di Angela Mastropietro
Il 24 febbraio 2024 ha segnato due anni dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Quella mattina arrivò in tutte le case la notizia sconvolgente. Da quel giorno di due anni fa sono passate sotto i nostri occhi immagini terribili: migliaia di persone disperate, violenze sulla popolazione civile, morte e distruzione, e quel che è peggio, non si capisce a che punto sia arrivato il conflitto e perché non finisca.
Ma quali sono stati gli avvenimenti che hanno portato alla guerra? Abbiamo tentato di ricostruire gli eventi nella speranza anche di capire i risvolti futuri.
La guerra è strettamente legata alla volontà dell’Ucraina di allontanarsi, politicamente ed economicamente, dalla Russia. Nelle regioni orientali dello Stato, però, vivono in maggioranza persone di lingua russa che subiscono discriminazioni e vorrebbero separarsi dall’Ucraina e riunirsi al governo di Mosca, che avrebbe molti vantaggi per il possesso di queste terre. Quindi, ogni volta che l’Ucraina poteva firmare accordi con l’Unione Europea o con gli U.S.A., in queste regioni sono scoppiate rivolte e guerre civili che sono state aiutate dalla Russia con rifornimenti di armi e soldati. Proprio questo è successo nel 2014, quando è scoppiata la guerra civile in Crimea e nel Donbass. Poi nel 2021, dopo nuovi tentativi di alleanza con l’America, arriviamo all’invasione e alla guerra aperta che continua ancora oggi. Solo i numeri, anche se né Mosca né Kiev li hanno confermati ufficialmente, sono più significativi delle parole per farci comprendere l’orrore di questa guerra: 190.000 soldati ucraini feriti o uccisi, 315.000 russi, 10.000 civili ucraini morti e 10.000.000 milioni di profughi. La Russia controlla il 18% del territorio ucraino e da due anni nessuno dei due eserciti prevale chiaramente sull’altro, tanto che gli esperti parlano di guerra “di posizione” o “di logoramento”.
Non è semplice capire cosa accadrà nel prossimo futuro visto che né il presidente russo Putin né il presidente ucraino Zelensky hanno dimostrato mai di essere disposti seriamente alla pace. Eppure dai numeri emerge forte una sola, chiara risposta: questa guerra deve finire e i popoli coinvolti devono trovare una soluzione che permetta alle generazioni più giovani di riprendersi il proprio futuro.
di Denise Cardone
Dal 7 febbraio 2017, grazie ad un’iniziativa del Miur, in Italia si celebra la Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo. Nello stesso mese, precisamente l'11 febbraio, cade il Safer Internet Day, Giornata Europea della Sicurezza in Rete, organizzata dalla Commissione Europea. Questi due eventi annuali rientrano nell’ambito di campagne, programmi, progetti ed altri eventi promossi da forze politiche nazionali, Commissione Europea e Miur, con lo scopo di sensibilizzare bambini, giovani e adulti su questo fenomeno sociale, caratterizzato da atteggiamenti di violenza e prevaricazione e, tutti insieme, “dire NO al bullismo”.
Anche noi studenti della D’Ovidio, aderiamo a diverse iniziative e progetti promossi nella nostra scuola sul tema del bullismo, ogni anno con gli studenti di tantissime scuole di Italia partecipiamo al live streaming #cuoriconnessi, un progetto, nato dalla collaborazione tra Unieuro e Polizia di Stato per contrastare e prevenire il cyberbullismo, attraverso la promozione di un uso consapevole da parte di genitori, insegnanti e ragazzi dei device connessi ad Internet.
Alla parola bullismo si associa subito l’immagine di ragazzi e ragazze che procurano dolore fisico ad un loro pari, in maniera ingiustificata e continuativa. Purtroppo, il vero problema è che la violenza non è solo fisica, ma anche verbale e psicologica: il bullo non risparmia insulti e minacce, il bullo scarica le sue frustrazioni e paure sulla vittima, cercando di annientare la sua volontà e gioia di vivere.
Negli ultimi anni la facilità di accesso alla rete Internet attraverso social network, piattaforme di gioco, servizi di messaggistica, ha favorito la diffusione di un’altra forma di bullismo, forse ancora più pericolosa, il cyberbullismo, nel quale sono comprese tutte le forme di aggressione, molestia e discriminazione che avvengono in un contesto virtuale. In questo contesto, tutto viene amplificato dalla velocità con la quale viaggiano in rete insulti, minacce e immagini intime delle vittime. Inoltre il cyberbullo si sente protetto dall’anonimato e pensa di non essere punito e questo è quanto di più falso si possa pensare, dal momento che esistono per tutte le forze dell’ordine reparti e uomini specializzati nel settore informatico come la Polizia Postale e il CNAC (Centro Nazionale Anti Cyberbullismo dei Carabinieri). Quindi alla fine il cyberbullo viene smascherato, ma bisogna agire in fretta per evitare che la sua vittima, di fronte alla sovraesposizione della propria persona ceda al rischio di non reggere lo shock e scegliere la soluzione estrema di togliersi la vita.
Anche le statistiche non ci danno dati confortanti, secondo l’Osservatorio Indifesa, un progetto di collaborazione portato avanti dal 2014 da Terre des Hommes e ScuolaZoo, che rappresenta uno strumento per ascoltare la voce dei ragazzi e delle ragazze italiane su violenza di genere, discriminazioni, bullismo, cyberbullismo e sexting. Bullismo e Cyberbullismo rimangono una delle minacce più temute tra gli adolescenti, dopo droghe e violenza sessuale. Ragazzi e ragazze non si sentono al sicuro sul web e dopo il cyberbullismo, è il Revenge porn a fare più paura, soprattutto tra le ragazze.
L’Osservatorio indifesa anche quest’anno ci riporta una fotografia della realtà raccontata direttamente dai ragazzi, attraverso le risposte di 6.000 adolescenti, dai 13 ai 23 anni, provenienti da tutta Italia.
Il 68% di loro dichiara di aver assistito ad episodi di bullismo, o cyberbullismo, mentre il 61% dichiara di essere vittima di bullismo. Sono stati riferiti, indipendentemente dal sesso episodi di violenza psicologica subita da parte di coetanei (42,23%) ed il 44,57% delle ragazze ha segnalato di essersi sentita a disagio a causa di commenti non graditi di carattere sessuale online.
Questa indagine riporta anche dati relativi alle dichiarazioni dei bulli. L’8,02% delle ragazze ammette di aver compiuto atti di bullismo, o cyberbullismo, mentre la percentuale dei ragazzi che ha ammesso di aver compiuto atti di bullismo e cyberbullismo arriva al 14,76%.
Anche se ci sono tante iniziative a livello nazionale ed europeo contro il bullismo, i dati aggiornati ad oggi indicano che è un fenomeno in crescita. Questo ci invita a chiederci cosa potrebbe fare la vittima di un bullo per liberarsi dalla sofferenza che questo gli procura e come potremmo intervenire noi in questa scelta.
La cosa che, in teoria, appare più semplice è che la vittima potrebbe chiedere aiuto a un amico stretto, ad un insegnante o ai genitori.
Però, se questo non avviene e, molto spesso è così, è nostro dovere adottare delle strategie. Quali?
Ignorare e isolare chi si comporta da bullo, che, spesso, fa il prepotente per nascondere le sue debolezze o perché sente il bisogno di essere accettato e ammirato.
Dare supporto alla vittima: non bisogna mai girarsi dall’altra parte quando ci accorgiamo che qualcuno viene escluso o denigrato da un gruppo per paura di essere esclusi anche noi.
Ricordare che lo scherzo è bello quando dura poco: può andare anche bene, prendersi in giro ogni tanto, tutti, ma nessuno scherzo deve diventare un tormento quotidiano, solo per qualcuno.
Il messaggio che si cerca di trasmettere è quello di non essere egoisti e prepotenti, ma generosi e altruisti. Purtroppo questa idea non è sempre condivisa, ma credo che solo in questo modo potrà tornare armonia tra i giovani e i bulli non avranno più motivo di far male agli altri.
NON BISOGNA STARE IN SILENZIO! PARLA SUBITO CON CHI PENSI TI POSSA AIUTARE! IL SILENZIO UCCIDE!
di Diana Trotta
Nel corso delle ricerche necessarie a scrivere un articolo sul conflitto israelo-palestinese, è emersa tutta la complessità e la delicatezza della questione: ogni sintesi storica rischia di dimenticare dati importanti. I continui aggiornamenti sulla situazione attuale fanno crescere l’odio di una parte contro l’altra e costringono chi cerca di capire il conflitto a prendere una posizione di sostegno di una delle parti. Riflettendo bene, la strada migliore è apparsa quella di concentrarsi su una questione fondamentale: quali sono le possibili soluzioni ad un conflitto tanto lungo quanto sanguinoso?
ll prof. Raffaele Marchetti, docente di Relazioni Internazionali presso il dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Luiss Guido Carli di Roma, durante un’intervista parla di due soluzioni, una micro che potrebbe mettere fine alla situazione di tensione a cui stiamo assistendo negli ultimi mesi, e una macro, che potrebbe portare alla risoluzione definitiva di questo conflitto mai sopito. Relativamente alla soluzione macro vengono proposte da anni due alternative.
La “soluzione dei due Stati”, uno ebraico e uno arabo, proposta da oltre un secolo, ma di fatto mai realizzata e alla luce di quello che sta accadendo, al momento irrealizzabile.
"Quella dei due popoli due Stati, che è sul tappeto da tantissimo tempo ma è anche molto complicata, perché c'è una interpretazione molto diversa tra le parti su cosa dovrebbero essere questi due Stati.” La parte palestinese vorrebbe tornare ai confini del 1967, con la pretesa di smantellare gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. La controparte israeliana, non è disposta ad accettare questa proposta. La conseguenza sarebbe una mancata continuità territoriale per i Palestinesi, che per passare da un punto all’altro della Cisgiordania, dovrebbero superare i checkpoint degli insediamenti israeliani.
Quale delle due ipotesi abbia maggiori possibilità di realizzarsi non è semplice capirlo, soprattutto perché la guerra con la quale Israele ha risposto alla spietata azione terroristica del 7 ottobre dell’organizzazione estremista Hamas, è in corso e continua a far registrare costi umani altissimi, soprattutto tra i civili. In un tempo in cui si fa a gara a chi semina più morte e l’odio rende impensabile ogni convivenza, ogni proposta di pace appare inattuabile, e gli accordi di Oslo, del 1993, restano il primo e unico serio tentativo di pace mai compiuto, fallito miseramente con il sopravvento delle parti, israeliane e palestinesi, che si opposero a quegli accrdi.
Lo sconforto di fronte alle immagini dei corpi martoriati, delle città distrutte e la consapevolezza di tante vite finite ci deve incitare a pretendere una mobilitazione del mondo intero capace di promuovere e sostenere la fine del conflitto. La cosa auspicabile, però, é che questa mobilitazione non venga alimentata solo dalle migliori energie diplomatiche, ovviamente si spera nell’intervento di un soggetto terzo che possa favorire il dialogo e ristabilire gli equilibri tra Israele e Palestina, ma anche e soprattutto da un cambiamento di mentalità della società civile che continua a schierarsi con gli uni o gli altri e a diffondere rancore e odio sui social, invece di inneggiare alla pace, impegnandosi nel raggiungimento di scelte condivise che possano placare ogni focolaio di guerra.
di Luigi Reale
Cos’è?
L’intelligenza artificiale è il ramo dell’Informatica che realizza i sistemi hardware e software in grado di far apparire gli elaboratori elettronici, intelligenti, una caratteristica che noi sappiamo appartenere esclusivamente all’uomo. Viene abbreviata con le sigle AI o IA, e le macchine che ne sono dotate mostrano capacità umane quali il ragionamento, l’apprendimento, la pianificazione e la creatività.
La nascita dell’intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale nasce insieme ai computer, tra il 1950 e il 1960, con un primo sistema, Logic Theorist, che sapeva dimostrare dei teoremi matematici seguendo regole logiche. Negli anni successivi nacquero programmi man mano sempre più avanzati, ma nonostante i primi risultati in questo campo fossero positivi si iniziarono a notare le prime limitazioni di questi programmi: non riuscivano ad imitare le capacità di ragionamento umane. A partire dagli anni ‘60 ci si accorse che ciò che era stato sviluppato fino ad allora non era al passo con le nuove necessità delle persone. Per questo motivo ci fu la tendenza di creare programmi che sapessero risolvere problemi più vicini alla quotidianità delle persone. Una rinascita della disciplina si ha solo a partire dal nuovo Millennio, quando il miglioramento della potenza di calcolo e la scoperta innovativa dell’apprendimento profondo (deep learning) hanno consentito la progettazione delle tecnologie per il riconoscimento vocale, per il virtual assistant e lo sviluppo della robotica.
Il futuro dell’intelligenza artificiale
Per comprendere appieno lo sviluppo attuale dell’intelligenza artificiale e gli scenari futuri, dobbiamo partire da una distinzione fondamentale tra due filoni di ricerca: Intelligenza Artificiale Debole e Intelligenza Artificiale Forte o Generale.
La prima è progettata per svolgere specifiche attività o compiti ben definiti, non possiede una vera comprensione o consapevolezza, ma è ottimizzata per eseguire operazioni ripetitive e ristrette. Un esempio comune di AI debole è un sistema di riconoscimento vocale o un algoritmo di gioco degli scacchi.
L’AI forte è in grado di comprendere, apprendere e svolgere una vasta gamma di compiti in modo simile all’intelligenza umana. Possiede la capacità di ragionare, apprendere dall’esperienza, può adattarsi a nuove situazioni e risolvere problemi complessi. Al momento, l’IA forte non esiste ancora in modo pienamente sviluppato, perché la sua affermazione dipenderà da ricerche ancora in corso che non sappiamo ancora quali risultati ci daranno e in quali tempi. Parliamo ad esempio di Reti neurali artificiali (tipiche del cervello umano) e di elaborazione del linguaggio naturale che comporta la capacità di creare spontaneamente testi coerenti per logica e per sentimenti con il contesto comunicativo.
In conclusione, dispiace deludere i catastrofisti, ma per Intelligenze Artificiali che sostituiscono l’uomo, o creano disoccupazione c’è ancora da aspettare.
I 3D DIGITAL BILLBOARD
di Matteo Marino
La pubblicità è l’arma vincente del commercio e i cartelloni pubblicitari, definiti pubblicità OOH (acronimo di Out Of Home ovvero le affissioni di grandi dimensioni in posti pubblici), sono una delle più antiche forme di marketing. Per questo sono sempre utilizzati nelle grandi città e nelle principali arterie di passaggio, come stazioni e aeroporti. Inoltre, le grandi aziende cercano continuamente di migliorare questa tecnica da cui dipende il loro guadagno e così, negli ultimi anni, sono giunte ad usare la tecnologia 3D.
Sono nati così, i giganteschi billboard digitali in 3D che, trasmettendo immagini e video tridimensionali, hanno reso questa tipologia di pubblicità OOH affascinante e di forte impatto visivo, in grado di conquistare i clienti con immagini dinamiche e coinvolgenti e di tenerli incollati per tutta la durata dello spot.
Come funzionano i cartelloni pubblicitari 3D
Per quanto possano sembrare all’avanguardia, fondamentalmente i 3D digital billboard utilizzano normali schermi LED o LCD, la differenza sta nello sfruttare la fisica e le abilità dell’occhio e del cervello umano di creare un senso a ciò che si vede.
Ogni occhio infatti percepisce un’immagine diversa, ma il cervello le rielabora in una sola per creare un senso di profondità e prospettiva. Quindi, confondendo i nostri occhi con la proiezione di due immagini distinte, il video trasmesso ingannerà il nostro cervello, facendogli percepire le immagini come se uscissero dallo schermo, per l’appunto tridimensionali e “costringendo” i passanti a credere di vedere qualcosa che in realtà non è presente. Per rendere tutto ancora più reale e avere maggiore impatto, le pubblicità 3D sfruttano un’altra tecnica: quella dell’anamorfismo. Questa illusione ottica si trova anche nella street art. L’effetto è reso possibile grazie alla distorsione delle immagini, visibile solo da una determinata angolazione o grazie all’uso di strutture curve.
I più famosi nel mondo
La Coca-Cola è tra le prime aziende che hanno voluto sperimentare subito le pubblicità 3D. Nel 2017, Coca-Cola si è guadagnata il primato Guinness World Records per le campagne pubblicitarie OOH con un’affissione 3D in Times Square, alta sei piani e composta da più di 1700 moduli led mobili che, muovendosi avanti e indietro, conferivano tridimensionalità all’intera immagine.
Oggi, i cartelloni pubblicitari digitali in 3D sono ormai un’installazione piuttosto comune nelle strade dello shopping delle grandi città orientali, come Tokyo, dove l’utilizzo di tecnologie innovative è probabilmente è più diffuso rispetto all’Occidente, ma ormai possiamo ammirare regolarmente nuove campagne pubblicitarie in 3D a New York, Londra e nelle italiane Milano e Roma.
STRAORDINARI PINGUINI
di Vita De Cillis
Molti pensano che i pinguini siano tra le creature più curiose, simpatiche e interessanti del regno animale, ma non tutti sanno che esiste una giornata mondiale di sensibilizzazione a loro dedicata. Si tratta del 25 aprile e l’idea è nata dai ricercatori della stazione McMurdo, un centro di ricerca americano sull'isola di Ross, in Antartide, i quali hanno notato che i pinguini di Adelia iniziavano la loro migrazione ogni anno intorno a questa data. Sebbene la giornata abbia origine dalle abitudini migratorie del pinguino di Adelia, essa celebra tutte le specie di pinguini e mette in risalto la difficile situazione di queste creature amanti dell'acqua: delle circa 17 specie in circolazione oggi, purtroppo 10 sono state ritenute in pericolo o vulnerabili e 3 sono considerati quasi a rischio. I pinguini trascorrono fino a tre quarti della loro vita in mare e dipendono dagli oceani per il cibo. La pesca eccessiva e l’inquinamento dovuto alle fuoriuscite di plastica e di petrolio rappresentano quindi una minaccia reale per questi uccelli e hanno contribuito alla diminuzione delle popolazioni, che a sua volta ha un effetto a catena sull’ecosistema in generale. Inoltre, per le specie che vivono nell’Antartico (il pinguino imperatore e il pinguino di Adelia), il cambiamento climatico provoca un’importante riduzione del ghiaccio marino, il che non solo incide sull’habitat dei nostri amici ma può anche avere un impatto sui tempi di schiusa dei pulcini e sulla disponibilità di cibo. La Giornata Mondiale dei Pinguini, quindi, incoraggia le persone ad apprezzare questi meravigliosi animali e a prendere atto delle difficoltà che affrontano ma soprattutto ricorda a tutti la necessità di interessarsi dei temi ecologisti e impegnarsi attivamente per la tutela ambientale. Convinti che solo approfondendo la conoscenza si crea la passione e l’impegno per cambiare quello che non funziona, noi studenti scegliamo la via dell’informazione, invitandovi alla lettura di qualche curiosità su questi splendidi animali.
1. Volano…, ma solo in acqua!
I pinguini sono gli unici uccelli che non volano. In compenso sono abili nuotatori, perché, contrariamente agli altri uccelli, che hanno le ossa vuote per librarsi in cielo con più leggerezza, i pinguini hanno le ossa solide e questo permette loro di nuotare più velocemente perché riduce la tendenza a galleggiare. Se sulla terraferma camminano in maniera assolutamente goffa, in acqua i pinguini volano letteralmente, arrivando a toccare i 40 km/h. Sono in pratica più veloci di una nave e 4 volte più veloci dei nuotatori olimpionici!
2. Il freddo non è un problema.
Molte specie di pinguini vivono al Polo Sud e per resistere alle basse temperature, che d’inverno toccano i -60° / -80°, l’evoluzione li ha dotati di pelle più spessa, penne e piume robuste e idrorepellenti e capacità di accumulare grasso. Inoltre la tipica colorazione bianca e nera, oltre a conferire un aspetto elegante a questi animali, tanto da farli sembrare vestiti con il frac, serve loro per mimetizzarsi quando sono in acqua e confondere eventuali predatori. Il colore scuro della schiena, visto dall’alto, li rende difficilmente distinguibili dalle acque più profonde dell’oceano, che sono in effetti più scure. Se avvistati dal basso, invece, la colorazione più chiara sulla pancia permette loro di confondersi con la superficie dell’oceano, dove l’acqua è più chiara.
3. La cova delle uova.
Un’altra curiosità riguarda la cova delle uova, che tra i pinguini imperatore spetta ai maschi. La femmina depone un uovo poi, tenendolo tra le zampe, cammina goffamente verso il compagno e glielo porge. Stremata dalle fatiche del parto, la femmina partirà alla ricerca di cibo in mare aperto per 2 o 3 mesi per recuperare l’energia. Il maschio coverà questo uovo per tutto il tempo in cui la femmina starà via, tenendolo costantemente tra le zampe per mantenerlo al caldo ed evitare che congeli. Non si sposterà mai da lì, neppure per mangiare, arrivando a digiunare per un periodo lunghissimo fino a un massimo di 100 giorni. Quando la madre, rifocillata, farà ritorno, si prenderà cura a sua volta dell’uovo mentre sarà il turno del padre di buttarsi finalmente in mare per fare rifornimento di cibo.
ESPLODE LA SINNERMANIA
di Alessandra Cutillo
Negli ultimi anni, il tennis italiano ha avuto un risveglio grazie ad atleti come Matteo Berrettini o Lorenzo Musetti che hanno attirato l’interesse verso questo sport. Fra questi atleti ce n’è uno che spicca: Jannik Sinner. Nato il 16 agosto 2001 e originario dell’Alto-Adige, è salito alle prime posizioni nel circuito ATP ed è stato il primo italiano a trionfare negli Australian Open. Attualmente Jannik è il tennista più temuto dagli avversari, ma il più amato dai tifosi. I suoi straordinari traguardi sportivi, e la conseguente notorietà, hanno scatenato un entusiasmo così forte, verso l’atleta e il suo sport, che è stato necessario inventare un nome per questo fenomeno: Sinner-mania.
Il pensiero che un italiano o un’italiana riesca a raggiungere traguardi di tale livello rende fieri tutti gli italiani, anche quelli che non seguono il tennis. Nonostante ci siano altri sport in cui sportivi italiani detengono le prime posizioni mondiali, al momento, i match di tennis, grazie a Sinner ed ai suoi successi, raggiungono un numero di spettatori maggiori rispetto ad altri eventi sportivi.
Infatti, secondo i dati Rai, a guardare la vittoria di Djokovic alle ATP Finals di Torino, sono state più di due milioni e mezzo di persone. Solo mezzo milione in meno gli spettatori della finale degli Australian Open 2024, nei quali Jannik Sinner ha trionfato, diventando il primo azzurro a vincere questo torneo. Numeri di appassionati che il tennis non ha mai potuto avere rispetto al calcio. Ecco perché oltre a tante manifestazioni di stima e affetto nei confronti di questo giovane atleta è giusto parlare di vera e dilagante mania: si va dalla statuina del tennista altoatesino, che imbraccia racchetta e coppa, realizzata dal maestro presepaio Genny Di Virgilio, presso una delle botteghe di San Gregorio Armeno, alla nascita di un fan club, che ha raggiunto una certa popolarità, i “Carota Boys”. Ancora, in campo enogastronomico, troviamo il pasticciotto leccese, con pastafrolla arancione per l’aggiunta di carota, e la pizza Sinner servita in una pizzeria di San Candido, frequentata in passato dal tennista.
Ma l’effetto più importante delle vittorie di Sinner è l’incremento del 15-20% delle iscrizioni nelle scuole di tennis italiane. Questo è un segnale molto positivo, perché vuol dire che sempre più ragazzi cominceranno a scoprire uno sport affascinante in grado di trasmette quei valori che Sinner rappresenta.
Il tennis è uno sport che stimola la mente perché è open skill, cioè pieno di situazioni imprevedibili e variabili. Il giocatore deve essere capace di definire la sua tattica di gioco e di conseguenza la sua vittoria o sconfitta.
Il tennis richiede calma e controllo emotivo, chi lo pratica impara a gestire le proprie emozioni e a concentrarsi sulle proprie prestazioni anche nelle situazioni più complicate.
In questo sport non ci sono sostituzioni e non esiste la possibilità di avere l’allenatore in panchina. Questa solitudine aumenta durante gli scambi seguiti in assoluto silenzio dagli spettatori
Il tennis offre la possibilità, in un’unica esperienza, di acquisire le competenze tecniche necessarie per riuscire bene in questa attività sportiva, ma soprattutto di interiorizzare e consolidare valori fondamentali per la propria crescita personale come la disciplina, il problem solving, il rispetto dell’avversario, e saper accettare la sconfitta.
KICKBOXING, NON SOLO FIGHTING!
di Marica Muletti
La kickboxing è uno sport da combattimento che prevede pugni, calci, attacchi con le ginocchia e altre tipologie di contatto tra i combattenti. Oggi è uno sport apprezzato in tutto il mondo, ma è nato in Giappone negli anni ‘60, quando un esperto di boxe, Osamu Noguchi, decise di sviluppare una nuova tecnica di combattimento, unendo i colpi caratteristici del Karate, molto praticato e amato in Giappone, con il gioco di braccia e pugni, tipico del pugilato e della Muay Thai, la boxe thailandese. Naturalmente furono introdotti guantoni e protezioni e cominciò a diffondersi molto velocemente anche se, oggi, non è ancora stata inserita tra gli sport olimpici.
Esistono vari tipi di combattimento: il Full Contact permette di colpire l’avversario al di sopra della vita e prevede incontri che possono terminare con il k.o. Il Semi Contact, invece, prevede che possano essere colpite solo la parte laterale e frontale del busto, con la vittoria che deve necessariamente essere assegnata dai giudici. Nel Light Contact, infine, si può colpire solo la parte superiore del busto, ma senza interruzioni dopo ogni singolo colpo.
L’obiettivo della kickboxing è la preparazione fisica e tecnica necessaria a vincere gli incontri, che devono svolgersi nel rispetto dei regolamenti. Questo ci porta a riflettere sul fatto che questo sport porta tanti benefici: l’allenamento coinvolge i muscoli di tutto il corpo, migliorando la forma fisica generale; ma migliora anche la forza della mente, perché la kickboxing aumenta la concentrazione, che è utile negli incontri, e l’autocontrollo delle emozioni di rabbia e paura. Nello stesso tempo, però, non dobbiamo dimenticare che pur insegnando tecniche di combattimento, non siamo di fronte a una disciplina di auto-difesa: chi pratica questo sport non può pensare di essere un combattente nella vita reale, dove le relazioni sociali devono svolgersi nel rispetto di qualcosa di più di un semplice regolamento sportivo.
di Emanuele Cinelli
Il calcio è lo sport di squadra più diffuso al mondo, in Italia è molto popolare e poco importa se non è nato qui, ma in Inghilterra con la nascita della Football Association, esattamente il 26 ottobre 1863. Nonostante sia così seguito, ci sono alcune curiosità che la maggior parte degli appassionati di calcio non conoscono. Per questo ne ho scelto 20 che sto per elencarvi qui di seguito.
La squadra più antica è lo Sheffield FC fondata il 24 ottobre 1857 e ancora oggi milita all'ottava categoria inglese.
I colori delle divise di alcune squadre europee non richiamano i colori della bandiera. Infatti la maglia dell'Italia è azzurra (e non tricolore) in omaggio all'ex Casa reale Savoia. Stesso discorso per la divisa tedesca, bianca con bordini neri, colori degli Hohenzollern, sovrani di Prussia, e per quella dell'Olanda, il cui colore arancione ricorda la Casa d’Orange-Nassau, famiglia reale dei Paesi Bassi.
La prima partita svolta tra nazionali Scozia contro Inghilterra, risale a due secoli fa, esattamente il 30 novembre 1872.
La partita con più autogol è stata quella disputata dalle squadre di As Adema e SO de l’Emyrne, nel campionato del Madagascar. I giocatori del SO de l’Emyrne realizzarono una lunga serie di autogol per protestare contro una decisione presa dall’arbitro in una partita precedente. L’incontro si concluse con il risultato di 149 a zero. Era il 31 ottobre 2002.
La partita con più spettatori si è tenuta a Rio de Janeiro il 16 luglio 1950 al Maracanà. A guardare la partita Brasile – Uruguay c’erano 199.854 spettatori.
In Islanda, i giocatori registrati sono 21.000, circa il 7% della popolazione pari a 330 mila persone. In pratica, uno ogni 15 abitanti.
Il più giovane giocatore ad esordire nella massima categoria è stato il boliviano Mauricio Baldivieso che nel 2009 aveva 12 anni, quando ha giocato per la sua prima partita nel Club Aurora di Cochabamba. Il più longevo invece è stato il portiere 'inglese Kevin Pool che nel 2014 ha giocato la sua ultima partita all’età di 51 anni .
Il calciatore più alto della storia del calcio professionistico è Yang Changpeng, giocatore cinese dello Shenzhen Shengpeng alto 2 metri e 11 cm di altezza, quello più basso nella storia del calcio professionistico, invece, Elton José Xavier Gomes, giocatore brasiliano, alto un metro e 58 cm.
Nel 1938, a Giuseppe Meazza mentre tirava il rigore decisivo per la vittoria, caddero i pantaloncini e rimase in mutande.
Restando in tema, Ronaldo ha confessato che durante Brasile-Ungheria, alle Olimpiadi di Atlanta del 1996,avrebbe approfittato di un momento di confusione per fare pipì in campo, a gioco fermo, seduto per terra e nascondendosi col pallone.
Il gol più veloce è stato segnato da Nawaf Al Abed il 2 settembre 2009, durante l’incontro Al-Hilal contro Shoalah terminata 4-0 per i padroni di casa, impiegò solo due secondi a realizzare una rete.
Alex Borr, invece, detiene un altro record di velocità sembra che abbia concluso una tripletta in soli 30 secondi.
Gol in ogni minuto. Ci sono tre giocatori che hanno fatto gol dal primo al novantasettesimo minuto di gioco: Ibrahimovic, Suarez e Ronaldo.
Zinedine Zidane è uno dei pochi giocatori a non essere andato in fuorigioco durante la sua carriera calcistica.
Il record di presenze consecutive spetta ad Inaki Williams, attaccante dell’Athletic Bilbao, che ha giocato tutte le partite in Liga tra il 2016 ed il 2022.
La Fifa ha assegnato al brasiliano Pelé per i suoi 1.281 gol in carriera il titolo di miglior marcatore. Però non tutti sono d’accordo. Per alcuni il record spetterebbe al connazionale Arthur Friedenreich, con 1.329 reti, mentre altri lo assegnano al giocatore ceco Josef Bican, autore di 1.468 realizzazioni.
Essere calciatore nella Colombia dei narcotrafficanti, poteva essere molto pericoloso. Nel giugno 1994 Andrés Escobar, difensore dell'Atlético Nacional, segnò un autogol che causò l'eliminazione della sua squadra dai Mondiali. Rientrato in patria, fu ucciso da con sei colpi di mitraglietta.
Il trasferimento più costoso di un giocatore è quello del francese Paul Pogba per il quale sono stati spesi 125 milioni di euro per riportarlo nella squadra del Manchester United allenata a quel tempo da Mourinho .
Mourinho ha un altro record dal 2004 al 2011 non ha mai perso una partita in casa, in quel periodo ha allenato Chelsea, Inter e Real Madrid.
Chiudiamo con quest’ultima curiosità. Un’espressione molto usata in gergo calcistico. Gli ultimi minuti della partita, quelli a cavallo del novantesimo, sono detti “zona Cesarini”. Chi era Cesarini? Renato Cesarini è stato una mezz'ala della Juventus dei primi anni Trenta del secolo scorso, che era solito segnare quando l'incontro era stava per finire.
AVATAR, LA LEGGENDA DI AANG
di Francesco Ricciardella
Tra le serie tv più popolari degli ultimi tempi si è imposto il titolo “La leggenda di Aang”. Si tratta di un fantasy in live action, adattato da una serie animata omonima, trasmessa da un canale televisivo quasi vent’anni fa.
La sua capacità di appassionare e coinvolgere gli spettatori è legata alla trama che si svolge in un mondo post apocalittico e ispirato ad un misto di culture asiatiche e dei nativi americani. Questo mondo è diviso in quattro nazioni, ognuna legata ad un elemento naturale (acqua, aria, fuoco e terra), che in un tempo lontano vivevano in armonia, grazie all’Avatar, il dominatore di tutti e quattro gli elementi. Ma tutto cambia quando la Nazione del Fuoco, intenzionata a conquistare il mondo, attacca e annienta i Nomadi dell’Aria. Quando tutto ormai sembra perduto, Aang, un dodicenne nomade dell’Aria, ultimo della sua specie, si risveglia dall’ibernazione per assumere il ruolo di nuovo Avatar.
Insieme a due nuovi amici, Sokka e Katara, della Tribù dell’Acqua del Sud, Aang si lancia nella sua importante missione, combattendo il Signore del Fuoco, Osai. Allo stesso tempo, deve sfuggire al principe ereditario Zuko che, esiliato dalla Nazione del Fuoco, vuole catturarlo per riconquistare l’onore perduto e tornare da eroe tra la sua gente.
Un altro punto di forza della serie è il carattere dei personaggi, alla realizzazione dei quali è stata data grande attenzione. Ci si aspetterebbe, infatti, personaggi con un carattere semplice, pronti all’azione e poco riflessivi. Invece, il dodicenne e coraggioso Aang è un ragazzino che sente su di sé il peso della responsabilità di salvare il mondo intero e convive con il senso di colpa di essere rimasto ibernato per anni mentre tutto, attorno a lui, veniva distrutto e la sua tribù veniva sterminata. Allo stesso modo, il suo iniziale antagonista, Zuko, non è un malvagio puro, ma sembra più un ragazzo alla ricerca del proprio scopo nella vita.
I temi trattati sono abbastanza insoliti per una produzione animata per bambini. Tra questi il più serio è il genocidio, da parte della Nazione del Fuoco, della popolazione dei Nomadi dell’Aria. Inoltre, attraverso lo sviluppo della trama e le azioni intraprese dai personaggi, viene sottolineata la differenza tra scelte facili e scelte giuste, l’importanza dell’accettazione della diversità e la forza del perdono.
INSIDE OUT 2
di Fiorella Serapiglia
Presto si torna nella mente di Riley che comincia, nel sequel del film della Pixar che in tanti abbiamo amato, la nuova temuta esperienza dell’adolescenza. Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto sono sempre nel quartier generale: hanno superato in modo brillante la brutta crisi del trasferimento a San Francisco e tante altre difficoltà. Ma la nuova sfida che attende la bella squadra non sarà una passeggiata. Sono in arrivo nuove emozioni in perfetto orario con l’avvicinamento all’età adulta della protagonista, che si dovrà confrontare con sensazioni nuove, e con un senso di insicurezza e disagio che sta alla base di questo particolare periodo della vita di tutti i ragazzi. Ecco quindi entrare in scena Ansia, Invidia, Noia e Imbarazzo, pronti alla “demolizione” del gruppo guidato da Gioia. Ma più probabilmente sarà una ristrutturazione, necessaria per crescere e adattarsi alla vita. Non vediamo l’ora di scoprirlo, il 19 giugno al cinema!
IL FENOMENO MONDIALE DEL K-POP
di Elisabetta Rossi
Un genere musicale abbastanza diffuso oggi tra i giovani è il K-pop, ibridazione di stili diversi (pop, hip-hop, rock, metal, jazz, rhythm and blues, ecc.) integrato con il ballo, la coreografia e la scenografia. La parola nasce dall’unione tra i termini Korea (cioè Corea del Sud, il paese asiatico) e pop, il genere musicale pop, e va a identificare la musica moderna cantata e suonata dai gruppi di cantanti coreani.
Le radici del genere risalgono alla fine dell’800 quando si verifica la rivisitazione di canzoni popolari occidentali trasformate in lingua coreana. Questo primo esperimento continua negli anni della seconda guerra mondiale, grazie al contatto tra Corea e Stati Uniti, ma solo tra gli anni Ottanta e Novanta il genere assumerà la forma attuale, con l’integrazione di coreografie e di elementi musicali rap che danno un tocco innovativo ad un genere che si atteneva principalmente alle vecchie tradizioni. Nel 1996 nasce anche la figura dell’idol, che a differenza di un cantante tradizionale, è una "celebrità multiuso" in grado di performance molto ricche. Tra il 2010 e il 2018 invece si è avuta la diffusione mondiale di questo genere, facilitata anche dall’avvento dei social media: nel 2012 attraverso Youtube il video di GanGnam style di Psy spopolò in Occidente. Ma quelli sono gli anni dei Boyzone e dei One Direction,e il pop coreano si distingue da questi ultimi per un insieme di fattori: la musica orecchiabile, i colori e lo stile dei vestiti ben studiati, le coreografie perfette e a volte super complicate dei balli e soprattutto la preparazione e l’impegno che richiede diventare idol. I treinees, gli apprendisti, sono molto giovani perché spesso affrontano una preparazione che può durare dai 2 ai 10 anni in media, costituita da lezioni di canto, ballo e lingue straniere, soprattutto giapponese, cinese e inglese. Un grosso limite del ruolo di idol riguarda proprio la preparazione, che comporta un grande stress psicologico dovuto soprattutto all’incertezza del futuro, infatti non tutti i trainees riescono poi a debuttare nel mercato musicale. Inoltre, devono interagire sempre attivamente con i loro fan sui social e ciò comporta ricadute sulla vita privata, come ultimamente è accaduto alla star del K-pop, Karina, la quale si è dovuta addirittura scusare per avere un ragazzo. I fan, infatti, sentendosi traditi hanno minacciato di boicottare i concerti e le vendite degli album e i manager di Karina l’hanno spinta a chiedere scusa pubblicamente. Un fatto banale ma assurdo che lascia intravedere dei meccanismi dietro questa industria musicale, non proprio limpidi e potenzialmente dannosi.
di Marisol Eliseo
Troppo grande il personaggio per parlarne in un articolo del giornale scolastico ma quando te ne accorgi, rinunciare ti dispiace, perché è un personaggio che più di altri passati ha lasciato un segno importantissimo nella storia dell’arte della danza. Allora ho pensato ad una sua impresa che ha avuto un successo strepitoso e che voleva fare arrivare la danza a più gente possibile. Roberto Bolle ha creato questo evento perché tutti possano capire che la danza non è per pochi ma, al contrario, è una passione molto diffusa e che ti prende fin dai primi anni dell’infanzia, come è successo a lui, quando a soli cinque anni ha lasciato per sempre il nuoto per dedicarsi a quella che oggi definisce la sua vita stessa. Con lo scopo di avvicinare chiunque alla danza, Roberto Bolle ha, infatti, ideato “On dance, accendiamo la danza”, una grande festa, in Piazza Duomo a Milano: dal 7 al 10 settembre 2023 ci sono state lezioni aperte e gratuite per ogni tipo di danza, flamenco, tip tap, charleston, dance hall, danza irlandese e tante altre tipologie, e un’esclusiva lezione alla sbarra con il maestro Bolle come insegnante. E poi talk show, proiezioni di film a tema e anche un talent show. Una meravigliosa festa per dire una cosa semplice, che la danza può essere maestra di vita per tutti e insegnare che a piccoli passi si possono realizzare grandi sogni.
di Angela Mastropietro e Alessandra Cutillo
Il giorno 3 maggio 2024 presso la libreria “Risguardi” di Campobasso si è svolto l’incontro con l’autrice Ilaria Mattioni in occasione della presentazione del suo nuovo libro “Hanno ucciso la libertà!” edito dalla casa editrice “Paoline” con le illustrazioni di Emanuele Racca. Tutti quelli che hanno partecipato alla presentazione non solo hanno avuto la possibilità di confrontarsi con l’autrice, attraverso domande, curiosità e un aperto scambio di opinioni, ma hanno potuto anche svolgere un’ attività laboratoriale di Storia, ispirata alla trama del libro: decifrare una lettera, scritta in codice per sfuggire alla censura della dittatura fascista e scegliere il proprio nome di battaglia, per entrare in una formazione di partigiani, come fece il protagonista del romanzo quando si arruolò tra le fila della Resistenza. Alla fine dell’incontro, l’autrice ha espresso contentezza e soddisfazione per la partecipazione attenta soprattutto degli alunni presenti e ha firmato copie del libro e scritto dediche a tutti i lettori che l’hanno richiesto.
Appassionarsi alla storia non era difficile: Alberto Steiner, detto Albe, e Francesca Wronowski sono i nipoti del deputato socialista Giacomo Matteotti, che per essersi opposto al fascismo, viene rapito e assassinato il 10 giugno 1924 da una squadra fascista capeggiata da Amerigo Dùmini. Albe ne rimane colpito profondamente e sfoga la rabbia disegnando. Attorno a lui la dittatura infierisce sempre più sulla libertà: a scuola, per le strade, sulla posta... La censura cancella molte frasi nelle lettere che si scrivono lui e la cugina Francesca, andata lontano perché il padre antifascista ha perso il lavoro. Ma loro escogitano un codice per comunicare. Poi scoppia la II guerra mondiale e Albe, che è diventato un grafico e si è sposato, entra con la cugina nella Resistenza. Finalmente il 25 aprile 1945 l'Italia ritorna libera e i due cugini adesso sono certi che Zio Giacomo non è morto invano.
di Noemi Di Lallo
Anche per il 2024 si è riaperta a Campobasso la rassegna “Ti racconto un libro”. Siamo alla ventiduesima edizione dell’iniziativa dell’Unione Italiana Lettori che, con la collaborazione del Comune di Campobasso, accompagnerà i lettori della città alla scoperta della letteratura, del giornalismo, della cultura italiana e internazionale fino a dicembre. Il programma, fitto di incontri con l’autore, lezioni d’autore e percorsi di lettura, è stato presentato agli alunni della scuola D’Ovidio, dal direttore artistico, Brunella Santoli, che con passione e impegno, insieme a tutti gli esponenti dell’associazione, conduce l’iniziativa su strade sempre nuove, anche per quanto riguarda la speciale sezione Infanzia, rivolta ai bambini e ai ragazzi dai 5 ai 12 anni. All’incontro di presentazione sono stati annunciati i titoli di entrambe le sezioni: di particolare interesse Ferrovie del Messico di Gian Marco Griffi e Se un coccodrillo bussasse alla tua porta dello scomparso Massimo De Nardo che a ottobre prevede anche degli incontri laboratori nelle scuole con attività creative e coinvolgenti.