Lo scorso 12 aprile alle 3 del mattino e con Cremonini nelle cuffie, mi sono fatta portare fino all’aeroporto di Milano- Malpensa, destinazione: Aarhus, Danimarca.
Tra il verde e il vento vichingo, insieme a un gruppo di danesi, spagnoli e italiani, abbiamo iniziato un percorso che collegava stereotipi, mass media e sovranità popolare grazie a un progetto gratuito finanziato dall’Unione Europea.
L’essere umano tende a “mettere nelle scatole” chi incontra basandosi su dei preconcetti, ma la consapevolezza di agire secondo dei pregiudizi gli dà anche il mezzo per uscire dalle “etichette” ed essere aperto a nuovi modi di esistere.
Quando però non si riesce a sradicarsi dalle proprie credenze si può arrivare a imporsi sugli altri. Online le parole si amplificano, raggiungono migliaia di persone in pochi secondi e l’hate speech trova largo supporto.
L’educazione digitale è un tema che sta acquisendo sempre più importanza. La tecnologia è ormai parte integrante della nostra vita: attraverso il nostro smartphone possiamo prenotare un viaggio, visite mediche, o prenderci un caffè alle macchinette. Abbiamo la possibilità di accedere a informazioni illimitate gratuitamente ed entrare a contatto con persone dell’altro emisfero.
Come qualsiasi altro strumento sta però a noi capirne il corretto utilizzo e le sue potenzialità. A volte ciò non accade e ci ritroviamo di fronte a fenomeni estremi di odio o linguaggi di violenza. Qual è la nostra reazione? E come i social influiscono sulla democrazia?
In rete l’estremizzazione delle posizioni è molto frequente e prende il nome di “polarizzazione”, in quanto vediamo la formazione di comunità chiuse e rivolte alla violenza. Persone dal pensiero simile al nostro diventano un riflesso di noi stessi e ci propongono solo ciò che già crediamo, impedendoci di crescere: è l’echo chamber.
Quelle comunità si distanziano molto dalla democrazia e anzi rischiano di indebolirla: la frammentazione può portare alla diffusione di fake news e una generale sfiducia verso gli enti pubblici.
I danesi hanno una parola, intraducibile, che significa “comunità che abbraccia le diversità”, ovvero uenighedsfællesskaber, e ne hanno fatto un’ideale a cui aspirare.
In quella settimana che ho passato tra Aarhus e Copenaghen ho avuto modo di sperimentare una cultura molto differente dalla nostra per diversi aspetti: dalle iniziative a sfondo ambientale, alla metro (praticamente vuota), al modo di pensare la propria giornata, inoltre ho avuto la possibilità di vedere un Paese “fuori dal turismo”. Oltre un paio di giornate al centro della capitale, siamo sempre rimasti in zone particolari, come Christiania, o periferiche, e ci hanno raccontato anche i problemi che stanno vivendo: i ragazzi con cui abbiamo interagito vivono in un quartiere musulmano, dunque potenzialmente soggetto alla “Ghetto Law”.
È stata un’esperienza formativa, per le conferenze a cui ho partecipato e per la possibilità di connettermi con realtà diverse dalle aspettative: ogni Nazione ha le sue sfide, anche quelle che non immaginiamo e che sono le “più felici”.
Linda Piva, 4F
Foto realizzate durante lo scambio tra Aahrus, Copenaghen e Christiania