L’8 marzo, Giornata internazionale dei diritti della donna, ci ricorda le molte conquiste raggiunte dalle donne, ma anche il lungo cammino da percorrere per superare il gap gender. La parità tra i sessi, infatti, non è stata ancora completamente raggiunta in nessun Paese del mondo. Anche in Italia, si è ancora lontani dall’obiettivo della piena parità di diritti in campo economico, sociale, culturale e politico, nonostante la Costituzione, negli artt.3 e 37, affermi il contrario. Quasi tutte le donne nei Paesi in via di sviluppo, in quelli dell’area islamica, in molte culture dell’Estremo Oriente e anche in parte dell’America latina vivono in una pesante condizione di inferiorità . Essendo destinate al futuro ruolo di mogli e madri, le ragazze sono tenute ai margini del mondo del lavoro e non hanno possibilità di ricevere un’adeguata istruzione. Generalmente non lavorano, ma se lo fanno, sono impiegate in mansioni umili e poco retribuite. Tenute nell’ignoranza, le donne di questi Paesi soffrono anche di gravi problemi sanitari a causa di gravidanze e maternità e poiché non sanno nulla di igiene e prevenzione delle malattie. Sono spesso escluse dalla vita politica o vi partecipano in modo ridotto. Esistono anche alcuni casi di estremismo come i talebani. I talebani sono un gruppo religioso fondamentalista che vuole la rigorosa applicazione della legge coranica come legge dello Stato. Hanno preso il controllo dell'Afghanistan e del Pakistan . Le donne che vivono in questi Paesi sono costrette a molteplici e rigorose regole che per noi sembrano assurde. Ecco perché uno degli obiettivi principali dell’ONU è assicurare l’istruzione a tutte le bambine del mondo per migliorare la conoscenza delle norme igieniche di base e per fare in modo che non rimangano costrette esclusivamente nel ruolo stereotipato di mogli e madri. Il quarto obiettivo dell’Agenda 2030 infatti, riguarda proprio questo: garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento continuo per tutti. Questo obiettivo è fondamentale poiché nel mondo 132 milioni di ragazze sono fuori dalla scuola. Le ragioni sono varie, come la povertà, il matrimonio infantile e la violenza di genere, che sono barriere difficili da superare e variano di comunità in comunità. Un altro ostacolo è costituito da scuole che non soddisfano le esigenze di sicurezza, igiene o servizi igienico-sanitari per le ragazze. Oppure la didattica non è sensibile al genere e si traduce in un divario per l’apprendimento e per lo sviluppo delle competenze. Oltretutto, le famiglie povere scelgono di mandare a scuola i ragazzi, preferendoli alle ragazze. Proprio perché non vanno a scuola, le ragazze sono più esposte alla violenza di genere e alle pratiche dannose, come il matrimonio infantile e le mutilazioni genitali femminili. Il gravissimo fenomeno delle spose bambine interessa nel mondo 60 milioni di minorenni. I matrimoni delle spose bambine, causati dalla povertà, ma anche da tradizioni culturali discriminanti, hanno due conseguenze gravissime: l’abbandono scolastico e la morte per parto, in quanto in età così precoce, il fisico non è pronto a sopportare la gravidanza. Neanche nei Paesi più sviluppati la condizione della donna è in pari a quella dell’uomo. Anche se la Costituzione italiana afferma il contrario, ancora oggi, nel settore privato, a parità di lavoro e mansioni, quasi ovunque, la retribuzione di una donna lavoratrice è inferiore a quella di un uomo di pari grado. Inoltre le donne nei ruoli dirigenziali delle aziende pubbliche e private sono ancora poche. In questi anni, si assiste sempre più frequentemente al fenomeno dell’abbandono del lavoro da parte di giovani madri, spesso non in grado di conciliare i tempi di un lavoro impegnativo con le esigenze dei figli. É complice il retaggio di una cultura patriarcale che etichetta in modo spregiativo i padri che collaborano nella cura dei figli o nei lavori domestici, ma anche la mancanza di strutture pubbliche che offrano servizi gratuiti o basso costo, a supporto della maternità e dell'infanzia; molte le madri costrette a dedicarsi esclusivamente alla crescita dei figli, rinunciando alle proprie possibilità di lavoro o carriera. A causa della pandemia da coronavirus, la situazione è peggiorata e molte donne sono state licenziate dai loro posti di lavoro. Un altro problema gravissimo è la violenza di genere e per contrastarla, l’ONU ha istituito nel 1999 la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, designando il 25 novembre come data della ricorrenza. In Italia la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne tra i 16 e i 44 anni. Il 70% dei femminicidi è avvenuto nell’ambito familiare o affettivo e nella stragrande maggioranza dei casi l’omicida è il marito o il fidanzato. Ecco perché in Italia, dall’8 marzo 2006, è attivo il numero di pubblica utilità 1522 chiamato il telefono rosa e dedicato al supporto, alla protezione e all’assistenza delle donne vittime di maltrattamenti e violenze. Alcune delle vittime di violenza e disuguaglianza di genere hanno deciso di denunciare pubblicamente tutto ciò che le donne devono subire quotidianamente, dimostrandosi coraggiose e impavide. Un esempio da seguire, soprattutto per noi giovani studentesse, è l’eroica attivista pakistana Malala Yousafzai, che combatte per la parità di genere e il diritto all’istruzione per le donne da quando aveva solamente 11 anni. Infatti a questa età aveva un blog dove riferiva tutto ciò che i talebani facevano al suo Paese, denunciando i loro comportamenti. A 15 anni, mentre era sull’autobus per tornare a casa da scuola, è stata sparata alla testa, solo perché esprimeva chiaramente la sua voglia di studiare e di imparare. Per fortuna è sopravvissuta e, due anni dopo, ha tenuto un commovente discorso nella sede dell’ONU di New York. Ancora oggi rimane un’importante figura per tutte le donne e le ragazze del mondo che non hanno la possibilità di studiare e di conseguenza, trovare un lavoro. È la persona più giovane ad aver ricevuto il premio Nobel per la Pace, nel 2014. A 17 anni ha anche ottenuto una borsa di studio per la prestigiosa università di Oxford, continuando a realizzare il suo sogno di studiare. Nessuna donna dovrebbe vivere nelle terribili condizioni indicate, ma se non facciamo la nostra parte, sostenendo le donne e le ragazze che hanno il coraggio di denunciare, oppure rimanendo in silenzio di fronte alle chiare violazioni della legge e dei diritti umani, non andremo molto lontano e non otterremo mai una totale parità di genere.
Federica (classe terza)
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Federica (classe terza)
Ho letto vari articoli sui cosiddetti campi di “rieducazione” in Cina e tutti evidenziano la disumanità di questi luoghi. Molti pensano che i campi di concentramento come per esempio Auschwitz o altri siano ormai cosa passata. “È tutto finito ormai! Questi campi non esistono più!” ma in realtà non è così. La disuguaglianza, la discriminazione, il continuo evidenziare le differenze per etnia, colore della pelle, religione… ci circonda ogni giorno! Ogni piccola battuta, risata, sorriso, presa in giro può condizionare la vita di ogni persona. Penso che parta tutto dalla nostra generazione di giovani, che non ha riguardo e non pensa quasi mai prima di parlare. Il cambiamento, a mio parere, va riportato e ricercato nei giovani e c’è bisogno di un’eliminazione immediata di questi stereotipi sulle differenze. Questi campi ne sono la dimostrazione. Non sono bastati gli accaduti terribili di Auschwitz, i ricordi agghiaccianti che sono impressi ancora oggi nei sopravvissuti, ovviamente abbiamo bisogno di una nuova orda di campi per imprigionare innocenti e povere persone che vengono discriminate per la loro religione o modo di essere. Non sono in nessun modo d’accordo sulla creazione di questi campi di sterminio, perché penso che debbano essere chiamati proprio così! “Sterminio”, perché alla fine è quello che sono: campi creati per eliminare, torturare e sterminare persone innocenti che hanno scelto di vivere la propria vita secondo una religione, convinzione e cultura diversa. Penso che le varie culture e religioni siano fondamentali nella società odierna per poter definire un giusto percorso per essere se stessi e non debbano essere in nessun modo eliminate.
Alessandra D. (classe terza)
Tutti noi ragazzi siamo abituati a considerare le guerre in altre parti del mondo dal punto di vista di chi assiste solamente e non partecipa attivamente. Non penseremmo mai che un ragazzo della nostra età o anche più giovane possa parteciparvi usando armi e uccidendo. Purtroppo questo è un fenomeno che interessa centinaia di migliaia di bambini arruolati in gruppi armati in almeno 14 Paesi del mondo. Eppure tanti enti denunciano tutto ciò, non ultima l’UNICEF che sottolinea come utilizzare bambini nei conflitti armati costituisca una serie di violazioni dei loro diritti poiché costretti ad essere protagonisti , ad assistere ad atrocità o ad essere uccisi, mutilati e oggetto di abusi psichici e sessuali. Nel 2019 sono stati circa 7750 i bambini utilizzati da gruppi armati, alcuni perfino di soli sei anni. La maggior parte dei casi si riscontra nella Repubblica Democratica del Congo, in Somalia e in Siria. Quello che viene rubato ogni giorno a ragazzi o ai bambini anche molto piccoli di alcuni paesi africani, asiatici o latino-americani non è solo l’infanzia, è la stessa vita. I soprusi che commettono i generali nei confronti dei bambini soldato rappresentano una vera e propria distruzione e un annientamento della vita di ogni bambino. Essi vengono privati di ogni libertà e diritto normalmente loro destinati e previsti dalle costituzioni di molti Paesi al mondo. La loro distruzione consiste in un vero annientamento della loro mente e della loro esistenza, infatti, essendo sottoposti continuamente alla violenza della guerra e della devastazione, i ragazzi vengono privati del loro sorriso, delle emozioni felici, dei baci della mamma, degli abbracci, delle lacrime di gioia e di felicità, della loro innocenza, dell’amare e dell’essere amati, di voler bene e di essere voluti bene, degli occhi pieni di stupore, degli amici, della fiducia, di tutto ciò che appartiene al “Bene” in generale. Privati dei diritti fondamentali, al loro posto ricevono tristezza, un volto perennemente imbronciato, frustate, torture, lacrime di dolore; interiorizzano la consapevolezza di essere colpevoli di crimini, l’odiare e l’essere odiati, la paura dei nemici, la vendetta e tutto ciò che appartiene al male in generale…e gli occhi si riempiono di sofferenza.
Essere arruolati in eserciti insieme ad altri ragazzi di dodici anni, portare fucili, lavorare, combattere e distruggere non appartiene a noi ragazzi e alle ragazze e in realtà neanche agli adulti: nella nostra società si dovrebbe impedire la diffusione di ideali di guerra e soprattutto l’utilizzo di bambini innocenti nelle guerre. Nella nostra società dobbiamo fare si che tutti possano vivere in libertà, pace e ricchezza, non nella distruzione, nella guerra e nella povertà.
Ognuno di noi può fare attualmente poco per questi poveri ragazzi privi di ogni libertà e diritto, ma ognuno di noi può capire e riflettere su quanto è fortunato: fortunato per poter frequentare la scuola, poter mangiare il cioccolato fondente, poter ricevere un bacio dalla propria madre, poter viaggiare; per poter portare con sé un telefono e non un fucile, per indossare dei vestiti nuovi e non stracci, per portare sulla schiena libri di letteratura, storia e matematica e non massi pesanti; per poter immaginare di volare come Superman e non di sognare di scappare dalla guerra; di vedere film, forse anche di guerra, seduti comodamente sul divano e non di combattere in prima persona; di diffondere felicità e non morte e tristezza.
Ognuno di noi, quindi, può cercare di far dar corpo alle proprie idee contro l’utilizzo dei ragazzi nella guerra sostenendo organizzazioni internazionali che si occupano di questo, poiché i bambini devono diventare adulti amando e giocando e non con la violenza.
Federico (classe terza)