Aver cura di chi si prende cura

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Pedagogia dell’invisibile. Aver cura della vita emotiva

di Elisabetta Musi - Referente del Coordinamento pedagogico

Se siamo avviliti, preoccupati, contrariati la nostra capacità di ascolto è limitata, la nostra concentrazione ridotta, le competenze di cui solitamente disponiamo si rivelano compromesse, penalizzate. Al contrario se ci sentiamo in “piena forma”, “su di morale” o semplicemente sereni possiamo contare su una buona scorta di energie, le nostre decisioni sono confortate da una sferzata di ottimismo, lo sguardo sul futuro è profondo e progettuale. E tuttavia da parte della comunità scientifica, di studiosi e pensatori che hanno contribuito alla costruzione dei saperi, i “moti del cuore” sono stati per molto tempo scarsamente considerati o del tutto trascurati. Perché?

Una rimozione che viene da lontano…

Fin dalle origini la cultura occidentale si è consacrata all’esercizio della razionalità, trascurando passioni ed emozioni. La concezione dell’essere umano è risultata, così, composta di due realtà separate: il corpo e la psiche. L’anima (psiche) prigioniera del corpo, e la mente (noûs) con il compito di governare le pulsioni della carne attraverso il lògos.

La razionalità si riteneva fosse situata nella mente, in contrapposizione all’irrazionalità situata invece nel ventre: ancora oggi quando si dice un “sentire di pancia”, ci si riferisce proprio a questa concezione (Platone, La Repubblica, IV, 439 d.). Il retto esercizio della mente era pertanto finalizzato a liberare il soggetto dalle “follie del corpo”. Di conseguenza l’azione educativa ha coinciso per molto tempo proprio con il governo delle passioni al fine di produrre un pensiero “s-passionato”, liberato cioè dalle catene che derivano dalle conoscenze ottenute mediante i sensi. Viene così sancita l’autosufficienza della ragione, la superiorità della vita spirituale rispetto alle realtà terrene, della mente rispetto al corpo.


… e che si rinnova nelle continue censure della vita emotiva

Questa rimozione storica ne ha rafforzato un’altra, forse meno evidente, ma presente in ogni individuo: la tendenza ad ignorare il fatto che le emozioni sono l’espressione indomita e incontenibile con cui la vita interroga se stessa, e in questo interrogarsi avverte il pericolo di affacciarsi su “abissi insondabili”, di sporgersi su “precipizi senza fine”, travolti da “tempeste fragorose” (M. Zambrano, Verso un sapere dell’anima, Cortina, Milano, 1997, p. 16). Passioni ed emozioni, contrastando l’ordine razionale e sovvertendo meticolose pianificazioni (si pensi anche solo ai piccoli imprevisti quotidiani che ci costringono a faticose, irritanti riorganizzazioni) ci ricordano che l’essere umano “è una creatura non formata una volta per tutte (…)”. Come scrive la filosofa spagnola Maria Zambrano: “Non siamo stati terminati e non ci è chiaro che cosa dobbiamo fare per completarci (…). Siamo cioè problemi viventi” (M. Zambrano, Verso un sapere dell’anima, cit, p. 84).

Sudorazioni improvvise, balbettii, lapsus linguae, sogni che si trasformano in incubi e che rendono temibile il sonno… mostrano come la vita emotiva sfugga al controllo della ragione e spesso la metta in scacco (M. Zambrano, Verso un sapere dell’anima, cit, p. 84). L’esercizio della razionalità opera incessantemente per costruire rassicuranti steccati, distanze difensive, acquietando ciò che l’emozione, senza preavviso, scompiglia. A meno che… A meno che non ci si disponga a guadagnare una grammatica della vita interiore, quale fonte di comprensioni verso cui mantenersi in ascolto: recettivi, arrischiati, e tuttavia fiduciosi di scoprire nuovi e più profondi significati attraverso i quali immergersi nell’esistenza.


Il sapere delle emozioni

Nel recente dibattito a proposito dell’incidenza della vita emotiva sulla costruzione identitaria, una delle posizioni più decise nel sostenere la dignità delle emozioni si deve allo psicologo dell’età evolutiva Stanley Greenspan, il quale invita a riconoscere che, nel determinare la costruzione della mente, le esperienze cognitive sono stimolate dalle emozioni e non viceversa. “Il bambino discrimina non tanto memorizzando esempi o regole consce o inconsce, quanto portando con sé da una situazione all’altra il proprio bagaglio di stimoli emozionali. (…) Gli affetti che ci portiamo appresso da una situazione all’altra ci dicono che cosa pensare, dire e fare, inserendo ciascun evento nel contesto emotivo e globale della nostra vita. Così siamo in grado di comprendere” (S. I. Greenspan, L’intelligenza del cuore: le emozioni e lo sviluppo della mente, Mondadori, Milano, 1997, p. 25). Ciò significa che, ad ogni età della vita, educatori, insegnanti e formatori dovrebbero prestare attenzione alla dimensione emotiva, predisponendo specifiche occasioni di ascolto, riconoscimento, rielaborazione di quanto si agita in sé, progettando interventi di educazione affettivo-emotiva ai quali assegnare un’importanza pari all’educazione cognitiva.

Emozioni e sentimenti rappresentano infatti una dimensione fondamentale della persona; imparare ad ascoltarli, decodificarli, elaborarli, coltivarli costituisce una competenza esistenziale di straordinaria importanza per lo sviluppo psicofisico e relazionale di ognuno. La mente è una funzione intersoggettiva che si sviluppa nel contatto con gli altri, e l’intelligenza cognitivo-emotiva si esprime e cresce in virtù della qualità delle relazioni che coltiviamo con le persone che ci circondano (J.S. Bruner, La ricerca del significato, Bollati Boringhieri, Torino, 1992). I genitori costituiscono le prime risorse evolutive per i loro figli, la loro capacità di costruire ambienti stimolanti e sereni è fondamentale nei processi di crescita, ma se essi non hanno gli strumenti necessari per guidare i propri figli nell’esplorazione e nell’ascolto di sé, per garantire loro esperienze significative e formative fin dai primi anni di vita, devono poter contare su servizi educativi e scolastici competenti e di qualità. L’ambiente socio-emozionale in cui vivono e crescono i bambini è la matrice di ogni apprendimento, e l’interconnessione tra facoltà cognitive, emotive e relazionali crea un sistema di stimoli e rinforzi che permette, favorisce e promuove gli apprendimenti. Decisiva dunque è la figura dell’educatore e dell’insegnante, il cui compito di manifestare fiducia nelle capacità del bambino incoraggiandolo nelle sue esplorazioni e nelle sue sperimentazioni concorre significativamente alla costruzione delle sue conoscenze (M. Menès, Il bambino e il sapere, La Scuola, Brescia, 2013). Un atteggiamento positivo ed ottimista da parte dell’educatore nei confronti delle fatiche e persino degli insuccessi di un bambino è più efficace di un intervento correttivo che ne limiti le esperienze fallimentari (L. Cozolino, The Social Neuroscience of Education. Optimizing attachment and learning in the classroom, W. W. Norton & Company, 2013). Un clima relazionale positivo e collaborativo in un gruppo di bambini ne potenzia la concentrazione e gli apprendimenti.


Da dove ripartire? Dall’attenzione al sentire: in famiglia, a scuola

Avvicinandomi alla fine del discorso, provo ad abbozzare qualche conclusione.

La vita si comprende con la vita. Il sentire è onnipresente e non è “opaco”, “irrazionale”, sostiene la filosofa Roberta De Monticelli: è apertura alla verità, ai valori, alle risposte etiche, al volere. La coincidenza di sentire ed essere rende la dimensione emotivo-affettiva dell’esistenza così attivamente costitutiva dell’identità personale che noi diciamo infatti “essere fuori di sé”, ovvero perdere la propria identità, quando le “ferite dell’anima” colpiscono una persona nel proprio essere più profondo. Per questo riveste un ruolo prioritario l’educazione del sentire (R. De Monticelli, “L’ordine del cuore. Per una fenomenologia dell’affettività”, in C. Bazzanella, P. Kobau, Passioni, emozioni, affetti, McGraw-Hill, Milano, 2002, p. 80), cioè la capacità di comprendere i vissuti altrui.

Nella pedagogia dei sentimenti il concetto di comprensione è decisivo affinché la vita emotiva non sia più un ostacolo ma possa diventare una risorsa nella scuola e nei servizi educativi. La comprensione consente di porre e di lasciarsi porre domande di senso, questioni esistenziali, sollecitate da situazioni ad alta intensità emotiva.

Per muoversi in questa direzione occorre “rimanere in contatto con i sentimenti”, “stare in ascolto delle emozioni”, riconoscerne il ruolo e l’importanza, lasciarli essere, nominarli, esprimerli. Il che è diverso dal volerli spiegare o, come si sente dire, dal “gestirli”: gestire i sentimenti implica un loro possesso e una loro “amministrazione”, che rimandano alla prospettiva di doverli “dominare” piuttosto che a quella di “ascoltare” che cosa hanno da esprimere.

Vi è un “ordre du coeur” o una “logique du coeur” a priori, come dice Blaise Pascal” (M. Scheler, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1996, p. 92). Anche nell’etica educativa e di cura, i gesti del rispetto, dell’accoglienza, dell’attenzione, dell’ascolto, non possono trovare fondamento nelle rigide simmetrie del pensiero logico, ma solo nella percezione affettiva dell’altro come un destino umano che “mi” riguarda e nel quale sono in una certa misura coinvolto In questo senso è altamente significativo il tentativo di rifondare le basi dell’etica sul principio della responsabilità che l’apparizione del “volto” dell’altro suscita come un imperativo morale (cfr. E. Lévinas, Umanesimo dell’altro uomo, Il Melangolo, Genova, 1985). Infatti gli atti emotivi appartengono alla classe degli atti “egologici”: nei quali, cioè, l’io si percepisce come più o meno profondamente implicato. Ciò spiega perché la vita emotiva non sia soltanto una “finestra sul mondo”, ma si possa anche considerare una via privilegiata alla conoscenza di sé: è anzitutto “nel sentire che si incontra se stessi” (R. De Monticelli, La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, Guerini, Milano, 1998, p. 179).

La sfera dell’affettività non solo attiene a qualcosa che accade tra l’io e il mondo, ma rende più significativo il mondo e più trasparente l’io a se stesso. Nel momento in cui il sentire ci permette di prendere coscienza delle qualità assiologiche della realtà, ci mette in contatto anche con diversi livelli di profondità del nostro essere personale. Emozioni e sentimenti, dunque, appartenendo alla relazione intenzionale tra il sé e il mondo, rivelano qualcosa di entrambi, e aumentando la consapevolezza, sostengono l’esercizio di scelte maggiormente avvedute, intenzionali, mature.


L’etica del sentire in prospettiva cristiana

In che relazione stanno le emozioni con l’etica e la vita cristiana?

Come per la storia del pensiero occidentale, anche l’etica è stata concepita innanzitutto come un insieme di conoscenze, una realtà in rapporto con la sola sfera intellettiva, che poggia sul ragionamento attorno al bene e al male. Il mondo delle emozioni, invece, è percepito come un elemento accessorio, come una potenziale minaccia alla rettitudine e persino solidità della fede, un fattore di disturbo nel rapporto con Dio. E tuttavia anche nella sacra Scrittura e nelle azioni liturgiche, l’atto di fede – al suo nascere, come nel suo perdurare nel tempo e nelle prove – è strettamente associato all’esperienza sensoriale: il sentire, l’ascoltare, il toccare hanno un impatto diretto sul vissuto emotivo del soggetto, chiamato ad accogliere con fede, appunto, il mistero che si rivela.

Dunque il cuore, centro di passioni e di quell’evoluzione del sentire che dà luogo ai sentimenti, non è antitetico alla fede, all’apertura alla trascendenza e alla ricerca del bene, ma scaturigine e profondità di intuizione: “Custodisci il tuo cuore più di ogni altra cosa, poiché da esso provengono le sorgenti della vita” (Proverbi 4:23).

Non il formalismo razionalistico, dunque, ma l’intuizione emozionale permette l’accesso alla dimensione assiologica Provo a esemplificare questi ultimi pensieri con una storia che mi è capitato di ascoltare. Scuola dell’infanzia. Nella sezione dei piccoli c’è un bimbo di 4 anni pacifico e paffutello, gradita “preda” di alcuni compagni particolarmente “vivaci”, che sfogano gli eccessi di “vitalità” sulle guanciotte piene o sul dorso delle mani del povero Nicolò, lasciandogli quei segni che per la loro forma vengono simpaticamente definiti “orologi”. La prima volta di una riconsegna “col marchio” la mamma contiene a fatica un moto a metà tra lo sgomento e la stizza, accogliendo prontamente le scuse delle insegnanti e condividendo che “sono cose che capitano…”. Nei giorni successivi si ripete più volte la stessa scena, con la sola differenza che la mamma è sempre più insofferente e le insegnanti visibilmente imbarazzate. Evidentemente nella classe si è sparsa la voce che Nico è l’antistress ideale: piange quando è aggredito, dà dunque soddisfazione, ma non si ribella granchè, forse per paura di rimediare un altro “quadrante”. Probabilmente prese dal più profondo sconforto, dopo aver esaurito tutte le strategie pedagogicamente corrette, le insegnanti mettono in atto un curioso e discutibile cerimoniale per esporre il piccolo leader del gruppo dei “morsicanti” al pubblico ludibrio. Questo il racconto che Nico riferisce alla mamma: “Stamattina quando eravamo in cortile le maestre ci hanno chiamato e abbiamo fatto un grande cerchio. Poi hanno detto: Nicolò vieni in mezzo. E hanno chiamato anche Luigi, quello che mi morsica di più. Poi hanno detto: Luigi non sappiamo come fare a farti smettere, forse non sai come si sta quando si ricevono dei morsi nelle mani, nelle cosce o sulle guance. Adesso ne farai esperienza. Nicolò, adesso mordi Luigi. E mi hanno allungato il braccio del mio compagno”.

Non è difficile immaginare lo sconcerto negli occhi della piccola vittima.

  • E tu cos’hai fatto? – chiede la mamma con lo stesso sbigottimento.

  • Io ho provato a mordere, ma non mi si chiudeva la bocca…”.

In queste parole ho sempre pensato ci fosse l’inequivocabile dimostrazione che il sentire ha un fondamento etico che precede ogni razionalizzazione. Dell’educazione è il compito di non corromperlo e di esercitarne l’applicazione alle diverse situazioni che il soggetto ha l’avventura di vivere. Nel promuovere tale apprendimento sta infatti la valenza morale dell’educazione, che non consiste nel trasmettere il pensato (l’educazione depositaria denunciata da Freire in Pedagogia dell’autonomia. Saperi necessari per la pratica educativa, Edizioni Gruppo Abele, Torino, 2004) come corpus di conoscenze con cui reiterare abitudini (mores), costumi (ēthe, da cui l’etica) e stili di vita, ma si concentra piuttosto nel sostenere l’esercizio del pensiero. Pensare, secondo l’accezione proposta da Hannah Arendt, si esprime prioritariamente come “attività della coscienza, affinamento dell’attitudine a discernere il bene dal male, il bello dal brutto” (H. Arendt, La vita della mente, il Mulino, Bologna, 1987, p. 289). Il fatto che si tratti di un’attitudine, significa che è propria dell’essere umano la disposizione a distinguere il buono dal cattivo, il giusto dall’ingiusto, principi “che non vanno scelti, ma riconosciuti veri” (G. Penati, in M. Laeng (a cura di), voce Autonomia Enciclopedia pedagogica, La Scuola, Brescia, 1989, pp. 1291). La libertà di scelta, essenza del divenire umano, consiste pertanto nel decidersi volontariamente per l’uno o per l’altro di quei principi, realizzando un processo di natura essenzialmente etica.

a sinistra, P. Picasso, Madre e figlio (1905), sopra E. Munch, Malinconia (1891); sotto, a destra, E. Hopper, Room in New York (1932), di fianco a sinistra, sopra V. Van Gogh, Ramo di mandorlo fiorito (1890); sotto, E. Schiele, Madre con bambino (1912).

Stimoli di riflessione

  • Quali sono le emozioni che abitano il “quartier generale”?

  • Perché proprio quelle?

  • La rappresentazione delle emozioni riflette un grande luogo comune: quale? (Dove sono collocate le emozioni?)

  • Quale dimensione è clamorosamente assente nelle dinamiche tra emozioni e “io”?

  • Che rapporto c’è tra emozioni e ricordi?

  • Chi è Bing Bong? Perché piange caramelle? Da cosa è terrorizzato?

  • Qual è il messaggio del film? (e di Bing Bong?)

  • Cosa rappresenta il clown Jangles?

  • Cos’altro ti ha colpito?

  • Cosa è leggibile con gli strumenti concettuali dell’analisi di emozioni e sentimenti?

Da leggere

Ho sempre pensato che se un libro fornisce contenuti talmente forti ed incisivi da contribuire a dare forma all’esperienza è un buon libro (in realtà dipende dall’alleanza che stabilisce col lettore, e cioè dalla sintonia con quest’ultimo, dal suo orizzonte culturale e ideologico, dal periodo della sua vita, dai ricordi che suscita e da molto altro ancora).

Quindi indico tre libri che sono stati buoni per me, a cui sono sinceramente grata e di cui ricordo qui almeno un concetto che mi è servito per la vita:

Alexander Lowen, La spiritualità del corpo, Astrolabio, Roma, 2000

L’odio è amore congelato, scrive l’autore.

Non l’avevo mai pensato così, e questa prospettiva mi ha fatto riconsiderare l’odio come domanda che non ha trovato risposta e si è trasformata.

Salvatore Natoli, La felicità, Feltrinelli, Milano, 2003

In genere riteniamo che la felicità sia questione di un attimo, di cui ci accorgiamo quando l’abbiamo persa. Ma può essere la percezione di un’espansione illimitata, come ricorda Natoli citando gli epicurei, o la costruzione di una vita, che attraversa anche momenti di sconforto ma non si perde...

Alice Miller, La fiducia tradita, Garzanti, Milano, 1995

Cosa succede quando un bambino crede di potersi fidare delle persone che lo hanno messo al mondo, che più gli dovrebbero essere vicino, che dicono di amarlo, che pure gli dedicano tempo, energie… ma poi non lo ascoltano, lo trascurano, lo umiliano? Succedono molte cose dentro di lui, finche un giorno molto probabilmente agirà quegli stessi comportamenti verso altri che un tempo ha subito.

Sono grata ad Alice Miller per aver rintracciato dolorosamente questo processo nella sua vita e per poi aver passato tutto il resto dell’esistenza a denunciare e documentare la trasmissione i quelli che Bowlby chiama gli “schemi operativi interni” tra le generazioni.

Per i più piccoli

Debi Gliori, Ti voglio bene anche se…, Mondadori

Mini è un cucciolo di volpe che si fa tante domande: Maxi lo amerebbe anche se fosse un orso feroce? O un coccodrillo spaventoso? E, soprattutto: l'amore dei grandi dura per sempre? Cosa succede quando non ci siamo più? Un libro pieno di poesia, che affronta temi come la paura della solitudine e dell'abbandono in modo semplice e delicato, per aiutare i bambini a crescere sicuri che l'affetto di un genitore resiste per sempre.

AAVV, Che rabbia!, Uovonero

Roberto ha passato una bruttissima giornata: appena arrivato a casa risponde male al papà e non vuole mangiare gli spinaci. Che rabbia! Ma quando la Rabbia si materializza, Roberto comprende quanto può essere dannosa…



Van Hout Mies, Emozioni, ALI

La rappresentazione visiva di 20 stati d’animo, attraverso pesci del mare rappresentati in modi differenti, a seconda del loro umore e delle loro emozioni. Un libro per interpretare insieme al bambino le diverse emozioni. Ma anche un libro semplicemente da osservare…

Jutta Bauer, Urlo di mamma, Nord-Sud

Siamo nel mondo dei pinguini: la mamma si arrabbia improvvisamente e sgrida il bambino pinguino che si spaventa. Lo spavento è talmente grande che il corpo del piccolo pinguino si disfa: la testa vola nell'universo, il corpo si tuffa nel mare, le ali vanno a finire nella giungla e corrono finché arrivano nel deserto. Il viaggio termina quando la mamma riesce a raccogliere tutti i pezzi del figlio e cucirli insieme.

Approfondimenti da guardare e ascoltare

PER ADULTI

In questa sezione indico solo un video di pochi minuti che spiega l’evoluzione dall’impulso al sentimento, ma soprattutto esprime con chiarezza un messaggio: se non si presta attenzione e non si educa la vita emotiva, il rischio è di continuare ad avere persone che passano dall’impulso al gesto.

PER BAMBINI

Inside Out, regia di Pete Docter, Animazione, USA, 2015

Crescere è sempre difficile e anche l'infanzia di Riley non fa eccezione. La piccola viene strappata alla sia vita tranquilla nel Midwest quando il padre si trasferisce per lavoro a San Francisco. Riley è guidata dalle proprie emozioni (gioia, pura, rabbia, disgusto e tristezza), che vivono nel Quartier Generale situato nella sua mente.

Proposte di attività per riconoscere le emozioni (adulti e bambini)

RICONOSCERE LE EMOZIONI – PROPOSTE PER ADULTI E PER BAMBINI

Da stampare

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