28 dicembre 2019

Il nuovo modo di fare politica sui social

Come raccogliere consensi su internet

La nostra routine è strettamente collegata al nostro smartphone, passiamo le nostre ore al telefono ciondolando tra un’applicazione e l’altra, continuando a scaricarne dopo esserci stufati di quelle che abbiamo già. Più aggiungiamo applicazioni al nostro cellulare, siano esse necessarie o superflue, più ci prendiamo gusto e in poco tempo ci rendiamo conto che siamo iscritti ad almeno otto social network e che la nostra condanna è stata la facilità con cui vi accediamo: scarichi l’app, ti iscrivi ed ecco che con un click sei libero di condividere online foto, testi, audio e video riguardanti più o meno ogni cosa, interagendo con gli altri utenti. La peculiarità dei social è quella di essere accessibili e fruibili a un pubblico vastissimo e innegabilmente eterogeneo; sono perciò lo strumento in assoluto più indicato per far circolare informazioni, conoscenze, ma anche ideali e valori.

La politica è consapevole di questa situazione e la sfrutta a suo vantaggio, utilizzando i social per entrare nella vita della gente: attraverso Facebook vediamo l’ennesimo video di gattini affiancato alla diretta di Salvini, su Instagram guardiamo la foto dell’amico in Spagna e subito dopo quella di Di Maio che si fa un selfie insieme agli elettori, apriamo YouTube per cercare il video dell’ultima hit e finiamo a guardare il remix del discorso della Meloni, andiamo su Twitter per leggere le novità di “Temptation Island” e sotto troviamo Renzi che scrive sul reddito di cittadinanza.

Così facendo, piano piano, i politici hanno trasformato i social, rendendoli mezzi di comunicazione incredibilmente potenti, con cui intraprendono una campagna elettorale nuova, immediata, presente nei nostri smartphones 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana. Quasi un’ossessione, non si fermano nemmeno il giorno delle elezioni. Una volta campagna elettorale significava cartelloni politici, volantini e stand propagandistici in ogni dove. Oggigiorno, nonostante le vecchie tradizioni siano rimaste, sono entrati in gioco i post, con cui i politici si fanno la guerra a suon di like. Considerando che il numero di utenti iscritti ai social cresce esponenzialmente, rendendo la community se possibile ancora più ampia ed eterogenea, ciò è una cosa quasi scontata: se su internet la stessa foto può essere raggiunta da milioni di persone, soltanto poche centinaia, forse migliaia se ci si ritiene fortunati, vedranno il cartellone, posto che esso sia in un luogo ben visibile e che tutti i passanti ci facciano caso, situazione ben improbabile.

In tutto questo, la questione più importante rimane sempre il diverso atteggiamento che gli elettori hanno sui social e per strada: su internet le persone sono più influenzabili, “abbassano le difese”, credono più facilmente a quello che leggono e spesso mettono like “sulla fiducia”. Anche questo va tutto a favore dei politici, che alternano i loro slogan alle foto di famiglia, per far vedere che sono persone “tutte d’un pezzo”, di cui ci si può fidare. La conseguenza? Gli utenti inizieranno a vedere quei politici non come rappresentanti ma più come amici e non ci penseranno due volte alle elezioni a fare una croce sul loro nome.

La facilità nel raggiungere un numero enorme di persone e la conseguente rapidità di diffusione dei contenuti sui social, giocano a favore dei politici che possono contare sui like e le condivisioni degli utenti per far crescere il loro impatto mediatico e parallelamente il consenso in vista delle elezioni.

Parlando di rapidità di diffusione, come dimenticare gli hashtag, utilizzati puntualmente anche in ambito politico? E’ forse un caso se tra i dieci hashtag più utilizzati su Twitter durante lo scorso anno ci sono #m5s, #pd, #Salvini, #renzi e #dimaio?

La rete è piena di contenuti politici divenuti virali, spesso si tratta di parodie o imitazioni, ma di certo questo non interessa ai politici, anzi, fa loro piacere, perché è un modo per far parlare di sé.

Per questo, quando il canale YouTube MEM&J creò il remix del discorso di Giorgia Meloni facendolo diventare una vera e propria hit che ora conta quasi 7 milioni di visualizzazioni, la leader di Fratelli d’Italia non ha potuto che rallegrarsi e stare al gioco, cantandola anche lei su La7 quando fu ospite a “L’aria che tira”.

I politici sono diventati vere e proprie star, con un numero altissimo di seguaci: su Twitter, Renzi, ne conta 3,4 milioni, Salvini 1,2 milioni, la Meloni quasi 845 mila, Di Maio 580 mila e Zingaretti 475 mila.

Al di là di questi numeri assoluti, che non dicono niente e spesso vengono sopravvalutati nelle analisi statistiche, bisogna anche considerare i cosiddetti “seguaci attivi”, ovvero i seguaci che commentano e condividono, dando vera visibilità agli account: è attraverso il passaparola che le notizie raggiungono un pubblico più ampio ed escono dalla cerchia ristretta formata dai seguaci. Per misurare quest’altro dato si usa l’engagement, la percentuale di like, commenti e retweet in relazione ai seguaci. Questa volta, la classifica vede tra i primi la Bonino, 2,74% di engagement, Berlusconi, 1,42%, Conte, 0,84%, e Salvini, 0,43%.

Non possiamo certo dire che la politica sui social sia statica: i leader dei partiti cavalcano l’onda, seguono le tendenze, scrutano la società per capire cosa è meglio fare per attirare il popolo dalla propria parte in un determinato contesto. Ormai la politica si è ridotta a una gara a chi diventa più popolare. Per questo, basti pensare a Salvini, primo politico italiano a crearsi un account su tik tok per raggiungere i giovanissimi.

Questa costante ricerca di consensi non è da sottovalutare, poiché costa ai partiti tempo ma soprattutto denaro. Attraverso la piattaforma Libreria Inserzioni di Facebook, andiamo a guardare quanto hanno speso i politici per inserzioni e contenuti sponsorizzati tra marzo e novembre 2019. Per farci un’idea: se prendiamo in considerazione i politici, tra chi spende di più ci sono Salvini (165.310 €), Berlusconi (93.858 €) e Renzi (81.000 €), mentre tra i partiti troviamo PD (148.071 €), M5S (50.000 €) e Fratelli d’Italia (44.045 €).

Questi trucchetti dei politici hanno messo in crisi pure i possessori dei social network stessi, che si trovano davanti a due correnti di pensiero: chi dice che va bene così, in fondo è libertà di espressione, e chi si indigna contro la libertà che a questo punto hanno i politici di diffondere fake news per diffamare gli avversari.

A riguardo, poco più di un mese fa l’amministratore delegato di Twitter, Jack Dorsey, ha fatto sapere che l’azienda ha bloccato l’acquisto di contenuti sponsorizzati di stampo politico per gli enti pubblici.

Dall’altra invece Zuckerberg si è trovato davanti a una lettera firmata da circa 250 dei suoi dipendenti contro la mancata verifica di veridicità dei vari post politici sulla loro piattaforma.

Nonostante tutto, che si voglia o non si voglia, i politici continuano la loro campagna elettorale in rete, facendo propaganda sui social e diventando figure simili agli influencer, che raccontano le loro giornate nelle storie, invitano ad incontri e hanno una folla di fan pronti a difenderli dagli haters.

Carolina Broll

FONTI

engagement: https://www.termometropolitico.it/1452387_politici-sui-social.html

libreria inserzioni facebook: https://it-it.facebook.com/ads/library/?active_status=all&ad_type=all&country=IT&impression_search_field=has_impressions_lifetime

lettera a Zuckerberg: https://blog.uniecampus.it/2019/11/06/dipendenti-contro-zuckerberg-limitare-le-fake-news-dei-politici-su-facebook/

decisione di twitter: https://www.openpolis.it/la-propaganda-social-e-la-difficile-definizione-di-politica/


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