Articolo Biohistory Storia di una paternità

Antonia Colamonico, Edgar Morin

Edgar Morin e Biostoria: storia di una paternità

"Edgar Morin and Biohistory:

the story of a paternity"

Prima parte

Antonia Colamonico 2003

Pubblicato in inglese su: World Futures: The Jounal of General Evolution, a cura di A Montuori. Vol. 61 - n° 6, pp. 441-469, part of the Taylor & Francis Group - Routledge, August 2005.

2a Parte

Premessa

È importante il nome. Nel processo di conoscenza il nome dà la dignità di esistere. Il nome, isolando un quid da un tutto, attribuisce a quel quid uno stato, cioè gli fa assumere un luogo, un tempo e un fatto. Biostoria prese nome nell’agosto 1992, nell’attimo in cui la mia mente isolò il quanto storico, quale promotore di vita. Al nome segue, poi, il corpo e Biostoria iniziò a prendere corpo nel 1993 dall’incontro col pensiero di Edgar Morin.

Biostoria era stata per circa un anno un giocattolo con cui mi trastullavo per mostrare agli alunni l’esplosione degli eventi negli spazi. Le avevo dato anche una veste poetica, Spazioliberina, sotto forma di filastrocche (Colamonico, 1993). Quando, nell’estate 1993, lessi Introduzione al pensiero complesso (Morin, 1993) in cui è ipotizzata la nascita di una nuova scienza e di un nuovo pensiero in grado di leggere l’uno-tutto, capii che quello sarebbe stato il corpo-mente-sguardo della mia gioiosa bambina. Fu così che adottai Morin come padre per biostoria.

1. La scoperta della complessità

Nel prologo a L’Universo Sapiente il fisico G. L. Schroeder (2002), interrogandosi sulle origini dell’organizzazione della vita, dice:

- Ogni particella, ogni essere, dall’atomo all’essere umano, sembra contenere al suo interno un livello di informazione, di intelligenza consapevole… l’idea che all’origine dell’esistenza vi possa essere un elemento non fisico come l’informazione o l’intelligenza non sminuisce in alcun modo gli aspetti fisici delle nostre vite.

L’informazione sembrerebbe, alle soglie del terzo millennio, avvolgere l’umanità, come alghe profonde e stratificate in un oceano, da cui l’uomo, nella sua piccolezza infinitesimale, sembra non riuscire a venirne a capo.

L’informazione, oltre ad aver invaso l’economia, la politica, la vita quotidiana, le strade, le stazioni metropolitane, gli scaffali dei supermercati, gli studi dei dentisti, le cucine di casa, i telefonini degli studenti; inizia la sua scalata alla materia, al pensiero, alla stessa costruzione profonda della vita (Lwoff, 1974).

L’informazione, vera star del XXI secolo, con tutte le sue sfumature di significati:

spiazza, disorienta, isola, avvicina, scava e crea correnti di umori, di emozioni, di condivisioni, di dissensi, di mode, di paure, di ordini, di sistemi, di organismi.

L’informazione da semplice dato che mostra all’occhio osservatore la presenza di un quid, si sta trasformando essa stessa in organizzazione di realtà. A tutti i livelli esplorativi si coglie la presenza di un filo-codice che entra nelle maglie organizzative delle identità storiche. La scoperta di una complessità informativa a più livelli soggiacenti di spazi-tempi, sta di fatto ri-velando (velando di nuovo) la molteplicità del reale, con la messa in discussione delle certezze, elaborate nel corso degli ultimi cinquecento anni dalla Cultura Occidentale e non solo.

Volendo provare, con un processo neghentropico, a risalire tale groviglio di flussi semantici e organizzativi, per comprenderne a pieno l’ampiezza storica del fenomeno informazione, si può partire dalla constatazione di una profonda crisi nel rapporto osservato-osservatore che sta rivelando un ribaltamento nelle logiche di lettura dei processi (Morin, 1993).

Ribaltamento dovuto allo sconfinamento, come un’interferenza-rumore, tra chi guarda e chi è guardato; tra chi legge e chi è letto.

Per comprendere meglio il salto di paradigma in atto, bisogna precisare che la scoperta della complessità informativa equivale a quattro ri-scoperte.

1. Il dinamismo della vita, non può essere imbrigliato in una carta di lettura:

  • Le carte-mappe sono solo dei modelli interpretativi che servono a facilitare l’esplorazione del territorio, ma non sono il territorio. Esse sono relative alla dimensione topologica, il territorio alla vitalità. La cartina di una città non contiene il dinamismo della città, per cui la si può definire solo una riduzione in scala semplificata, funzionale all’azione di conoscenza e d’esplorazione (Rosenstehl, 1981). Ma, se le carte sono solo modelli di lettura della realtà e i modelli costituiscono la medesima conoscenza, provando ad ideare un modello nuovo, automaticamente cambierà la visualizzazione della medesima realtà, effetto caleidoscopio (Colamonico, 2002). Tale mobilità di lettura si comprende meglio se si ripensa al problema della mano di marmo di E. Kant. La soluzione è legata ad un occhio-osservatore che muovendosi in uno spazio a quattro dimensioni vede annullarsi la specularità (l’una mano dell’altra) degli oggetti a tre dimensioni (Banchoff, 1993). Ma lo studio del ribaltamento della lettura in relazione alle dimensioni spazio-temporali, era troppo sconvolgente nel periodo storico di Emanuele Kant, per cui un io penso, come io categorico, era fortemente rassicurante per una conoscenza e relativa coscienza che ambivano alla assolutezza, allontanando l’incognita e l’imprevisto.

2. L’inadeguatezza della scienza, mostra/nasconde parti del tutto (Maturana,1993):

  • Essendo la scienza stessa carta di un territorio, essa apre ad alcune visualizzazioni di realtà e chiude ad altre, in questo processo di lettura svela e rivela parti del tutto. Lo svelare/rivelare è in relazione al fuoco di lettura, all’oggetto isolato, allo sguardo lente con cui l’io osservatore va ad espletare l’azione di costruzione di mappe di realtà. C’è una differenza tra mappa e rete: la mappa è relativa ad una lettura di dinamica, occhio esterno; mentre la rete è la dinamica, come l’insieme dei nodi comunicativi, interni, con cui un reale si organizza nel tempo-spazio (Maturana, Varela, 1992).

2. L’occhio di lettura condiziona le medesime rilevazioni esperite:

  • La realtà subisce una deformazione in funzione, ad esempio, della convergenza degli occhi o del punto cieco di lettura, ecc. L’occhio-mente uomo visualizza una realtà differente dall’occhio-mente mosca o gatto (Hubel, 1989). Lo spazio acquisisce le dimensioni di chi l’osserva: a tre è dell’uomo, a due è della rana. Ma cosa sia la stessa realtà è da ridefinire, in quanto la vecchia oggettivazione era frutto di una separazione tra l’osservato-osservatore-osservazione: tra il piano lettore (colui che legge), letto (colui che è letto) e lettura (ciò che viene letto, come insieme di informazioni). Oggi, con un occhio eco-sistemico, la realtà è il frutto di una negoziazione (= azione di negozio-mercatura). Meglio un processo di eco-inter-azione quale dinamica di percezione-visione-elaborazione-ambiente-manipolazione. La realtà è nella stessa dinamica e non più negli oggetti/soggetti (Bateson, 1977) che stanno di fronte, si spiega così il valore che la stessa informazione assume nella costruzione del reale.

3. L’organizzazione vitale è informazione (= azione che in-forma = rende forma).

  • La vita in una dimensione meta-storica (Morin, 1993) e biostorica (Colamonico, 1998), è un processo di apertura/chiusura di spazi-tempi per effetto dei quanti storici che danno disordine/ordine alla realtà. Il disordine è il grado d’entropia, come perdita di organizzazione. L’ordine è il grado di sintropia, quale acquisto di un nuovo ordine organizzativo. La perdita/acquisto-acquisto/perdita è proporzionale alla capacità di quel dato organismo a misurarsi con le alee di campo che lo perturbano, e allo stesso campo a relazionarsi con le risposte-alee dell’organismo che lui stesso ha perturbato. Le perturbazioni provocano negli individui/campi la de-strutturazione/ri-strutturazione, come mutamento/permanenza della memoria-informazione di sé. La memoria è il grado di coscienza che permette di misurarsi con i quanti storici; il misurarsi, è la capacità a confrontarsi con la dimensione dell’essere e del divenire. Il confrontarsi implica, a sua volta, un’azione di neghentropia, quale apprendimento del vivere (Morin, 1977). La neghentropia riduce il disordine informativo e nel contempo apre all’ordine nuovo, come nuovo grado di complessità-informazione, sintropia del caos. Il processo storico-vitale si gioca in queste tre fasi di entropia-neghentropia-sintropia che ciclicamente si in-seguono (= seguono insieme), come la luna e il sole, dando vita/morte ai differenti presenti storici (Colamonico, 2002).
(Carta biostorica elaborata da: A. Colamonico. Biostoria. Il filo, Bari 1998.)

Da Galilei in poi la scienza aveva avuto la pretesa a poter dimostrare, indipendentemente dal legame osservato-osservatore-osservazione, la natura della Natura.

I sistemi di Cartesio, di Newton, di Laplace, tendevano, ognuno a proprio modo, di risolvere il sogno, appartenuto ad ogni epoca, di scrollarsi di dosso l’incertezza, l’incompiutezza, con la relativa angoscia dell’ignoto, per acquisire l’assolutezza nel dire, nello sperimentare, nel comunicare e nel governare. Il sogno di essere il dio del proprio sapere e della propria storia. L’opera titanica dei pensatori razionalisti, empiristi e illuministi aveva risolto le ambiguità di un apparire aperto a più sfaccettature, con la costruzione di tante scatole disciplinari allineate in cui, ordinate da leggi e calcoli matematici, ogni ambiguità assumeva la dignità di Scienza con la maiuscola.

I fenomeni venivano catalogati, misurati, isolati e racchiusi. Gli scienziati con zelo dimostravano il movimento disciplinato della vita, mentre si lasciava ai pittori e ai poeti il compito di raccontare quello indisciplinato. Ciò spiega il dualismo tra pensiero scientifico e pensiero umanistico con il relativo primato del primo sul secondo, con l’egemonia delle leggi fisico-matematiche su quelle psichico-emotive, con la supremazia dell’economia della ragione su quella del cuore, dell’economia degli Stati su quella degli Uomini. Ma, come ben sa l’atleta, ogni primato si presta ad essere superato.

Il secolo 1900 se da un lato ha segnato l’apice di tale egemonia, con quella che è definita la rivoluzione tecnologico-industriale, dall’altro indica la pietra d’angolo del ribaltamento e il relativo declino del titanismo scientifico meccanicistico determinista (Morin, 1993).

Per comprendere il nodo di crisi del sistema epistemologico occidentale, bisogna rileggere il testo di J Gleick: Caos - La nascita di una nuova scienza (1987). Il giornalista fa una incursione ai bordi della ricerca scientifica e mette insieme una serie di teorie che vanno dalla meteorologia, alla geometria; dalla sociologia, alla biologia; dalla fisica alla geologia, sottolineando, ai profani della scienza, la presenza di ununiverso scientifico minore:

  • Universo minore, per ridondanza e non certo per valore, che ai margini delle Accademie, indaga sulle evoluzioni organizzative dei sistemi vitali e sui processi non lineari.

Le dinamiche, viste come un unico corpo organico, prendono forma sugli schermi dei computer, visualizzando il disordine come elemento dinamico e generativo della complessità della natura. Per essere più precisi, ai margini della scienza ufficiale si scopre che l’errore, quale fattore aleatorio, è la forza rigeneratrice della natura che apre i sistemi alla sintropia del Caos (= ordine delle diversità).

La scoperta scientifica del disordine, come incertezza o lato oscuro intrinseco all’organizzazione vitale, assume vari nomi:

  • effetto farfalla o dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali; dimensione frattale; turbolenza; attrattore strano con relativo bacino d’attrazione; biforcazione e sdoppiamento delle linee evolutive, finestra di ordine nel caos, esplosione e implosione dei sistemi organizzativi.

Tutti nuovi movimenti di correnti concettuali che rimettono in gioco la stessa conoscenza, vista non più come dato acquisito, una volta per sempre, ma come una perenne ri-organizzazione, ri-definizione, ri-appropriazione (Morin, 1977) di un gioco campo-individuo che sembra sfuggire ad ogni tentativo di catalogazione.

Si passa così da una scienza ad orologi ad una a nuvole (Popper, 1989). Da una lettura a sistemi chiusi a una a sistemi aperti alle alee d’evento (Prigogine, 1993) che rendono sempre nuovi e unici i processi, soggetti alle variazioni di campo. Da un sapere che afferma ad uno che ipotizza linee future di mondi possibili (Popper, 1984), in cui l’uomo entra nel gioco nella dinamica della natura con la sua stessa creatività.

Da tutte queste esplosioni di variabili che allargano il campo scientifico alla alea, la conoscenza, fortemente limitata e vincolata agli occhi-spazi d’osservazione (Einstein, 1988), agli strumenti-scale di lettura (Gleick, 1987)), acquista un nuovo significato. Non è più il campo dell’essere, ma bensì del divenire. Non più il fotogramma fermo in un tempo assoluto, ma un processo cinetico che accompagna la dinamica organizzativa della vita.

La scoperta della complessità, nella sua ricchezza di forme, a partire dagli anni ’60, dimostra il limite del grande castello determinista, con la relativa inadeguatezza a contenere e predire, nella ricchezza delle sue forme, la vita.

Il mondo dei poeti e dei pittori acquista, così nuova dignità ad essere, ad esistere.

  • C’è più realtà in un paesaggio di van Gogh che con pennellate veloci sfuocata e quantizza i confini dei luoghi, mostrando le turbolenze dei compi vitali, che nella legge del moto armonico smorzato del pendolo.

Il principio di falsificazione della scienza teorizzato da Popper (1984), può essere concretamente visualizzato dai giochi dei venti di Lorenz o dai salti di scale di lettura della crosta terrestre di Scholz o dalle finestre di ordine generate dal caos di Mey (Gleick, 1987); dalle forme frattali della geometria di Maldelbrot (1984).

All’inadeguatezza della scienza segue, come effetto farfalla, l’inadeguatezza delle politiche, delle economie, delle tecnologie, degli strumenti di lettura, delle mappe concettuali, delle carte topologiche, delle metodologie applicative e delle azioni riequilibranti.

Per comprendere il collassamento di tutto l’universo determinista, bisogna precisare che c’è un rapporto retroattivo positivo di squilibrio tra le indagini topiche, locali, e la visione utopica, generale, che giustifica quelle.

Nel processo d’appropriazione da parte dell’io-osservatore della realtà, una variazione, anche minima nelle prime delle due locali, automaticamente produce una ristrutturazione di tutta quanta la gnoseologia che la contiene (Colamonico, 2002).

Ed è proprio su tale salto cognitivo che si va ad intessere il pensiero e l’analisi di E Morin. Le sue opere tracciano, con ampiezza e profondità di riflessione, le nuove strade per lo studio della natura e della stessa umanità; lo studio del pensiero complesso e quello dell’organizzazione di una realtà anch’essa complessa.

Il bisogno di ritrovare il paradigma perduto è il grido che Morin (1973) lancia nella notte gnoseologica dell’Occidente. Ritornare all’interezza della vita, vista come un ologramma, egli ripete nei suoi scritti. Facendo sua l’esigenza di vedete l’uno nel tutto e il tutto nell’uno di Pascal (1967), Morin grida di ritornare a quella capacità di cogliere l’infinito-finito insieme.

Ed è proprio da tale invocazione che parte l’indagine biostorica, come bisogno a ripercorrere il sentiero smarrito, a ridisegnare la carta della storia, a ritrovare la mappa perduta del rapporto uomo-natura che faceva dell’uno e dell’altro un unico organismo vitale.

2. Crisi di lettura di un occhio univoco-sequenziale

La constatazione della forza rigeneratrice della natura che risponde ai fattori aleatori edificando processi nuovi (effetto farfalla), limita il determinismo fisico, secondo cui la natura deve ineluttabilmente seguire il suo corso, secondo una sequenzialità lineare di causa-effetto. Secondo la scienza classica, una volta isolato e identificato un processo naturale, esso diviene percorso-legge ben definito, tanto che si può calcolare con certezza matematica il suo divenire nel tempo (orologio).


Una simile organizzazione produce, a sua volta, come effetto di ricaduta sull’occhio-mente osservatore, una linearità, rigidità e assolutezza di visione:

  • unica la dinamica, unica la lettura.

Si possono spiegare, così, gli irrigidimenti ideologici di destra e di sinistra che hanno prodotto gli estremismi e le divisioni con i relativi eccidi di massa del ‘900 (Morin, 2001).

Dalla rigidità mentale nasce l’interpretazione univoca della natura e della storia. Dalla rigidità dell’interpretazione della natura e della storia, quella univoca della mente: le due si assolutizzano e rinforzano a vicenda. In tale nodo storico di vincolo visione-processo si può leggere tutta la miseria del novecento, che ha portato al livello estremo la concezione di Laplace. I genocidi e i lager sono il risultato delle menti malate di linearità, di titanismo e di assolutismo:

  • la razza perfetta, lo stato perfetto, la chiesa perfetta, la famiglia perfetta, l’uomo perfetto, il padre perfetto, il marito perfetto, il figlio perfetto.

L’alea, introducendo l’indeterminismo, ha dato nuovo ossigeno al gioco storico-naturale con una visione aperta di futuro:

  • i processi non sono necessariamente consequenziali, da un processo può scaturirne, per sdoppiamento, uno completamente nuovo che annulla il precedente o lo ridimensiona.

Ma cosa significa un futuro aperto se non dare lettura all’imperfezione, al disordine, all’imprevisto, all’errore, alla malattia e offrire loro nuova dignità, integrandoli nel dialogo vitale.

La dinamica di processo, aperta alle alee di percorso, visualizza un’innegabile asimmetria tra i piani passato-futuro:

  • mentre il passato è un costruito che non può essere modificato; Il futuro è invece un costruibile che si presta a delle continue modificazioni, per effetto della forza creatrice della natura e dell’uomo che rispondono alle strozzature o agli stalli evolutivi con la loro intelligenza (Popper, 1984).

Ecco come si spiega l’importanza data alla stessa informazione nel processo d’organizzazione della natura, visto come un apprendimento di tutta quanta la casa cosmica (Capra, Steindl-Rast, 1993).

La capacità d’inventare equilibri nuovi permette alla storia di liberarsi del passato che non è più, da solo, il garante del futuro. È quello che Cipolla (1974) definirebbe “il passato è morto”. Da un punto di vista biostorico, il passato muore nell’istante in cui il suo paradigma non è più accettabile a giustificazione dei fenomeni, intendendo per paradigma le strutture sovralogiche che giustificano le scale di valore di una data gnoseologia (Khun, 1978). Sono le scale di valore che aprono ai mondi possibili o meglio alle futurizazzioni dei tempi 0, che rendono sempre presente la vita.

Ma facciamo un passo indietro. Distinguendo il passato, come l’area dello spazio-tempo fattuale (che è stato fatto-costruito-dato); dal futuro, come area dello spazio-tempo del fattibile (che può essere fatto-costruito-dato), si assegna al primo lo spazio di una visione chiusa; al secondo quello di una visione aperta (Colamonico, 1993). Il futuro, pur influenzato dal presente, rimane sempre legato a tutte le ipotesi, essendo il mondo del possibile. La liberazione implica, a livello mentale, imparare a confrontarsi con l’imprevisto, il non immaginato, l’impensato, l’inatteso.

In una visione di futuro a campo aperto, il passato entra marginalmente nella costruzione storica, in quanto non necessariamente può imprimere il senso-direzione alla edificazione della sua struttura. Per comprendere tale mutamento di prospettiva si dovrà iniziare a pensare alla struttura della storia come ad una realtà bio-fisico-informativa complessa e non lineare come invece è rappresentata nella carta temporale del Cellario, utilizzata nelle scuole, in cui la storia è scomposta in:

  • Preistoria → Storia antica → Medioevo → Età moderna → Storia contemporanea (Colamonico, 1994).

Con occhio biostorico, la storia è un’organizzazione naturale d’edificazione di spazi-tempi-fatti che nel corso del tempo ha assunto e assume una struttura a spugna, per effetto della gemmazione degli eventi. La spugna, a sua volta, è una struttura complessa in costruzione che contiene l’informazione dell’uno-tutto, pur aprendosi a espansioni nuove.

Per comprendere meglio è bene precisare che la dinamica dei quanti perturba lo stato del presente, modificando gli stadi vitali che potranno assume differenti forme-creste evolutive (Colamonico, 2002).

(Carta biostorica elaborata da: A. Colamonico. Biostoria. Il filo, Bari 1998.)

Procedendo con ordine, si può comprendere il salto di visione dalla linearità alla complessità e riflettere sui sistemi di lettura, d’indagine. Se il passato non è il garante del futuro, automaticamente gli appresi e i conosciuti, come il bagaglio informativo accumulato e custodito, non sono più sufficienti per saper rispondere alla vita.

La scoperta dell’incompletezza delle letture ha prodotto in questi anni, come effetto, lo smarrimento delle menti. Il caos informativo è emerso in tutti i campi della conoscenza, tanto che molti hanno profetizzato, la morte dell’Occidente o per eccesso d’informazione (Toffler,1988) o per corto circuito degli eventi (Baudrillard, 1993). E si è registrata l’insorgenza di una schizofrenia collettiva.

  • Ma quale è il fattore scatenante di tale follia umana? Se di follia si può parlare.

La risposta è semplice:

  • nella incapacità di lettura della complessità.

La mente umana non viene educata a leggere la complessità, vista come una molteplicità di linee evolutive che si perturbano insieme e si auto-organizzano, ri-perturbandosi nuovamente, secondo un processo di retroazione positiva, esponenziale.

Nel corso degli ultimi secoli, sono stati privilegiati i sistemi sequenziali, nell’organizzazione delle informazioni. La catalogazione, la stesura, la memorizzazione, l’osservazione, ecc. delle informazioni, avvenivano secondo ordini temporali lineari di successione, di causa-effetto.

L’organizzazione alfabetica della scrittura, ad esempio, è una successione temporale di lettere-parole-periodi che rendono linea il discorso con il corrispettivo occhio di lettura.

Lo stesso non può dirsi di uno schizzo pittorico in cui l’artista visualizza un disordine informativo che assume una particolare armonia visiva dall’interazione del pieno/vuoto di segno. Qui, gli spazi assumono un pari valore al fine dell’effetto sematico-visivo e l’occhio-lettore è libero di focalizzare e muoversi sul tutto, libertà dell’occhio (Rovetta, 2002), scegliendo, di volta in volta, il fuoco di lettura (Hubel, 1989).

In un testo narrativo, invece, alla linearità di scrittura-lettura, che scinde il pieno (lo scritto) dal vuoto (il bianco della pagina), attribuendo a questo un valore 0, corrisponde una scissione mentale tra il contenuto-contenitore; per cui il contenuto emerge, il contenitore scompare, secondo un gioco di ombra/luce che porta a scindere la realtà in sequenze disciplinate.

Lo stesso avviene nell’azione d’esplorazione della realtà, quando l’occhio osservatore, nel processo di lettura, mette a fuoco l’individuo-oggetto, isolandolo dal campo e inizia ad indagarlo. La capacità ad isolare, rendere isola, dà oggettività all’individuo-oggetto, attribuendogli un’entità storica (Putnam, 1993); ma nel contempo lo separa dal campo che lo contiene, non visualizzando i legami-fili che costituiscono gli interscambi informativi individuo-campo/campo-individuo, con le relative perturbazioni.

Nello studio, ad esempio, del moto armonico smorzato del pendolo, le variazioni del campo nel tempo erano indifferenti, ai fini della lettura, per cui si poteva tranquillamente affermare la ripetitività del tracciato di volta in volta. Oggi grazie ai sensori di un computer, si è dimostrato che ogni tracciato è un percorso nuovo, unico, per effetto delle risposte, di volta in volta, del campo, tanto che si parla di una costruzione a otto (Gleick, 1989).

Le letture unidirezionali e univoche, negando valore a parti del tutto non risultano sufficienti a gestire l’alea, in quanto non aprono la mente alla visualizzazione di tracce di imprevisti. La capacità a giocare su più fuochi e su differenti livelli semantici può essere considerata la risposta alla gestione delle alee.

Sdoppiare l’occhio di lettura è il salto di paradigma che bisognerà compiere:

  • un occhio-mente che sappia vedere insieme le dinamiche individui/campi/lettori.

Ma un occhio sì fatto è schizato, poiché sa focalizzarsi su più dinamiche nello stesso tempo, come un sensore con cento occhi.

È fortemente dinamico in quanto si muove ad angolo sferico. È paradigmatico in quanto sa attuare i salti di registro semantico, aprendosi a nuove scale di valore. È un occhio topologico che si muove per costrutti di mappe e non solo per costrutti di periodi.

Ma per partorire tale nuova capacità di lettura è importante partire da una visione a salti-finestre nella lettura della dinamica storica (Colamonico, 1993).

(Carta biostorica elaborata da: A. Colamonico. Biostoria. Il filo, Bari 1998.)

3. Il salto gnoseologico: Edgar Morin

La scoperta della complessità e la crisi di lettura dell’occhio univoco, appena tracciate, aprono al pensiero di Edgar Morin.

Egli stesso si definisce, il Battista della nuova umanità (1993). Convinto che il processo vitale proceda a salti (Rostow, 1962) che rendono sempre nuove le organizzazioni, egli parla di continue rinascite, in cui l’evoluzione di passato-futuro produce delle fratture/strozzature nella linea della storia, da cui nascono i Mondi nuovi.

Nei suoi lavori sul Metodo, isola tre grandi periodi dell’umanità, in cui l’essere sociale si è auto-organizzato:

  • l’età della preistoria, della storia, della meta-storia.

La prima è quella arcaica, in cui la società è organizzata intorno a bio-classi, con differenze sociali che si fondano su quelle biologiche di sesso e di età:

  • bio-classe maschile, femminile; bio-classe bambini ... adulti, vecchi. ...

Gli individui sono in una simile società polycompétents (2001), cioè aperti a più occupazioni. Importante è sottolineare che una siffatta società non sviluppa il concetto di Stato, come organizzazione politico-sociale, bensì quello di Cultura.

La società preistorica è culturale e nell’interiorizzazione di questo valore, da parte degli individui che la compongono, nasce l’idea di norma e regola sociale.

Nel tempo la società arcaica si è differenziata e moltiplicata, tanto da auto-trasformarsi radicalmente nelle organizzazioni storiche conosciute. In queste è nato il concetto di Stato, come l’apparato centrale del controllo e dell’organizzazione della società.

Lo Stato produce i suoi confini, le sue leggi, i suoi codici, i sui decreti, i sui sistemi di lettura, d’interpretazione, di difesa, ecc. che entrano, non senza conflittualità, nell’ordine culturale naturale biologico. Lo Stato diviene, così, il despota della società e di conseguenza degli individui attraverso:

  • i suoi sistemi di controllo e di dominio, un esempio Luigi XIV con il suo “l’état, c’est moi”; la sua forza civilizzatrice nei confronti di altri stati e, infine, di recente, il suo spirito democratico.

Proprio la nascita dello Stato democratico produce una conflittualità nella struttura organizzativa dell’identità storica tra l’onnipotenza dell’apparato statale e la pluralità delle opinioni con i contrasti di idee, visti quasi come la follia del parere personale.

La crisi che oggi si sta vivendo, è la conflittualità tra due visioni di mondializzazione che si auto-respingono, pur essendo frutto di una medesima dinamica.

  • La prima si basa sulle logiche economiche e tecnologiche di un mercato-mondo, frutto del primato tecnocratico.
  • La seconda è quella che parte dall’idea che il mondo non è un mercato, bensì una patria comune. Queste due mondializzazioni antagoniste, sono per Morin inseparabili e coltivano la stessa idea di una Società-mondo.

Ma quello che manca per l’attuazione di una società planetaria è una Società Civile Mondiale, in quanto le stesse Nazioni sono di fatto un ostacolo alla sua realizzazione. Le contraddizioni che Morin ritrova nelle società storiche lo fa parlare di uomo:

  • sapiens-demens, in grado di costruire e di distruggere.

Per comprendere la crisi della storia, bisogna partire dai fattori aleatori, come dinamiche dei quanti d’evento. Nelle strutture a Stato, poco si inserisce l’avvenimento, come l’alea biologico-naturale che è imprevista, nuova e squilibrante per le dinamiche organizzative. L’imprevedibile, essendo non determinabile, è un non atteso che va gestito e il gestirlo richiede delle qualità mentali nuove e delle politiche nuove che aprano all’ecologia delle idee e dell’azione (Morin, 1991).

Nasce qui la terza fase dell’umanità che Morin chiama meta-storica. Nell’articolo - Au delà du pacifisme - apparso su Le Monde (febbraio 2003) dice:

- L'idea di uscire della storia sembra utopica. Ma l'umanità non è, da alcune migliaia di anni, uscita della preistoria? Uscire della storia non è immobilizzarsi. Questo è continuare l'evoluzione, ma secondo altre norme ed ad un meta-livello… L’Era planetaria produce le condizioni di una meta-evoluzione.

Non si tratta di sognare un governo mondiale con l’abolizione degli Stati, ma imparare a cum-prehendere la natura della natura, l’umanità della umanità. L’identificazione di un meta-livello porta ad un ripensamento della stessa epistemologia e apre al salto di paradigma con il relativo crollo dei cardini-vincoli che fanno da sfondo alla società degli Stati e la relativa apertura ai nuovi valori della Civiltà Planetaria.

È sul livello profondo dell’eticità che si gioca la partita della storia. Ogni salto implica la messa in ombra di un senso-direzione e la messa in luce di un nuovo percorso di meta-significato che attribuisce ad ogni singola azione il nuovo valore individuale, sociale, epocale.

Per cum-prehendere bisogna partire da una ridefinizione della stessa gnoseologia:

  • Che cosa è la conoscenza?
  • Come entra il processo di conoscenza nella costruzione della storia?
  • Come la costruzione della storia nella costruzione degli individui biologico-sociali?
  • Come gli individui biologico-sociali in quelli fisico-naturali? E quelli fisico-naturali in quelli fisico-artificiali?
  • E infine questi ultimi nella costruzione della conoscenza e della storia?

Edgar Morin passa, con mente poliedrica, dallo studio socio-antropologico a quello gnoseologico e traccia le coordinate di una nuova epistemologia (1989) probabilista, sperimentale, vincolata, caleidoscopica. In grado di far dimenticare il dogmatismo, l’astrattezza, la sequenzialità, l’univocità, la staticità delle teorie assolutiste che avevano finito col dominare nel II millennio.

Ed ecco il salto da una mente disgiuntiva (o/o) a una coordinativa (e/e); da un pensiero selettivo ad uno connettivo; da un sapere frantumato in tante scatole disciplinari, per se stanti, ad un sapere interfacciale,quale abbraccio tra la conoscenza scientifica e quella umanistica, tra il lato sinistro e quello destro dello stesso cervello.

Uno sguardo-mente che sia in grado di vedere l’uno-tutto insieme e che sappia essere ologrammatico, paradigmatico e non programmatico, olistico, riduzionista. Così facendo, egli pone le basi di un nuovo umanesimo, auspicando una nuova scienza e una nuova coscienza capaci d’interagire con le alee d’evento che aprono alla creatività e alla dialogica della vita. Vista, questa, come il valore inalienabile dell’umanità.

Biostoria si interconnette nel pensiero di Morin, proprio in tale nodo-semantico e apre le porte ad una nuova coscienza-scienza dinamica, eco-auto-organizzante, in continua ri-costruzione, essendo studio-sguardo che segue, disegnandola, la dinamica della vita, in tutte le sacche-nicchie cosmiche.

4. L’occhio di lettura a cinque dimensioni

Per comprendere il salto di paradigma, bisogna riflettere sulla stessa natura della conoscenza.

L’azione del conoscere, permette d’identificare e di distinguere un individuo-oggetto, come un isolato di lettura, dal campo, come il bacino-contorno d’appartenenza di quel quid che si sta leggendo (Maturana e Varela, 1992).

Con un occhio lineare, l’azione dell’isolamento porta a considerare indifferente il campo-contorno, una volta attuata l’identificazione. Morin è molto categorico:

  • tale occhio che disgiunge non è idoneo a leggere la complessità.

Bisogna, quindi, passare ad un occhio lettore che conservi una visione sdoppiata a utero-feto (= mamma-figlio). Essendo la dinamica vitale una eco-auto-organizzazione, il processo di costruzione è un’organizzazione in organizzazioni; si spiegano così le trame degli echi di evento.

Un isolato, sia esso o un fenomeno fisico o chimico o storico o concettuale, ecc., subisce l’influenza del campo che lo contiene e lo distingue. A sua volta il campo subisce l’interferenza dello stesso fenomeno che ha prodotto. Sono le medesime interferenze i quanti storici, come il toccarsi-informarsi dei campi-nicchie-individui. Ad esempio, il concetto è forgiato dal pensiero-mente che lo elabora, essendo questo stesso ad imprime alla sua topologia una certa forma-significato. Lo stesso vale per la nuvola con il cielo-corrente che la ingloba; per l’albero con il bosco-humus che lo accoglie. A loro volta il concetto, la nuvola e l’albero modellano il campo, facendogli assumere una forma e una storicità, con cui può essere distinto dagli altri campi similari:

  • il campo mente di Edgar è unico e solo, in quanto modellato dalla stessa organizzazione del suo pensiero-emozione.

Lo stesso vale per Einstein e van Gogh. Ogni pensiero, ogni cielo, ogni bosco sono processi unici, essendo irripetibili i quanti perturbativi che li hanno prodotti, in quel dato momento storico. Il campo, quindi, imprime il modo di manifestarsi del concetto o nuvola o albero, questi ultimi il modo del campo. Tale andare/tornare delle influenze come perturbazioni di quanti, incide sulla dinamica vitale dell’isolato e del campo, rendendoli instabili e soggetti a continue eco-auto-ri-organizzazioni, come dei ri-modellamenti che rendono plastica la vita (Colamonico, 2002).

Il concetto di plasticità è funzionale all’auto-organizzazione spazio-temporale dei sistemi, in quanto essi sono forme in formazione. Ed è proprio in tale capacità creativa che si può parlare di organizzazione vitale a livello cosmico.

In senso biostorico si possono distinguere tre differenti tipologie di plasticità: la vita, lo sgardolente, la parola. Entrambe entrano nella edificazione della storia. Ma procediamo con ordine.

Per poter visualizzare la dialogica informativa, campo-individuo, necessita iniziare a pensare in ordini di pensiero con-net-tivo. Il passaggio a tale modo di guardare e ragionare incide su due possibilità di lettura-azione:

  • vedere il vuoto/pieno, il centro/periferia, il fuori/dentro, il finito/infinito; muoversi in uno spazio a campo profondo.

Il camminare non equivale al volare.

Per comprendere è importante partire dal rapporto dimensioni di lettura-spazio d’azione. La nascita di un campo complesso d’osservazione, ipotizzato da Morin, è strettamente legato al grado di libertà del modo d’espletare l’azione di lettura.

Il grado di libertà dell’occhio osservatore è il nodo-vincolo di scelta. Uno sguardo, ad esempio, ad un solo grado di libertà è vincolato ad una sola scelta che diviene l’azione obbligata, non essendoci altre alternative. Un occhio a più nodo-vincoli è più favorito nell’esercizio della libertà, in quanto dovrà valutare tra le varie possibilità, quella che poi diverrà la traccia-linea di futuro-realtà.

Un occhio privo di vincoli, apparentemente sembrerebbe illimitato, ma di fatto è fermo per eccesso di libertà del sistema che paralizza l’azione (Toffler, 1988).

È interessante riflettere sul valore dei gradi di libertà nella costruzione del pensiero. L’io-osservatore, pur vivendo nello spazio presente che il suo occhio-mente elabora su tre dimensioni (altezza-lunghezza-profondità) e che gli permette di visualizzare le collocazioni differenziate degli oggetti (avanti-dietro-destra-sinistra…); può, con un salto di sospensione, aprirsi ad una quarta dimensione, il tempo, e a una quinta, il campo-finestra.

La dimensione tempo permette di viaggiare nell’eco-storico, spalancando le porte al passato-futuro e proiettando l’io-osservatore negli spazi prima-dopo degli immaginati. Si possono così visualizzare le trame-echi d’evento, quali segni dei mutamenti evolutivi degli stati-stadi di realtà. È bene precisare che c’è uno scarto spazio-temporale tra il presente e il passato-futuro.

Il presente, tempo 0, è l’unica dimensione di realtà: attuazione perenne della storia. Il passato-futuro sono solo degli immaginati che si prestano ad essere attualizzati, nell’attimo in cui entrano nelle maglie del presente, indirizzandolo.

La quinta dimensione, il campo-finestra, creando il perimetro-limite del fuoco di lettura, permette di segnare la zona d’indifferenza del campo osservato con il relativo dentro/fuori o luce/ombra dell’azione di rilevazione.

(Carta biostorica elaborata da: A. Colamonico. Ordini Complessi. Il filo, Bari 2002.)

L'occhio-mente per leggere e gestire l’alea dovrà imparare ad essere fortemente dinamico e a giocare con tutte le variabili-dimensioni di lettura che gli visualizzeranno uno spazio profondo:

  • ora univoco, ora multiplo, ora passato, ora futuro, ora vicino, ora lontano…

Sono le stesse direzioni di lettura che segnano le tracce-linee su cui muoversi nell’organizzare le informazioni e quindi catalogarle, valutarle, confrontarle, memorizzarle, dimenticarle, ecc.

Ad esempio nella narrazione l’occhio si nuove sulla dimensione tempo che permette d’ordinare le successioni di eventi; nella descrizione, sullo spazio che permette di coordinare l’altezza, la lunghezza, la profondità e dare il luogo-posizione nello spazio dell’oggetto descritto. Solitamente nell’ordinare si privilegia o l’uno o l’altro. Per cui si hanno delle rilevazioni di tipo temporale o di tipo spaziale, oppure le due si intrecciano.

Una fiaba è di tipo prevalentemente temporale; un affresco, spaziale; un film è sia temporale e sia spaziale, in quanto entra in gioco la cinepresa che permette di visualizzare e narrare. In tutti questi casi siamo sempre con una organizzazione a fuoco unico.

Per poter comprendere il salto al pensiero complesso, con la relativa nuova visualizzazione a fuochi sdoppiati, bisogna introdurre il concetto di finestra storiografica.

  • Che cosa è una finestra storiografica?

La finestra è l’apertura di uno spazio d’osservazione sull’infinito. Essa segna, anche, la linea-contorno del campo di lettura e in questo limitare-contornare si pone come frontiera del dentro/fuorid’informazione.

Il concetto di frontiera è importante ai fini di una lettura a centro/periferia, essendo il luogo dello stare di fronte, del guardarsi l’un l’altro (Cassano, 1996). La finestra delimita, in una mappatura cartesianadella storiografia, la linea del limite di lettura e apre l’occhio alle simultaneità, alle contemporaneità, alle analogie dei processi spazio-temporali. Essa permette di scindere, di moltiplicare e di zoomare le aree d’osservazione e permette anche di vedere le influenze nodali nella Rete eco-biostorica.

(Carta biostorica elaborata da: A. Colamonico. Fatto tempo spazio. OPPI, Milano 1993.)

La finestra storiografica svolge la funzione di sguardolente:

  • sguardo che osserva la dinamica vitale;
  • lente che inquadra e zooma.

Quando nel 1991, aprii la prima finestra storiografica, uno noto storico, di cui tralascio il nome, mi disse – E a che cosa ti serve? – ed io di ritorno - Non lo so. Poi lo scoprirò. Infatti, quando incontri il pensiero di Edgar Morin, compresi che quella finestra era la chiave d’accesso al pensiero complesso, come quinta dimensione di lettura.

La finestra è la quinta dimensione che aggiunta al tempo, alla lunghezza, alla profondità, alla larghezza, permette d’organizzare, in simultaneità, gli ordini multipli informativi.

Solo un occhio sguardolente a cinque dimensioni:

In natura esiste un occhio a fuochi sdoppiati, è quello della mosca, che percepisce ogni più lieve perturbazione del campo, avendo una visione frattale che la rende velocissima.

Il pensiero complesso passa, dunque, per un occhio-mente a cinque dimensioni come sguardo schizato, de-coordinato, a più lenti-finestre, a più livelli di profondità, a più alee informative.

Occhio che sa zoomare i piani di lettura, mutando la porosità delle membrane degli osservati che ad una lettura lontana sembrano un tessuto poroso, mentre ad una lettura avvicinata, mostrano un carsismo di nicchie-caverne. Ad esempio la visione esterna di una mano e quella interna alla mano. Occhio infine che si muove, contemporaneamente, sui due emisferi del cervello, per attuare da un lato le osservazioni-riflessioni; dall’altro i salti-analogie.

È, quindi, insieme, l’occhio poeta-scienziato, esteta-critico, bambino-uomo.

Esso dà pari dignità alla ragione e al cuore; è in grado d’inventare l’impensato, l’inimmaginato, il non visto e di commuoversi di fronte alla bellezza della vita.

Ma per descrivere il dinamismo di un simile modo d’osservare è bene chiarire cosa sia Biostoria.

Diritto di maternità dell'idea-biostoria

Antonia Colamonico

Epistemologa della scienza & metodo Biostoria


La Scienza & Metodo Biostoria(Biohistory of Knowledge) rappresentata in questi luoghi-nicchie storico-semantici (articoli, saggi, romanzi, racconti, blog e siti), non è da intendersi come l'introduzione di tecniche derivanti dalle scienze biologiche nell'indagine storiografica, intonazione data ad esempio da Stephen Vickers Boyden, ma altresì come il connubio tra bios (nel senso epistemologico del βίοςfilosofico) e la storia come l'accadere vitale dei "fatti" nei tempi 0.

Il nodo di partenza della rete informativa fin qui elaborata è stato, mentre si procedeva in classe con il laboratorio storico, la rilevazione di un errore concettuale, registrato già da J Le Goff, nella identificazione (come unica realtà) tra la narrazione degli accadimenti passati e la dinamica dei processi vitali, che non faceva tenere conto dello scarto posizionale tra l'osservatore e l'osservato (come documento in Fatto tempo spazio del 1993).

L'aver racchiuso, come ancora accade nei manuali scolastici, la disciplina storia al solo passato dell'uomo, con addirittura la distinzione tra storia e preistoria, rende lo studio del sapere fattuale fortemente circoscritto ad una visione limitata che difficilmente spiega le dinamiche vitali a campo allargato e le capacità organizzative della mente umana di rispondere alla vita, in ogni presente.

Naturalmente come avviene nella realtà dei fatti il piano dell'indagine si è via, via allargato sino ad assumere la forma topologia a corpo unico di mente/campo che, oggi, si può scorgere nel complesso gioco delle visualizzazioni racchiuse in queste carte eco-biostoriche. Prodotte da continue riflessioni, esercitate sulle stesse argomentazioni, con una lente-sguardo, in grado di essere Osservatore dell'osservatore (Biostoria, 1998).

Nel saggio pubblicato negli USA (Edgar Morin and Biohistory: the story of a paternity, 2005) spiego come sia nata la parola e come poi da essa si sia costruita tutta quanta la nuova disciplina che in senso trasversale può incontrare altre semantiche.

La presente nota, nasce dal aver constatato, un tentativo, spero involontario, d'espropriazione dell'idea, dandone la paternità a studiosi stranieri. L'impianto biostorico, così come esposto in questi luoghi-nicchie, è senz'altro un vanto per l'Italia e mi permetto di sottolineare che le riflessioni contenute nei miei scritti, non possono essere arbitrariamente trasferite ad altri pensatori. Così facendo si produce un falso storico.

Pubblicato da Antonia Colamonico (biostorica) in: Blog - Le palestre della mente.

© 2012 Antonia Colamonico