SARS-CoV-2 è il nome che è stato dato al coronavirus responsabile della pandemia in atto. L’acronimo SARS sta per Severe Acute Respiratory Syndrome (sindrome respiratoria acuta grave), mentre CoV-2 sta per CoronaVirus di tipo 2.
COVID-19 invece è il nome che è stato dato alla malattia causata dal coronavirus SARS-CoV-2 dall’inglese COronaVirus Disease-2019, anno in cui il virus è stato scoperto e sequenziato genomicamente a Wuhan (Cina).
Quale genere attribuire all'acronimo COVID-19?
Secondo l’Accademia della Crusca “in base al principio di assegnazione del genere basato sull’associazione con il genere del traducente, il nostro acronimo, la cui testa è rappresentata dal sostantivo inglese disease, letteralmente ‘malattia’, dovrebbe essere in italiano di genere femminile (e dunque “la COVID-19” e non “il COVID-19”)”.
Per approfondimenti consultare il sito dell’Accademia della Crusca
Fonte: Wikipedia
Autore: Carlotta Donaggio
Classe: 5bo
Data ultima revisione: 19/10/2020
Ambito biologico-medico
I virus sono i più piccoli tra gli oggetti della biologia. Le loro dimensioni variano dai 10 ai 300 nm (1nm=10-9m= 1 miliardesimo di metro). Sono estremamente semplici dal punto di vista strutturale; sono costituiti da:
una molecola sede dell’informazione genetica: DNA o RNA, a singolo o doppio filamento (è importante sapere che non coesistono mai questi due tipi di acidi nucleici);
il capside, un involucro di proteine che contiene il materiale genetico;
il capside può essere ricoperto esternamente da una membrana, il pericapside, formata da un doppio strato fosfolipidico su cui sono presenti proteine e glicoproteine. Il pericapside è tipico dei virus che aggrediscono le cellule animali e gioca un ruolo fondamentale nella loro infezione.
I biologi non considerano i virus organismi viventi, in quanto non hanno struttura cellulare. Infatti, essi non presentano né citoplasma e né gli organuli cellulari tipici degli eucarioti (piante, animali e funghi). In particolare mancano loro i ribosomi, che producono le proteine. Per questo motivo i virus sono parassiti obbligati di altre cellule e si riproducono utilizzando le vie metaboliche presenti nelle cellule che li ospitano. Esistono virus specifici che infettano i procarioti (sono costituiti da cellule procariote i batteri), per le cellule eucariote sia vegetali e sia animali. Numerosi virus sono specifici per la specie umana. Per questo motivo è molto difficile sviluppare farmaci antivirali, perché è necessario bloccare la riproduzione del virus senza interferire con le vie metaboliche della cellula ospite.
I virus si riproducono utilizzando il ciclo litico che prevede, pur con notevoli differenze tra i diversi tipi di virus, i seguenti passaggi:
ingresso all’interno della cellula ospite;
replicazione del materiale genetico virale (utilizzando nucleotidi ed enzimi presenti nella cellula);
sintesi delle proteine virali del capside (utilizzando i meccanismi di sintesi proteica cellulare);
assemblaggio delle componenti virali;
lisi (rottura della membrana della cellula ospite) e fuoriuscita del virus.
Autore: Sofiavittoria Priviero
Classe: 3be
Ultima data di revisione: 28/12/20
I coronavirus fanno parte di una grande famiglia di virus, accumunati dalla loro peculiarità di avere una forma a “corona” che si evidenzia al microscopio elettronico ed è dovuta alla presenza di caratteristiche protuberanze (spine) costituite dalla proteina Spike (in realtà la proteina S è una glicoproteina, ovvero una proteina con associata una frazione glucidica). Alcuni coronavirus sono noti per infettare l’uomo anche se raramente, altri si trovano comunemente in alcune specie animali (come pipistrelli, cammelli ecc.), ma talvolta possono evolvere attraverso mutazioni genetiche e infettare l’uomo attraverso il cosiddetto “salto di specie” (in inglese spillover).
I coronavirus sono molteplici, e oggi ne conosciamo 7 tipi:
229E (coronavirus alpha)
NL63 (coronavirus alpha)
OC43 (coronavirus beta)
HKU1 (coronavirus beta)
MERS-CoV (il coronavirus beta che causa la Middle East Respiratory Syndrome)
SARS-CoV (il coronavirus beta che causa la Severe Acute Respiratory Syndrome)
SARS-CoV-2 (il coronavirus che causa il COVID-19)
È importante ricordare, dunque, che la malattia che si sta radicalmente diffondendo oggigiorno in tutto il mondo è definita “COVID-19” (che sta per “COronaVirus Disease of 2019”), ed è causata dal virus che è invece denominato “SARS-CoV-2", un tipo di coronavirus.
Struttura del SARS-CoV-2
Il Sars-cov-2 ha una struttura molto simile (circa 76% di omologia) al coronavirus che nel 2003 causò l’epidemia di SARS. È un virus a RNA, cioè che utilizza l’acido ribonucleico come materiale genetico. Per analizzarne meglio la struttura, occorre prendere in riferimento un virione, cioè la singola particella infettiva virale nella sua forma indipendente e inattiva. Questo ha una dimensione tra i 50-200 nm e si presenta con una forma rotondeggiante; è composto da diversi componenti, dalla più esterna:
SPIKE o GLICOPROTEINA S, che costituisce le proiezioni sulle superficie del virione (dette anche spine o spicole) lunghe circa 20 nm. La glicoproteina spike è formata da tre subunità associate che costituiscono un trimero facendola assomigliare ad una sorta di “corona” intorno al virione, da cui deriva il nome di “coronavirus”, con cui si intende la famiglia di virus che presentano questa struttura esterna. Il dominio esterno delle subunità proteiche è coperto di catene di glucidi (zuccheri) che servono a mascherarlo contro il sistema immunitario. Le glicoproteine spike hanno un’estrema importanza poiché costituiscono il meccanismo che il virus utilizza per infettare le cellule bersaglio: è con questo tipo di proteine infatti, che il virus riesce a legarsi al recettore ACE2, espresso nelle cellule polmonari, garantendosi un ingresso agevole nell’organismo.
PROTEINA M e PROTEINA E, funzionali ad attaccare il virione alla cellula bersaglio
ENVELOPE o PERICAPSIDE, il rivestimento membranoso del virus che deriva dalla membrana cellulare della cellula ospite quando, completato il ciclo litico, il virus lascia la cellula causandone la morte.
RNA e PROTEINA N: il genoma del Sars-Cov2 è costituito da un singolo filamento di RNA, associato alla proteina N che ne aumenta la stabilità costituendo il nucleocapside del virus.
Fonti: ISS, Università San Raffaele, Università San Raffaele, Pianeta Chimica, WHO
Autore: Chiara Pompei
Classe: 4ce
Data ultima revisione: 9/01/2021
Tra i vaccini antiCOVID-19 attualmente in uso ed in fase di sviluppo, possiamo distinguere diversi tipi a seconda della tecnologia che utilizzano. Da un lato, ci sono i "vaccini classici" che utilizzano virus inattivi o indeboliti, come il vaccino cinese Sinopharm o il brasiliano Bharat Biotech. D'altra parte, ci sono quelli "ultima generazione" che utilizzano tecnologie più innovative.
Vaccini a RNA o a DNA: consistono nell’introduzione di una sequenza genetica con istruzioni precise in modo che il nostro corpo possa produrre la proteina virale S o spike responsabile dell’ingresso del virus nelle cellule. I vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna contengono RNA messaggero, che una volta penetrato nelle cellule esprime la proteina S la quale stimola la risposta immunitaria. Questa tipologia di vaccino non è mai stata utilizzata finora, ma si basa su decenni di sperimentazioni.
Utilizzo di un vettore virale che infetta le cellule veicolando l’informazione genetica. Nel vaccino di Astra-Zeneca/Oxford il vettore virale è una versione modificata di un adenovirus che non è in grado di riprodursi, ma che fornisce le istruzioni per la sintesi della proteina S. Anche il russo Sputnik V sviluppato dal Gamaleya Institute e il vaccino italiano GRAd-COV2 di ReiThera sviluppato all’Istituto Lazzaro Spallanzani sono vaccini di questo tipo, così come quello utilizzato per Ebola nel 2019.
Vaccino a subunità proteica: consiste in piccole particelle lipidiche sulla cui superficie sono inserite le proteine spike. Il vaccino in fase di elaborazione di Novavax appartiene a questo tipo, funzionano così il vaccino contro l'epatite B somministrato ai neonati, un vaccino contro l'influenza approvato nel 2013 e i vaccini contro il papillomavirus umano.
Per avere un quadro sinottico sempre aggiornato su tutti i vaccini contro il COVID-19 approvati o in fase di sperimentazione, collegati al sito del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) e il sito dell’Agenzia Regionale di Sanità ARS Toscana.
Per capire meglio come funziona un virus a RNA puoi vedere questo video What The COVID Vaccine Does To Your Body
Fonti: Johns Hopkins University, IIS, Focus, Regione Lazio
Autore: Gemperle Ernesto
Classe: 2bo
Ultima data di revisione: 24/01/21
Il virus, una volta infettato un essere umano, può causare la malattia Covid-19, che si manifesta con dei sintomi comuni a tutti gli altri coronavirus, tra cui:
Febbre
Mal di gola
Tosse
Difficolta respiratorie
Forte astenia
Iposmia e anosmia (spesso correlati)
Rinite
Malessere generale
Nei casi più gravi, però, può causare polmonite, sindrome respiratoria acuta grave, insufficienza renale e persino la morte.
Decorso della malattia
Per la maggior parte dei pazienti il COVID-19 inizia e finisce nei polmoni perché, come l’influenza, è una malattia respiratoria.
Nei primi giorni dell’infezione il virus invade rapidamente le cellule dei polmoni e bronchi, dove sono presenti due tipi di cellule: il primo tipo produce il muco, che aiuta a proteggere i tessuti polmonari dai patogeni, mentre il secondo tipo è costituito da cellule ciliate che muovono il muco verso l’alto, consentendo l’eliminazione i corpi estranei, i quali pollini o virus.
Si ipotizza che il virus infetti e uccida le cellule ciliate, che infine si staccano, riempiendo le vie aeree del paziente con residui e fluidi, provocando così la polmonite in entrambi la polmonite in entrambi i polmoni (polmonite bilaterale interstiziale), accompagnata da sintomi quali dispnea (il respiro corto e fame d’aria).
Infine, entra in gioco il sistema immunitario che si affretta a combattere la malattia inondando i polmoni con cellule immunitarie che hanno il compito di eliminare il danno e riparare il tessuto polmonare. Quando lavora correttamente, questo processo infiammatorio è rigorosamente controllato e confinato solo alle aree infettate. Ma a volte il sistema immunitario va in tilt e queste cellule uccidono tutto quello che incontrano, incluso il tessuto sano. Aumentando così il danno a carico dei polmoni.
In seguito, il virus crea dei fori “a nido d’ape”, questi fori sono probabilmente creati dalla risposta iperattiva del sistema immunitario, che crea cicatrici che proteggono e irrigidiscono i polmoni.
Nel frattempo, l’infiammazione rende più permeabili anche le membrane tra le sacche d’aria e i vasi sanguigni, il che determina l’ingresso di fluido nei polmoni, compromettendo la loro capacità di ossigenare il sangue. Di conseguenza il paziente presenta saturazioni di ossigeno ribassate.
La COVID-19 oltre a lasciare un segno grave sui polmoni, si espande in altri organi del nostro organismo come il cuore, i reni, al fegato e al cervello.
Quando il virus aggredisce il cuore determina un aumento rapido e significativo della risposta infiammatoria, che può coinvolgere anche i vasi sanguigni e i tessuti cardiaci. Da qui l’aumentato rischio di eventi quali le vasculiti e le miocarditi, nei casi più gravi responsabili di aritmie cardiache fatali. In diversi casi, inoltre, i medici hanno riscontrato elevati livelli di troponina, segno di un danno alle cellule del tessuto cardiaco primo campanello d'allarme per l'infarto del miocardio.
Oltre al cuore, il virus aggredisce anche i reni sia malati che sani, quasi un terzo dei morti è deceduto a causa di un’insufficienza renale acuta (afferma Claudio Cricelli, presidente della Società Italiana di Medicina Generale (Simg)). L’infezione virale determina un aumento della microcoagulazione del sangue in diversi organi; alcune persone potrebbero essere morte perché i reni si sono bloccati proprio a causa di questo evento.
Diversi studi pubblicati nelle ultime settimane hanno evidenziato le possibili ripercussioni di Covid-19 a livello cerebrale. Partendo dall’anosmia (perdita dell’olfatto), sono state riscontrate altre condizioni neurologiche concomitanti all’infezione da Sars-CoV-2: dalla sindrome di Guillain Barrè alla nevralgia del trigemino, fino all’encefalopatia emorragica necrotizzante. A determinare l’encefalopatia, potrebbe essere stata la «tempesta di citochine», ovvero la manifestazione più grave dell’eccessiva risposta immunitaria.
Nei casi più gravi è presente un’infiammazione del fegato, dove si è spesso rivelato un aumento delle aminotransferasi e della bilirubina. Però non è sicuro che sia direttamente il virus a colpire il fegato, si pensa che possa essere dovuta anche «alla carenza di ossigeno nel sangue, alla risposta immunitaria e alla tossicità dei farmaci
Long Covid
I Long COVID o postumi della COVID-19 a lungo termine o sindrome post-COVID-19 sono gli esiti che la COVID-19, in quanto malattia multiorgano, può avere con effetti duraturi su molti apparati del corpo umano.
Le manifestazioni possono essere disparate: fame d’aria e astenia (senso di stanchezza e mancanza di energia), dolori muscolari ed articolari, disturbi di tipo neurologico (difficoltà di attenzione e perdita della memoria).
Fonte: Ministero della Salute; Il Corriere Medicina; Wikipedia; Fondazione Veronesi
Autore: Tonysheva Luciana Anastasia Amina, Chiara Pompei
Classe: 4ae, 4ce
Data ultima revisione: 10/01/2021
Pur non avendo una risposta esatta a questa domanda, i virologi che si stanno occupando dello studio di questo virus, tra cui il Professore Giovanni Tonon, affermano che le varie componenti ambientali (la co-morbilità, cioè le patologie pregresse di cui una persona soffre) hanno un peso estremamente importante nella sintomatologia. Tuttavia, non escludono che anche la genetica possa “contribuire” a rendere la risposta immunitaria del nostro organismo (cioè la comparsa dei sintomi e quindi lo sviluppo della malattia) più o meno grave. Numerosi studi si stanno approfondendo la relazione tra un determinato assetto genetico e maggiori probabilà di sviluppare la malattia in forma grave.
Fonte: Videoconferenza Fondazione Veronesi. Vedi sezione Attività.
Autore: Chiara Pompei
Classe: 4CE
Data ultima revisione: 9/01/2021
Test diagnostici COVID
Esistono due principali categorie di test diagnostici:
test molecolari, che rilevano la presenza dell’RNA virale nei secreti naso-faringei o nella saliva attraverso un sofisticato processo detto RT-PCR;
test antigenici, che rilevano la presenza del virus attraverso il riconoscimento di specifiche proteine virali nei secreti naso-faringei o la presenza di anticorpi anti-coronavirus nel sangue.
TAMPONE MOLECOLARE
Di cosa si tratta?
Il tampone molecolare gergalmente conosciuto come “il tampone classico” è uno dei tanti metodi utilizzati per determinare l'infezione da SARS-CoV-2, viene tutt’ora considerato il metodo diagnostico più affidabile.
Come funziona?
Il tampone naso/oro-faringeo viene eseguito prelevando un campione di mucosa che riveste le pareti superficiali del rinofaringe e dell’orofaringe attraverso un bastoncino cotonato, il prelievo dura pochi secondi e subito dopo il campione viene inviato in laboratori specializzati per l’analisi. Una volta in laboratorio si procede con l'estrazione e la purificazione del campione, per arrivare così alla ricerca dell’RNA ovvero il genoma del virus SARS-CoV-2, quest’ultimo passaggio viene eseguito attraverso la Reverse Transcription-Polymerase Chain Reaction, per questo tampone è anche conosciuto come RT-PCR.
Tempistiche?
Dal momento del prelievo, l’analisi del campione richiede dalle tre alle sei ore, per questo pur essendo uno dei metodi efficaci per determinare l'infezione da Sars Covid-2, viene utilizzato solo in determinati casi. I risultati vengono dati dalle 24 alle 48 ore.
Specificità e sensibilità:
Molto elevate
TAMPONE ANTIGENICO RAPIDO
Di cosa si tratta?
È un altro metodo per determinare l’infezione da SARS-CoV-2, richiede meno tempo rispetto al tampone molecolare, ma non è altrettanto sensibile.
Come funziona?
Il tampone antigenico è basato sulla ricerca nei campioni respiratori di proteine virali (antigeni). Le modalità di raccolta dei campioni sono del tutto analoghe a quelle dei tamponi naso/oro-faringe solo che le tempistiche sono molto più brevi rispetto a quelli del tampone molecolare (15/30 minuti rispetto alle 24/48 ore), la sensibilità e la specificità del tampone sono inferiori rispetto a quelle del tampone molecolare, infatti ci sono diverse possibilità di risultati falso negativi in presenza di bassa carica virale (tC minore di 25), i casi positivi devono essere confermati con un tampone molecolare.
Tempistiche?
Il tampone rapido richiede dai 15 ai 25 minuti, per questo vengono utilizzati principalmente come metodo di screening come, ad esempio, all'interno degli aeroporti e dei porti.
Specificità e sensibilità:
Inferiori rispetto a quelle del tampone molecolare
TEST SIEROLOGICO CLASSICO
Di che cosa si tratta?
Al contrario del “tampone”, che individua nelle secrezioni respiratorie del paziente il virus o le sue proteine, il test sierologico (o immunologico) rileva: la presenza nel sangue degli anticorpi specifici che il sistema immunitario produce in risposta all’infezione, la loro tipologia (IgG, IgM, IgA) ed (eventualmente) la loro quantità. La positività a questo test non è necessariamente indice di malattia in atto, ma che l’individuo è stato infettato in precedenza anche se non si può sapere quando.
Come funziona?
Questo test richiede un prelievo di sangue venoso, e viene effettuato presso laboratori specializzati.
Tempistiche?
Il test sierologico classico richiede in media dalle due alle sei ore dal momento in cui il campione viene avviato alla processazione in laboratorio.
TEST SIEROLOGICO RAPIDO
Di che cosa si tratta?
Il test sierologico rapido non è un tampone, quindi non può essere utilizzato per determinare o meno l’infezione da SARS-CoV-2, ma serve soltanto a determinare se nell'organismo ci sono gli anticorpi specifici per il virus.
Come funziona?
Viene depositata una goccia di sangue del soggetto preso in considerazione sul dispositivo di rilevazione e la presenza degli anticorpi viene visualizzata mediante la comparsa o meno sul dispositivo di una banda colorata.
Il test sierologico rapido funziona come il test sierologico classico e si limita a indicare la presenza o meno degli anticorpi specifici per il virus. Tutti i test sierologici non sono in grado di determinare se l’infezione è in corso o meno, si limitano ad indicare la presenza o meno degli anticorpi che vengono prodotti dall'organismo dopo alcuni giorni dopo essere entrato in contatto con il virus. Dato che determinano semplicemente se l’organismo è entrato in contatto con il virus e non se l'infezione è in corso risultano inefficaci per gli studi clinici; al contrario sono largamente utilizzati per gli studi epidemiologici.
Tempistiche?
Richiede all’incirca 15 minuti
Specificità e sensibilità:
Molto variabile, infatti vengono utilizzati principalmente per gli studi epidemiologici sulla popolazione per vedere quante persone hanno contratto il virus e non a livello clinico per determinare l’infezione in corso.
TEST SALIVARE
Di che cosa si tratta?
Questi test utilizzano come campione da analizzare la saliva. Il prelievo di saliva è più semplice e meno invasivo rispetto al tampone naso-faringeo o al prelievo di sangue, quindi questa tipologia di test potrebbe risultare utile per lo screening di grandi numeri di persone.
Ne esistono due tipologie:
test di tipo molecolare (che rileva cioè la presenza nel campione dell’RNA del virus)
test di tipo antigenico (che rileva nel campione le proteine virali)
TEST SALIVARE MOLECOLARE
Come funziona?
Il test salivare molecolare utilizza uno dei sistemi correntemente utilizzati per i tamponi naso-faringei. Questa apparecchiatura, tuttavia, riesce ad effettuare solo otto campioni per volta, con tempi di analisi dei campioni di circa un’ora. Pertanto, il suo utilizzo è indicato soltanto in casi particolari, come la conferma urgente di positività riscontrate nel corso di test antigenici. In genere la saliva non si presta bene all’utilizzo con le apparecchiature di laboratorio altamente automatizzate che si usano per processare elevati volumi di campioni molecolari.
Tempistiche?
Richiede circa un’ora
TEST SALIVARE ANTIGENICI
Come funzionano?
Il test salivare antigenico rileva la presenza di proteine virali nel campione.
Il livello di sensibilità è simile a quello dei tamponi antigenici rapidi, ma non è utilizzabile in contesti di screening rapido perché il test deve essere effettuato in laboratorio. Il metodo di lettura visiva (c.d. “saponetta”) può essere utilizzata fuori dai laboratori non richiedendo particolare strumentazione e dà i risultati in pochi minuti, ma ai primi test effettuati sembrerebbe risultare meno performante rispetto al test molecolare standard.
Fonti: Università di Padova; OggiScienza; Ospedale Bambino Gesù; Ospedale Bambino Gesù Video-1; Ospedale Bambino Gesù Video-2
Autori: Zoe Matilde Ballarin, Mattia Tamburini
Classe: 5ce, 5be
Data ultima revisione: 19/10/2020
Prima di poter parlare di anticorpi monoclonali è necessario aver capito bene cosa si intende quando si parla di sistema immunitario, risposta immunitaria, e cosa sono e come funzionano gli anticorpi e le citochine.
Si definisce antigene una molecola in grado di essere riconosciuta dal sistema immunitario come estranea o potenzialmente pericolosa.
Il sistema immunitario-ematologico è il sistema che provvede a difendere l’organismo dall’attacco di microrganismi patogeni. Tale sistema è composto da tessuti e cellule che circolano nel sistema linfatico e circolatorio, insieme a globuli rossi e piastrine. Il sistema immunitario è composto da:
Meccanismi di difesa non specifici o immunità innata
Meccanismi di difesa specializzati o immunità specifica
L’immunità innata vede il coinvolgimento di pelle, mucose, muco, saliva e succhi gastrici che difendono l’organismo dall’aggressione di agenti esterni, e del sangue che elimina i microbi pericolosi dopo il loro ingresso.
L’immunità specifica invece è associata all’attività dei linfociti, un particolare tipo di globuli bianchi, situati sia nel sangue che in alcuni tessuti specializzati di organi propri del sistema linfatico: linfonodi, milza e timo. Essa si divide in:
immunità umorale: mediata da molecole circolanti come gli anticorpi che riconoscono e aiutano ad eliminare gli antigeni;
immunità cellulo mediata: mediata da cellule, i linfociti.
Ambedue i tipi di immunità sono coordinate dall’azione di diversi tipi di linfociti:
linfociti B che producono anticorpi;
linfociti T che guidano la risposta cellulo mediata.
Il sistema immunitario ha tra le sue componenti di difesa più importanti le citochine, o linfochine o interleuchine, che sono mediatori proteici, non antigene-specifici, che fungono da segnali di comunicazione fra le cellule del sistema immunitario e quelle di diversi organi e tessuti e gli anticorpi (immunoglobuline).
Gli anticorpi sono proteine o più precisamente glicoproteine prodotte da una classe particolari di globuli bianchi specializzati, detti linfociti B denominati plasmacellule. La loro funzione è quella di opsonizzare i microbi, ossia di legarsi a loro e facilitarne la distruzione attraverso fagocitosi o lisi cellulare.
La molecola di un anticorpo ha una forma a “Y” formata da due identiche catene pesanti e due identiche catene leggere, ciascuna di queste catene contiene molteplici regioni costanti (c) e variabili (v) legate da ponti disolfuro. La regione di legame dell’antigene (fab) si trova all’apice del braccio, mentre la regione effettrice si trova alla coda. Questi siti di legame permettono l’attivazione dell’anticorpo. L’attivazione scatena la produzione di un grande numero di linfociti B che si differenziano in plasmacellule, responsabili della produzione di migliaia di anticorpi. L’antigene, ad ogni modo, può essere attaccato in maniera differente a seconda del tipo dell’immunoglobulina.
Nel momento in cui un microorganismo infetta un organismo si attiva una popolazione eterogenea di anticorpi policlonali e monoclonali.
Anticorpi policlonali: sono specifici anticorpi per tutti i determinanti antigenici di un dato microrganismo, sono una miscela di anticorpi ottenuta dalla immunizzazione di un animale o persona con un antigene attraverso iniezione sottocutanea intramuscolare o endovenosa. Gli anticorpi che ne risultano sono geneticamente diversi perché prodotti da plasmacellule diverse e ognuno di essi riconoscerà in uno stesso antigene un epitopo (porzione di antigene) diverso.
Anticorpi monoclonali sono anticorpi specifici per un singolo determinante antigenico. Sono anticorpi geneticamente uguali perché prodotti da cloni di una plasmacellula, e sono diretti contro un singolo epitopo dell’antigene
Gli anticorpi monoclonali sono molecole sempre uguali e riproducibili, hanno le stesse caratteristiche di legami, ma a differenza del siero policlonale che produce anticorpi contro l’antigene che non agiscono in maniera precisa e mirata, l’anticorpo monoclonale è specifico e può essere prodotto in quantità illimitata. Sono spesso usati per terapie tumorali e antinfiammatorie per via della loro alta specificità, efficacia e durata nel tempo. Va tenuto in considerazione che si tratta di una terapia la cui tecnologia di produzione mantiene dei costi molto elevati; questi anticorpi infatti possono essere prodotti solo da cellule eucariotiche modificate da processi propri della biotecnologia.
La recente pandemia di Covid19 ha messo la comunità scientifica di fronte ad un interrogativo: “è possibile utilizzare anticorpi monoclonali contro il virus SARS-CoV-2?”. Ebbene alcuni medici stanno cercando di capire quanto possano essere d’aiuto questi anticorpi contro l’infezione da SARS-CoV-2; il problema su cui si anima il dibattito però è basato sulla natura dell’infezione: un normale raffreddore si ferma nella zona alta delle vie respiratorie, un’influenza stagionale scende circa fino ai polmoni, il coronavirus va a danneggiare addirittura gli alveoli polmonari in maniera abbastanza subdola. Le cellule non vengo direttamente uccise dal virus, ma l’infezione determina una tempesta citochinica (= reazione a catena che coinvolge citochine e globuli bianchi, in cui i livelli delle varie citochine sono davvero alti) che causa l’aggravarsi della patologia. Quello che ora si sta cercando di capire è se la risposta immunitaria che inevitabilmente avviene mediante citochine che quindi causano un’infiammazione aggravi ulteriormente l’infiammazione già in corso causata dal Covid19. Gli studi Off Lable che sono stati fino ad ora condotti hanno evidenziato come nei meno gravi, in cui probabilmente l’infiammazione non è così avanzata, il corpo risponda bene all’intervento degli anticorpi monoclonali, mentre nei casi più gravi nei quali l’infezione evidentemente debilità eccessivamente il corpo, la tempesta citochinica già in corso viene ulteriormente aggravata.
Il giorno 6 febbraio 2021 l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha reso pubblico il parere della Commissione Tecnico Scientifica (CTS) sull’utilizzo degli anticorpi monoclonali.
Come indicato nel parere, adottato nella seduta del 4 febbraio 2021, “la CTS, pur considerando l’immaturità dei dati e la conseguente incertezza rispetto all’entità del beneficio offerto da tali farmaci, ritiene, a maggioranza, che in via straordinaria e in considerazione della situazione di emergenza, possa essere opportuno offrire comunque un’opzione terapeutica ai soggetti non ospedalizzati che, pur avendo una malattia lieve/moderata risultano ad alto rischio di sviluppare una forma grave di COVID-19 con conseguente aumento delle probabilità di ospedalizzazione e/o morte. Si tratta, in particolare, di un setting a rischio per il quale attualmente non è disponibile alcun trattamento standard di provata efficacia”.
Fonti: Infomedics; Istituto Superiore di Sanità; Le Scienze; Treccani; Humanitas; Fondazione Veronesi; AIFA
Autore: Carlotta Donaggio
Classe: 5bo
Data ultima revisione: 13/12/2020