In questi giorni in cui la vulnerabilità si impone come la cifra dominante dell’esistenza e la speranza è il suo appello più ricorrente, in cui le domande sul vivere e sul morire si rincorrono senza risposta, pare restino solo esili fili della tessitura dell’incontro. Per non parlare della socialità più allargata: memoria di un tempo trascorso da poco, che sembra lontano anni-luce. (clicca sulla freccia a destra per proseguire)
Tutto è già stato detto: “la sfida è di uscirne migliori”, “l’occasione è propizia per tornare ad apprezzare le piccole cose”, “si stanno creando le condizioni per rifondare il legame sociale su una maggiore solidarietà”.
Invocazioni di un cambiamento tanto atteso quanto più sembra in ostaggio al caso; mentre il tempo scorre nell’incertezza, ridefinito da decisioni che non durano più di un giorno.
Il rischio è di lasciarsi travolgere da un vortice uguale e contrario alla frenesia di cui eravamo assuefatti: prima tutti fuori, impegnati a congegnare incastri tra tempi di vita professionale e familiare, così tanto impregnati di pensieri e parole da rasentare l’insensibilità difensiva, ora tutti in casa, sospesi in un tempo rarefatto di incontri, proiettati in ambienti tecnologici impoveriti di emozioni e sentimenti…
Cosa salvaguardare di quello che avevamo? Cosa presidiare in questa esperienza surreale [1]?
Dentro le “zone del rispetto” di questa inedita distanza-vicinanza, ciò che dà senso e conserva l’esistenza è la cura. Cura della salute in tutte le sue forme. Cura del corpo, dunque. Ma anche cura degli affetti, dei legami, dei pensieri, dello spirito. Cura che dà senso all’esistenza. In tutti i modi con cui riusciamo a concepirla. Secondo le competenze che ci qualificano e i vincoli che le interazioni e la comunicazione mediata (da un telefono, un computer, un tablet…) ci impongono.
Ci accorgiamo come non mai che la vita richiede cura. Nasciamo bisognosi di protezione, fino alla fine dei nostri giorni la cura è ciò che onora la sacralità dell’esistere.
Ancora di più la vita ferita richiede cura, le nostre esistenze attraversate dal dolore, dalla paura richiedono cura [2].
Cura è ciò che permette all’esistenza di fiorire, che dà forma alla vita, una bella forma. Ne orienta il divenire, trasforma la speranza in realtà.
La cura da sempre è l’essenza dell’educazione, permette a ciò che la storia di ognuno custodisce in potenza di esprimersi e realizzarsi.
Per questo ci sembra coerente con il compito del Coordinamento pedagogico e necessario in questi tempi bui tenere accesa l’attenzione sull’educazione, proponendo brevi riflessioni sulla cura educativa nelle sue diverse declinazioni: piccole meditazioni tese a illuminare i nostri passi incerti verso un futuro difficile da immaginare.
Sotto il titolo “Aver cura dell’esistenza: necessità e cuore dell’educazione” verrà pubblicato ogni settimana uno stimolo di riflessione, come fosse una rubrica.
Accanto a questo spazio di pensiero, proporremo ogni volta anche un’idea da tradurre concretamente nella forma di un gioco, un manufatto, un esercizio... da realizzare in casa, con i bambini. Non perché non ve ne siano tra i siti e le risorse sterminate del web. Ma per ricordarci che l’educazione non è solo pensiero, cuore, parole, concentrazione…, ma anche incontro, interazione concreta, esperienza, persino leggerezza intelligente.
Elisabetta Musi, Pedagogia dell’invisibile. Aver cura della vita emotiva
Elisabetta Musi è Referente del Coordinamento Pedagogico Provinciale FISM
NOTE
[1] surreale = è un’esperienza che supera, oltrepassa la dimensione della realtà sensibile; che esprime o evoca dell’inconscio, della vita interiore, del sogno
[2] cura = “Occorre aver cura di sé perché si sta in ascolto del desiderio di esistere, si ha ‘premura’ di divenire il proprio poter essere, di farsi soggetti capaci di generare mondi” (L. Mortari, Aver cura della vita della mente, RCS, Milano, 2002, p. 5)
Il tempo che un genitore dedica al proprio figlio parla di generosità, istruisce il piacere del dare e del ricevere. È un tempo che manifesta affetto e pazienza. È un tempo ricco di presenza, in cui il solo “stare” è già di per sé un momento che dona sicurezza al bambino, lo aiuta nella crescita delle sue capacità emotive e cognitive. Questo spazio può essere riempito di domande, racconti, riflessioni, fantasie e immagini. È uno spazio fecondo in cui possono crescere la fiducia verso se stessi, la capacità di superare piccole paure, insicurezze e conflitti.
Ascoltare una storia per parlarne insieme, farsi domande, immaginare altre storie… scandisce il tempo di cura, un tempo di emozioni da ascoltare e vivere insieme.
L. Mortari, Aver cura di sé, Mondadori, Milano, 2019
D. Demetrio, Raccontarsi. L’autobiografia come cura di sé, Cortina, Milano, 1996
F. Cambi, La forza delle emozioni: per la cura di sé, Pacina, Firenze, 2015
Da stampare
Immagini presenti nella pagina: da sinistra in ordine antiorario, P.A. Renoir, Bambino con giochi (1896), M. Cassatt, Carezza materna (1896), M. Cassatt, Il tè delle cinque (1879).