Se per pedagogia si intende quella scienza atta a sviluppare il potenziale umano, cognitivo e creativo del bambino e dell’adulto, è facile immaginare il pedagogista come quel professionista che studia l’educazione e la formazione dell’uomo nel suo intero ciclo di vita; quindi, contrariamente a ciò che spesso è opinione di molti, il pedagogista non si interessa unicamente al mondo infantile, ma si occupa anche di adolescenti, giovani, adulti, anziani ciascuno con i propri bisogni di apprendimento, educazione e formazione.
Il pedagogista opera nell’ambito educativo, formativo e pedagogico, in rapporto a qualsiasi attività svolta in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, in una prospettiva di crescita personale e sociale; si rivolge alla coppia, alla famiglia, ai singoli (bambini, ragazzi e adulti), al gruppo e alle istituzioni attraverso attività educative, culturali, rieducative, formative, per orientare la persona a trovare soluzioni di fronte alle difficoltà di ordine educativo, a partire dal riconoscimento e dallo stimolo delle risorse personali.
Presso lo studio è possibile accedere a interventi di carattere pedagogico-educativo integrati, grazie a nuove competenze acquisite.
Gli interventi educativi integrati sono finalizzati al benessere emotivo, cognitivo e relazionale, sono volti a migliorare la quotidianità, costruendo un percorso condiviso a partire dalle narrazioni familiari e personali; si utilizzano metodologie proprie della pedagogia che in alcun modo sostituiscono interventi di carattere terapeutico.
La famiglia, durante il suo ciclo vitale, si evolve, di conseguenza l’intensità dei legami e l’interdipendenza tra i membri della famiglia cambiano durante l’intero ciclo di vita. Durante le diverse fasi del ciclo familiare, emergono i bisogni educativi necessari per far fronte ai compiti che lo sviluppo della famiglia in crescita richiede. Ciò che colpisce, in particolar modo, è il processo evolutivo, caratterizzato da crisi e transizioni, che invitano la famiglia ogni volta a porsi con flessibilità di fronte alle sfide dettate dallo sviluppo familiare interno e che in genere coinvolge tre generazioni. Pensando di descrivere questo processo evolutivo in relazione all’aspetto educativo, poniamo inizialmente la nostra attenzione sulla giovane coppia in procinto di prendere una decisione importante, quella di sposarsi e quindi di formare una propria famiglia. La coppia è impegnata su due fronti: in primo luogo la separazione dalle famiglie d’origine: tale separazione sottintende l’esperienza di una propria autonomia e l’accettazione della famiglia del partner. In secondo luogo, la coppia pone l’attenzione sulla formazione del nuovo nucleo familiare che implica un impegno durevole nel corso dell’intera esistenza.
La coppia, in questa fase della vita, potrebbe sentire il bisogno di un sostegno educativo per affrontare il passaggio da una situazione ancora precaria, ma che presenta la prospettiva di realizzare un futuro insieme, che è quella caratteristica del fidanzamento, ad una nuova situazione che richiede costanza nell’impegno, tipica del matrimonio. Non sempre le coppie riescono autonomamente a mettere in moto questo processo che può apparire in sé naturale, spontaneo, ma che può risultare anche difficoltoso e conflittuale. Per questo l’educazione alla vita di coppia si realizza attraverso un lavoro di accompagnamento che dura nel tempo. La relazione coniugale, infatti, è un processo costante, sollecitato e modificato a più riprese dagli eventi della vita, che ne testano ogni volta la solidità e l’equilibrio.
La domanda che molte agenzie educative si pongono è relativa a come suscitare nei giovani e nei coniugi stessi una corretta percezione del matrimonio e della famiglia. Norberto Galli, per attivare possibili risposte a tale domanda, individua essenzialmente tre passaggi: una articolata preparazione dei giovani al matrimonio e alla famiglia, l’individuazione di forme di educazione permanente dei coniugi al matrimonio e alla famiglia, e l’attenzione alle tematiche della propedeutica domestica e della vita familiare. Una nuova fase della vita familiare è segnata dalla nascita di un figlio: i due membri della coppia assumono il nuovo ruolo di genitori e imparano a vivere il doppio ruolo di coniuge e di padre/madre di nuove creature. In questo stadio è importante supportare la coppia genitoriale attraverso interventi o percorsi formativi utili ad aiutare i coniugi a prendere coscienza della propria identità, degli obiettivi da raggiungere e dei compiti da svolgere, sostenendo inoltre la natura intergenerazionale e sociale dei legami familiari. Nello stesso tempo, può essere che l’inesperienza nei confronti soprattutto del primo figlio generi nella coppia sentimenti di apprensione e di incertezza sia dal punto di vista delle cure primarie sia rispetto ai primi approcci educativi. Prendersi cura in modo responsabile della prole è un compito davvero molto impegnativo per i genitori. Durante il periodo di età scolare del figlio (o dei figli) diviene ancor più evidente il fatto che la funzione genitoriale sia esercitata all’interno di un contesto sociale, in relazione costante con la scuola e altri ambienti comunitari quali, per esempio, l’oratorio e le associazioni sportive. Compito dei genitori è quello di mediare tra il contesto familiare e le comunità extrafamiliari, per permettere al figlio di inserirsi serenamente in tali ambienti. In questa fase, è importante che la coppia genitoriale impari a riconoscere nel figlio una personalità autonoma da quella dei genitori e quindi che venga riconosciuto, nella sua identità. È importante dunque, vigilare sull’attenzione educativa dei genitori impegnati, da una parte, a prestare le dovute cure ai figli (i quali dipendono in tutto e per tutto dai propri genitori) e, dall’altra, a prendere coscienza della necessità di una rinuncia alla esclusività verso il figlio, per favorire lo sviluppo della sua identità ed un graduale inserimento nella società.
Quando il figlio entra nella pubertà, l’equilibrio familiare si destabilizza nuovamente. Il figlio, infatti, inizia a sperimentare la propria indipendenza, spesso a discapito di genitori impreparati, messi a dura prova dalle esigenze e dai comportamenti, dei propri figli. In questa fase i genitori sono invitati a conservare un rapporto positivo con il figlio nel senso di sapersi confermare come solido punto di riferimento, favorendo nello stesso tempo al figlio la strada verso la graduale indipendenza, in un reciproco rapporto di fiducia e comprensione. Diversamente, il rischio potrebbe essere quello di incorrere nell’attivazione di meccanismi caratterizzati da iperprotettività e ipercontrollo, che potrebbero ritardare l’autonomia e il naturale bisogno di indipendenza del figlio, causando in lui frustrazioni e sensi di colpa.
Un intervento di tipo formativo sui genitori, che vivono con ansia l’adolescenza dei figli, potrebbe aiutarli a ridefinire il proprio ruolo in relazione alla nuova fase di vita che la famiglia sta attraversando, a comprendere meglio i ragazzi, ad instaurare un dialogo costruttivo con loro e quindi a ridimensionare molte tensioni dettate dall’inesperienza o dall’inibizione per la paura di sbagliare. Nello stesso tempo sarebbe utile proporre un percorso formativo indirizzato ai ragazzi per aiutarli a comprendere meglio se stessi, i propri bisogni, la propria emotività e le proprie propensioni, per guidarli ad affrontare con maggior sicurezza quel difficile periodo della vita che segna il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta.
Da questo momento in poi, la famiglia sperimenta la situazioni di indipendenza del figlio divenuto ormai adulto, impegnato nell’ambiente professionale. Dopo la separazione dal figlio (o dai figli) i genitori hanno di nuovo la possibilità di riscoprire il loro ruolo di coniugi che prevede, nella stesa casa, come all’origine della famiglia, la presenza della coppia, che ha però un’età diversa: vive l’interruzione del lavoro godendo il meritato pensionamento. Si tratta di una relazione di coppia da rinnovare in relazione ai nuovi eventi, a cui vanno ad integrarsi nuovi ruoli e nuove relazioni: suoceri in rapporto con il genero o la nuora, nonni in rapporto con i nipoti e, naturalmente, il mantenimento della funzione genitoriale, esplicata però con modalità differenti rispetto a quando il figlio era un bambino sotto la loro protezione. Si tratta di situazioni che possono richiedere un’autoeducazione continua dei singoli membri e in relazione tra loro, nel rispetto dello sviluppo della famiglia stessa, soprattutto quando questa si apre al rapporto con altre famiglie, quelle dei figli, unite fra loro da un legame privilegiato, in un rapporto che deve essere necessariamente chiaro e distinto.
Gli assunti su cui si basa la terapia psicomotoria si riconoscono principalmente negli studi di Wallon e Piaget. Grazie ai loro lavori è emersa la nozione di un’unità biologica dell’individuo: l’attività motoria e la psiche non costituiscono cioè due campi distinti o giustapposti, ma rappresentano l’espressione unitaria della relazione fra l’individuo e l’ambiente.Questi autori sottolineano con forza il ruolo centrale che il movimento esercita nello sviluppo del bambino. Nel movimento, e in particolare nel suo aspetto tonico, Wallon intravede i fondamenti della comunicazione con l’altro e Piaget, nella logica e coordinazione delle azioni, trova la strutturazione dell’intelligenza.
L'attività senso-percettivo-motoria, una volta interiorizzata, permette al bambino di cogliere vari punti di vista sulla realtà, di confrontare, di ripetere un certo numero di esperienze, di effettuare spostamenti diversi trasformando il suo universo percettivo fino a conferirgli una certa coerenza mediante l’affermarsi delle nozioni di spazio, tempo, causalità, quali dimensioni continue del reale.
Il periodo che va dai due ai sei anni è quello che Piaget chiama stadio pre-operatorio in cui si assiste alla comparsa delle rappresentazioni mentali che si manifesta attraverso l’imitazione differita, il linguaggio e il gioco simbolico. Nei primi anni di vita le capacità motorie che i bambini sono in grado di controllare sono inizialmente grossolane, ma l’apprendimento di capacità più raffinate quali utilizzare posate, allacciare bottoni, disegnare con matite e pennarelli avviene in un arco di tempo piuttosto breve. I tempi di acquisizione di tali abilità possono essere anche influenzati dall’ambiente di sviluppo: un ambiente maggiormente ricco di stimoli sarà palestra ideale per lo sviluppo motorio dei bambini.
Riprendendo un'espressione utilizzata dal professor Ivano Gamelli in Pedagogia del corpo “prima della consapevolezza mentale di avere un corpo, il bambino è un corpo: un corpo che sente e conosce sperimentandosi” e proprio attraverso il suo corpo passano le conoscenze e gli apprendimenti.
Una lunga tradizione, risalente addirittura al Settecento, ritiene che il linguaggio abbia origini manuali e gestuali e la scoperta dei neuroni specchio sembra dare ragione a questa teoria, anche se molti studiosi avevano già evidenziato lo stretto legame tra i movimenti della mano e quelli della bocca ancor prima della scoperta dei neuroni specchio.
Come rilevato da molti pedagogisti, affinché l’apprendimento sia veramente significativo e non semplicemente meccanico, l’attività pratica deve essere accompagnata dal pensiero e dalla riflessione, ecco il motivo per cui spesso gli incontri di psicomotricità sono introdotti e conclusi con momenti di riflessione e di presa di coscienza di quanto effettuato durante l’attività motoria.
Presso lo Studio è possibile stimolare nel bambino esperienze motorie, di relazione e linguaggio attraverso tecniche a mediazione corporea e di educazione motoria inclusiva.
Per informazioni e prenotazioni, prendere contatto con lo Studio.
La Legge 170/2010 "Nuove norme in materia di DSA in ambito scolastico" riconosce la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia come Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) che si manifestano in presenza di capacità cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali, ma possono costituire una limitazione importante per alcune attività della vita quotidiana. Il DSA si manifesta con caratteristiche diverse nel corso dell’età evolutiva e delle fasi di apprendimento scolastico.
La dislessia è caratterizzata dalla difficoltà di effettuare una lettura accurata e/o fluente; conseguenze secondarie possono includere i problemi di comprensione nella lettura e una ridotta pratica della lettura stessa.
Si parla di disortografia quando il bambino/ragazzo commette numerosi errori ortografici. La gravità del disturbo è legata all’età, al livello di scolarizzazione e alla tipologia dell’errore.
La disgrafia compromette la qualità dell’aspetto grafico della scrittura, fino a renderla illeggibile e agisce sulla capacità di scrivere in modo fluente; è un disturbo che riguarda prevalentemente l’aspetto motorio della scrittura, incidendo sull’aspetto grafico.
La discalculia è il disturbo relativo all'apprendimento del sistema dei numeri e dei calcoli.
Da tenere presente che il DSM-5 (l'ultima versione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) prevede un’unica categoria “Disturbo Specifico dell’Apprendimento” inserita all’interno della sezione: “Disturbi del neurosviluppo”.
ATTENZIONE: Le difficoltà nelle competenze comunicativo-linguistiche, motorio-prassiche e visuospaziali in età prescolare sono possibili indicatori di rischio di DSA, soprattutto in presenza di una storia familiare positiva.
Lo Studio si occupa di valutare il rischio del DSA attraverso screening degli apprendimenti e dei requisiti dell'apprendimento; è disponibile per la lettura delle diagnosi e per impostare un PDP coerente con la diagnosi stessa; si avviano percorsi educativi di trattamento e potenziamento delle abilità attraverso professionisti specializzati nella psicopatologia dell'apprendimento, DSA homework tutor e Tutor dell'apprendimento.
Disponibilità per percorsi di formazione e aggiornamento rivolti a insegnanti, educatori, tutor dell'apprendimento, genitori.
L'ADHD (acronimo inglese per Attention-Deficit Hyperactivity Disorder) è un disturbo del neurosviluppo, di natura congenita, che esordisce entro i 12 anni di età.
I sintomi cardine sono la disattenzione, l' iperattività e l'impulsività (a diversi livelli). Tali sintomi possono determinare problemi di comportamento, di interazione sociale e di rendimento scolastico diversi, a seconda della prevalenza di una o più caratteristiche. E' importante sapere che i metodi coercitivi di intervento non funzionano: anzi, spesso scatenano rabbia, oppositività e aumentano i comportamenti provocatori.
Presso lo Studio è possibile confrontarsi per affrontare la tematica da un punto di vista pedagogico-didattico, per avviare percorsi educativi con i ragazzi e formativi per educatori e insegnanti.
Disponibilità per percorsi di Parent-training con i genitori, allo scopo di promuovere il benessere dei figli e ridurre il livello di stress genitoriale e familiare.
Per anni ci si è preoccupati dell'inclusione di chi presenta difficoltà di apprendimento più o meno accentuate o disabilità, tanto che l'Italia si è presto rivelata un Paese all'avanguardia rispetto al tema dell'inclusione degli alunni con Bisogni educativi speciali, dovuti a disabilità e altre svariate difficoltà o disturbi di apprendimento.
Solo in un periodo relativamente recente si sta prestando attenzione verso bambini e ragazzi ad alto potenziale cognitivo e a studenti che hanno ricevuto un dono (gift). Giftedness è la plusdotazione e gifted è l'individuo plusdotato.
Gifted children sono considerati bambini e ragazzi molto o moltissimo intelligenti che possono avere sviluppato anche un particolare talento o un'abilità specifica.
Possedere un alto potenziale intellettivo non è necessariamente garanzia di successo, potrebbe sembrare paradossale, ma anche i gifted possono avere difficoltà di apprendimento in uno o più ambiti e presentare bisogni di attenzione, valorizzazione, apprezzamento e incoraggiamento, mettendo alla prova genitori e insegnanti.
Quante e quali caratteristiche dovrebbe possedere un individuo per essere considerato gifted? La plusdotazione è caratterizzata da una complessità di tratti comportamentali espressi in modalità differenti, anche se il valore del Quoziente d'intelligenza può essere indicativo, la plusdotazione non si identifica con un valore numerico. I soggetti gifted presentano caratteristiche diverse, non esiste infatti similarità tra tutti i bambini ad alto potenziale, anzi, possiamo parlare di forte eterogeneità rispetto a comportamento, capacità di apprendere, reagire, provare emozioni o manifestare bisogni, tuttavia è abbastanza frequente che i bambini plusdotati riescano a sorprendere genitori e insegnanti, fin dalla tenera infanzia, per una maggiore attitudine in almeno un determinato campo.
In ambito scolastico spetta ai docenti sostenere l'apprendimento degli alunni plusdotati valorizzandone i talenti.
Presso lo studio è possibile accedere a interventi di carattere pedagogico-educativo-laboratoriale integrati volti a valorizzare la condizione di plusdotazione cognitiva.
ELISA FABEMOLI, Bambini e ragazzi gifted. Plusdotazione e bisogni educativi in ambito scolastico, Erickson Live, 2022
Bambini e ragazzi gifted - EricksonLIVE
Negli ultimi anni, sono state evidenziate rivoluzionarie scoperte per quanto riguarda il funzionamento del cervello e della mente; tali scoperte hanno portato a importanti novità anche in merito al ruolo ed alla funzione della corporeità e, all’interno di essa, della motricità. La cognizione ha sempre occupato un ruolo di primo piano rispetto alla corporeità, per dirla in termini cartesiani: prima penso, dubito, conosco, poi agisco. Le nuove prospettive propendono verso una diversa visione del corpo, della coscienza, delle emozioni e della motricità e tendono cioè a rovesciare questo paradigma da tempo assodato. Le grandi potenzialità del movimento, a livello preventivo e riabilitativo, note anche a livello di saggezza popolare, acquistano presupposti scientifici che avvicinano fortemente la mente al corpo, grazie agli studi e ai risultati ottenuti dalle neuroscienze che aprono orizzonti nuovi. Negli ultimi venti anni, infatti, l’utilizzo di strumentazioni d’indagine sempre più sofisticati ha permesso un’approfondita conoscenza del funzionamento del sistema nervoso centrale e dei suoi meccanismi più complessi, in particolare, l’indagine si sta concentrando sui neuroni specchio e sull’azione dell’emisfero destro del cervello. Tali neuroni avrebbero la capacità non solo di guidare un’azione, ma anche di consentire il pensiero di un potenziale atto e non reagirebbero in modo meccanico a un semplice stimolo, ma riuscirebbero addirittura a coglierne il significato; da ciò si spiegherebbe il fatto che azione e percezione farebbero parte di un’unica funzione, per giungere alla conclusione che il procedimento che permette la comprensione delle nostre azioni, regola e consente pure la comprensione delle azioni, del pensiero e dei sentimenti altrui. In altre parole si tratta di neuroni che si attivano nel fare determinati movimenti, ma anche nel vedere gli altri fare gli stessi movimenti, da qui l’appellativo di neuroni “bimodali”.
La scoperta dei neuroni specchio è stata fatta da un team di ricercatori dell’Università di Parma, guidati dal dott. Rizzolatti, che hanno lavorato con il macaco nemestrino, una specie di scimmia comunemente impiegata nei laboratori di neuroscienze, perché presenta una neocorteccia cerebrale molto simile a quella dell’uomo. Tale scoperta sul cervello del macaco, molto simile al cervello umano, ha fatto ipotizzare che l’uomo sarebbe in grado di capire le azioni delle persone che gli stanno attorno e, quindi, apprendere per imitazione. Oggi si ritiene che i processi mentali siano modellati dal corpo e dalle esperienze percettivo-motorie, che sono il risultato dei movimenti del corpo nel mondo circostante e dell’interazione con esso. Il termine utilizzato è quello di embodied cognition (cognizione incorporata).
La domanda che sorge spontaneamente, allora, è se i meccanismi neuronali così descritti abbiano luogo anche per l’apprendimento e possano dare un valido contributo anche in ambito scolastico, nella pedagogia e nella didattica.
Dagli studi sui neuroni specchio si può dedurre che si possa imparare prima e meglio attraverso il corpo e il movimento, attraverso il fare esperienza diretta di ciò che viene presentato e quando si è mossi da una certa intenzionalità. Ciò non significa che si debbano usare necessariamente il corpo e il movimento per apprendere o che per imparare sia indispensabile avere intenzionalità, ma s’intende che l’area motoria del cervello umano è implicata nella comprensione delle azioni e percezioni che accadono intorno a noi, vale a dire che quando si osserva un’azione si attivano gli stessi circuiti che si accendono quando si esegue quella stessa azione; in altre parole, l’uomo utilizza le stesse connessioni senso-motorie (usate per eseguire e controllare i movimenti) che si attivano per comprendere l’azione osservata. Si tratta di una scoperta sensazionale poiché si esplicita il fatto che la base dell’apprendimento umano sia di natura motoria.
Data questa interessante premessa, diviene ancora più invitante la possibilità di accedere a percorsi di psicomotori e di apprendimento che lo Studio offre.
Un atto di bullismo si caratterizza per: intenzionalità, ripetitività, sistematicità, asimmetria di potere, presenza di complici e spettatori, incapacità di difendersi della vittima. Il bullismo è un fenomeno di natura sociale, chi assiste, può assumere diversi ruoli: difensore, aiutante del bullo, sostenitore del bullo, spettatore passivo. Il bullismo può essere un atto diretto (fisico, verbale), indiretto (pettegolezzo), discriminatorio (razzista).
Con la Legge 71/2017 viene introdotta una definizione di cyberbullismo:
«Qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto di identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito dei dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso o la loro messa in ridicolo». Il cyberbullismo è dunque la manifestazione in Rete del fenomeno del bullismo.
In tutto questo, la responsabilità dei genitori è correlata ai doveri inderogabili posti a loro carico e alla conseguente necessità di una costante opera educativa.
Presso lo Studio è possibile affrontare tale tematica con genitori, insegnanti, educatori e ragazzi attraverso percorsi educativi e formativi.
La narrazione è il codice più utilizzato per comunicare con i bambini. Da sempre si narrano storie per intrattenere, comunicare, creare legami, sviluppare l'immaginazione e la fantasia. In genere i bambini hanno un loro racconto (o una fiaba) preferito che chiedono e richiedono di ascoltare. Ogni volta partecipano con trasporto, paura ed emozione al racconto e vivono con gioia il lieto fine.
Più un bambino ascolta un adulto parlare e raccontare e prima imparerà ad esprimersi. Un grande numero di ricerche ha dimostrato che il principale fattore di apprendimento linguistico nei primi, cruciali mesi e anni di vita è rappresentato soprattutto dal rapporto a due (fondamentalmente quello madre-bambino) in un coinvolgimento verbale reciproco in cui i protagonisti, adulti e bambini, svolgono congiuntamente qualche attività specifica (giocare, eseguire lavori domestici, raccontare, leggere ad alta voce).
L’ascolto di narrazioni favorisce l’attivazione di nuovi circuiti cerebrali dedicati all’elaborazione, all’organizzazione e alla conservazione di quanto viene appreso e quindi alla memoria. Quando un bambino ascolta una storia rielabora il contenuto nella sua mente, utilizza le informazioni in entrata dando importanza ad alcuni elementi piuttosto che ad altri in base: alla sua motivazione, alle sue aspettative, alla sua storia personale, ai suoi interessi; mescola il contenuto del racconto udito con le sue fantasie e con le emozioni ad esse legate, rimodellandolo e modificandolo secondo attitudini personali.
Tra le funzioni delle fiabe c'è anche quella di suscitare emozioni e dare loro un nome. Per il bambino il racconto esorcizza le paure; i personaggi vengono subito individuati e classificati: ci sono i buoni e i cattivi! I bambini si immedesimano nei personaggi.
Bruno Bettelheim (1977) apre una nuova luce sulla fiaba: la fiaba diviene “terapeutica” e accompagna il bambino nella sua crescita.
Gli interventi pedagogici con i bambini costruiscono percorsi a partire dalle narrazioni in modalità ludica, attraverso l'interazione verbale e l'utilizzo di oggetti.
Presso lo Studio, attraverso la narrazione, vengono avviati percorsi educativi e di apprendimento con bambini e ragazzi e percorsi formativi per educatori e insegnanti. Vengono proposti interessanti intrecci tra narrazione e psicomotricità e tra narrazione e didattica per l'apprendimento.
Reuven Feuerstein nasce in Romania nel 1921, dopo essere stato deportato in un campo di concentramento si trasferisce in Israele. Comincia qui a lavorare con i bambini provenienti dai campi di raccolta, con traumi psichici, ritardi cognitivi e difficoltà di apprendimento. Lavora e studia con Jean Piaget, approfondendo le teorie sullo sviluppo cognitivo. Diventa docente di psicologia all’Università di Bar Ilan di Tel Aviv.
Gli effetti positivi del suo lavoro rafforzano in lui l’idea che una Modificabilità Cognitiva sia possibile: l'intelligenza è educabile.
La Pedagogia della Mediazione di Feuerstein si basa proprio sul concetto della intelligenza modificabile, i cui postulati sono stati espressi precedentemente sia da Piaget che da Vygotskij: l’uomo è un sistema aperto e dinamico, è modificabile. Il Programma di Arricchimento Strumentale (PAS) del Metodo Feuerstein si applica a situazioni anche molto diverse tra loro: dal ritardo cognitivo, alle difficoltà di apprendimento, allo sviluppo del proprio potenziale attraverso la mediazione. Facciamo riferimento quindi a varie categorie di persone:
persone con Sindrome di Down e con ritardo cognitivo
bambini/ragazzi con difficoltà scolastiche
bambini/ragazzi con disturbo dell’attenzione
adulti con malattie degenerative
bambini e adulti con QI nella norma (per migliorare l’efficienza intellettiva)
Gli obiettivi del Medodo Feuerstein:
Incentivare l’abitudine alla concentrazione e alla riflessione;
Ridurre il comportamento impulsivo
Correggere strategie cognitive negative o poco funzionali;
Rinforzare le capacità di attenzione e di memorizzazione;
Sviluppare il pensiero riflessivo e generalizzare quanto appreso in altri contesti;
Produrre una motivazione intrinseca al compito attraverso un atteggiamento di sfida verso le difficoltà del problema;
Esprimere riflessioni e aspetti della vita interiore, contenuti di natura relazionale ed emozionale
Sviluppare il vocabolario
Stimolare l'uso di etichette verbali per descrivere relazioni spaziali
Finalità: Accrescere la modificabilità della persona attraverso l’attivazione e lo sviluppo delle funzioni cognitive.