NUOVA ZELANDA: VIETATO FUMARE PER I NATI DOPO IL 2008
di Ginevra Ricca
Da sempre la moda dei ragazzi è portare una sigaretta tra le dita.
Per noi giovani fumare è una scappatoia per entrare nel mondo degli adulti, "essere fighi", un modo per socializzare, farsi vedere e anche come ricerca di un’identità che ci porta ad essere tutti uguali. Infatti lo si fa solo per sentirsi più grandi, per sentirsi parte di un gruppo e per smarcarsi da mamma e papà.
Un altro fatto preoccupante è che noi giovani siamo propensi a non pensare alle conseguenze del fumo: problemi di salute, problemi di rendimento scolastico, conseguenze sulle attività sportive ecc…
La Nuova Zelanda ha pensato di fare una guerra contro il fumo: il governo è pronto ad approvare una legge severissima che proibirà a tutti i giovani nati dopo il 2008 (ovvero coloro che oggi hanno 14 anni) di acquistare sigarette per la vita intera.
Nessun limite invece per le sigarette elettroniche: per gli adolescenti è sempre più popolare lo svapo.
Siamo in Italia e questa legge qui non esiste; ognuno pensa a sé.
IL NOSTRO TRENO DELLA MEMORIA: DALLA SECONDA GUERRA MONDIALE ALLA GUERRA IN UCRAINA di Michelle Ferraro e Alessia Torrente
Il Treno della memoria è un’iniziativa rivolta ai giovani per far conoscere la storia della Shoah. Questa esperienza si basa su un viaggio in treno o in pullman attraverso le città e i luoghi colpiti dalla tragedia dell’Olocausto, con l’obiettivo di mantenere viva la memoria della storia e di far nascere nelle nuove generazioni la sensibilità e l’impegno a promuovere la pace e la solidarietà.
Noi abbiamo partecipato al progetto attraverso il nostro comune, None, nei giorni dal 21 febbraio al 1° marzo 2022. Attraverso il pullman abbiamo raggiunto Berlino, dove abbiamo avuto l’occasione di visitare i resti del Muro e i monumenti legati alla storia della seconda guerra mondiale. Siamo state inoltre nel campo di concentramento di Ravensbruck e i campi di Auschwitz e Birkenau a Cracovia.
Questa esperienza ci ha restituito una visione molto concreta di quanto è accaduto, infatti prima gli eventi storici della seconda guerra mondiale ci apparivano astratti e lontani. Il fatto inoltre che durante i giorni del Treno della memoria sia scoppiata una nuova guerra poco distante da noi, in Ucraina, ha amplificato la nostra empatia verso il dolore delle vittime dell’Olocausto e delle guerre in generale.
Al termine del nostro viaggio, gli educatori ci hanno proposto un momento di riflessione, prima in gruppo e poi tutti insieme. Un aspetto in particolare sul quale ci siamo soffermati è il parallelismo con l’attualità. Sono stati degli uomini i responsabili dell’olocausto, e se è successo una volta la storia ci insegna che può succedere di nuovo.
Per questo motivo dobbiamo avere memoria e agire. Questo però non significa attivarsi soltanto quando il fatto ci tocca in prima persona, ma cercare sempre nel quotidiano di lasciare il mondo migliore di come lo abbiamo trovato. Nel nostro piccolo, porgendo una mano e aiutando chi sta peggio di noi, riceveremo la cosa più appagante di tutte, un semplice sorriso.
Sulla base di ciò, riportiamo un estratto del libro “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci.
“Credo che vivere voglia dire essere partigiani, chi vive veramente non può non essere partigiano. L’indifferenza è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita, perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia, è la fatalità, è ciò su cui non puoi contare, è la materia bruta che strozza l’intelligenza.
Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà. Allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia sia esclusivamente un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi era stato attivo e chi era stato indifferente. Alcuni piagnucolano, altri bestemmiano, ma nessuno si domanda: se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo? Odio gli indifferenti anche per questo, perché mi da fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti.
Sono partigiano, vivo, sento già l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. In essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede è opera dei cittadini; in questa città futura non c’è nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano.
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”
11 febbraio 1917
Dopo aver assistito a numerose manifestazioni contro la guerra in Ucraina nella città di Cracovia, abbiamo concluso il nostro viaggio con un segno di pace.
Un’associazione,
8 gruppi,
400 persone,
tutti riuniti nella piazza di Cracovia per fare il flashmob a sostegno dell’Ucraina
“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i Partigiani. Nelle carceri dove furono imprigionati. Nei campi dove furono impiccati”
Questa frase, scritta da Piero Calamandrei, ha dato inizio alla nostra visita all’interno del Museo delle carceri “Le Nuove” di Torino lo scorso 28 marzo.
Dopo questa riflessione scritta su una lastra di marmo bianco all’ingresso del museo, abbiamo osservato una lunga sequenza di foto che raffigurava i volti di alcune persone ingiustamente incarcerate: volti giovanissimi di ragazzi che sono diventati il simbolo di quel luogo spaventoso. Questa straziante catena termina con dei ritratti di donne, che avevano espresso semplicemente la loro opinione sul governo dell’epoca: da quel momento era cominciato il loro calvario. Le carceri Le nuove, infatti, sono tristemente famose anche per aver raccolto tutti gli uomini e le donne che hanno combattuto contro la dittatura fascista e l’occupazione nazista nella prima metà del secolo scorso. Il Carcere Le Nuove è stato inaugurato nel 1870 ed è rimasto attivo fino a quando non è stato sostituito nel 1986 dal più moderno carcere del quartiere Vallette.
La parete su cui sono appese le fotografie era una delle due muraglie che separava la città di Torino dal luogo in cui si era reclusi. Quell’angosciante corridoio dava inizio ad un viaggio senza ritorno.
La nostra visita è proseguita nella sezione del carcere femminile, con una tappa nella “stanza della visita femminile”: qui le detenute perdevano ogni tipo d’identità, in quanto il loro nome veniva brutalmente sostituito da un numero e la loro personalità da una categoria (ebrea, omosessuale, zingara, prigioniera politica…). Esse, inoltre, venivano separate da ogni loro affetto personale e, come se non bastasse, erano obbligate a rasarsi completamente i capelli per evitare la diffusione di pidocchi all’interno del carcere.
Una volta registrate, le donne valicavano una soglia dalla quale non sarebbero più passate. Il loro destino era ormai scritto. Da quell’istante, quelle fredde, lugubre e buie celle poste su tre piani, sarebbero diventate il loro futuro. La vita all’interno non era affatto facile: spesso avvenivano risse sanguinose, torture, suicidi, omicidi e si era obbligati a condividere la cella con persone completamente diverse e con cui spesso non si andava d’accordo. Lasciamo a voi la libera immaginazione su ciò che poteva accadere…
Arrivati a questo punto, pensavamo di aver visitato la parte del carcere più toccante, ma in realtà ci aspettava dell’altro. La guida ci ha portato nel cuore del carcere, luogo in cui tutti i “bracci” si congiungono e dove sono collocate le celle dei condannati a morte. Lì, i detenuti, accompagnati dal prete e da due guardie, sapevano che la loro ora sarebbe arrivata a breve. Questa zona del carcere era caratterizzata da una scala a chiocciola, paragonabile alla discesa nell’inferno dantesco, che conduceva ad un sotterraneo con delle celle, dentro le quali i detenuti avrebbero trascorso gli ultimi attimi della loro vita. Durante questi ultimi giorni di agonia ai detenuti venne concesso di scrivere l’ultima lettera alle famiglie o ai propri cari. Oggi, alcune citazioni molto toccanti delle lettere sono presenti all’interno di quelle celle.
Non si può descrivere a parole tutte le emozioni provate, camminando nei luoghi in cui sono state torturate e condannate a morte centinaia di detenuti. Bisogna essere grati della libertà che oggi ci è concessa, perché è solo grazie agli uomini e alle donne che hanno combattuto contro il nazi-fascismo se ora possiamo goderne, in quanto a loro è stata tolta ingiustamente.
Nell’ambito del progetto la scuola incontra il carcere che ha coinvolte alcune classi quarte dell’Istituto, abbiamo avuto la fortuna di assistere ad un’interessantissima lezione con l’avvocato Federica De Boni, avvocato penalista che ci ha esposto nel corso di una lezione alcuni meccanismi del processo penale, coinvolgendo appieno nell‘argomento.
Viviamo in un sistema di diritto, pertanto siamo passati da un processo inquisitorio senza possibilità di difesa, ad un processo dove anche a chi ha commesso un delitto viene garantito il diritto della difesa dalle accuse, come stabilito nell’articolo 24 della Costituzione.
Che cos’è il processo penale? Inizia con l’esercizio dell’azione penale e termina con l‘irrevocabilità della sentenza, che mira ad accertare la colpevolezza dell’imputato.
Consiste nel processo dello Stato, rappresentato da un pubblico ministero, contro una persona accusata di determinati reati. Può essere un processo molto lungo, la sua durata dipende da diversi fattori: le prove, i testimoni, l’imputato e la decisione del giudice, che è l’elemento fondamentale insieme all’imputato, all’avvocato, al pubblico ministero e allo Stato, per svolgere tale processo.
Prima di avviare il processo bisogna compiere delle indagini preliminari per raccogliere prove e informazioni sul caso, il processo si divide in tre fasi: il primo grado, l’appello e la cassazione. Il processo è contraddittorio e ciò lo rende paritario, grazie a testimoni e alle diverse tipologie di prove. Alla fine il giudice riguarderà e realizzerà le prove per poi emettere la sentenza. In caso di dubbi per il reo, si assolve l’imputato, in modo che la libertà non venga tolta ingiustamente, come regolamentato nell’articolo 13 della Costituzione. Tutti meritano un un processo equo, senza nessun tipo di discriminazione, e per il principio di non consapevolezza fino a quando non si ha una sentenza, la persona non viene ritenuta colpevole.
Il processo mediatico oggi è molto diffuso e consiste nel diffondere tramite i media eventi criminosi. Dalla prima diffusione dei mass media, ha avuto parte nei processi pubblici, ma fu con l’avvento della televisione che si sviluppò tale tipo di fenomeno. In questo caso l’accusato diventa “un mostro” e i media non sono in grado di restituire la complessità del processo, ma semplificano per spettacolarizzare.
Un primo esempio, in Italia, fu il processo contro Pietro Valpreda, anarchico accusato e assolto per la strage di piazza Fontana e ma a causa delle accuse fu soggetto nel 1969 a un forte linciaggio mediatico. Ma fu dagli anni ‘90 che si diffuse particolarmente il fenomeno: tra i casi più famosi abbiamo quelli di Enzo Tortora, Erika e Omar, Amanda Knox e Raffaele Sollecito.
L’incontro ci ha fatto riflettere sul fatto che anche la persona accusata di un terribile delitto ha diritto ad essere difesa, perché dietro un’accusa può sempre esserci un innocente.
Circa due mesi fa ho avuto il piacere di intervistare due ragazzi che frequentano la 5B PIT proprio qui, al Buniva!!
Sto parlando di Emanuele Di Salvo e Simone Colomba. Questi due ragazzi hanno preso parte ad un progetto della
Consulta Studentesca Regionale del Piemonte e molto gentilmente hanno accettato di rispondere ad alcune
domande per Bunny, il giornale del nostro istituto!!
Agnese: Ciao ragazzi, per incominciare io vi chiederei: se doveste descrivervi con tre aggettivi quali sarebbero
questi?
Emanuele: Domanda complicata!! Io mi descriverei come riflessivo, pronto e sicuramente puntiglioso!!
Simone: Anche per me la domanda non è semplice! Ma credo che dirò costante, preciso e brillante.
Agnese: Ottimi aggettivi!! Mi parlate un po’ della vostra applicazione?
Emanuele e Simone: Certo! L’applicazione che abbiamo progettato si chiama CPS-Torino ed è scaricabile
gratuitamente da PlayStore. Si tratta di un’applicazione che ha un’interfaccia intuitiva ed ha lo scopo di fare
segnalazioni per quanto riguarda problemi riscontrati a scuola dal punto di vista edile e nella rete dei trasporti, tutto
questo in modo anonimo. Inoltre, ci permette di vedere le nostre segnalazioni e di modificarle in modo da risultare
molto più dettagliate!!
Agnese: Che bella iniziativa! Trovo che potrà essere utile a molte persone. Ma ora, dato che sto parlando con due
informatici, vi volevo chiedere quali linguaggi avete usato?
Emanuele e Simone: Abbiamo usato JavaScript sia per quanto riguarda il frontend (ovvero la parte visiva che vede
l’utente finale) che per quanto riguarda il backend (la parte visibile al programmatore) facendo uso di alcuni
framework.
Agnese: Ah scelta interessante! Ora però devo chiedervelo: come avete fatto ad essere stati selezionati?
Simone: Si può dire che è stato un puro caso! Siamo molto appassionati di programmazione e questo i nostri
compagni lo sanno, pertanto penso sia per questo che hanno fatto il nostro nome alla consulta.
Emanuele: Si, possiamo riassumere con una buona dose di passaparola e un pizzico di fortuna!
Agnese: Troppo modesti!! In conclusione: cosa vi aspettate per il futuro?
Simone: Io sogno di diventare un programmatore e di dare vita ad una mia azienda. Non so se proseguirò i miei
studi andando all’università ma sicuramente continuerò a formarmi e per ora mi concentro sull’anno scolastico e
sulla maturità.
Emanuele: Io vorrei frequentare l’università, facoltà di informatica, e magari un giorno diventare un imprenditore
ma nel caso in cui i miei progetti non andassero in porto ho un piano b: punterei sulla programmazione anche io.
Agnese: Grazie mille ragazzi, vi auguro il meglio per i vostri progetti!
Emanuele e Simone: Grazie a te!
Ciao a tutti,
mi chiamo Alberto Grosso, frequento la 4A RIM e oggi sono qui per raccontarvi l’esperienza che sto vivendo da ormai due mesi.
Il 14 gennaio 2022 sono partito per l’Irlanda, dove rimarrò fino a giugno.
Sono ospitato in una famiglia composta da mamma ospitante e due fratelli ospitanti. Fin da subito mi hanno fatto sentire parte della famiglia, sono molto gentili, simpatici e ospitali, d’altronde gli Irlandesi sono conosciuti per questo. Mi hanno già portato in molti posti per farmi conoscere l’Irlanda.
Vivo in un piccolo paese di nome Churchtown a circa 40 minuti da Cork, la seconda città più grande d’Irlanda. Churchtown è un piccolo e grazioso paesino, l’unico problema è che non ci sono i mezzi pubblici per muoversi, ma fortunatamente la mia host mum di nome Jackie è sempre disponibile per portarmi in giro.
Frequento il quinto anno alla Nagle Rice Doneraile School. Il quinto anno Irlandese equivale alla quarta superiore Italiana. La scuola è situata a Doneraile, un paese a 10 minuti da Churchtown.
Nella mia scuola ci sono molti Exchange Student di nazionalità diverse: ci sono italiani, spagnoli, tedeschi, argentini, giapponesi.
La scuola è molto diversa da quella Italiana. A scuola si seguono due materie obbligatorie, inglese e matematica, e poi quattro a scelta. Io ho scelto di seguire i corsi di business, accounting, history, French. A scuola seguo anche educazione fisica e religione che però non sono valutate.
Fare amicizia fin da subito è stato molto semplice e spontaneo, infatti sono riuscito facilmente a farmi un nuovo gruppo di amici con cui ci troviamo il sabato; il gruppo è composto da italiani, spagnoli e irlandesi. Di solito il sabato usciamo a Cork per mangiare, ridere e scherzare insieme, però andiamo anche in altre città, come Dublino o Galway.
Una cosa che mi ha stupito molto è parlare l’Inglese: non è mai stato un problema, considerato che in Italia non sono mai stato bravissimo in Inglese. Prima di partire avevo paura di non essere capito e di non riuscire a farmi capire, mentre invece, pur facendo talvolta qualche errore, riesco sempre a comunicare, tanto che quando usciamo il sabato parliamo solo in
Inglese e si riesce a ridere e scherzare senza problemi. Può sembrare poco, ma dopo due mesi sento un miglioramento notevole nel mio Inglese. Quando parlo sento che viene tutto più spontaneo e nella mia testa non c’è tutta quella confusione che c’era all’inizio.
Fino ad ora la mia esperienza è molto positiva e ne sono felice. Questa esperienza mi sta regalando un sacco di momenti fantastici e anche molti insegnamenti. Consiglio a tutti di provare un periodo di studio all’estero, all’inizio può sembrare difficile lasciare tutto e tutti, però, se si affronta con positività, diventa molto semplice e bello. Ovviamente, dovendo vivere in un paese con altre usanze differenti dalle nostre, bisogna adattarsi.
Se qualche ragazzo/a avesse bisogno di informazioni a riguardo, perché interessato, sono disponibile, lascio la mia mail albygrosso04@gmail.com
Il giorno 7 dicembre 2021 con i miei compagni della classe 4B RIM e con i ragazzi della 4A RIM ho partecipato a un’attività di educazione civica dal titolo La scuola incontra il carcere, presso l’oratorio di San Domenico. L’attività è stata coordinata dal signor Guido Tallone, un educatore con esperienze anche nel mondo del carcere. Siamo stati accolti in una saletta da Don Bruno Marabotto e qui abbiamo iniziato il nostro incontro.
Inizialmente l’educatore ci ha presentato un caso che verosimilmente potrebbe accadere anche nella nostra realtà. Il caso riguarda una ragazza che è stata vittima di cyberbullismo da parte del suo ex ragazzo, responsabile della pubblicazione di foto che la ritraggono in intimità. Il sig. Guido ci ha chiesto di dividerci in gruppi di 5 o 6 persone, per poter analizzare la situazione e stabilire la pena per il colpevole, spiegandone anche le motivazioni. In particolare si parlava di un ragazzo molto possessivo nei confronti della fidanzata la quale, stanca di questo rapporto, lo lascia. Da quel momento lui comincia a seguirla e scopre che lei esce con un altro ragazzo e, per far sì che possano tornare insieme, la minaccia, dicendole che avrebbe pubblicato le sue foto nude nei social. Nel momento in cui il ragazzo compie la sua “vendetta”, si rende responsabile di un grave reato. Il padre della ragazza, venuto a conoscenza del fatto, lo denuncia.
Una volta che ogni gruppo è arrivato alle proprie conclusioni sul caso, abbiamo esposto uno per volta ciò che avevamo deciso: qualcuno ha optato più per un risarcimento in denaro e altri per la reclusione .Grazie a Guido però abbiamo imparato l’importanza di attuare la rieducazione del colpevole, oltre alla reclusione e alla privazione delle libertà. Abbiamo parlato di quanto sia importante la decisione di un giudice per poter garantire una giusta pena al condannato e soprattutto di come una sanzione troppo severa, possa produrre rabbia e non fare capire l’errore a colui che ha commesso il reato.
Dopo questa discussione ci è stata offerta una merenda e abbiamo bevuto un caffè tutti insieme.
Nell’ultima parte dell’incontro Guido ci ha dato alcune informazioni sulle carceri italiane e ci ha fatto capire quali sono le condizioni al suo interno. Ci ha fornito alcuni dati che mai ci saremmo aspettati e abbiamo discusso insieme su questi numeri.
Al termine della mattinata l’abbiamo ringraziato per ciò che ci ha trasmesso, per la lezione che ha tenuto e soprattutto per il modo in cui si è relazionato con noi.
È stata un’esperienza molto interessante ed educativa allo stesso tempo, perciò speriamo presto di poter affrontare più approfonditamente queste tematiche.