23 ottobre 2020

End Police Brutality in Nigeria

Ormai da due settimane in Nigeria dilagano manifestazioni per abolire il controverso corpo di polizia SARS. L’ondata di proteste pacifiche è cominciata mercoledì 7 ottobre, a seguito della diffusione online di un video che documenta l’omicidio di un ragazzo da parte dei corpi di polizia della SARS. Gli hanno sparato e l’hanno lasciato morire per strada per rubargli l’auto. Il governo ha smentito tutto.

Tutto è cominciato nel 1992, quando è stato istituito un corpo speciale di polizia per contrastare la violenta criminalità di Lagos: SARS - Special Anti-Robbery Squad. Inizialmente il corpo di polizia era composto solo da una quindicina membri che operavano in borghese e nell’anonimato più totale per osteggiare le gang cittadine. Nel momento in cui l’unità è cresciuta e si affermata in tutto lo stato, sono cominciati i problemi. La sua natura anonima ha spalancato le porte ad abusi di potere e violenze gratuite, rendendo difficile identificare e denunciare gli agenti.

Avere i rasta, essere tatuato, possedere un cellulare nuovo o guidare una bella macchina: ecco alcuni dei tipici crimini per cui gli agenti SARS puniscono i civili. Una volta arrestati, se non si paga una salata cauzione, si rischia di essere torturati e uccisi. I target prediletti dell’unità speciale sono i giovani benestanti, e se non pagano con denaro, pagano con la vita. Amnesty International ha documentato più di 82 casi di abuso e uccisioni solo dal 2017 al maggio scorso. La maggior parte delle vittime avevano tra i 18 e i 35 anni. Alla lista di reati si aggiungono rapimenti, stupri, vandalismo, rapine e molestie e numerosi altri crimini.

Questi poliziotti sono perfettamente consapevoli di essere intoccabili. Un ragazzo nigeriano, Samuel Otigba, ha riportato alla CNN le parole di un agente che l’ha fermato per rubargli soldi: « Sai che se ti sparo, non succederà niente? Il massimo che può accadere è qualche grido di giustizia su Twitter ».

Comprensibilmente, queste non sono le prime proteste contro la SARS. Quelle di quest’anno tuttavia sembrano avere una portata maggiore, grazie ai social media e alle numerose condanne di star internazionali. Lo stato più popoloso d’Africa ha attirato l’attenzione mondiale.

Il presidente Buhari, dopo giorni di inappropriato silenzio, ha deciso di assecondare i manifestanti. Ha sciolto il corpo speciale lo scorso 11 ottobre, per sostituirlo con una squadra temporanea che ricopre gli stessi incarichi, la SWAT. «Lo scioglimento della SARS è solo il primo passo verso ampie riforme in ambito di pubblica sicurezza. Garantiamo inoltre che tutti i responsabili saranno assicurati alla giustizia» ha dichiarato il presidente.

Se la SARS ha effettivamente avuto fine, allora perché le manifestazioni continuano imperterrite in tutto il Paese? Lo ha spiegato al New York Times Omobolanle Adams, venticinquenne nigeriana laurea a Boston: «Il governo ha sciolto la SARS anche nel 2015, nel 2017, nel 2018 e nel 2019. Questa volta non ce la beviamo». Il recente scioglimento della SARS non viene visto come una vittoria, ma come un contentino per mettere a tacere le grida di protesta. Ma i manifestanti non saranno soddisfatti finché non verranno presi veri provvedimenti. Le loro richieste includono il rilascio dei manifestanti arrestati, la compensazione economica per le famiglie delle vittime, la creazione di un’istituzione che possa svolgere inchieste su corpi di polizia, l’attuazione di una valutazione psicologica degli agenti e l’aumento degli stipendi dei poliziotti, in modo che siano meno tentati dalla corruzione.

La situazione in Nigeria è degenerata martedì 20 ottobre, quando le manifestazione pacifiche condotte per settimane dai giovani nigeriani sono state represse nel modo più violento possibile.

Proprio come nelle settimane precedenti, i manifestanti si sono riuniti nell’elegante quartiere di Lekki, Lagos. Le proteste si sono sempre condotte in modo organizzato e pacifico per non rischiare repressioni violente da parte della polizia; evidentemente non è bastato. Minacciosi segni premonitori sono apparsi a Lekki alle tre di pomeriggio di martedì scorso, quando tutte le luci sono state spente, i lampioni smontati e le camere di sorveglianza sono state disattivate, così che non avrebbero registrato ciò che stava per accadere. Alle sette di sera i dimostranti, avvolti nelle bandiere nigeriane, erano intenti a cantare l’inno nazionale, seguendo le direttive di chi aveva assicurato che questo non gli avrebbe fatto correre alcun pericolo contro la polizia armata. Di lì a poco sono arrivate forze armate militari che hanno sparato brutalmente sulla folla pacifica e disarmata. Alcuni hanno continuato ad intonare l’inno cercando di sovrastare gli spari. Secondo fonti di Amnesty International sono morte almeno 12 persone.

Le proteste continuano impavide. Si spera che quest’anno lo scioglimento della SARS si attui concretamente e che il giovane sangue che ha macchiato le bandiere verdi e bianche non sia stato versato invano.

Elena Ricci

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