Qumran

I rotoli di Qumran

I Manoscritti del Mar Morto (o Rotoli del Mar Morto) sono un insieme di manoscritti rinvenuti nei pressi del Mar Morto. Di essi fanno parte varie raccolte di testi, tra cui i Manoscritti di Qumran, che ne costituiscono una delle parti più importanti. I rotoli del Mar Morto sono composti da circa 900 documenti, compresi testi della Bibbia ebraica, scoperti tra il 1947 e il 1956 in undici grotte dentro e intorno al uadi di Qumran, vicino alle rovine dell'antico insediamento di Khirbet Qumran, sulla riva nord-occidentale del Mar Morto.

I testi sono di grande significato religioso e storico, in quanto comprendono alcune fra le più antiche copie superstiti note dei libri biblici e dei loro commenti, e conservano la testimonianza della fine del tardo giudaismo del Secondo Tempio. Essi sono scritti in ebraico, aramaico e greco, per lo più su pergamena, ma con alcuni scritti su papiro. Tali manoscritti datano in genere tra il 150 a.C. e il 70 d.C. I Rotoli sono comunemente associati all'antica setta ebraica detta degli Esseni.

I Rotoli del Mar Morto sono tradizionalmente divisi in tre gruppi: manoscritti "biblici" (copie di testi dalla Bibbia ebraica), che costituiscono circa il 40% dei rotoli identificati; manoscritti "apocrifi" o "pseudepigrafici" (documenti noti del periodo del Secondo Tempio, come Enoch, Giubilei, Tobia, Siracide, salmi non canonici, ecc. che non sono stati, in ultima analisi, canonizzati nella Bibbia ebraica, ma in qualche caso sono stati accettati dalla versione greca dei Settanta e/o utilizzati dalla tradizione rabbinica), che costituiscono circa il 30% dei rotoli identificati; e manoscritti "settari" (documenti precedentemente sconosciuti, che descrivono le norme e le credenze di un particolare gruppo o gruppi all'interno della maggioranza ebraica) come la Regola della Comunità, il Rotolo della guerra, commento (in ebraico פשר, pesher) ad Abacuc e la Regola della Benedizione, che costituiscono circa il 30% dei rotoli identificati.

Fino al 1968 la maggior parte delle pergamene conosciute e dei frammenti sono stati custoditi nel Museo Rockefeller (già noto come Museo Archeologico della Palestina), a Gerusalemme. Dopo la guerra dei sei giorni, queste pergamene e frammenti sono stati spostati al Santuario del Libro, presso il Museo d'Israele, che tuttora ne conserva numerosi, mentre altri sono presso l'Istituto orientale dell'Università di Chicago, al Seminario teologico di Princeton, all'Azusa Pacific University e nelle mani di collezionisti privati.

Fonte Wikipedia

Video sui Rotoli di Qumran

La biblioteca di Qumran

(Premessa del libro "Vademecum per il lettore della Bibbia" ed. Morcelliana)

Nella Premessa alla prima edizione del 1996, (del Vademecum per il lettore della Bibbia) Paolo De Benedetti scriveva: «Procurarsi un maestro per studiare la Scrittura, per conoscerla e capirla, è un’esigenza di tutti i tempi, e in ogni tempo è però difficile per tante ragioni. Questo libro non ha la pretesa di rappresentare un maestro, ma di offrire tante risposte alle domande che un lettore non accademico farebbe a un maestro. Le domande, però, molto raramente seguono un ordine sistematico, e non si può chiedere a un normale lettore della Bibbia (cioè proprio a colui per il quale la Bibbia è stata scritta) di rintracciarle in un corso di studi. La facilità di domandare e di avere risposta è quindi un’esigenza fondamentale per l’accostamento alla Bibbia da parte di un non specialista. Questa esigenza ha cercato di tenere presente, sia nella sua struttura sia nella disponibilità a ripetersi, il presente Vademecum, che non avrà nulla di nuovo da dire ai biblisti, e che ha soltanto l’ambizione, o la speranza, di condurre il lettore comune ad ascoltarli. In tal senso può forse occupare un posto vuoto tra la produzione scientifica da un lato, e quella confessionale dall’altro, ponendosi in un certo senso a servizio di entrambe. Il lettore noterà che, proprio per le finalità indicate sopra, questo Vademecum può essere aperto a qualsiasi capitolo, secondo le sue necessità». Parole che hanno ispirato il lavoro di revisione e ampliamento di quest’opera dopo più di vent’anni, a cura di Piero Capelli e Giovanni Menestrina.

Il testo che segue è stato scaricato da: https://www.academia.edu/32584484/La_biblioteca_di_Qumran_BIBLIA_Vademecum_per_il_lettore_della_Bibbia_a_cura_di_P._Capelli_e_G._Menestrina_Morcelliana_Brescia_2017_2a_ediz._pp._310-324_

La biblioteca di Qumran

I rotoli del mar Morto rappresentano una delle fondamentali scoperte archeologiche del XX secolo, di sicuro la più importante per quello che riguarda la nostra conoscenza di un periodo del giudaismo per il quale non avevamo in precedenza alcuna fonte diretta in ebraico. Si tratta infatti di un gran numero di manoscritti in ebraico, aramaico e greco, purtroppo molto spesso frammentari, scoperti a partire dal 1947 in undici grotte a Qumran, una località nei pressi del mar Morto, in Israele (Figura 13). I rotoli, in per- gamena e papiro, risalgono a un periodo che può essere fissato tra il III se- colo a.e.v. e la prima metà del I secolo e.v., in base a considerazioni paleografiche suffragate dalle analisi del Carbonio 14 (¹⁴C) e dalla cosiddetta spettrometria di massa con acceleratore.

I manoscritti vengono per convenzione siglati con il numero della grotta da cui provengono (da 1 a 11, dunque) seguito dalla sigla Q(umran) e da un numero di serie progressivo o un titolo abbreviato.


2.1. Le scoperte

La storia della scoperta dei testi di Qumran è abbastanza nota. All’ini-zio del 1947 un beduino di nome Mohammed edh-Dhib («il lupo») scoprì casualmente sette rotoli in una grotta a Qumran, sulla sponda Nord-Ovest del mar Morto, 12 chilometri a Sud di Gerico e 32 chilometri a Nord dell’oasi di En-Geddi; li portò nella sua abitazione dove li conservò per un certo tempo. I rotoli furono acquistati nell’aprile del 1947 dall’archimandrita del convento siro-ortodosso di San Marco di Gerusalemme, Mar Athanasius, il quale, nel novembre dello stesso anno, vendette a esponenti dell’Università Ebraica di Gerusalemme un manoscritto del profeta Isaia (1QIsᵇ), il rotolo delle Hodayot (1QH), e la Regola della Guerra (1QM). A questo punto Mar Athanasius era ancora in possesso di un altro manoscritto isaianico (1QIsᵃ), del péšer al libro di Abacuc (1QpHab), della Regola della Comunità (1QS) e dell’Apocrifo della Genesi (1QapGen), e li offrì, nel febbraio del 1948, all’American Schools of Oriental Research di Gerusalemme, riuscendo a vendere a questa istituzione solo i primi tre rotoli, mentre il quarto non fu acquistato a causa del prezzo troppo alto richiesto dal religioso.

Figura 13: Qumran. La falesia con le grotte dei manoscritti

Nel 1949 il Ministero dei Beni Archeologici della Giordania, Stato nel quale all’epoca si trovava il sito di Qumran, in collaborazione con l’École Biblique di Gerusalemme, diede inizio a una ricognizione archeologica della regione, che, oltre alla scoperta delle cosiddette «piccole grotte», portò nel 1952 alla scoperta della grotta 4. Il ministero affidò allora tutto questo materiale a un esiguo gruppo di studiosi che ne curasse l’edizione e la pub- blicazione. Il gruppo era guidato da p. Roland de Vaux, dell’École Biblique ed era formato in tutto da sette persone: si trattava ovviamente di un numero troppo esiguo di studiosi, pur validissimi e in alcuni casi eccezionali, a fronte di un’impressionante mole di frammenti. Una situazione, questa, che basta a spiegare la lentezza della pubblicazione dei testi, al di là delle molte illazioni e polemiche sorte nel corso degli anni sulla questione.

Come si è visto, all’epoca delle scoperte il sito di Qumran apparteneva alla Giordania e il governo giordano era quindi proprietario dei beni archeologici del suo territorio. Questa situazione era però complicata dagli scavi clandestini delle tribù arabe, le quali chiedevano poi prezzi sempre più alti che, a un certo punto, il governo giordano si rifiutò di pagare. Entrarono quindi in scena varie istituzioni estere, private e pubbliche (American Schools of Oriental Research, École Biblique, Università di Heidelberg, Vaticano, Accademia delle Scienze olandese, Museo di Amman), che acquistarono alcuni manoscritti o parti di essi. Con lo scavo della grotta 4, dove fu trovata un’impressionante mole di frammenti talvolta minuscoli, nacque però un problema dovuto al fatto che frammenti della stessa opera si trovavano ad avere proprietari differenti; si giunse perciò alla soluzione di lasciare i manoscritti al Rockefeller Museum di Gerusalemme per permettere agli studiosi di lavorarvi sopra; dopo la pubblicazione essi sarebbero tornati ai legittimi proprietari.

Dopo un certo periodo di tempo, tale sistema di gestione dei manoscritti fu cambiato nel senso che, quando un manoscritto si trovava ad avere più pro- prietari, esso veniva attribuito a chi possedeva il frammento più consistente o il maggior numero di frammenti, mentre gli altri proprietari venivano risarciti con altri frammenti indipendenti. La situazione fu gestita, per l’aspetto scientifico, da De Vaux e per quello amministrativo dallo Stato giordano.

Nel 1956 fu scoperta la grotta 11, i cui testi furono acquistati in parte dall’American Schools of Oriental Research (11Q1, 11Q4, 11Q5) e in parte dall’Accademia delle Scienze olandese (11Q2-3, 11Q6-25).

Nel 1961 la Giordania espropriò i testi, offrendo adeguati rimborsi ai proprietari precedenti (non tutti però accettarono: l’Accademia olandese, ad esempio, mantenne il diritto sui testi della grotta 11, come anche l’Uni- versità di Heidelberg), e nel 1966 statalizzò il Rockefeller Museum, che era un’istituzione privata. Ma nel 1967, con la Guerra dei sei giorni, lo Stato di Israele conquistò la parte Est di Gerusalemme in cui si trova il Rockefeller Museum, divenendo di fatto proprietario anche di tutti i rotoli, e, nello stes-so 1967, confiscò il Rotolo del Tempio, il più lungo e completo fra i rotoli di Qumran, che fino ad allora era rimasto in possesso di collezionisti privati.

Le autorità israeliane non ritennero però di intervenire sul gruppo già costituito, che si trovò quindi a godere di un’indipendenza ancor maggiore di quella, già notevole, di cui godeva sotto il governo giordano. Il gruppo continuò piuttosto lentamente il suo lavoro in piena autonomia, ma solo Maurice Baillet e John Marco Allegro completarono la pubblicazione dei testi loro affidati. Nel 1971, alla morte di de Vaux, Pierre Benoit divenne direttore dell’École Biblique e del gruppo di editori; nel 1987 gli succedette l’orientalista inglese John Strugnell.

Nel 1988 il nuovo direttore dell’Israel Antiquities Department decise di far valere i diritti dello Stato di Israele sui rotoli: Strugnell fu sollevato dall’incarico senza tanti complimenti e il 1° gennaio 1991 Emanuel Tov fu incaricato di organizzare un nuovo gruppo di lavoro. A questo punto i testi furono affidati a un numero ben più consistente di studiosi, ai quali fu dato un ben preciso termine, il 1997, per l’edizione di tutto il materiale. Anche se questa scadenza non fu del tutto rispettata, si può dire che ad oggi i testi di Qumran sono stati pubblicati integralmente nella serie «ufficiale» delle Discoveries in the Judean Desert (of Jordan) edite dalla Oxford University Press (40 poderosi volumi apparsi tra il 1955 e il 2010). È stato calcolato che l’insieme dei frammenti rappresenta complessivamente circa 1000 dif-ferenti manoscritti, cui bisogna però aggiungerne un esiguo numero ancora in collezioni private e in attesa di pubblicazione. Oggi, dunque, i testi di Qumran sono di fatto a completa disposizione degli studiosi, sia in originale, sia in numerose traduzioni in varie lingue. A ciò bisogna aggiungere la pubblicazione di un CD-ROM contenente testo e traduzione inglese di tutti i testi non biblici di Qumran, mentre già nel 1997 erano stati pubblicati altri due CD-ROM contenenti le foto digitalizzate di tutti i manoscritti.


2.2. La letteratura di Qumran

2.2.1. I testi biblici

La comunità di Qumran è stata definita un “Israele in miniatura”, nella cui vasta biblioteca sono stati ritrovati manoscritti, o frammenti di mano-scritti, di tutti i libri della Bibbia ebraica, con la sola possibile eccezione del libro di Ester. Si deve inoltre sottolineare che per lo più abbiamo a che fare a Qumran con diversi manoscritti di ciascun libro biblico. Pur senza dimenticare il fatto che ciò che è stato o non è stato trovato nelle grotte di Qumran è pur sempre dovuto al caso, sarà tuttavia interessante notare en passant che i libri dell’Antico Testamento più presenti a Qumran corrispondono proporzionalmente a quelli più frequentemente citati nel Nuovo Testamento (Salmi, Deturonomio, Isaia): in altre parole, gli autori del Nuovo Testamento e i membri del gruppo di Qumran mostrano particolare predilezione per i medesimi libri biblici.

Si è già sottolineata l’importanza dei rotoli di Qumran per quello che riguarda la storia del testo biblico: la scoperta ha consentito di colmare una lacuna di secoli nella tradizione manoscritta della Bibbia. I manoscritti biblici di Qumran, ancorché molto spesso frammentari, hanno permesso di studiare la questione in una ben diversa prospettiva, avendo avuto gli studiosi a disposizione una serie di testi molto più antichi di quelli noti prima delle scoperte del deserto di Giuda. Questi testi, insomma, hanno per la prima volta posto gli studiosi di fronte a una serie di testimoni ebraici del testo biblico risalenti al periodo del secondo tempio. In particolare è stato possibile vedere in modo più chiaro l’antico problema del testo ebraico che fece da modello alla traduzione greca della Bibbia, detta dei Settanta (III secolo a.e.v.): in molti casi i testi di Qumran consentono di affermare che le molte differenze tra il testo greco dei Settanta e il testo masoretico erano dovute a un diverso modello del testo originario e non a particolari libertà che i traduttori si sarebbero prese.

2.2.2. I testi non biblici: un’analisi per genere letterario

2.2.2.1. Regole

Si è analizzata più sopra la grandissima importanza dei testi “biblici” ai fini della ricostruzione della storia del testo biblico quale oggi lo conosciamo; ora è tempo di esaminare più da vicino i testi non biblici per cercare di individuare, sia pur brevemente, i generi letterari in cui possono essere ripar-tite le opere della biblioteca di Qumran, seguendo la classificazione operata nella più recente traduzione completa di tutti i testi non biblici di Qumran pubblicata a cura di Florentino García Martínez e di Corrado Martone⁹.

Una prima sezione è sicuramente rappresentata dalle Regole, testi co-stitutivi del gruppo, o gruppi, ai quali questi testi sono diretti. Questi scritti descrivono le norme concrete di vita quotidiana alle quali il gruppo si attiene, l’organizzazione gerarchica interna, il sistema penale su cui la comunità si fonda e le relazioni con coloro che non sono membri del gruppo, ma com- prendono anche molti altri elementi: trattati teologici, riflessioni sulla storia sacra, disquisizioni esegetiche, esortazioni morali ed elementi chiaramente liturgici. Questo genere letterario particolare, non attestato in precedenza nel giudaismo antico, troverà un grande sviluppo nel cristianesimo primitivo e nelle posteriori comunità monastiche. Si può insomma dire che queste Regole sono i documenti più caratteristici di tutta la biblioteca qumranica. I due testi fondamentali di questo genere sono la Regola della Comunità (1QS) e il Documento di Damasco (CD).

La Regola della Comunità è il testo che meglio descrive la vita, anche quotidiana, e le istituzioni della comunità di Qumran. Si tratta di un testo databile paleograficamente, nel suo manoscritto meglio conservato, alla prima metà del I secolo a.e.v. In quest’opera troviamo conservate le principali regole cui i membri dovevano sottostare per entrare a far parte della comunità e per vivere in essa. Il documento, sulla base anche di precisi segni distintivi all’interno del manoscritto, può essere suddiviso in varie sezioni. Esso si apre con un’introduzione generale dedicata alle finalità dell’opera, che coincidono, in definitiva, con le finalità per cui si entra nel gruppo (I,1.15); segue la descrizione della cerimonia annuale del rinno-vamento del patto comunitario con le benedizioni sacerdotali per i figli della luce (i membri stessi del gruppo) e le maledizioni contro i figli delle tenebre (in pratica, tutto il mondo esterno al gruppo) (,16–III,12); troviamo poi la cosiddetta «Dottrina dei due spiriti» in cui la realtà umana e preterumana è letta, in una marcata ottica predeterminista, alla luce della lotta tra bene e male, laddove le due entità sono impersonate, ancora, dai figli della luce e da quelli delle tenebre (III,13-IV,26); le colonne V-VII sono dedicate invece a una serie di regolamenti per accedere alla comunità e per vivere in essa, mentre le colonne VIII-IX leggono la costituzione della comunità in un’ottica escatologica; l’opera è chiusa da un inno finale (X-XI). Come risulta evidente anche dai diversi manoscritti dell’opera provenienti dalla Grotta 4, la Regola della Comunità quale la leggiamo nel manoscritto 1QS è frutto di un lungo lavoro redazionale che ha attinto a diverse fonti, anche se il risultato finale presenta una discreta omogeneità. Il Documento di Damasco – che fu scoperto nella genizah del Cairo agli inizi del XX secolo – è composto da due copie (CD A e CD B), la prima risalente al X secolo e.v. e la seconda all’XI. L’antichità dell’opera apparve chiara subito dopo la sua scoperta; in seguito, dopo la pubblicazione della Regola della Comunità furono notate le somiglianze tra i due testi e si mise in relazione il Documento di Damasco con la letteratura di Qumran, fatto questo definitivamente provato dalle copie dell’opera scoperte successivamente nella Grotta 4. Il contenuto dell’opera, quale si può ricostruire sulla base anche dei manoscritti della Grotta 4 è il seguente: una sorta di introduzione costituita da un’esortazione ai membri del gruppo cui segue una raccolta di leggi e regolamenti basati sulla Bibbia; l’ultima parte dell’opera contiene una serie di prescrizioni riguardanti l’assemblea e vari funzionari e istituzioni della setta, come pure un codice penale e la descrizione della procedura di esclusione dalla comunità. Il Documento di Damasco presenta innegabili affinità con la Regola della Comunità, ma anche altrettanto innegabili differenze. Un modo di risolvere questo problema può essere quello di considerare il Documento di Damasco come collegato agli esseni e la Regola della Comunità come prodotto di un sottogruppo esseno, che si ritirò dal deserto dando vita almeno a una parte della comunità qumranica (si veda più sotto la discussione sulle origini della comunità). Entrambe queste opere, la Regola della Comunità e il Documento di Damasco, conservano chiari segni del processo redazionale al quale sono state sottoposte attraverso il tempo prima di acquisire la forma in cui i manoscritti più completi ce le presentano: si tratta dunque di documenti compositi, e le diverse copie recuperate ci mostrano alcune delle forme in cui queste Regole furono create.

2.2.2.2. La giurisprudenza

Un secondo gruppo di documenti è quello dei testi che possono essere definiti specificamente giurisprudenziali o, con termine tecnico, halaḵici, contenenti cioè norme legali basate sull’interpretazione dell’Antico Testa-mento. È necessario sottolineare che la halaḵah è presente e fondamentale praticamente in ogni aspetto della letteratura qumranica. Tuttavia, in alcuni testi l’aspetto legale è assolutamente preponderante ed esclusivo. Il testo più importante di questa sezione è senza dubbio la cosiddetta Lettera halaḵica, il documento noto con la sigla 4QMMT (4QMiqṣat Ma‘aśe ha-Torah, «Alcune opere della Legge»).

Quest’opera ci è nota da sei manoscritti, databili, su base paleografica, tra la metà del II secolo a.e.v. e la metà del I a.e.v. I suoi primi editori la interpretano come un trattato riguardante norme legali di stampo sadduceo, in base al quale un gruppo essenico si separa da un altro gruppo che evolverà in seguito nei farisei. Ancorché basata su manoscritti abbastanza frammentari, l’opera può agevolmente essere divisa in tre parti. La prima parte (A) contiene un calendario festivo basato sul calendario, ben noto a Qumran, di 364 giorni. La seconda (B) contiene un insieme di norme legali che, secondo la breve introduzione, riguardano alcuni temi, di cui purtroppo se ne è conservato uno solo concernente «la purità di...». Dal seguito dell’opera si può comprendere che un tema era quello delle offerte, cui seguiva, appunto, quello della purità di persone e cose: al riguardo, la forma tende a rilevare la differenza tra il gruppo autore dell’opera e quello cui lo scritto è indirizzato. La terza parte (C) costituisce la chiusa dell’opera, nella quale è giustificata, in base alle interpretazioni legali più sopra presentate, la separazione del gruppo dal resto del popolo; in questa sezione si trova inoltre un’esortazione a studiare a fondo la Legge per comprendere che tale interpretazione è la sola ammissibile. L’opera pare essere riferibile al periodo della formazione del gruppo qumranico, innanzi tutto perché prevede ancora la possibilità di convincere coloro ai quali si rivolge, mentre, come sappiamo dalla Regola della Comunità, in seguito i contatti con l’esterno non furono più permessi; va inoltre notato che, se vi troviamo norme halaḵiche riferibili alla comunità di Qumran, non vi è ancora traccia delle istanze teologiche più marcate che si verranno formando durante la storia del gruppo.

2.2.2.3. L’escatologia

L’escatologia, in varie forme, è ravvisabile in molti scritti di Qumran e ve ne sono alcuni dedicati solo ed esclusivamente alla descrizione degli “ultimi giorni” o della “fine del tempo”, che la comunità di Qumran senti-va come imminente (e, in qualche modo, già presente) al punto da basare su di essa la propria condotta di vita.Il documento più importante di questa sezione è senza dubbio la Regola della Guerra (1QM), il cui manoscritto principale è databile paleografi-camente alla parte finale del I secolo a.e.v. Il testo proveniente dalla Grotta 1 rappresenta il testimone meglio conservato di quest’opera ed è probabilmente il risultato di una elaborazione redazionale. Il contenuto può essere così riassunto: lo scritto si apre con l’annuncio della guerra escatologica che vede contrapposti coloro che appartengono alla parte di Dio, i figli della luce, e coloro che appartengono alla parte del demonio Belial, i figli delle tenebre. La guerra si concluderà con la vittoria finale dei figli della luce (colonne I-II); a partire da II,15, fino a tutta la colonna IV troviamo invece una successione di regole dedicate agli aspetti organizzativi della guerra. Il testo prosegue con una serie di preghiere da recitarsi nel corso della guerra (colonne X-IV); la parte finale dell’opera, preceduta di nuovo da un’introduzione, è dedicata alla guerra contro i Kittim. Nonostante la struttura unitaria del testo, un confronto con le copie dell’opera provenienti dalla Grotta 4 permette di stabilire che 1QM deve essere il risultato di una compilazione basata su diverse fonti, segnatamente: un’opera che rielabora la descrizione che troviamo in Daniele di una guerra che comporta la vittoria di Michele e delle sue truppe contro le forze del male; un’opera che adatta questo schema ai quarant’anni successivi all’uscita dall’Egitto, elaborando il racconto di una guerra di quarant’anni contro i nemici di Israele; una raccolta di preghiere da recitarsi durante la guerra; una serie di descrizioni di operazioni militari ispirate alla Bibbia, ma anche a trattati tecnici greci e latini. Le parti più antiche paiono essere le ultime due che saranno state riprese e inserite nel contesto di una guerra escatologica; in seguito un’ulteriore redazione avrà adattato questo contesto allo schema dei quarant’anni. Per quanto riguarda la datazione dell’opera, sulla base dei termini militari si può dire che la redazione finale pare risalire al periodo romano, mentre la redazione più antica, dipendente dal libro di Daniele e quasi certamente influenzata dalle vittorie dei Maccabei, può essere collocata alla metà del II secolo a.e.v. Un altro testo che ben rappresenta l’escatologia della comunità qumranica è 4Q246, al quale è stato dato il titolo di 4QApocalisse Aramaica, databile paleograficamente alla fine del I secolo a.e.v. Nonostante la fram-mentarietà, è evidente che tratta di un personaggio non identificato che si prostra davanti al trono di un re che è spaventato a causa di una visione.

Questo personaggio quindi – interpretando la visione – racconta che ci sarà sulla terra una grande distruzione (provocata da re potenti) e un massacro nelle province. Quindi apparirà un personaggio che sarà servito da tutti e chiamato «figlio di Dio» e «figlio dell’Altissimo». I regni dei re potenti fi-niranno e ci sarà la pace per il popolo di Dio; segue la descrizione del regno eterno del popolo di Dio: non ci saranno più guerre, tutti vivranno in pace e le province onoreranno il personaggio chiamato «figlio di Dio» e «figlio dell’Altissimo», la cui forza è Dio, grazie al quale egli può sottomettere i popoli e dominare per sempre anche sugli abissi. Il testo, noto in parte fin dagli anni ’70 del secolo scorso, è stato variamente interpretato: secondo alcuni l’interpretazione della visione si riferirebbe al periodo seleucide e il misterioso personaggio chiamato sarebbe il sovrano seleucide Alessandro Bala (150-145 a.e.v.) che, come sappiamo dalle monete, era chiamato Teopatore; altri studiosi interpretano il testo in senso apocalittico: esso de-scriverebbe la presentazione dell’erede al trono davidico, a cui sarebbero attribuiti i titoli in questione; per altri, invece, il re che tutti serviranno è quella figura demoniaca che gli scritti cristiani identificheranno con l’An-ticristo (cfr. 2Ts 2,1-12; Ap 13,8-12); per Florentino García Martínez il per-sonaggio misterioso è una figura angelica che altri testi qumranici identifi-cano con Michele, Melchisedek e il principe della Luce, e il regno di pace eterna è quello del popolo di Dio successivo alla battaglia escatologica finale. Anche se un’interpretazione certa del testo resta impossibile, si può ammettere che il personaggio che interpreta la visione sia Daniele; resta di contro arduo decidere se il personaggio detto «figlio dell’Altissimo» sia inteso in senso positivo (il messia o una figura angelica) o negativo (un qualche sovrano ellenistico).


2.2.2.4. L’esegesi biblica

Un ulteriore, fondamentale aspetto dell’attività letteraria della comu-nità qumramica si riflette nelle opere esegetiche. Il Targum di Giobbe e i pochi frammenti del Targum del Levitico mostrano come l’interpretazione biblica permea di sé la traduzione aramaica dei testi biblici ebraici.I testi forse più caratteristici dell’esegesi qumranica sono i pešarim, un termine che designa le composizioni in cui la parola péšer (“interpretazione”) viene frequentemente impiegata. La sostanza di questa esegesi consiste nel rivelare il vero senso del testo biblico, applicandolo alla situazione presente della comunità alla fine dei tempi. I pešarim commentano verso per verso il testo dei Profeti o dei Salmi (per un esempio, cfr. Figura 14). Altre composizioni di questo tipo, che possono definirsi pešarim tematici, interpretano testi provenienti da diversi libri biblici seguendo un particolare filo conduttore.

Figura 14: 4Q162 (plsaᵇ), col. I, citazione e pešer di Is 5,5.6; col. II, citazione e pešer di Is 5,11-14.24-25; col. III, citazione e pešer di Is 5,29-30 e 6,9 (?)

Il péšer è dunque il modo di interpretare la Scrittura da parte del gruppo qumranico, basato sul presupposto che il tempo finale del riscatto messianico sia già in atto; i membri del gruppo di Qumran adattano quindi, sulla base di questa convinzione, il testo biblico al momento storico che stanno vivendo. Ciò però viene messo in pratica con un linguaggio cifrato e oscuro che rende particolarmente difficile all’interprete moderno una precisa comprensione dei fatti storici ai quali si allude.

Una delle principali e più recenti acquisizioni degli studi qumranici è la nozione di fluidità testuale: al tempo di questi testi non si era ancora stabilita una norma che fissasse le Scritture in un canone o in una forma testuale definitiva, sicché non è sempre facile, in questa letteratura, distinguere tra Scrittura ed esegesi o tra testi biblici e non biblici, dal momento che sono, queste, caratteristiche che si sarebbero definite solo in un periodo successivo.

A riprova di quanto detto si può citare il caso di Documento di Damasco XVI,2-4 e di un frammento della quarta grotta, 4Q228, databile paleo-graficamente alla seconda metà del I secolo a.e.v. Questi due testi paiono citare come Scrittura un’opera poi entrata nella letteratura apocrifa come il Libro dei Giubilei, il primo mettendolo addirittura in parallelo alla Torah di Mosè, il secondo introducendolo con l’espressione “così è scritto” caratteristica a Qumran delle citazioni scritturali.

Un altro caso particolarmente istruttivo è quello del già citato Rotolo del Tempio, un testo databile paleograficamente alla fine del I secolo a.e.v. Il rotolo è il più lungo fra quelli rinvenuti nelle grotte di Qumran e misura quasi 8 metri. Si tratta di un corpus legale inserito nel quadro narrativo della stipula del patto sinaitico e basato essenzialmente sul Deuteronomio; una differenza di non poco conto è però il fatto che quelle parti che nel libro biblico sono esposte tramite la mediazione di Mosè vengono qui presentate come rivelate direttamente da Dio. Nell’opera sono ben distinguibili quattro temi principali: innanzi tutto la descrizione del tempio, che troviamo nelle colonne II-XIII e XXX-XLV; fra queste due parti dedicate al tempio si inserisce una digressione che tratta del ciclo delle feste (colonne XIV-XXIX); le colonne XLVI-XLVII sono invece dedicate alle norme tese a garantire la purità del tempio e della città santa, mentre le colonne XLVII-LI riportano norme di purità più generali. La quarta e ultima parte è dedicata a quella che è stata dai più interpretata come una rielaborazione di Dt 12-23. I moltissimi studi dedicati a quest’opera hanno individuato numerose fonti: innanzi tutto il Pentateuco (ancorché rielaborato e reinterpretato), un documento dedicato al Tempio, uno dedicato al calendario delle feste, uno alle norme di purità e infine un documento specificamente dedicato all’interpretazione del Deuteronomio. La maggior parte degli studi dedicati a questo testo, dunque, lo ha considerato come una rielaborazione esegetica di un corpus legale già fissato, distinguendo in maniera fin troppo sottile tra i vari tipi di citazioni (letterali, quasi-letterali, parafrasi, esegesi halaḵica ecc.) del Pentateuco che sarebbero presenti nel nostro testo. È necessario tuttavia sottolineare che nessuna opera esegetica di Qumran si presenta come rivelazione in prima persona di Dio a Mosè. Se si tiene poi conto del fatto che alcuni frammenti di quest’opera sono databili paleograficamente agli anni intorno tra il 150 e il 125 a.e.v. – circa un secolo e mezzo più antichi, quindi, del rotolo della grotta 11 – e che l’importanza che il Rotolo del Tempio dedica alla figura del re ci porta a un periodo ancora più antico, pare più economico considerare il nostro testo come un vero e proprio esempio di “Scrittura”, ancora tenuta in grande considerazione nella Palestina d’età erodiana, come testimonia il curatissimo e lussuoso rotolo della grotta 11.

2.2.2.5. Poesia e liturgia

Una parte notevole delle opere rinvenute a Qumran, poi, è di carat-tere esplicitamente poetico. Il testo più esteso e più importante di questo tipo è senza dubbio il rotolo degli Inni di ringraziamento (Hodayot), che è stato compilato da due scribi entrambi con lo stesso stile di scrittura ed è databile paleograficamente agli inizi del I secolo e.v. Si tratta di uno dei grandi testi di Qumran, pubblicato già negli anni ’50 del secolo scorso. Il titolo dato dal suo primo editore si riferisce alla formula d’apertura della maggioranza di questi canti: «Ti rendo grazie, Signore». Nonostante ciò, la forma del canto d’azione di grazie è spesso contaminata con altri generi quali il lamento individuale, il salmo penitenziale, il canto di lode, come pure con tratti sapienziali e apocalittici. L’origine di queste composizioni è varia. Se non c’è dubbio che alcune delle Hodayot provengano dalla comunità qumranica, la provenienza di altre composizioni è controversa; in particolare sono interessanti alcuni Salmi cosiddetti apocrifi, probabilmente usati come formule di esorcismo. Inoltre, alcuni dei testi poetici di Qumran sono specificamente destinati alla liturgia: sia le Preghiere quotidiane sia le Preghiere festive contengono indicazioni precise dei giorni, o delle feste, cui erano destinate le orazioni. Sfortunatamente, la gran parte degli esemplari superstiti di queste preghiere è in uno stato estremamente frammentario. Anche se i frammenti conservati di ciascuna di queste opere sono centinaia, sono pochissimi quelli che offrono un testo comprensibile; pertanto i particolari sulle celebrazioni liturgiche cui erano dedicate sono molto scarsi. Il testo più interessante e meglio conservato di questo gruppo sono i cosiddetti Canti dell’olocausto del sabato, tramandati in nove diversi manoscritti databili paleograficamente tra la metà del I secolo a.e.v. e la metà del I e.v. L’opera è composta da tredici canti da recitarsi per tredici sabati consecutivi. Anche se in teoria non si può escludere che i canti per i restanti sabati dell’anno siano andati perduti, pare più economico supporre che i tredici canti fossero ripetuti per ciascuna delle quattro stagioni (composta ciascuna da tredici settimane) dell’anno calcolato secondo il calendario in uso a Qumran. Da vari indizi e analogie si può concludere che l’opera sia stata composta nell’ambito del gruppo qumranico. I Canti dell’olocausto del sabato rappresentano il momento più alto del percorso ideologico-teologico del gruppo, che si considera ormai in comunione con il mondo angelico e sostituisce il culto e la liturgia legati al Tempio terreno con un culto e una liturgia legati al Tempio celeste.


2.2.2.6. Astronomia e astrologia

Un altro genere letterario di grande importanza a Qumran è quello dei testi di carattere astronomico, calendari che stabiliscono sincronismi fra i movimenti dei corpi celesti o che fissano le feste secondo i diversi turni di servizio delle famiglie sacerdotali, e un testo che può essere definito un oroscopo. Sfortunatamente, tutte queste opere ci sono giunte in forma estremamente frammentaria.

L’importanza di questi testi è dovuta essenzialmente al fatto che, se molti e ancora in gran parte da chiarire nei dettagli sono i motivi che portarono il gruppo di Qumran a distaccarsi dal resto del giudaismo per costituirsi in una comunità isolata sulle rive del mar Morto, un posto sicuramente di non secondaria importanza è occupato dalla questione riguardante il calendario. Già fin dai primi ritrovamenti gli studiosi si resero conto che il calendario in uso presso la setta di Qumran era lo stesso che ci era testimoniato in alcune opere della letteratura apocalittica, diverso da quello che sarà in seguito adottato dal farisaismo e che, con diversi aggiustamenti e adattamenti, resterà in uso presso gli ebrei fino ai nostri giorni. Il calendario in uso a Qumran era infatti un calendario solare, che si basava su un anno solare di 364 giorni diviso in 12 mesi di 30 giorni ciascuno, con un giorno intercalare ogni terzo mese. L’anno era dunque formato da 52 settimane e da quattro stagioni, ciascuna di 13 settimane e, quindi, di 91 giorni; in questo calendario l’anno iniziava di mercoledì, il giorno in cui, secondo il racconto genesiaco, furono creati il sole, la luna e gli astri, e ogni anno si ripeteva sempre uguale al precedente, sicché era possibile far cadere ogni festa sempre nel medesimo giorno della settimana. Il gruppo di Qumran si separò, dunque, dal resto del giudaismo che si serviva allora di un calendario basato su diversi presupposti, essendo essenzialmente un calendario lunisolare, in cui il mese veniva calcolato secondo la luna e l’anno secondo il sole. Si può dunque comprendere che questa differenziazione avrà creato non pochi problemi ai qumranici, che si trova-vano, seguendo un calendario diverso, a celebrare la liturgia in date diverse rispetto al resto del giudaismo.

2.2.2.7. Tesori nascosti o immaginati

Un’opera che è arduo far rientrare in un particolare genere letterario è invece il Rotolo di Rame. L’opera è stata così intitolata in quanto incisa in due lamine di rame arrotolate e ossidate, tanto che è stato possibile cono-scerne il contenuto solo dopo un’attenta dissezione in strati paralleli. L’esatto significato dell’opera è ancora sconosciuto: si tratta di un catalogo in 64 capitoli di un’immensa quantità di tesori nascosti in Palestina (Gerusalemme, Gerico, Garizim).

Visto il tipo di testo, il problema che si pose subito fu quello dell’effettiva esistenza di tali tesori. Alcuni studiosi, convinti della realtà dei dati offerti dal testo, organizzarono anche una spedizione alla ricerca (rivelatasi infruttuosa) dei tesori. Nella prima edizione, invece, Józef Tadeusz Milik considerò il testo leggendario, mettendolo in relazione a opere arabe più tarde incentrate sui nascondigli di tesori favolosi, e negò ogni rapporto tra il testo e la comunità di Qumran. Anche se i numerosi problemi posti da quest’opera restano irrisolti, si può comunque dire che il Rotolo di Rame presenta grandi motivi di interesse, in quanto il vero tesoro che ci offre consiste in informazioni topografiche e linguistiche, essendo scritto in un ebraico non letterario. Il manoscritto, che si trova nel Museo Archeologico Nazionale di Amman, è stato recentemente restaurato e nuovamente fotografato con una tecnica molto avanzata, in base alla quale è stato possibile preparare un’edizione critica che consente di vedere in una nuova prospettiva i numerosi problemi di questo testo

10. 2.3. Le origini della comunità

Dopo questa sommaria descrizione dei principali generi letterari pre-senti a Qumran, pare opportuno accennare brevemente al problema della comunità cui dobbiamo questo corpus letterario.

Tralasciando una serie di ipotesi proposte immediatamente a ridosso delle scoperte e ormai abbandonate, si può dire che la tesi che ha guadagnato il maggior numero di consensi è quella che identifica la comunità di Qumran con gli esseni di cui ci parlano alcune fonti classiche, essenzialmente Filone, Flavio Giuseppe e Plinio il Vecchio. Bisogna però sottolineare che queste fonti attribuiscono agli esseni alcune particolarità che sono indubbiamente da mettere in relazione con le testimonianze della letteratura qumranica, ma anche altre che non trovano alcun riscontro nella comunità di Qumran. Parrebbe quindi che abbiamo a che fare a Qumran con un gruppo simile agli esseni, ma da essi distinto.

A partire da questa considerazione, sono state avanzate ipotesi che mettono in dubbio la pura e semplice identificazione della comunità qumranica con gli esseni. In particolare, si è messo in evidenza come alcune idee nuove espresse in alcune parti dell’apocrifo Libro etiopico di Enoc, uno dei testi fondamentali dell’apocalittica giudaica antica (in particolare quella di un’origine preterumana del male), furono recepite e sviluppate a Qumran. Si può quindi individuare un collegamento tra l’apocalittica e alcuni dei principali temi dell’ideologia qumranica e considerare la comunità di Qumran il risultato di uno scisma verificatosi all’interno del movimento essenico il quale, molto più vasto e diffuso della piccola comunità qumranica, aveva le sue radici nella prima apocalittica.

In seguito, Gabriele Boccaccini ha ripreso e sviluppato questa ipotesi attribuendo agli esseni quelle opere apocalittiche che possono essere definite enochiche in quanto in esse è Enoc che rivela le sue visioni. Boccaccini rileva inoltre come l’assenza a Qumran delle opere della tradizione apocalittica che – come l’Epistola di Enoc (1 Enoc 91-104) o i Testamenti dei dodici patriarchi – pongono l’accento sulla responsabilità dell’uomo per quanto riguarda il peccato (e negano di conseguenza l’origine preterumana del male) indichi che da un certo punto in poi la comunità qumranica rifiutò quelle opere esseniche la cui ideologia non era più compatibile con la propria visione del mondo, rigorosamente predeterministica. Non sarà inoltre inutile aggiungere che quello che possiamo dire con certezza, in base a quanto i manoscritti stessi ci testimoniano, è che questo gruppo considerava se stesso un gruppo di sacerdoti. Le testimonianze sulla preminenza sacerdotale all’interno del gruppo sono molte e inequivoche. In particolare, la comunità di Qumran si riallaccia esplicitamente a quel ramo sacerdotale, detto sadocita, che detenne il sommo sacerdozio in Giudea dal ritorno dall’esilio (538 a.e.v.) all’ellenismo inoltrato, quando l’ultimo som-mo sacerdote legittimo fu deposto da Antioco IV nel 175 a.e.v. È quindi ragionevole concludere che la comunità qumranica considerò illegittimo il sacerdozio non più sadocita instauratosi a Gerusalemme dopo il 175 a.e.v. e si ritirò nel deserto allo scopo di ricreare qui una comunità retta dalla stirpe sacerdotale legittima, adottando e rielaborando alcune tematiche apocalittiche su cui fondare la speranza del ritorno del sacerdozio sadocita, ormai sconfitto e uscito dalla storia, in un’epoca escatologica.

3.Gli apocrifi cristiani

3.1. Che cos’è un apocrifo

Come si è già indicato per gli apocrifi dell’Antico Testamento¹¹, nell’accezione comune, il termine “apocrifo” ha una connotazione negativa: designa, infatti, qualcosa di non autentico, di falso. In un senso più tecnico, il termine è usato per indicare gli scritti che non sono entrati a far parte del canone delle Scritture ebraico-cristiane. In realtà, etimologicamente apocrifo significa “segreto”, “nascosto” (dal greco apokrýptō, “nascondo”; cfr. l’aggettivo italiano “criptico”); e se è applicato a parole o scritti, il termine fa riferimento più al processo di trasmissione che non ai contenuti. È precisamente in questo senso che esso è attestato negli scritti cristiani più antichi, come ad esempio nel già ricordato incipit del Vangelo secondo Tommaso, una raccolta di parole di Gesù che risale, nella sua redazione finale, intorno alla metà del II secolo: «Ecco le parole apocrife (vale a dire, segrete) che Gesù, il Vivente, ha pronunciato e che Didimo Giuda Tommaso ha messo per iscritto». L’uso del termine apocrifo in questo passo sta a indicare che le parole di Gesù contenute nella raccolta sono trasmesse segretamente e quindi si rivolgono a un gruppo più o meno ristretto di iniziati, e proprio in que-

¹¹Cfr. supra, par. 1.3.

GLI AUTORI

CAMILLA ADAN, docente di Studi islamici, Tel Aviv University: IV. Versioni antiche della Bibbia. 6.6. Versioni arabe (con Meira Polliack, Sabine Schmidtke e Ronny Vollandt)

PIERO CAPELLI, docente di Lingua e letteratura ebraica e di Ebraistica, Università Ca’ Foscari Venezia: III. Le lingue della Bibbia. 1. Le lingue del TaNaḴ; VII. I grandi interpreti della Bibbia nella tradizione ebraica; Bibliografia

AGNESE CINI, Presidente di Biblia: Indicazioni per una lettura continuata della Bibbia

PAOLO DE BENEDETTI († 11 dicembre 2016), già vicepresidente e quindi presidente onorario di Biblia, già docente di Giudaismo alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale di Milano, all’Università di Urbino e al Corso Superiore di Scienze Religiose di Trento: Terminologia delle scienze bibliche e ausiliarie; V. Lettura ebraica della Scrittura; IX. Sull’uso di alcuni termini. 1. Ebreo, giudeo, israelita...;XI. Il calendario di Israele

CLAUDIO GIANOTTO, docente di Storia del cristianesimo, Storia delle ori-gini cristiane e Lingua e letteratura copta, Università di Torino: XIV. La letteratura non canonica. 3. Gli apocrifi cristiani; XV. Il Gesù storico

PAOLO LUCCA, assegnista di ricerca, Università Ca’ Foscari Venezia: IV. I testi della Bibbia. 1. Testo ebraico. 2. Versioni greche dell’Antico Testamento e testo greco del Nuovo Testamento. 3. Il Pentateuco samaritano. 4. Le traduzioni aramaiche ( targumim ). 5. Versioni latine. 6. Le principali versioni orientali (secoli II - XI) (ad eccezione di 6.6. Versioni arabe)

CORRADO MARTONE, docente di Lingua e letteratura ebraica e Storia del- l’ebraismo, Università di Torino: XIV. La letteratura non canonica. 2. La letteratura di Qumran

LUCA MAZZINGHI, docente di Sacra Scrittura, Pontificia Università Gregoriana, Roma e presidente dell’Associazione Biblica Italiana: XII. Storia dell’Israele antico

GIOVANNI MENESTRINA, consulente editoriale, Trento: III. Le lingue della Bibbia. 1. Il greco dei Settanta e del Nuovo Testamento; Bibliografia

LORENZO PERRONE, docente di Letteratura cristiana antica, Università di Bologna: VIII. I grandi interpreti della Bibbia nella tradizione ebraica

MEIRA POLLIACK , docente di Bibbia, Tel Aviv University: IV. Versioni anti-che della Bibbia. 6.6. Versioni arabe (con Camilla Adang, Sabine Schmidt-ke e Ronny Vollandt)

PAOLO SACCHI, emerito di Filologia biblica, Università di Torino: XIV. La letteratura non canonica. 1. Gli apocrifi dell’Antico Testamento

SABINE SCHMIDTKE, docente di Storia intellettuale dell’islam, Institute for Advanced Studies, Princeton: IV. Versioni antiche della Bibbia. 6.6. Versioni arabe (con Camilla Adang, Meira Polliack e Ronny Vollandt)

JAN ALBERTO SOGGIN († 27 ottobre 2010), già docente di Antico Testamen-to, Facoltà Valdese di Teologia di Roma, e di Lingua e letteratura ebraica, Sapienza Università di Roma: IX. Sull’uso di alcuni termini. 2.Canaan, Palestina, Israele...

PIERO STEFANI, coordinatore del Comitato scientifico di Biblia: Prefazione; VI. I metodi dell’interpretazione biblica; IX. Sull’uso di alcuni termini. 3. Antico Testamento, Primo Testamento, Scrittura di Israele

RONNY VOLLANDT, docente di Ebraistica, Ludwig-Maximilians-Universität, München: IV. Versioni antiche della Bibbia. 6.6. Versioni arabe (con Camilla Adang, Meira Polliack e Sabine Schmidtke)

Questa seconda edizione riprende – e in gran parte rinnova – la prima edizione del Vademecum per il lettore della Bibbia, promossa e pubblicata nel 1996 da Biblia. Associazione laica di cultura biblica e dall’Editrice Morcelliana.

Le parti dell’opera non direttamente attribuite agli Autori sopra elencati sono state curate dalla redazione coordinata da Agnese Cini e Paolo De Benedetti (I ed.) e da Piero Capelli e Giovanni Menestrina (II ed.), che hanno revisionato e – laddove necessario – integrato i tratti provenienti dal Vademecum precedente.

Il capitolo IV. Versioni antiche della Bibbia. 6.6. Versioni arabe

è una versione ampliata e aggiornata a cura di R. Vollandt di C. Adang - M. Polliack - S. Schmidtke, L’onere della traduzione, in «Oasis» 17(2013), pp. 91-97; si ringrazia la Redazione della rivista per averne gentilmente concesso l’utilizzo.

Per le nuove cartine geografiche si ringrazia la casa editrice Zanichelli, che ci ha gentilmente concesso di riprodurle da P.J. Achtemeier e Society of Biblical Literature (eds.),

Qumran, vista aerea del sito

Qumran, panorama del sito

Qumran, le grotte dei ritrovamenti

Le anfore che contenevano i rotoli (riproduzione)

I manoscritti ebraici di Qumran: A che punto siamo?

“I manoscritti ebraici di Qumran: a che punto siamo?”, in Istituto Lombardo (Rend. Lett.) 129 (1995), 243-273

Elio Jucci

Pavia

I.

La scoperta dei primi Manoscritti di Qumran avvenne nell’inverno 1946-47, ma più probabil-mente nella primavera del 1947, negli anni successivi furono a mano a mano ritrovati altri mano-scritti e si procedette progressivamente a srotolare, leggere, studiare e pubblicare i testi in essicontenuti. L'opera di pubblicazione non è ancora terminata, e solo recentemente sono divenute ac-cessibili le fotografie dell’intero corpus.1Da quanto appare dalle pubblicazioni preliminari,2 i nuovi testi non contengono novità tali darivoluzionare l'attuale inquadramento storico e letterario dei testi, tuttavia alcuni dettagli potran-no ancora venire precisati con uno studio più accurato, con una conferma delle letture incerte, connuove proposte di integrazione delle lacune, con uno studio sistematico e globale dei nuovi mano-scritti nel contesto dell’intero corpus qumranico.

¹E. Tov, Stephen J. Pfann, edd., The Dead Sea Scrolls on Microfiche. A Comprehensive FacsimileEdition of the Texts from the Judaean Desert, Leiden 1993. Nel citare testi di Qumran utilizzerò ingenere L. Moraldi, cur., Manoscritti di Qumran, Torino 21986, per la citazione di passi biblici latraduzione CEI.

²La più ampia traduzione di testi qumranici si trova attualmente in F. García Martínez, The DeadSea Scrolls Translated. The Qumran Texts in English, Leiden 1994 (traduzione corretta e aggiornata di Textos de Qumrán, Madrid 1992), In fondo al volume (467-513) si trova una aggiornata li-sta dei manoscritti di Qumran, una precedente versione di questa lista si può trovare in Henoch 11(1989), 149-232, dove è accompagnata da un “Indice Italiano-Inglese dei testi di Qumran” elaborato da L. Rosso Ubiglio. Sulla stessa rivista si possono consultare due utili contributi: B. Chiesa,“Il testo dell’Antico Testamento. Rassegna di Studi / 8.1”, in Henoch 15 (1993), 299-324 (dedicatointeramente a Qumran); C. Martone, “A Concordance to the Newly Published Qumran Texts”, Henoch 15 (1993), 155-206.

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I rotoli del Mar Morto sono una finestra sulla storia dell’ebraismo, sono considerati la copia più antica della Bibbia.

Si stima che siano stati scritti circa 2000 anni fa.

I rotoli del Mar Morto furono trovati tra il 1947 ed il 1956, nelle caverne di Qumran, vicino al mar Morto.

Tra i manoscritti che furono trovati, c’erano dozzine di copie di quasi tutti i libri sacri del popolo ebraico.

Questi manoscritto diffusamente coincidono con i testi della sacra Bibbia usata ancora oggi.

I manoscritti sono custoditi ed esposti nel “santuario della Bibbia” al Museo Nazionale di Israele a Gerusalemme, capitale dello stato Ebraico.

Una buona parte dei manoscritti sono disponibili e consultabili online, e ci si può accedere da ovunque nel mondo.


I Rotoli del Mar Morto ora consultabili online

I rotoli del Mar Morto sono una finestra sulla storia dell’ebraismo, sono considerati la copia più antica della Bibbia.

Si stima che siano stati scritti circa 2000 anni fa.

I rotoli del Mar Morto furono trovati tra il 1947 ed il 1956, nelle caverne di Qumran, vicino al mar Morto.

Tra i manoscritti che furono trovati, c’erano dozzine di copie di quasi tutti i libri sacri del popolo ebraico.

Questi manoscritto diffusamente coincidono con i testi della sacra Bibbia usata ancora oggi.

I manoscritti sono custoditi ed esposti nel “santuario della Bibbia” al Museo Nazionale di Israele a Gerusalemme, capitale dello stato Ebraico.

Una buona parte dei manoscritti sono disponibili e consultabili online, e ci si può accedere da ovunque nel mondo.

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Alcuni di questi manoscritti custodiscono una serie di misteri e attraverso la moderna tecnologia, si cerca di decifrarne il contenuto.

Per questa attività sono usate le tecnologie più innovative, Il dipartimento di Ricerca e Sviluppo di Google ha contribuito in maniera sostanziale in questo progetto, anche la Nasa, l’autorevole Istituto Nazionale per lo studio aeronautico e spaziale, responsabile del programma di ricerca spaziale degli Stati Uniti, ha messo a disposizione le proprie tecnologie.

Tecnologie utilissime per scoprire degli scritti “nascosti” anche sotto i testi superficiali.

I rotoli del Mar Morto offrono una esclusiva finestra sul passato, nelle antiche radici del popolo Ebraico e nella propria terra d’origine, appunto la terra di Israele.

Per poter osservare i testi dei Rotoli del Mar Morto potete andare nella pagina dedicata dell’Israel Museum di Gerusalemme