Il culto


Il santuario di Polizzello era sicuramente per i Sicani un luogo di culto importantissimo.

Esso, infatti, non solo custodiva gelosamente le antiche tradizioni sicane, ma aveva accolto culti diversi anche di origine straniera.


Il pasto rituale

Appare certo che fin dal X secolo a. C., periodo a cui risale la prima occupazione dell’acropoli, gli abitanti del luogo praticassero la cosiddetta “cucina del sacrificio” accompagnata da pasti rituali e dalla frantumazione degli oggetti usati per il rito che venivano lasciti sul posto.

Questa pratica ha accompagnato l’intera vita del santuario e tracce di essa sono state ritrovate anche nella zona dell’abitato.

Il pasto rituale aveva una valenza sia di carattere sociale che religioso. Infatti, i banchetti da un lato erano una sorta di collante che rinforzava i legami e le alleanze tra i gruppi; dall’altro avevano una connotazione religiosa con un forte richiamo all’aldilà come dimostrano la pratica della rottura degli oggetti che venivano posti con la parte concava verso il terreno, la presenza di elementi ctoni come il serpente e di tubi fittili usati per le libagioni tra i vivi e i morti.

Gli offerenti (Antiquarium di Mussomeli)

Un culto di fondamentale importanza per gli abitanti dell’antica Polizzello era sicuramente legato a una divinità femminile. Ciò è dimostrato dal gran numero di oggetti ritrovati che rinviano ad esso.

La tipologia dei reperti ha rivelato una sorprendente verità. La divinità venerata a Polizzello sembra avere le stesse caratteristiche della Grande Madre cretese o delle Meteres, una triade di divinità femminili venerate a Creta e a cui era dedicato il santuario di Engyon, una mitica città fondata in Sicilia dai cretesi giunti sull’isola a vendicare la morte di Minosse.

I segni di un contatto con la civiltà minoica sono diversi a partire da due basi di colonna ritrovate nel sito. La loro base presenta la parte inferiore, che è quella che veniva interrata, molto grezza, mentre la parte superiore risulta ben tornita e rappresentava la base su cui probabilmente poggiava la colonna vera e propria che poteva essere fatta di legno.

Questo tipo di colonne sono caratteristiche dell’architettura minoica.

Inoltre, nel sacello E sono stati ritrovati dei modellini fittili di capannine circolari, un pinax di terracotta con una porta e gli stipiti e un pendaglio bronzeo a forma di tridente le cui punte richiamano le corna di un toro, tutti segni di un contatto con la cultura minoica. Infatti il toro così tanto rappresentato richiama subito Creta e la leggenda del Minotauro; le capannine a pianta circolare insieme al pinax sono elementi simbolici che presentano chiare affinità con i modelli utilizzati a Creta nei culti domestici ma anche nelle processioni e nei riti funerari. Quelli cretesi al loro interno presentano spesso la figura di una divinità femminile con le braccia alzate, figura non presente in quelli di Polizzello; tuttavia essendo la dea Madre legata al ciclo delle stagioni non sempre era presente alla vista dei suoi fedeli e quindi anche se vuota la capannina rappresenta sempre la divinità.


Al culto della dea Madre rimanda anche un altro reperto qui ritrovato, un bronzetto a tridente che nella sua stilizzazione ricorda in modo inequivocabile il gesto delle braccia alzate.

A confermare ulteriormente che nel santuario si venerasse una divinità femminile sono anche i reperti dei sacelli D e C dove sono stati ritrovati moltissimi oggetti di ornamento personale come collane, bracciali e pendagli in osso, avorio, ambra e pasta vitrea, fibule in osso e avorio o addirittura in argento.

Odisseo a Polizzello

Se nei sacelli C e D si venerava la Dea Madre o le Meteres, a una divinità maschile era sicuramente dedicato il sacello B.

Quando gli archeologi hanno tolto lo strato superficiale di copertura si sono ritrovati davanti a uno spettacolo veramente inatteso. Ai piedi di un altare in pietra erano deposti un elmo di fattura cretese quasi perfettamente integro, una lancia lunga 74 cm e quindi non adatta al combattimento, due lamine in bronzo ripiegate raffiguranti due delfini, forse l’ornamento di uno scudo, molte punte di lancia.

Era come se si trattasse del corredo di un guerriero e anche di rango piuttosto elevato. Una deposizione del genere viene descritta secoli dopo da Cicerone nelle Verrine dove racconta che Scipione l’Emiliano dopo la vittoria su Cartagine avesse offerto alle divinità del santuario di Engion corazze e elmi di bronzo su cui aveva fatto incidere il proprio nome.

«Un santuario della Grande Madre è presso Engio …. in questo santuario, il medesimo Scipione, uomo eccellente sotto tutti gli aspetti, aveva lasciato in offerta corazze ed elmi di bronzo cesellato in stile corinzio e grandi idrie simili come tipologia ed eseguite con la medesima tecnica, aveva fatto incidere il proprio nome» (In Verrem, II, 4, 97)

Il ritrovamento era davvero straordinario, ma le sorprese non erano ancora finite.

Sull’altare infatti era posta una figura in terracotta con le sembianze di un guerriero itifallico, barbuto, con elmo e scudo.

I caratteri della statuetta e soprattutto il fatto che sia itifallica hanno portato l’archeologo Dario Palermo a ipotizzare che ci si trovava difronte al culto di un eroe progenitore, anzi dell’eroe progenitore dei Sicani che altri non era che Odisseo, stando al racconto di Stesicoro di Himera uno di quegli autori che per primo ha usato la tecnica dello storytelling.

Il tipo di offerte rinvenute in questo sacello, infatti, ricordano la donazione che, secondo Plutarco, Ulisse fece alle Materes di Engyon delle lance e dell’elmo al suo ritorno da Troia così come i delfini sono immediatamente riconducibile all’epos odissiaco.

Il fatto che la figura fittile del guerriero sia dotata di scudo, che le lamine raffiguranti i delfini costituivano l’episema di uno scudo, che una particolare coppa con delfini è stata interpretata come un modellino fittile di scudo evidenzia il grande valore simbolico per i Sicani di questo oggetto. Non è un caso infatti che questo popolo riconoscesse in origine quale progenitore il mitico Leucaspide, l’eroe «dallo scudo lucente» che aveva combattuto contro Eracle. È dunque probabile che il culto di Ulisse si sia sovrapposto a quello originario mantenendo però un fil rouge identificabile proprio nello scudo.