Nel tempo, il termine modello in architettura ha assunto molteplici significati, trasformandosi da schema statico a strumento dinamico. A partire dal XVIII secolo, i modelli sono stati utilizzati per dare ordine alle scelte progettuali, rispondendo ai bisogni di epoche diverse. Oggi, si distinguono quattro principali approcci, ognuno dei quali riflette una diversa visione del progetto e del rapporto tra spazio, funzione e utente.
Modello oggettivo
Nasce in contesti razionalisti e illuministi, dove il progetto è visto come risposta diretta a esigenze misurabili. L’obiettivo è ottimizzare spazi e funzioni sulla base di dati concreti, come fa Alexander Klein con i suoi studi sulla distribuzione domestica. In questo approccio rientrano strumenti come il Modulor di Le Corbusier e i manuali standardizzati del modernismo, pensati per garantire efficienza e replicabilità, soprattutto in periodi di ricostruzione o forte urbanizzazione.
Modello prestazionale
A partire dagli anni ’60, si comincia a considerare la complessità dei bisogni e delle relazioni spaziali. Christopher Alexander propone di scomporre le funzioni in elementi minimi e di riorganizzarle non più in schemi rigidi ad albero, ma in reti articolate, come nel concetto di semilattice. Questo modello consente una lettura più flessibile e profonda dei contesti, aprendo a soluzioni meno schematiche e più integrate.
Modello strutturalista
Ispirato agli studi antropologici e linguistici, questo approccio vede l’architettura come una struttura di regole fisse ma con parti modificabili. È centrale il concetto di open building, formulato da John Habraken, secondo cui la parte permanente di un edificio può convivere con componenti adattabili, trasformabili nel tempo dagli utenti. Si afferma così l’idea di un progetto che non si chiude nella forma finale, ma resta aperto all’uso e al cambiamento.
Modello diagrammatico
Con l’uso crescente dei computer, il progetto diventa un sistema di relazioni in continua evoluzione. Il modello diagrammatico non definisce forme, ma processi: lavora con dati, flussi, parametri ambientali. Architetti come Peter Eisenman o Ben van Berkel di UNStudio usano diagrammi come strumenti generativi. Ne sono esempi la Mobius House – una casa in cui funzioni e movimento si fondono in uno spazio fluido – o il Mercedes-Benz Museum di Stoccarda, in cui la logica distributiva è dettata da connessioni funzionali più che da gerarchie formali.
L’evoluzione del modello riflette il passaggio da una visione lineare e oggettiva dell’architettura a una concezione più fluida, interattiva e aperta al cambiamento. Oggi, grazie agli strumenti digitali, il modello non serve più solo a rappresentare, ma a generare possibilità: è una guida per interpretare la complessità del mondo e per costruire spazi capaci di adattarsi nel tempo.