giorni di quarantena gli italiani iniziano a sentire il bisogno di farsi sentire, il bisogno di fare un piccolo gesto per quella vicina anziana che deve andare a comprare gli alimenti, il bisogno di mettere le proprie conoscenze e competenze a disposizione di chi non le ha, il bisogno di fare un gesto concreto che possa aiutare i medici a curare le persone già malate, il bisogno di fare qualcosa. Gli italiani iniziano a sentire il bisogno di solidarietà. E allora l’Italia, seppur rinchiusa in casa, inizia a muoversi.

Gli italiani, non potendo uscire dalla propria abitazione, escono sui balconi e iniziano a parlare, a cantare, a ballare, a ridere e giocare, a distanza. Si diffondono i flashmob dalle finestre, le gente canta di tutto, dall’inno di Mameli a “Nessun dorma”, da “Azzurro” a “Dragonball”, canta per tirarsi su il morale, canta sempre più spesso e sempre più forte e dimostra resilienza in un momento così difficile.

Questo è solo un gesto simbolico. La gente si chiede: “cosa si può fare di concreto?” Nascono così piattaforme per portare la spesa a casa a chi ne ha bisogno: io porto a casa e vicinoesicuro sono solo esempi di siti web che permettono a chi non può muoversi di avere la spesa a domicilio. Nel frattempo, moltissimi cittadini si organizzano al di fuori di queste realtà, andando direttamente porta a porta alla ricerca di qualcuno che necessita una mano, proponendosi come volontari per fare la spesa e improvvisandosi “fattorini” per un giorno (o più), ovviamente muniti di guanti e mascherine.

Questo momento però non tocca solo i cittadini, ma anche quelli che possiamo chiamare “i piani alti” dell’organizzazione statale che vogliono aiutare: il Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione insieme all’AgID (Agenzia per l'Italia digitale) creano la cosiddetta “solidarietà digitale”. Il nome parla da sé: si tratta di un’iniziativa che mette a disposizione di cittadini e imprese svariati servizi, rigorosamente online e in modo gratuito.

Nonostante questi gesti a dir poco ammirabili, davanti a questa circostanza moltissime persone hanno visto il loro umore peggiorare drasticamente, sia perché non possono vedere i loro cari, perché hanno un parente malato, perché non sanno se riusciranno a reggere economicamente questo periodo o perché il loro stato psicologico li porta ad avere bisogno di una passeggiata che non è loro concessa. E la cosa peggiore è che nella maggior parte dei casi non possono far niente, se non aspettare e sperare che passi presto e nel migliore dei modi. Anche in questo caso qualcuno si è mobilitato per dare una mano: il CNOP (Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi) e la SPI (società psicoanalitica italiana) promuovono servizi di aiuto telefonico attraverso professionisti che lavorano gratuitamente per fare star meglio le persone che hanno bisogno di supporto.

Il popolo italiano trova quindi un po’ di speranza e conforto nel vedere (e fare) questi piccoli gesti ma ciò non basta a migliorare la situazione sanitaria: gli ospedali sono quasi al collasso, infermieri e medici lavoro giorno e notte con ritmi serrati per salvare tutti e il numero di malati sale vertiginosamente, si arriva al punto in cui non si hanno posti sufficienti per accogliere negli ospedali chi necessita della terapia intensiva. Serve un aiuto tangibile, servono soldi per migliorare il sistema sanitario. Per questo iniziano a mobilitarsi figure influenti, da Chiara Ferragni e Fedez a Luciana Littizzetto, da Alex Britti a Francesco Facchinetti, da Armani a Dolce & Gabbana le personalità dello spettacolo e della moda donano e invitano a donare per costruire reparti di terapie intensiva, comprare respiratori e mascherine e fare in modo che si possa superare tutto questo al più presto. E così le persone iniziano a dare ciò che possono agli ospedali, che migliorano il loro servizio e fanno guarire migliaia di persone.


Fin qui sembrerebbe una storia col lieto fine (o quasi) ma come sempre, non esistono solo le cose belle, bisogna guardare anche all’altro lato della medaglia: migliaia e migliaia di morti (7 503 in Italia in questo momento) a cui non è possibile celebrare il funerale, famiglie che non possono vedersi, amici che non possono incontrarsi, gente all’estero che non può tornare nel proprio Paese, camion militari che trasportano salme fuori dalla città perché non possono essere cremate. Possiamo fare di tutto, ma la verità è che le immagini e le notizie terribili che vediamo e sentiamo hanno un impatto nettamente maggiore su di noi rispetto a quelle rincuoranti. Tuttavia, una nota positiva c’è anche qui: anche nel dolore, gli italiani riescono a unirsi, a sostenersi, a dirsi l’un l’altro “ce la faremo” invece di “ce la farai, “passeremo questo insieme” al posto di “ne uscirai presto”. Anche in queste situazioni, gli italiani non sono soli, osservano minuti di silenzio in segno di lutto, sventolano bandiere e cartelloni, scrivono sui social ringraziamenti agli “eroi”, i medici, che rischiano la vita per salvarne altre. Piccoli gesti che mirano a far sentire la propria solidarietà.

Solidarietà che viene anche dall’estero: la Cina ha inviato migliaia di mascherine e tute sterili, nonché medici, la Russia personale sanitario specializzato e macchinari all’avanguardia, mentre altri medici sono arrivati da Cuba, tutto per fare in modo che questa epidemia finisca presto.


E mentre ringraziano questi Stati per la loro solidarietà, gli italiani pian piano si adattano a un nuovo modo di vivere, più genuino, più essenziale, dando importanza alle piccole cose, a un saluto dalla finestra, a un messaggio, una chiamata, uno sguardo. Ed è così che gli italiani hanno imparato a stare vicini rimanendo lontani, a darsi una mano senza stringerla, a farsi forza l’uno l’altro, a rallentare. Insieme.


Carolina Broll


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