Trattati dell'arte

In copertina: Dott. Francesco Bertinatti, Lezione di Anatomia - Accademia Albertina di Belle Arti Torino. 1837

Trattati e testi storico-critici

I trattati dell’arte seguono la storia degli artisti. Ai testi più antichi di Galeno, Vitruvio, Armenini, Cennini, Teofilo, Leonardo da Vinci e Lomazzo fa seguito, tra 600 e 800, una produzione di altri trattati che costituisce una rivisitazione o, in alcuni casi, traduzione dei testi più antichi. Fra questi troviamo “La scienze de la peinture” (1890), di Jehan Georges Vibert, tradotto in lingua italiana da Gaetano Previati. I due artisti sono accomunati dal reciproco desiderio di rendere più accessibili ai giovani dell’epoca gli insegnamenti dei grandi maestri che, già da tempo, non suscitavano più interesse nella cultura artistica.

Qualche decennio prima (1834), anche Leopoldo Cicognara, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, aveva avvertito lo scarso interesse dei giovani studenti dell’epoca per la trattatistica dell’arte. In uno dei suoi saggi critici “Il Trattato sul bello” Cicognara scrive:

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“...Egregi giovani, nel corso precedente tentai di farvi conoscere il procedimento dell’arte antica, le sue pompe rivolte ad allettare, più che lo spirito, l’occhio; più che gl’intimi recessi del cuore, l’intendimento dell’uomo a trovar diletto nelle esteriori armonie della forma.

E allora vi mostrai come l’arte greca, o si rizzasse in superba colonna, o s’arrotondasse in mirabili simulacri, o disponesse sulle pareti l’ornamento e lo sfoggio de’ colori, non altro volesse se non esprimere i godimenti del senso ed il culto per la esterna bellezza della natura e dell’uomo. […] Ma in ogni analisi storica di qualsiasi produzione dell’umana intelligenza, due lati per altro si presentano, sotto i quali essa può venire considerala, l’ideologico, cioè, che comprende così il concetto artistico come i mezzi speculativi della sua manifestazione, ed il tecnico; il quale si operasse nelle varie età, e quindi guida a mostrare quali metodi di eseguire sieno da preferirsi nella nostra. […] E forse questa esatta conoscenza delle tecniche antiche, è uno de’ maggiori bisogni che si abbia l’arte d’oggidì, […] Chi è che sappia, (salve rare eccezioni) dipingere più una figura colla trasparenza e la lucentezza del Caliari? Chi è che sappia darle il rilievo di Leonardo, o il succoso colore e il dotto chiaroscurare di Tiziano; chi disegnarla di quel segno fermo e largo di Raffaello?

In generale, lo ripeto, noi moderni sappiamo meglio che gli antichi affinare il pensiero a ben concepite invenzioni; nella forma accarezziamo forse di soverchio il dettaglio. La scienza di far che le masse non manifestino se non que’ particolari che valgono a dar carattere evidente all’idea, ci manca quasi del tutto.

Laonde ci manca il grande, il largo dell’arte antica, a riguadagnare il quale, più assai che speculazioni filosofiche, ci abbisognano tecniche sicuramente imparate. E queste riacquisteremo, noi Italiani in particolare, se il prontissimo ingegno ne piacerà rinvigorire colla forte volontà e collo studio; se tralasceremo di accarezzare entro all’animo gli orgogli funesti cullali dai falsi profeti, a cui par bello gridarci ancora, con vituperevole adulazione, i più valenti di tutta la terra...".