Nella convinzione che dai classici, antichi e moderni, possano sempre venire nuove e utili riflessioni e idee per capire il presente, si riportano in questa sede pensieri e parole da filosofi e in generale illustri pensatori che nei secoli fino all'età contemporanea hanno difeso e creduto fermamente nella libertà dell'uomo come valore di primaria importanza. Si spera che alcune di queste riflessioni possa aiutare da un lato a non sentirsi soli nell'affrontare questa difficile e infausta situazione "biopolitica" (per citare un filosofo contemporaneo che si è espresso con ideali affini ai nostri in merito al Green Pass, Giorgio Agamben, ex-professore di Filosofia Teoretica allo IUAV di Venezia), dall'altro per comprendere meglio le dinamiche politiche che hanno portato a questa situazione e conseguentemente trovare soluzioni concrete per non soccombere e cedere al ricatto dell'obbligo surrettizio imposto dalla "tessera verde", in altre parole per dirla con Primo Levi per essere nella categoria dei "salvati" e non dei "sommersi". Insieme possiamo resistere! La resistenza è un dovere civile.
Libertà, pandemia e stato di eccezione: riflessioni a proposito di Giorgio Agamben, A che punto siamo? L'epidemia come politica, nuova edizione accresciuta, Quodlibet 2021
"In un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo" [...] "la stessa idea di contagio che è alla base delle eccezionali misure di emergenza adottate dal governo. L'idea, che era estranea alla medicina ippocratica, ha il suo primo inconsapevole precursore durantele pestilenze che fra il 1500 e il 1600 devastano alcune città italiane. Si tratta della figura dell'untore, immortalata da Manzoni tanto nel romanzo che nel saggio sulla Storia della colonna infame." (scrive G. Agamben ai capp. 1 e 2 di A che punto siamo? L'epidemia come politica, nuova edizione accresciuta, Quodlibet 2021). E' interessante a questo proposito analizzare quanto una "grida" milanese per la peste del 1576 descrive gli untori, persone di cui il governatore è "venuto a notizia" e rispetto a cui egli invita i cittadini di Milano alla delazione dietro compenso in denaro. La logica è quella dell'accusare certe persone semplicemente avendo ricevuto la notizia che alcuni svolgono quell'attività, senza pertanto che l'imputato venga sottoposto al meccanismo che il giurisprudenza viene chiamato "contradditorio" (sul contradditorio vd. "Siamo zoè o bios? Tra scienza e diritto, riflessioni di un ragazzo padovano, San Pantalon, 25/09" alla pagina della manifestazione del 25/09 in questo sito o in alternativa sul canale Youtube di Studenti contro il Green Pass Venezia): il povero malcapitato viene accusato già prima di essere sottoposto a un regolare processo, sfruttando sul sentimento di odio e di terrore verso l'"altro" visto come una potenziale fonte di contagio, aspetto non dissimile da quanto si sta verificando riguardo alla pandemia da Covid-19. Nel periodo in cui stiamo vivendo, questi sentimenti sono stati suscitati nella stragrande maggioranza della popolazione a seguito dell'istituzione di un vero e proprio stato di eccezione protratto a tempo indeterminato per cui la gente sembra essere autoconvinta della normalità di questa situazione, non rendendosi conto della dimensione di "eccezionalità" del periodo in cui sta vivendo. Continua Agamben (ibidem, cap. 6), "l'epidemia ha mostrato chiaramente che lo stato di eccezione, col quale i governi ci avevano da tempo familiarizzato, è divenuto la condizione normale. Gli uomini si sono talmente abituati a vivere in uno stato di crisi permanente che non sembrano accorgersi che la loro vita è stata ridotta a una condizione puramente biologica, che ha perduto non solo la sua dimensione politica, ma anche ogni dimensione semplicemente umana. Una società che vive in uno stato di crisi permanente non può essere una società libera. Noi viviamo oggi in una società che ha sacrificato la sua libertà alle cosiddette "ragioni di sicurezza" e in questo modo si è condannata a vivere in uno stato di paura e di insicurezza permanente".
CONSIGLIO DI LETTURA:
"Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza,
non merita né libertà né sicurezza"
Benjamin Franklin
Le conseguenze sociali dell'epidemia 2500 anni fa circa: le parole di Tucidide, in La guerra del Peloponneso, II. 51,4-52,1.
"Il lato più terribile della malattia era lo scoraggiamento (ἀθυμία) da cui uno era preso quando si sentiva male (subito datosi col pensiero alla disperazione, si lasciava andare molto di più e non resisteva), e il fatto che per curarsi a vicenda si contagiavano e morivano l’uno dopo l’altro, come le pecore; questo causava la strage maggiore. Se per timore non volevano recarsi l’uno dall’altro, morivano abbandonati, e molte case furono spopolate per mancanza di uno che prestasse le cure necessarie; se si accostavano alle persone morivano soprattutto coloro che ci tenevano a un agire meritevole; per vergogna, infatti, costoro non si risparmiavano, ma si recavano dai loro amici poiché anche il compianto su chi era morto alla fine era trascurato, per stanchezza, persino dai familiari, sopraffatti dall’immensità della sciagura. Tuttavia quelli che erano scampati compiangevano in maggior grado chi moriva e chi stava male, perché ne avevano già fatto esperienza ed erano ormai al sicuro: il morbo non colpiva la stessa persona una seconda volta in modo mortale. Ed erano considerati felici dagli altri, e loro stessi, per la gioia del momento, avevano la vana speranza di non poter essere più uccisi da nessun’altra malattia."
Note:
All'interno di questo passo denso emozionalmente, si segnala il termine adoperato da Tucidide per definire lo "scoraggiamento" (parola che ritroviamo anche nella traduzione di G. Donini, UTET 1982): ἀθυμία. Il vocabolo, composto dall'alpha privativo ἀ- unito alla radice della parola θυμός, secondo lo Chantraine è da ricollegare etimologicamente alla parola θύω "slanciarsi con furore" ("s'élancer avec fureur"): infatti a livello del significato il termine esprime dell'"anima", del "cuore", dell'"ardore", del "coraggio", essendo nella visione psicosomatica dell'essere umano in Omero la sede dei sentimenti e in particolare della collera. In Platone poi il termine è usato per indicare l'anima emozionale, irascibile (θυμοειδές), sede delle passioni nobili, secondo la visione dell'allievo di Socrate dell'anima umana tripartita in anima razionale, anima irascibile o emozionale e anima concupiscibile: non che il filosofo ateniese teorizzasse l'esistenza di tre "anime" separate all'interno di un unico involucro, ma si tratta di diversi "centri motivazionali che ci spingono, a seconda dei loro desideri divergenti, a orientare la condotta in un senso o nell'altro" (Vegetti 2003, 135). "La singola condotta", infatti, è determinata "dal prevalere, all'interno dell'unica anima, dell'unico o dell'altro di questi principi decisionali, che sono comunque tutti presenti nell'anima di ogni uomo" (ibidem) e che orientano di volta in volta le nostre scelte, i nostri comportamenti e le nostre azioni. Il thymoeides per Platone "sovrintende al desiderio di affermazione e riconoscimento sociale, e può considerarsi erede del thymos di tradizione omerica" (Donini-Ferrari 2005, 85) ed è definito nel Fedro come l'elemento "nobile" dell'anima (il cavallo dell'anima irascibile nel mito della biga alata è descritto come καλός τε καί ἀγαθός "nobile", Fedro 246b, trad. M. Bonazzi): l'anima emozionale è la sede delle passioni nobili, quindi, legate alla componente politica e sociale dell'essere umano. Sembrerebbe pertanto che qui sia presente un riferimento al fatto che in stato di epidemia l'uomo abbia perso (o perlomeno lasciato in secondo piano) l'aspetto nobile della vita, connesso allo spirituale, alla cultura, alla politica e alla dimensione sociale, quello in altre parole che Agamben chiama riprendendo una distinzione operata già da Aristotele βίος (bios), sacrificando questo aspetto alla componente puramente biologica, al "semplice vivere", a ciò che il filosofo contemporaneo descrive come ζωή (zoè, la vita intesa come mero flusso di pulsioni e impulsi ormonali, neurovegetativi ecc...). E' singolare come lo storico ateniese Tucidide accosti la descrizione di questa situazione al fatto che ciò ha causato il numero maggiore di morti (πλεῖστον φθόρον), quasi a voler tracciare, abbozzare un rapporto di causa-effetto.
BIBLIOGRAFIA:
Tucidide, Le Storie, a cura di Guido Donini, UTET, 1982
P. Chantraine, Dictionnaire étimologique de la langue grecque: Histoire des mots, Paris, Klincksieck, 2009
Mario Vegetti, Quindici lezioni su Platone, Einaudi, 2003
P. Donini, F. Ferrari, L'esercizio della ragione nel mondo classico. Profilo della filosofia antica, Einaudi, 2005
Platone, Fedro, traduzione e cura di Mauro Bonazzi, Einaudi, 2011
G. Agamben, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, 2005