Economia e moneta europea

Come siamo arrivati all'euro?


Nel 1992 è stato sottoscritto da dodici Paesi europei il Trattato di Maastricht, anche chiamato trattato sull’Unione Europea. Tale trattato ha realizzato un’unione tra i  Paesi membri sotto l’aspetto economico, politico, giudiziario e sociale.


In relazione all’aspetto economico, ha creato le premesse per l’unione monetaria attraverso l’Euro. Per raggiungere tale unione, inoltre, ha introdotto i criteri che i Paesi devono adottare per aderire all’Euro tra i quali emergono il tasso inflattivo che non deve superare i 1,5 punti percentuali, il tasso di interesse che non deve eccedere di oltre 2 punti percentuali, il tasso di cambio che deve rimanere stabile ed infine il livello del debito pubblico che non deve protrarsi oltre il 3% del PIL.


In seguito all’introduzione di questo trattato, il 1 gennaio 1999 è stata denominata la cosiddetta Eurozona, ovvero l’insieme dei paesi che hanno adottato come moneta ufficiale l’euro. Attualmente ne fanno parte 20 paesi su 27 Stati Membri (restano ancora esclusi: Bulgaria, Cechia, Polonia, Romania, Svezia, Ungheria e Danimarca). La politica monetaria in quest'area è affidata alla Banca Centrale europea (BCE) la cui sede è a Francoforte, in particolare quella economica resta nelle mani degli Stati membri, che però devono perseguire gli obiettivi comuni di stabilità, crescita e occupazione lavorativa.


Nel 2002 l’Euro è entrato in vigore nei primi paesi che vi hanno aderito. Trascorso un momento iniziale di speculazione e malcontento, come nel caso dell’Italia, provocato dalla diminuzione del potere d’acquisto della moneta e un conseguente aumento generalizzato dei prezzi,  si sono susseguiti  molteplici vantaggi e progressi economici.

Tra questi ultimi possiamo segnalare  la riduzione dei tassi d’interesse, una maggiore stabilità monetaria che garantisce un miglioramento nella gestione delle crisi (esempio quella pandemica), un minor rischio di fluttuazione e costi legati al cambio di valuta, una maggiore facilità dello scambio monetario durante i viaggi.


Legato a quest’ultimo punto il trattato di Schengen, istituito nel 1990, è stato rilevante nell’abbattimento delle frontiere interne fra i vari paesi, per permettere una più facile circolazione di persone, beni e denaro. Al contrario, fra i paesi non aderenti, ha stabilito dei criteri comuni da adottare seguendo il codice frontiere Schengen. La sua introduzione consente la circolazione a 420 milioni di persone in un’area di 4 milioni di chilometri quadrati, senza la necessità di passaporto o visto.  


Balduzzi Vittoria, Bruno Cristian, Crosetti Marta

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Dalle grandi crisi ad una rinascita comune

L’unione economica dei paesi europei ha consentito di affrontare delle importanti crisi a livello mondiale, che hanno coinvolto tutti gli stati membri. Una di queste è la crisi economica del 2008, la seconda importante crisi del mondo capitalista, dopo quella del 1929. Ancora una volta essa ha avuto origine negli Stati Uniti, ma in un contesto globalizzato si è diffusa in tutto il mondo, compresi gli stati europei. Questa crisi viene considerata la più grande della storia, in quanto ha provocato un calo della produzione industriale a livello planetario, un aumento esorbitante della disoccupazione e una crisi di liquidità. 


Nel 2019 ebbe luogo una nuova crisi, non di tipo finanziario, bensì sanitaria, causata dalla diffusione di  un nuovo virus chiamato Covid-19. Questa crisi pandemica ebbe conseguenze a livello economico e in seguito provocò la chiusura dell’economia mondiale.

 Per far fronte alla crisi gli stati membri dell'Unione europea si sono riuniti per trovare una soluzione comune, creando il Next generation EU ovvero un fondo monetario di 750  miliardi di euro, il cui obiettivo è stimolare una “ripresa sostenibile, uniforme, inclusiva ed equa”.


 In questo contesto si inserisce Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, lo strumento che  traccia gli obiettivi, le riforme e gli investimenti che l’Italia intende realizzare, grazie all’utilizzo dei fondi europei di Next Generation EU.

Il suddetto piano prevede 16 componenti raggruppati in 6 missioni ovvero:

Per finanziare il PNRR italiano sono state messe a disposizione dall’Unione Europea risorse pari a 191,5 miliardi di euro, composti da 68,9 miliardi di euro finanziati da sovvenzioni a fondo perduto e 122,6 miliardi di euro finanziati tramite prestiti.

Per usufruire di questi fondi è necessario che i Paesi rispettino i tempi di attuazione di ogni obiettivo, inoltre questi ultimi devono essere valutati dalla Commissione Europea.


La crisi pandemica è stata la seconda grande crisi dopo quella del 2008,  ma per la prima volta la BCE ha istituito un fondo di debito pubblico comune tra tutti gli Stati dell’Unione Europea per contrastare questo fenomeno. Per la prima volta la situazione di default dovuta alle grandi crisi si è verificata a livello europeo, di conseguenza, gli Stati membri dell’ UE hanno accettato di contrarre debito comune ricaduto su tutti i Paesi. Si tratta di un importante passo in avanti nella direzione di un'unione di tipo federale.

Nel programma italiano di gestione dei fondi di Next Generation EU, è previsto anche un importante finanziamento ai settori della Ricerca e dell’Istruzione, in quanto scuole e università sono direttamente coinvolte nel processo di “ripresa e resilienza” della società, per uscire dalla crisi. ll nostro Istituto, per esempio, è beneficiario di due finanziamenti: il primo, denominato Scuola 4.0, per creare nuovi ambienti di apprendimento e potenziare le dotazioni tecnologiche della scuola; il secondo finanziamento, invece, è rivolto a ridurre la dispersione scolastica e a favorire azioni di recupero per gli studenti più fragili.




Dagna Ilaria e Mola Chiara

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