Glossario

accoglienza

Deriva da “accogliere”, dal lat. accollĭgĕre, composto di ad- e collĭgĕre “cogliere, raccogliere”.

Per dare spazio a una parola vera è necessario che il silenzio, l’ascolto si faccia accoglienza, cioè faccia posto ad un vuoto, ad un’assenza di giudizio e preconcetto. Si può fare la similitudine con il grembo materno che offre spazio, intelligenza, comprensione, tutto se stesso per permettere all’altro di manifestarsi. Per accogliere la parola dell’altro è opportuno cogliere i suoi stati d’animo, sintonizzandosi sugli stati emotivi e cognitivi, raccogliendo il suo dire e anche il suo tacere.

apertura

Lasciar andare, aprirsi a ciò che si è, diventarne consapevoli. È accoglienza incondizionata, senza giudizio e conoscenza anticipata (pre-giudizio). Verranno a meno così atteggiamenti di chiusura o ostili nei confronti degli altri e si svilupperanno atteggiamenti empatici ed accoglienti.

ascolto di sé

Prestare attenzione a sé per un autentico incontro con se stessi, che avviene se si è allenati ad abitare i luoghi della psiche in cui raccogliere i propri pensieri smarriti per dare loro un’organizzazione, un senso, un significato. Ciò implica il raccoglimento nel proprio mondo interiore che è la nostra casa. È una stanza tutta per noi nella quale il vivere si trasforma in un ascolto di tutto ciò che viene alla luce: sentimenti di amore, di odio, pensieri di vita e di morte, pensieri piacevoli o sgraditi, percepiti come cattivi o come buoni, “sani”.

ascolto interiore

Indica la capacità di ascoltare i propri pensieri, le emozioni, scoprire come continuamente ci sfugge il momento presente, come evitiamo di essere qui, di essere come si è. È importante prenderne coscienza.

attenzione

vedi pedagogia dell'attenzione.

compassione

La compassione dal latino cum patior ‘soffro con’ e dal greco συμπἀθεια, sym patheia  ‘provare emozioni con’ - è un sentimento per il quale un individuo percepisce emozionalmente la sofferenza altrui desiderando di alleviarla.

Il significato di patire-con non va confuso con avere pietà. Traduzione che rischia di creare un up-down fra chi soffre e chi guarda.

La compassione è la risposta ad un bisogno di aiuto, a volte sussurrato altre volte gridato, che non si limita al sentimento, ma si traduce in scelta-azione. E contrappone all’indifferenza il senso di prossimità e di responsabilità. Promuove un comportamento etico che si fa segno della dignità umana. “La compassione è una forma fondamentale dell’incontro con l’altro, un linguaggio umanissimo, perché linguaggio di tutto il corpo, che coinvolge: i gesti, la gestualità, la parola, la presenza personale. Certo la compassione nasce in chi accetta di lasciarsi ferire e colpire dalla sofferenza dell’altro, sicché solo chi riconosce la propria vulnerabilità sa aprirsi alla sofferenza altrui.”. (L. Manicardi, L’umano soffrire)

compassione nella Mindfulness

“Essere sensibili alla sofferenza degli altri così come alla propria, prendendosi l’impegno autentico di cercare di alleviarla.” (Dalai Lama) è una definizione di compassione chiara e facilmente comprensibile, che deriva dal pensiero buddhista tradizionale. La descrizione di compassione presente nella mindfulness - una ‘pratica di allenamento della mente’ (da non confondersi con una religione) che trae origine dalla meditazione orientale - è in assonanza con le definizioni che ritroviamo nella tradizione cristiana o nelle scienze umane e offre ampi spazi di applicazione nelle buone prassi educative e formative rivolte ad ogni età della vita (infanzia, adolescenza, giovinezza, adultità, senilità).

Il termine non si limita al concetto di sofferenza, ma contempla anche e soprattutto “la motivazione di riuscire ad alleviarla acquisendo delle abilità, per riuscire a farlo… chiama in causa la capacità di essere gentili, supportivi e comprensivi.”. (Compassion Training. Primo Manuale - Inner Sight, Venezia, 2018)

L’atteggiamento di compassione non si esaurisce in un ‘patire con’, ma presuppone la motivazione all’azione, la scelta di un intervento che riduce il patimento. L’intenzione è di familiarizzare con la sofferenza ed essere sensibili ad essa, anziché tentare di sbarazzarsene. È un modo intimo di stare in relazione con sé stessi e con gli altri che “nasce nella profondità del nostro essere.”.

La compassione non è un’emozione sentimentale: è la lucida capacità di portare aiuto in maniera appropriata. È la conoscenza viva e attiva di ciò che è appropriato in una data situazione.”. (R. Nairn, Che cos’è la meditazione)

Sentire con gentilezza amorevole e sospensione del giudizio apre alla felicità propria e altrui. “Se vuoi che gli altri siano felici, pratica la compassione. Se vuoi essere felice tu, pratica la compassione.” (Dalai Lama).

competenza

Termine che deriva dal latino competĕre, comp. di con- e petĕre “chiedere, dirigersi”, propr. “andare, chiedere insieme”, sta ad indicare un’azione di “andare insieme, far convergere in un medesimo punto”; si traduce anche nell’accezione di gareggiare o di mirare ad un medesimo obiettivo.

La competenza è l’insieme delle capacità personali, delle abilità, dei saperi appresi con l’esperienza e gli insegnamenti, che vengono “trasferiti”, messi in atto per far fronte a situazioni particolari, in determinati contesti. Essere competenti è molto più quindi che avere delle conoscenze, poiché le competenze sono ciò che le persone riescono ad attivare, avvalendosi delle proprie risorse interne, per rispondere alle richieste dell’ambiente, in una prospettiva di crescita e realizzazione.

Negli ultimi decenni il concetto di competenza è stato uno dei temi centrali nel dibattito pedagogico, che ha visto formulare più definizioni in merito. Le critiche rivolte alla preparazione scolastica sottolineavano l’inadeguatezza, soprattutto per il mondo lavorativo, di percorsi formativi più centrati sul “sapere” che sul “saper fare”, implicando così la difficoltà di essere in grado di trasferire i saperi curriculari, scolastici, in modo consapevole ed opportuno in relazione ai contesti significativi e alla risoluzione di problemi. Nel nuovo paradigma pedagogico, il concetto di competenza assume quindi un ruolo centrale nella progettazione didattica che, continuando a riconoscere il valore indiscutibile ai saperi disciplinari, consente di armonizzare i processi di apprendimento attraverso l’integrazione e l’interconnessione in una prospettiva inter e multidisciplinare.

“Il concetto di competenza è legato alla capacità di usare consapevolmente ed efficacemente le conoscenze in rapporto a contesti significativi, che non riguardano solo prestazioni riproduttive, ma anche la soluzione di problemi. Pertanto la competenza, così sommariamente concepita, tiene insieme vari aspetti, tra cui: un aspetto “esterno”, la prestazione adeguata (performance osservabile), e uno “interno”, la padronanza mentale dei processi esecutivi”. (cfr. http://storage.istruzioneer.it/file/4_Relazione_Baldacci.pdf)

consapevolezza

È la coscienza di sè, è uno stato di presenza da riconoscere, che ci permette di rivolgere l’attenzione a ciò che accade dentro di noi. Indica la capacità di riconoscere e valutare i propri talenti ed i propri limiti, senza giudicarsi. Coltivare la coscienza del nostro sé nelle svariate sfaccettature: desideri, conflitti, meccanismi di difesa, contraddizioni, azioni e relazioni, punti di forza e di debolezza è una sapienza che si conquista con la determinazione e l’esercizio.

consapevolezza e mindfulness

La consapevolezza - dal latino con-sapere, composto da con e sapere: cognizione, presa di coscienza - è padronanza della propria mente, è capacità di elaborare un pensiero lucido su fatti eventi, portando profonda attenzione a percezioni, emozioni, stati d’animo, personali e altrui. Nasce da un atteggiamento vigile e riflessivo sulle cose della vita sia nel rapporto con sé stessi, sia nelle relazioni interpersonali e gruppali. È un processo di conoscenza e di comprensione profonda di bisogni, desideri, potenzialità, punti deboli, caratteristiche, carismi che si sviluppa grazie ad ascolto, osservazione, discernimento.

“La consapevolezza sta alla base della comprensione profonda e della ricerca della verità dell’esserci.” (F. Nanetti, Grammatica del cambiamento. Manuale operativo di clinica esistenziale)

La consapevolezza si esercita e si allena con pazienza, tempo dedicato e pause che fermano l’impulso di risposte immediate e frenetiche. L’ascolto di sé è il primo passo utile per notare schemi di pensiero ricorrenti, abitudini consolidate che caratterizzano il modo soggettivo di reagire agli eventi esterni. L’attenzione alla condizione personale stimola movimenti proattivi, di alterità, quindi di curiosità, interesse e rispetto verso l’altro. Uno stile riflessivo e congruente può orientare verso scelte più ponderate e maturate a partire dal concetto di bene comune. Siano esse individuali, legate a contesti privati o attuate in ambiti collettivi-comunitari.

Essere in consapevolezza apre alla compassione verso sé stessi e verso gli altri.

Nella meditazione con il termine consapevolezza si intende uno stato mentale vigile. Divenire consapevoli dell’esperienza presente, momento per momento.

Significa creare, attraverso le pratiche di meditazione, le condizioni che permettono alla mente di ritrovare il suo stato naturale: calmo, presente e chiaro.

“Riuscire a sostare nella consapevolezza è l’essenza della Mindfulness.” (J. Kabat Zinn, Mindfulness per principianti)

“La presenza mentale può essere definita come sapere cosa sta succedendo mentre sta succedendo, qualsiasi cosa sia.”. (R. Nairn, La mente adamantina. Psicologia della meditazione)

La consapevolezza è portare attenzione alle sensazioni presenti nel corpo: emozioni, stati d’animo, pensieri. (Mindfulness Training (2014-16 Mindfulness Association Ltd) - Inner Sight (Ve), Milano, 2016).

La presenza mentale è un’esperienza incarnata (embodied) e ancorata (grounded) nel corpo.

Grazie al risveglio dei 5 sensi e alla stretta connessione mente-corpo, in una dimensione dualisitca, è possibile sperimentare una mente più aperta e spaziosa.

I recenti studi neuroscientifici, grazie alle ricerche di neuroimaging, evidenziano come l’allenamento alla presenza mentale e alla calma, possano modificare l’architettura cerebrale. In soggetti che praticano la meditazione sono stati rilevati cambiamenti in zone del cervello legate a: memoria, percezione di sé, empatia, stress.

creatività, fantasia

La creatività è una forma di pensiero flessibile, duttile, che si avvale di meccanismi non logici ma non per questo disancorato dalla realtà. Essa richiede la compresenza di adeguati atteggiamenti della persona: la curiosità, il gusto per l’avventura, la fiducia, l’apertura, l’autonomia. La creatività non è dote esclusiva di artisti, è in ognuno di noi ed è possibile stimolarne e supportarne lo sviluppo. Ciò può avvenire attraverso la riapertura dell’immaginario, ossia stimolando la fantasia e gli aspetti immaginativi, rievocando ricordi. Gli aspetti fantastici, immaginativi e di creatività pervasivi negli anni infantili devono essere accolti e coltivati dagli adulti che si prendono cura dei bambini e delle bambine.

cura

Occorre aver cura di sé perché si sta in ascolto del desiderio di esistere, si ha ‘premura’ di divenire il proprio poter essere, di farsi soggetti capaci di generare mondi” (L. Mortari, Aver cura della vita della mente, RCS, Milano, 2002, p. 5)

“La cura non ha mai la struttura del progetto estrinseco, ma precede, fonda e regola ogni progetto educativo perché antepone ad esso la relazione originaria e in prima istanza decontestualizzata, con l’altro, con l’accoglienza, l’ascolto, la tutela della differenza che è premessa per la realizzazione dell’uomo come progetto; essa non è mai, riducibile a tecniche consolidate e ripetibili, neutre e asettiche (benché possa comprenderne), perché presuppone coinvolgimento, investimento affettivo, messa in questione di se stessi, delle proprie certezze, dei propri schemi e prospettive, della stessa identità, ossia l’esatto opposto del tecnicismo”.

(da R. Fadda, Il paradigma della cura. Ontologia, antropologia, etica. In Fenomenologia della cura, a cura di Luigina Mortari e Alessia Camerella, Editore Liguori, 2014)

emozioni e sentimenti

Parliamo in genere di emozioni e sentimenti in modo alternato e talvolta sinonimico. Tuttavia, mentre l’emozione è la reazione affettiva ad uno stimolo interno o esterno, in genere di breve durata e di intensità variabile, per sentimento si intende la componente esperienziale, il vissuto soggettivo (feeling) dell’emozione, che include anche il significato esplicito o implicito che le viene assegnato da chi la prova, oppure lo stato d’animo più generalizzato, meno intenso ma più pervasivo, simile all’umore (mood), che tende a perdurare nel tempo. In ogni emozione vi è una componente fisiologica fondamentale di modificazione corporea, per cui ogni stato emotivo è legato ad un “sentire” e ad un “sentirsi” fisicamente inteso, che viene percepito e a cui viene associato un significato psicologico. Dal punto di vista dell’origine delle emozioni, alcuni studiosi considerano l’attivazione fisiologica come precedente rispetto alla decodifica cognitiva dell’evento, altri ritengono invece che la risposta fisiologica sia conseguente rispetto all’interpretazione cognitiva dello stimolo. Le emozioni, anche per quanto riguarda alcune strutture cerebrali ad esse deputate, rappresentano uno stadio evolutivo molto arcaico, e ad esse sono affidati alcuni dinamismi di adattamento all’ambiente che sono responsabili della sopravvivenza e dell’evoluzione delle specie nel corso del tempo.Se il soggetto non avesse emozioni, in alcune situazioni gli riuscirebbe assai difficile agire o anche solo comprendere ciò che accade. Ad esempio la paura è una reazione emotiva ad uno stimolo percepito come minaccioso, che attiva l’organismo acuendo l’attenzione sensoriale e aumentando la sua prontezza e la sua capacità di reagire velocemente, come nel caso di fuga da un pericolo. Le emozioni quindi si rivelano a volte di grande utilità, per cui nel complesso i vantaggi del poterne disporre superano decisamente gli svantaggi del doverle – talvolta – subire. Le emozioni e i sentimenti hanno un valore performativo: condizionano, cioè, il nostro modo di agire, di comportarci, in quanto rappresentano dei veri e propri “modi” di essere nel mondo.

fiducia

Termine che deriva dal latino fidĕre «fidare, confidare»; ha la stessa radice della parola “fede” e questo rimanda al significato profondo ed esistenziale che attiene non solo alla dimensione spirituale di ogni essere umano, ma che attraversa e caratterizza tutta la vita. La fiducia come atteggiamento umano è insita in ciascuno di noi e richiama la necessità di poter riporre e disporre di un buon livello di affidamento verso gli altri, verso noi stessi e nei confronti della vita in senso più esteso. Il livello di fiducia che riusciamo a sviluppare nell’arco della nostra esistenza, a partire da quando nasciamo, caratterizza e condiziona anche la forza, l’energia che imprimiamo a quello che facciamo; sostiene lo slancio con il quale affrontiamo le difficoltà, elaboriamo progetti, coltiviamo speranze.

gentilezza

È il nome che diamo a una garbata attenzione, alla delicatezza, alla grazia. Dà un senso ed un valore alla nostra vita, ci eleva al di sopra dei nostri conflitti e dei nostri guai, ci fa sentire bene con noi stessi. Esprime il desiderio di aiutare, la felicità di essere generosi e partecipi delle vicende altrui.

ripetizione, prevedibilità

La ripetizione e la prevedibilità aiutano a sincronizzare le sensazioni, percezioni ed addirittura i movimenti appartenenti al sistema nervoso dei piccolissimi con quelli del sistema nervoso di chi si occupa di loro: come se i piccoli copiassero i circuiti cerebrali degli adulti e replicassero la loro capacità di sentire e percepire.

gioco del silenzio montessoriano

Il silenzio per Montessori non si riduce semplicemente al non parlare, ma indica l’inibizione volontaria e controllata di tutti i movimenti, consente al bambino di uscire dal caos disorientante e ritrovare l’armonia, immergersi nella concentrazione e quindi lavorare con lentezza e pace.

Esso quindi, come sostiene Montessori, può intendersi come “uno stato ‘superiore’ al normale ordine delle cose”.

Montessori notò che i bambini erano deliziati dal silenzio e che si impegnavano con grande costanza ed attenzione per raggiungere questo stato.

Maria Montessori propose quindi una vera e propria lezione del silenzio all’interno delle sue Case dei Bambini.

Una volta riuniti tutti i bambini, la maestra li invita con calma e pacatezza a far scendere il silenzio, mantenendolo lei per prima. Quando tutto tace, al punto da riuscire ad udire suoni altrimenti celati (il ticchettio dell’orologio a parete, il cinguettio degli uccelli in giardino…), la maestra avvisa i bambini che sentiranno una voce leggera chiamarli per nome. Allora, con grande attenzione, dovranno alzarsi uno alla volta e raggiungerla, cercando di non rompere lo stato creato.

Il bambino, dunque, è in grado di raggiungere attivamente il silenzio e di mantenerlo, e questo ha degli effetti notevoli sul suo sviluppo. Lo aiuta infatti a sviluppare il senso dell’udito ed acquisire maggiore consapevolezza dei suoni e dei rumori dell’ambiente e di quelli prodotti da lui stesso. Attraverso questo esercizio, inoltre, egli acquisisce consapevolezza del proprio corpo, controllo dell’equilibrio, padronanza dei movimenti e, quindi, autodisciplina

grazie

La seconda parola è “grazie”. Certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita famigliare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà. La gratitudine, poi, per un credente, è nel cuore stesso della fede: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Sentite bene: un cristiano che non sa ringraziare è uno che ha dimenticato la lingua di Dio. Ricordiamo la domanda di Gesù, quando guarì dieci lebbrosi e solo uno di loro tornò a ringraziare (cfr Lc 17,18). Una volta ho sentito dire da una persona anziana, molto saggia, molto buona, semplice, ma con quella saggezza della pietà, della vita: “La gratitudine è una pianta che cresce soltanto nella terra delle anime nobili”. Quella nobiltà dell’anima, quella grazia di Dio nell’anima ci spinge a dire grazie, alla gratitudine. È il fiore di un’anima nobile. È una bella cosa questa!

Papa Francesco, UDIENZA GENERALE, Mercoledì 13 maggio 2015

http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150513_udienza-generale.html

life skills

"Tutte quelle skills (abilità, competenze) che è necessario apprendere per mettersi in relazione con gli altri e per affrontare i problemi, le pressioni e gli stress della vita quotidiana" (OMS)

"L’acquisizione delle 10 abilità per la vita (Saper prendere decisioni, Saper risolvere i problemi, Creatività, Senso critico, Comunicazione efficace, Capacità relazionali, Autoconsapevolezza, Empatia, Gestione delle emozioni e Gestione dello stress) sviluppa e sostiene la promozione del benessere della persona e per estensione, anche dei gruppi, in quanto aiuta a riconoscere le risorse interiori e ad affrontare prove e stress in maniera efficace e resiliente". (G. Boda, Life skills, la comunicazione efficace)

pedagogia dell'attenzione

Il lavoro concentrato è alla base di ogni sviluppo del bambino, di ogni sua scoperta (coltivare la mente del principiante ci richiama la modalità che il bambino ha nell'approcciarsi alla realtà). Pedagogia dell'attenzione in quanto pedagogia dell'attesa: attesa e silenzio; si aspetta, non si ha fretta perchè ciò che deve essere vissuto è il momento presente. In questa logica, l'insegnante è il ricercatore, è il custode dell'attenzione del bambino. Maria Montessori prepara il setting, il materiale e poi aspetta, osserva l'attenzione del bambino che si polarizza e si concentra. È in questa "normalità e ordinarietà" in cui spesso sorprendiamo i bambini, rapiti e concentrati che si nasconde quello che la Montessori definisce il segreto dell'infanzia.

"Certamente qui sta la chiave di tutta la pedagogia: saper riconoscere gli istanti preziosi della concentrazione per poter utilizzarli nell’insegnamento" (M. Montessori op. cit in R.Regni e L. Fogassi, Maria Montessori e le Neuroscienze, FefèEdit, 2019, p. 165). A proposito dell'attenzione scrive la Montessori: "l'organizzazione della vita psichica si inizia con un fenomeno caratteristico di attenzione... e ogni volta che avveniva una simile polarizzazione dell'attenzione cominciava il bambino a trasformarsi completamente, a farsi più calmo, quasi più intelligente più espansivo; egli mostrava qualità interiori straordinarie, che ricordavano i fenomeni di coscienza più alti come quelli della conversione” (M. Montessori op. cit in R.Regni e L. Fogassi, Maria Montessori e le Neuroscienze, FefèEdit, 2019, p. 165).

permesso

La prima parola è “permesso?”. Quando ci preoccupiamo di chiedere gentilmente anche quello che magari pensiamo di poter pretendere, noi poniamo un vero presidio per lo spirito della convivenza matrimoniale e famigliare. Entrare nella vita dell’altro, anche quando fa parte della nostra vita, chiede la delicatezza di un atteggiamento non invasivo, che rinnova la fiducia e il rispetto. La confidenza, insomma, non autorizza a dare tutto per scontato. E l’amore, quanto più è intimo e profondo, tanto più esige il rispetto della libertà e la capacità di attendere che l’altro apra la porta del suo cuore. A questo proposito ricordiamo quella parola di Gesù nel libro dell’Apocalisse: «Ecco, io sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (3,20). Anche il Signore chiede il permesso per entrare! Non dimentichiamolo. Prima di fare una cosa in famiglia: “Permesso, posso farlo? Ti piace che io faccia così?”. Quel linguaggio educato e pieno d’amore. E questo fa tanto bene alle famiglie.

Papa Francesco, UDIENZA GENERALE, Mercoledì 13 maggio 2015

http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150513_udienza-generale.html

Sacramento del momento presente

Padre de Caussade, senza negare la virtù santificante dei sacramenti, amplia e arricchisce la visione della santità cristiana parlando del “sacramento del momento presente”, cioè “quelle cose che Dio ci invia in ogni momento e delle quali possiamo servirci per avvicinarci di più a Lui. Per questo, nessun battezzato, cattolico o meno, si sentirebbe escluso dall’invito che propone Caussade a un vero abbandono alla Divina Provvidenza”. Scrive Padre de Caussade: "Nell'abbandono, l'unica regola è il momento presente; allora l'anima è leggera come una piuma, fluida come l'acqua, semplice come il fanciullo; essa è mobile come una palla di biliardo nel ricevere e nel seguire tutti gli impulsi della grazia. Le anime come questa non hanno maggior consistenza e rigidezza di quanta ne abbia un metallo fuso; e così come il metallo assume la forma dello stampo in cui lo si cola, queste anime si piegano e si adattano con altrettanta facilità a tutte le forme che Dio vuol dare loro; in una parola, la loro disposizione assomiglia a quella dell'aria, che cede a ogni alito di vento, e assume qualunque figura” (Padre de Caussade, L'abbandono alla divina Provvidenza, Ed Paolini, Milano, 1986, p. 45)

scusa

La terza parola è “scusa”. Parola difficile, certo, eppure così necessaria. Quando manca, piccole crepe si allargano – anche senza volerlo – fino a diventare fossati profondi. Non per nulla nella preghiera insegnata da Gesù, il “Padre nostro”, che riassume tutte le domande essenziali per la nostra vita, troviamo questa espressione: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). Riconoscere di aver mancato, ed essere desiderosi di restituire ciò che si è tolto – rispetto, sincerità, amore – rende degni del perdono. E così si ferma l’infezione. Se non siamo capaci di scusarci, vuol dire che neppure siamo capaci di perdonare. Nella casa dove non ci si chiede scusa incomincia a mancare l’aria, le acque diventano stagnanti. Tante ferite degli affetti, tante lacerazioni nelle famiglie incominciano con la perdita di questa parola preziosa: “Scusami”. Nella vita matrimoniale si litiga, a volte anche “volano i piatti”, ma vi do un consiglio: mai finire la giorna Lc enza fare la pace! Sentite bene: avete litigato moglie e marito? Figli con i genitori? Avete litigato forte? Non va bene, ma non è il vero problema. Il problema è che questo sentimento sia presente il giorno dopo. Per questo, se avete litigato, mai finire la giornata senza fare la pace in famiglia. E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza! Senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace! Capito questo? Non è facile, ma si deve fare. E con questo la vita sarà più bella.

Papa Francesco, UDIENZA GENERALE, Mercoledì 13 maggio 2015

http://www.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2015/documents/papa-francesco_20150513_udienza-generale.html

speranza

Seconda delle tre virtù teologali, è strettamente connessa alla fiducia; è l’attesa che qualcosa di positivo accada; è l’aspettativa che si realizzi ciò che si desidera per il presente o nel futuro. La speranza è l’energia, la forza interiore che ci permette di avere uno sguardo positivo nel presente che consente di proiettarci verso il futuro; uno sguardo “possibilista” e aperto al cambiamento, che sa accogliere le trasformazioni e permettere alla conoscenza di arricchirsi. Speranza non è certezza, non è semplice attesa che qualcosa avvenga ma è lo sguardo che si proietta in un futuro lontano, in uno spazio vitale cui naturalmente tende la nostra dimensione umana più profonda.

silenzio

Assenza di rumore esterno che proviene da vari ambienti. Musiche più o meno assordanti nelle stazioni ferroviarie, nei luoghi pubblici in genere, nelle zone della città riservate al passeggio, nelle librerie e addirittura in alta montagna determinano un elevato inquinamento acustico altamente dannoso per la salute.

Assenza di rumore interno alla casa, dove si giunge al paradosso di combattere il rumore che non si vuole sentire opponendovi altri rumori. Entrambi ci avviano verso una società appendice del rumore e piena di rumore. Tutto ciò crea una nuova dipendenza con cui dobbiamo fare i conti. Una dipendenza che comincia a radicarsi già nella vita fetale, per proseguire nel tempo nei vari contesti di vita vissuti da bambini ed adulti.

Sentire il silenzio è avere il coraggio di lasciare ogni tanto le varie protesi acustiche (stero, tv ecc.) per rimanere soli con sé stessi, per fare silenzio dentro di noi, per ascoltarsi, per guardarsi dentro, per conoscersi senza paura di scoprire chi siamo.

Il silenzio interiore è il potere della “mente silente”. Il suo silenziamento autentico si realizza nell’arresto del continuo fluire di pensieri, di turbolenze emotive. Tutto il rumore deve cessare e la mente deve svuotarsi.

voce

Il termine voce, fonè, indica il suono della voce; serve per indicare il pianto, il lamento, il giubilo. Il greco fonè traduce l’ebraioco qol: indica la voce con cui l’essere umano esiste.

Nella Bibbia l’auto-rivelazione di Dio avviene per via acustica.

“La sera, i pastori conducono il gregge in un recinto per la notte. Un recinto comune serve generalmente a diversi greggi. Il mattino, ciascun pastore grida il suo richiamo e le pecore - le sue pecore che conoscono la sua voce - lo seguono.” (La parabola del pastore, Gv 10,1-10 )

Giovanni, con l’immagine del pastore e delle pecore, ci dice che la conversione è educare il nostro orecchio a quella Voce che ancora risuona tra noi che leggiamo il Vangelo, perché Lui è la parola vivente del Padre.

(dalla riflessione di Don Nando Bonati, Una questione di ascolto, Vita Nuova, 26 aprile 2020)