23 giugno 2020

Schiavitù italica

Lo sfruttamento dei migranti in Italia


Il mito degli «italiani brava gente» persiste ed etichetta il razzismo come problema unicamente americano. Perché invece non proviamo a prendere atto delle vergognose problematiche che costellano l’Italia? Una delle tante viene illustrata dall’attivista Aboubakar Soumahoro, italo-ivoriano laureato in sociologia. Secondo Soumahoro, la politica migratoria del nostro Paese si erige sul concetto di «razzializzazione», strettamente legato al razzismo. La razzializzazione è un processo in base al quale un gruppo dominante attribuisce caratteristiche razziali e disumanizzanti a un gruppo dominato, attraverso forme di violenza diretta o istituzionale che producono una condizione di sfruttamento ed esclusione. La prima legge sull’immigrazione, la cosiddetta «legge Martelli», varata nel 1990, presenta già delle caratteristiche tipiche del concetto di razzializzazione istituzionale. La prima di queste è il

paradigma dell’invasione, che presuppone l’esistenza di un’emergenza migratoria. Tale supposizione prevede che ci sia «un’invasione» che vada fermata il prima possibile, precludendo quindi un approccio legislativo a lungo termine ed adeguato. C’è poi il paradigma utilitaristico ed economico, che prevede l’assegnazione del permesso di soggiorno solo a coloro che potrebbero essere utili all’economia. Infine, il paradigma securitario assegna le questioni migratorie agli apparati statali addetti alla sicurezza. Si presume così una correlazione tra pubblica sicurezza ed immigrazione; quest’associazione è stata evidenziata maggiormente dal Decreto Sicurezza del 2018. Attività mediatiche e politiche nel corso degli anni hanno promosso nella popolazione l’idea che i migranti siano automaticamente criminali. Questi pregiudizi hanno fatto sì che omicidi di persone innocenti venissero sminuiti o addirittura giustificati, in quanto si presupponeva erroneamente che la vittima stesse compiendo un crimine. Tale fenomeno è accaduto con l’uccisione di Soumaila Sacko, nel giugno del 2018. Mentre stava prelevando lamiere abbandonate che gli sarebbero servite per sistemare la sua dimora in una tendopoli, Soumaila è stato colpito mortalmente da un colpo di fucile. Per la Prefettura di Reggio Calabria, l’omicidio è avvenuto poiché Soumaila era stato sorpreso «verosimilmente» nell’atto di rubare. Una delle leggi che ha inasprito maggiormente la razzializzazione è la Bossi-Fini del 2002, che subordina il permesso di soggiorno ad un contratto lavorativo regolare: se un migrante dovesse perdere il lavoro, perderebbe contemporaneamente il diritto di rimanere in Italia. Questa legge pone i migranti in una posizione sociale debolissima, rendendoli ricattabili e costringendoli ad accettare lavori in cui vengono spesso sfruttati.

Un esempio lampante è il settore agroalimentare. Secondo l’INPS, nel 2017, il 72% dei lavoratori era impiegata senza un contratto regolare, spesso preda dei caporalati. I braccianti reclutati dai caporali sono, nella maggior parte dei casi, immigrati in cerca di un’occupazione stagionale, che si ritrovano a lavorare in una condizione di schiavitù, senza poter protestare. Secondo la legge, per 6 ore e mezza di lavoro, la paga deve ammontare ad almeno 50€. Tuttavia, alcuni migranti intervistati raccontano di come inizino il lavoro alle tre o quattro del mattino, così da essere nei campi ancor prima dell’alba, per finire alle cinque o alle sette di sera.

Spesso vengono pagati a cottimo, cioè in base a quanti contenitori di raccolto riempiono durante la giornata. Per un contenitore riempito, che arriva a pesare tre quintali, la paga ammonta a 3,50€. Il salario medio giornaliero è tra i 20 e i 25€. Bisogna però pagare la tassa di trasporto al caporale, che ammonta a 5€. È inoltre vietato raggiungere il posto di lavoro usando un proprio mezzo o andando a piedi, di conseguenza ogni giorno i braccianti sono costretti a stiparsi in più di venti su furgoncini da nove persone. Il cibo consumato durante la giornata lavorativa viene venduto dal caporale: per pranzo, i panini costano 3,50 €, mentre una bottiglietta d’acqua 1,50€. Dunque, considerando tutte queste spese aggiuntive, i braccianti devono scalare ben 10€ dal guadagno giornaliero: ciò significa che dopo più di dodici ore di lavoro, si ritrovano in mano una misera paga di 15€. Se, ipoteticamente, dovessero riuscire a riempire solo 4 cassoni, secondo la paga a cottimo, guadagnerebbero 4€. Spesso però non ricevono nemmeno il salario: non è inusuale che un caporale prometta loro 25€ al giorno senza poi pagarli nemmeno un centesimo. Leggendo questi dati, la celebre affermazione di Matteo Salvini «la pacchia è finita» suona a dir poco ridicola.

Come se non bastasse, la gran parte dei braccianti abita in baraccopoli lontane chilometri dai centri abitati, senza alcuna possibilità di integrarsi nella società, rimanendone inevitabilmente ai margini. «Com’è possibile che degli esseri umani possano lavorare più di dieci ore al giorno, partecipando attivamente alla produzione del made in Italy, e siano costretti a vivere in baracche di lamiera, senza accesso a quelli che sono i bisogni primari?» scrive Aboubakar Soumahoro. Le abitazioni, senza elettricità ed acqua corrente, hanno pareti di cartone o lamiera, e sono coperte di teloni di plastica per isolare l’ambiente interno. Viste le condizioni disumane delle tendopoli, gli incendi non sono affatto rari: solo una decina di giorni fa, un ragazzo senegalese di nome Mohammed Ben Alì, è morto carbonizzato in un ghetto nei pressi di Foggia. La notizia, come spesso avviene in questi casi, non ha ricevuto la giusta attenzione mediatica. La maggior parte delle persone che abita nei ghetti si trova in Italia da meno di tre anni ed è in attesa del permesso umanitario. Altri, invece, cercano rifugio nelle tendopoli dopo il respingimento della richiesta d’asilo. L’Espresso denuncia in un articolo: «Lo Stato non solo ha negato i documenti senza pensare a un’alternativa, ma ha reso complicati i rinnovi anche per chi ha ottenuto un permesso umanitario. A questa gente senza prospettive, lo Stato chiede una bella casa e un lavoro fisso. Altrimenti niente rinnovo dei documenti temporanei». Molti residenti nel ghetto affermano che in Africa non hanno mai visto persone vivere in condizioni tanto infime. La maggior parte di loro non vogliono essere intervistati né tantomeno fotografati, dal momento che si sentono umiliati ad abitare in un luogo simile e inoltre temono che le foto arrivino alle loro famiglie, che sono all’oscuro di tutto. Infatti le persone in Africa hanno un’idea romantica d’Europa, la vedono come un continente paradisiaco, dove non manca niente: non immaginano nemmeno che in realtà molti di coloro che sono emigrati vivono in condizioni peggiori di quelle che si sono lasciati alle spalle.

La gran parte delle donne che abitano le tendopoli, non trovando un lavoro regolare, sono costrette a prostituirsi. Una donna camerunese, nel documentario «La Belleville», racconta di

come un parente già in Italia, l’aveva convinta ad andare a Foggia, dove avrebbe aperto un piccolo bar con sua cugina. Una volta arrivata in Italia, con i documenti in regola e con la prospettiva di trovare un lavoro onesto, ha capito che questo piano non era attuabile: come benvenuto, sua cugina le ha dato un pacco di preservativi. Per restare qui avrebbe dovuto vendersi. La donna racconta di come sia arrivata a bere anche ventiquattro bottiglie di birra al giorno pur di riuscire a dimenticare lo scempio che era costretta a subire. Nei ghetti, la gran parte delle donne diventa alcolizzata, proprio per superare il trauma di ciò che devono fare.

Per proporre delle riforme che andrebbero a migliorare le condizioni dei migranti nel nostro Paese, Aboubakar Soumahoro ha intrapreso uno sciopero della fame in occasione degli Stati Generali 2020, incatenandosi vicino a Villa Pamphilj. Dopo oltre otto ore di presidio, il premier Conte ha accettato di incontrarlo. Soumahoro ha presentato tre possibili soluzioni che potrebbero migliorare la condizione dei migranti in Italia: una «patente del cibo», che garantisca che il prodotto sia stato lavorato senza sfruttamento, la regolarizzazione di coloro che si trovano già sul suolo italiano e, infine, l’abolizione degli accordi con la Libia. Nel suo libro «Umanità in rivolta», Soumahoro scrive: «Il fenomeno della razzializzazione è diventato istituzionale, entrando a far parte di norme di legge, e sancisce un regime differenziale di diritti per alcune categorie di persone sulla base di criteri di provenienza geografica e colore della pelle. Per combattere questo processo è necessario recuperare valori come l’umanità e la solidarietà. Questo vuole dire tendere la mano all’escluso, al marginalizzato e al senza voce, indipendentemente dalla sua provenienza geografica e culturale».


Elena Ricci

Articolo di dicembre 2019

Come avviene l'apprendimento di una lingua per un bambino piccolo?

Articolo di gennaio 2020

Un confronto tra l'Inferno dantesco e il più reale Inferno vissuto da Primo Levi nel campo di concentramento di Aschwitz.

Articolo di febbraio 2020

Una moda sostenibile è possibile? C'è la possibilità che il fashion diventi veramente ecofriendly, oltrepassando anche astuti strumenti di marketing come il "greenwashing"?

Articolo di aprile 2020

Il «pericolo di involuzione» di De Gasperi riguardo l'unione europea si sta sempre più concretizzando con l'emergenza coronavirus.

Articolo di maggio 2020

Ogni anno tre milioni di donne e bambine subiscono una mutilazione ai loro genitali. In Sudan un passo fondamentale è stato compiuto.

elena.ricci.ilcardellino@gmail.com