Formazione dei Testi

ACCURATEZZA DELLA COPIATURA DEI TESTI SACRI

Bernard Ramm specifica che i manoscritti ebraici biblici sono stati preservati dagli ebrei come mai nessun altro manoscritto: "Con le loro 'massora' (parva, magna e finalis) tenevano il conto di ogni lettera, sillaba, parola e paragrafo. Avevano delle categorie speciali di uomini all'interno della loro cultura il cui solo dovere era quello di preservare e trasmettere questi documenti con praticamente perfetta fedeltà - scribi, avvocati, massoreti. Chi ha mai contato le lettere e sillabe e parole di Platone od Aristotele? Cicerone o Seneca?" (B. Ramm, "Protestant Christian Evidences", Chicago 1957 - Moody Press - pp. 230-231). Risulta sorprendente inoltre che, confrontando per esempio il testo biblico con gli scritti di Shakespeare, la Bibbia fu copiata a mano molto più accuratamente degli altri testi che hanno beneficiato anche di più moderni mezzi di stampa.

La cura con cui venivano copiati i testi antichi ha dell'incredibile.

I "talmudisti" (100-500 d.C.) avevano un intricato sistema per trascrivere i rotoli sacri della sinagoga. Samuel Davidson, ripreso poi da Geisler e Nix, riporta alcune regole, in vigore ai tempi dell'Antico Testamento:

- Il rotolo doveva essere di un animale puro.

- Preparato da un ebreo.

- Ogni pelle deve contenere un numero uguale di colonne per tutto il codice.

- La lunghezza e la larghezza delle colonne era predeterminata: non meno di 48 e non più di 60 righe, non più di 30 lettere di larghezza.

- L'intera copia andava prima "rigata", e se tre parole erano scritte senza la riga, diventava senza valore.

- Per essere autentica doveva essere "identica", senza deviazioni.

- Nessuna parola nè lettera nè uno yod (piccolo segno, paragonabile al nostro punto) doveva venir scritto a memoria.

- Tra ogni consonante doveva esserci lo spazio di un capello.

- Tra ogni nuovo paragrafo o sezione, lo spazio doveva essere di nove consonanti.

- Tra ogni libro lo spazio era di tre righe.

- Il V libro di Mosè doveva finire esattamente con una riga.

- Il copista doveva essere vestito sempre con un vestito integralmente ebraico.

- Doveva lavare il suo corpo.

- Non poteva iniziare a scrivere il nome di Dio con un pennino appena intinto nell'inchiostro.

- Scrivendo quel nome non doveva distrarsi neanche alla richiesta di un re.

Nel periodo massoretico (500-900 d.C., da "massora" = tradizione), il testo fu integrato con i punti vocalici per assicurarne la corretta pronuncia (infatti i testi ebraici erano composti di sole consonanti). Anch'essi trattavano il testo con la massima riverenza, escogitando un sistema intricato di controlli:

- Contavano quante volte ogni lettera dell'alfabeto capitava in ogni libro.

- Indicavano la lettera centrale del Pentateuco e quella centrale dell'intera Bibbia ebraica.

- Contavano praticamente tutto ciò che si prestava ad essere contato ed avevano sviluppato un sistema mnemonico per ricordare detti numeri.

I manoscritti greci erano scritti senza spazi tra le parole (scriptio continua). La difficoltà di quest'ultimo tipo di testo era più apparente che reale, perché le parole originali greche finiscono solo per vocale o dittongo, oppure in una delle consonanti Nu, Rho, Sigma, per cui non era così facile commettere errori, soprattutto ad una lettura a voce alta come era soliti fare allora.

LA FORMAZIONE DEI TESTI BIBLICI

Con la fissazione del canone verso il 100 d. C. è stato fissato anche il testo consonantico (tutto l'alfabeto ebraico è consonantico) ma affinché possa realizzarsi una immutabilità del testo si inizia un lavoro che condusse al testo "masoretico" - dall'ebraico masorah = tradizione -, fra il IV e IX d.C.

Ma è bene seguire nel tempo lo sviluppo della formazione del testo ebraico: originariamente siamo in presenza si un testo consonantico senza suddivisione in versi. ESDRA, sacerdote, scriba (da sofer - lettore e interprete della legge - ESDRA 7,6) del V secolo a. C. Fu grazie alla sua opera di restaurazione, dopo l'esilio babilonese, che l'integrazione e la registrazione del Pentateuco trova la sua massima espressione e compimento, la Torà è ora presentata come un insieme fisso e autorevole la misura ufficiale secondo cui erano giudicate la vita e le attività delle nazione e degli individui" J.M.Myers.. Secondo Neemia 8; 5-8, Esdra e i suoi discepoli (i soferim), possono essere considerati i primi veri esegeti dell'ebraismo. L'Esegesi di Esdra era "separante" ossia distingueva le parole del testo consonantico l'una dall'altra in tal modo ad ognuna era attribuito un significato chiaro, nei secoli successivi tale interpretazione fu ritenuta talmente autorevole che veniva fatta risalire alla rivelazione sinaitica stessa, il testo, quindi, fu ora fissato sotto ogni aspetto. A tal proposito è stata rinvenuta una lettera di un rabbino R. lshmael con cui si invita Meir, che faceva lo scrivano della Torà, a essere attento... ''E' da riconoscere che in un testo consonantico l'errore di una sola lettera era capace di produrre una affermazione del tutto diversa , per esempio in Deut. 6,4 se non si distingue bene il dàleth dal resh, anziché leggere "Il Signore, nostro Dio, è unico" si leggerebbe "Il Signore, nostro Dio, è un altro". Da segnalare, inoltre, che ad opera di Esdra la forma grafica della Torà fu mutata, a Qumran sono stati rinvenuti testi biblici in scrittura paleoebraica, i primissimi rabbini, quindi, sapevano che la Torà non sempre era stata scritta in scrittura quadrata "scrittura assira" o "scrittura aramaica" (Esdra 4;7) (Deut.17,18). l'opera dei masoreti è fondamentale il loro lavoro più importante in tutto il periodo sopra ricordato è la "puntazione", un sistema di segni vocalici ed accenti per fissare in modo definitivo la comprensione del testo consonantico. Inoltre essi apportarono, a mezzo di "note", migliorie al testo. Si formarono alcuni sistemi di puntazione, quello palestinese e quello babilonese erano i preminenti, alla fine prevalse quello tiberiense che è una variante del palestinese. Questo sistema aveva due scuole principali quella di ben Neftali e quella di ben Asher, ma grazie all'intervento di autorevoli rabbini (p.e.Maimonide) prevalse quest'ultima.

Dello stadio finale dell'epoca masoretica sono stati conservati manoscritti importanti ne citiamo alcuni: il codice dei profeti di Pietroburgo del 916 d. C., I tre codici di Erfurt (ora a Berlino), il codice del Cairo del 895 d.C, il codice, molto importante, leningradensis del 1008 d. C., una rielaborazione importante di questo codice è stata effettuata dal 1968 al 1977 la Bibbia Hebraica Stuttgartensia (BHS). Dal 1975 si pubblica a Gerusalemme la "THE HEBREW UNIVERST BIBLE", basata sul codice di Aleppo ed offre un apparato più ampio della BHS.

LE ANTICHE TRADUZIONI.

La più antica traduzione della Bibbia ebraica è quella dei LXX (settanta), vide la luce nel periodo del regno di re Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C) lo scopo era quello di arricchire la famosa biblioteca di Alessandria (che fu poi pressoché talmente distrutta in un incendio), i traduttori dell'ebraico al greco dovevano essere richiesti al Sommo sacerdote di Gerusalemme, questi ne inviò 72, furono tutti ospitati sull'isola di Faro e al termine del loro lavoro emerse una sorprendente convergenza di un solo testo greco. La prima parte ad essere tradotta fu la Torà, seguì poi la traduzione dei Profeti e di "altri libri". I LXX suddividono il canone biblico in libri " storici, poetici, profetici".

Per il cristianesimo antico i LXX rivestirono un ruolo particolarmente importante, perché in tal modo veniva considerato che Dio si era preso cura del mondo greco. La più importante recensione cristiana dei LXX è la Esalpa di Origene (composta fra il 240 e il 245 d.C), essa conteneva (come dice il nome):

a) il testo ebraico consonantico;

b) la trascrizione greca del testo ebraico;

c) la traduzione di Aquila;

d) la traduzione di Simmaco;

e) i (LXX) la traduzione di Teodosio.

Di questo testo importante, che andò distrutto in Palestina dopo la conquista degli arabi, se ne conserva uno nel cristianesimo, ma decisamente quella dei LXX e la sua recensione è di notevole importanza. Nel mondo latino è da citare solo la traduzione di gran lunga più importante che è la Vulgata di Girolamo (347-420 d.C). Girolamo adottò come base della sua traduzione l'Esapla di Origene, tuttavia nel 390 d.c. si decide per una traduzione completamente rinnovata dall'ebraico stesso ed è quella che oggi costituisce la Vulgata che conosciamo. Il concilio di Trento, nel XVI secolo, per prendere le distanze dalle altre traduzioni della Bibbia compresa quella di Lutero, dichiara la Vulgata testo biblico autentico e vincolante per la chiesa Cattolica. Con il concilio Vaticano II questa posizione è stata superata per cui oggi esistono molte traduzioni dall'originale Ebraico, anzi esiste anche una Neo-Vulgata.

nuove_osservazioni_sull’attività_scrittoria_nel_vicino_oriente_antico.pdf

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Il processo redazionale dei libro biblici

La redazione finale della Bibbia, quella che l'ha resa così come la conosciamo, si è compiuta in epoca esilica e postesilica, anche se qualche avvio importante si può far risalire agli ultimi tempi dell'epoca monarchica.

Approssimativamente si può dire che il periodo decisivo che fa diventare la Bibbia così com'è oggi va dalla metà del secolo VI alla fine del IV o agli inizi del II secolo prima di Cristo.

Al termine di questo periodo i libri si possono già considerare non solo finiti, ma sostanzialmente canonici, cioè sono normativi per la fede e non si possono più cambiare.

Ognuno è stato redatto in modo da avere una sua logica interna e un suo messaggio; le singole parti che lo compongono, anche se molto più antiche, ricevono un senso e una funzione dall'insieme in cui sono incorporate.

Quest'opera di redazione va considerata la produzione di una vera e propria letteratura.

Non si tratta soltanto di mettere per iscritto dei testi al solo scopo di conservarli come in un archivio, ma di costruire veri e propri libri, destinati a durare nel tempo.

Forma e contenuto non sono più funzionali a esigenze del momento, ma intendono costituire un patrimonio di interpretazioni e di cultura, slegato da urgenze immediate e contingenti.

I libri sono ancora finalizzati a nutrire la fede e la vita del popolo di Dio, questo è indubbio, ma non sono più soltanto voci determinate da situazioni immediate del presente.

Le parti che li compongono ebbero un tempo la loro ragion d'essere primariamente nel contesto sociale delle esperienze vissute; ora, senza perdere la memoria di quelle situazioni vitali, acquistano un posto e una funzione nell'opera letteraria in cui sono inserite, e l'impatto sul vissuto viene mediato dall'intenzionale progetto compositivo unitario del libro.

Ci possiamo spiegare con un esempio.

Quando Isaia, nell'anno 734, rivolgeva ad Acaz l'oracolo sulla nascita dell'Emmanuele, le sue parole rispondevano all'esigenza di suggerire al re comportamenti adeguati a quel particolare momento storico.

Quando quegli oracoli prendono posto entro la complessa e ampia struttura del libro di Isaia, che raccoglie testi distribuiti in oltre due secoli di storia, diventano un tassello nel messaggio globale di un libro, non più circoscritto alle condizioni concrete di un'epoca e di un ambiente ( quello degli ebrei di Giuda nell'VIII secolo ) ma aperto a un futuro indeterminato.

Oggi lo studio esegetico si orienta sempre più, come si dirà più avanti, a ricercare il senso globale che i libri biblici hanno acquistato per merito dell'intenzionale e accurata revisione compositiva degli ultimi redattori esilici e postesilici.

Non conosciamo i loro nomi e neppure con esattezza finalità e metodi del loro lavoro, tuttavia possiamo sapere con suffidente sicurezza come avvenne la sistemazione definitiva delle tre parti della Bibbia ebraica: la Torah, i Profeti e gli Scritti.

Il Pentateuco, o Torah, ha ricevuto l'ultima sistemazione per opera di redattori che appartenevano alla classe sociale dei sacerdoti del Tempio di Gerusalemme.

Il loro lavoro però si svolse prevalentemente in territorio babilonese, là dove erano stati esiliati tra il 597 e il 586 a. C. e dove molti di loro erano rimasti, forse proprio per terminare quest'opera, anche dopo che l'impero persiano aveva permesso il ritorno in Giudea.

È molto probabile che già a metà del secolo IV il Pentateuco avesse assunto la forma che ha oggi per opera di questa scuola Sacerdotale.

Una tradizione ebraica, non confermabile criticamente, attribuisce a Esdra la conclusione di questo lavoro e la diffusione ufficiale della Torah.

Tuttavia alcune parti del Pentateuco, ad esempio le norme sulla Pasqua nel racconto dell'Esodo, mostrano le tracce di un'altra mano e di un'altra scuola, che potrebbe aver cominciato i suoi interventi redazionali prima di quella Sacerdotale.

È un gruppo che si ispira alle idee del Deuteronomio e che per questo viene denominato, con termine collettivo, Deuteronomista.

Entrambi i gruppi operarono con intenti teologici: il collegamento e la revisione dei testi avviene sulla scorta di una visione della storia fondata sulla fede nella promessa di Dio, sull'efficacia della sua benedizione, sul valore della Legge, sull'importanza decisiva della fedeltà del popolo all'unico Dio dei padri.

La scuola Deuteronomistica, secondo alcuni studiosi, aveva già cominciato a lavorare verso la fine del periodo monarchico, al tempo del regno di Giosia sul finire del secolo VII, per poi riprendere e rimaneggiare il lavoro durante l'esilio.

Solo molto recentemente si è valorizzato il suo intervento sul Pentateuco, ma già dagli anni '50 del nostro secolo si era dimostrato che andava attribuita ai Deuteronomisti la redazione dei libri che noi chiamiamo storici e gli Ebrei Profeti anteriori, quelli cioè che vanno da Giosuè al secondo libro-dei Re.

Quello dei Deuteronomisti fu essenzialmente un lavoro di redazione: essi operarono cioè su materiali preesistenti, orali e scritti, incorporando in quei libri sia tradizioni isolate sia cicli narrativi già strutturati, servendosi di antichi resoconti di conquista e di liste d'archivio per Giosuè, di epiche saghe di eroi locali per Giudici, di tradizioni su Samuele, sull'Arca e su Saul e di due grandi cicli su Davide per comporre i libri di Samuele; infine utilizzarono resoconti di gesta di profeti insieme a notizie ufficiali di annali di corte per i libri dei Re.

Di proprio vi misero, oltre a un generale piano di sistemazione del materiale, idee teologiche, ispirate al Deuteronomio, la più importante delle quali è la concezione del valore condizionato della promessa: l'idea, cioè, secondo cui il gratuito dono divino della terra era fin dall'inizio condizionato alla fedeltà del popolo all'unico Dio Jhwh.

I Deuteronomisti ristrutturarono tutta la storia proprio per mettere in evidenza che il popolo e i suoi capi avevano tradito sempre più gravemente l'impegno di fedeltà al Dio unico.

Di conseguenza il Deuteronomista può dimostrare che la caduta del regno e la perdita di tutto è conseguenza della colpa del popolo, sordo alla predicazione dei profeti, e non incrina la fedeltà di Dio; può così fondare una speranza di ripresa, a condizione che il popolo riconosca il suo peccato e si converta...

È più difficile dire chi e quando lavorò alla formazione definitiva dei libri dei Profeti posteriori e degli altri Scritti.

La collezione dei Profeti terminò probabilmente intorno al III secolo e anche in essa sembra predominante la revisione redazionale dei Deuteronomisti e limitata a ritocchi marginali quella della tradizione Sacerdotale, senza escludere però il determinante apporto di altri circoli tradizionalmente legati agli ambienti dei profeti.

La sistemazione di questi libri diede loro due caratteristiche impronte.

La prima è la tensione tra giudizio divino di condanna e promesse di salvezza; la seconda, che esplicita la dimensione temporale insita nella prima, crea una tensione tra la perenne inadeguatezza della risposta storica alla volontà divina da parte del popolo e la conseguente attesa di una salvezza ultima e definitiva o, come si usa dire con termine più tecnico, escatologica, che non si attuerà senza una trasformazione radicale della storia.

L'alternanza tra la condanna della storia presente e la promessa di salvezza finale costituisce ora la trama che unifica i libri profetici.

Per gli Scritti la forma definitiva tardò ancor di più a fissarsi, come dimostra il fatto che la Bibbia greca aggiunge a questa sezione libri che non entrano a far parte di quella ebraica.

Per i libri di genere sapienziale è ovvio che i redattori finali vengano dal mondo dei sapienti; per altri, come le Cronache con Esdra e Neemia, si deve invece pensare a circoli sacerdotali più recenti rispetto a quelli che lavorarono sul Pentateuco.

L'idea guida che la redazione impresse alla letteratura sapienziale può essere, semplificando molto, la tensione tra l'impegno della mente umana di conquistare con le sue forze la saggezza e la necessità di implorarla da Dio come dono.

In quasi tutti gli Scritti l'impronta redazionale riflette la tipica spiritualità del giudaismo postesilico, attento al valore della Legge, del culto, della penitenza, della dignitosa diversificazione dal mondo dei pagani.

Tre sono dunque i gruppi o le correnti culturali responsabili, in un lungo periodo di tempo, della redazione finale dei libri biblici: i redattori deuteronomistici, sacerdotali e sapienziali.

Probabilmente erano stati preceduti dall'opera di un altro gruppo, che produsse, secondo molti, un vero e proprio documento letterario, ma, secondo altri studiosi più recenti, soltanto una specie di abbozzo o di orientamento: si tratta della ben nota tradizione jahvista.

Per molto tempo la redazione jahvista del Pentateuco, che molti estendevano fino a parti dei libri di Samuele, fu considerata sicuramente databile addirittura al tempo di Salomone o poco dopo, cioè al secolo X o IX a. C.

Oggi si è molto meno sicuri sia della data sia dell'estensione di questo progetto redazionale: probabilmente quello jahvista è un gruppo accostabile al mondo dei sapienti che ha iniziato ad arricchire di motivi teologici cicli anche ampi di narrazioni nel corso dell'epoca monarchica ( difficile dire da quando ) senza giungere ancora a quella produzione di letteratura in senso proprio che si avrà solo, come abbiamo visto, in epoca esilica.

Fonte: http://www.unionecatechisti.it/Lezioni/StoriaS/02/Rif02.htm

Tempi dei libri

1850 aC

Ricordi e tradizioni di vita familiare e di clan dei Patriarchi ebrei, raccolti e rielaborati in seguito dalle grandi correnti teologiche Jahvista ( J ), Elohista ( E ), Sacerdotale ( P ), e confluiti nel testo attuale di Gen 12-50

1300 aC

Tradizioni sull'oppressione, la liberazione e la vita nomade nel deserto che stanno alla base di Esodo, Levitico, Numeri ( Deuteronomio rievoca con una visione propria questo periodo.

1250 aC

Tradizioni sulla conquista e l'insediamento in Canaan confluite nel libro di Giosuè e in Giudici 1

1200 aC

Tradizioni raccolte e sistemate nel libro dei Giudici e in 1 Sam 1-7

( Gdc 5, « Ode guerriera » si Debora e Barac, tra i più antichi testi della Bibbia )

1030 aC

Storia di Saul; i suoi rapporti con Samuele e Davide ( 1 Sam 8 - 2 Sam 1 )

1020 aC

Storia di Davide ( 2 Sam 2 - 1 Re 1 )

910 aC

Nel regno del nord viene messa in scritto la tradizione Elohista ( E )

870 aC

Racconti biografici su Elia ed Eliseo raccolti in 1 Re 17 - 2 Re 10

760 aC

c. Amos

750 aC

c. Osea, Michea

740-700 aC

c. Isaia ( Is 1-39 )

720 aC

Raccolta di Proverbi ( Pr 25,1 )

Fusione delle tradizioni Jahvista ed Elohista in un unico testo nel regno del sud

630 aC

c. Sofonia

627-586 aC

Geremia

612 aC

c. Naum; Abdia

Redazione della « Legge di santità » ( Lv 17-26 )

605 aC

Geremia mette in scritto le sue profezie ( Ger 36 )

Abacuc

593-571 aC

Ezechiele profeta tra gli esiliati

580 aC

Redazione della tradizione Sacerdotale ( P )

Lamentazioni

Deuteroisaia ( Is 40-50 )

Redazione della storia deuteronomista ( Gs, Gdc, 1 Sam, 2 Sam, 1 Re, 2 Re )

520 aC

Aggeo, Zaccaria ( 1-8 )

Tritoisaia ( Is 56-66 )

458 aC

Malachia, Abdia (?)

Redazione definitiva di Proverbi e Giobbe

445-433 aC

Cantico, Rut.

Memorie di Neemia

398 aC

Redazione definitiva del Pentateuco

Storia cronistica ( 1 Cr, 2 Cr )

330 aC

Esdra, Neemia

312 aC

Giona, Gioele, Zaccaria 9-14

300 aC

Tobia, Qohèlet ( Ecclesiate )

Raccolta dei Salmi

200 aC

Siracide ( Ecclesiatico )

Baruc

167 aC

Daniele, Ester, Giuditta

134 aC

Primo libro dei Maccabei

76 aC

Secondo libro dei Maccabei

50 aC

c. Sapienza

Formazione del Nuovo Testamento

34 dC

Inizia la tradizione su Gesù che si esprime nella predicazione apostolica, nella catechesi alla comunità e nella liturgia ( battesimo ed eucaristia )

46 dC

Prime raccolte parziali di « fatti e detti » di Gesù messe in scritto ( Matteo aramaico? )

50 dC

1a e 2a Lettera ai Tessalonicesi

53 dC

1a e 2a Lettera ai Corinzi

Lettere ai Galati e ai Romani

62 dC

Lettera di Giacomo

Lettere ai Colossesi, a Filemone, agli Efesini, ai Filippesi

64 dC

1a Lettera di Pietro

1a Lettera a Timoteo

Lettera a Tito

67 dC

2a Lettera a Timoteo

Lettera agli Ebrei

Vangelo di Marco

70 dC

Vangelo di Matteo

Vangelo di Luca e Atti degli Apostoli

Lettera di Giuda

2a Lettera di Pietro

95 dC

Apocalisse

c. Vangelo di Giovanni

1a, 2a e 3a Lettera di Giovanni


Fonte: http://www.unionecatechisti.it/Lezioni/StoriaS/02/Tempi.htm


I MANOSCRITTI PIU' ANTICHI DEL NUOVO TESTAMENTO

di GIANLUIGI BASTIA

Dal Sito:https://sites.google.com/site/storiadeiprimicristiani/home/i-manoscritti-piu-antichi-del-nuovo-testamento


L’archeologia e la papirologia, scienza che studia gli antichi papiri e si occupa di questioni quali la loro decifrazione e datazione, sono discipline in continua evoluzione. Nel corso del XIX e del XX secolo sono state fatte in questi campi scoperte molto importanti per quanto riguarda lo studio delle sacre scritture (e non solo: per esempio nel 1989 destò molto scalpore il ritrovamento presso i resti dell’antica fortezza di Masada, in Palestina, di un minuscolo frammento dell’Eneide di Virgilio datato al I secolo d.C. che divenne in un sol colpo il più antico frammento mai scoperto di quel testo) e la ricerca dei collegamenti tra i testi che oggi conosciamo e i testi originari. In alcuni casi i ritrovamenti hanno persino permesso di fugare molti dubbi sulla attendibilità della trasmissione delle sacre scritture. Nel caso delle sacre scritture e del Nuovo Testamento la ricerca si fa naturalmente tanto più affascinante quanto più i reperti e i frammenti si avvicinano al I secolo: il periodo in cui Gesù, gli Apostoli e Paolo di Tarso hanno operato e nel quale erano ancora vivi i testimoni oculari di quegli eventi. Oggi non disponiamo di frammenti del Nuovo Testamento che con certezza si possano attribuire proprio al I secolo, nonostante ci sia un notevole dibattito attorno ad alcuni ritrovamenti di Qumran e chi è interessato già consultando questo sito può approfondire la questione e farsi un’idea della complessità che si nasconde dietro simili dibattiti. I reperti scritti più antichi del Nuovo Testamento che oggi sono noti.


partono tutti dal II secolo in avanti. Si tratta di frammenti, porzioni di papiro (il supporto usato prevalentemente per la scrittura in quel periodo) a volte anche molto piccoli, poco più grandi di un francobollo, contenenti poche lettere scritte a mano e spesso danneggiate. La peculiarità di questi papiri è che sono stati ritrovati tutti in Palestina o in Egitto, luoghi caratterizzati da un clima molto secco, ideale per la conservazione dei papiri anche dopo duemila anni. Questi antichi frammenti sono tutti scritti in greco, la lingua “ufficiale” del Nuovo Testamento. Un’altra caratteristica saliente è che tutti i frammenti più antichi del Nuovo Testamento che oggi si conoscono sono scritti su codice, escludendo per un istante la questione dell’attribuzione del frammento di rotolo 7Q5 rinvenuto a Qumran e identificato con Marco 6:52-53, che non è univocamente accettata. Il codice è un formato editoriale che ha sostituito il rotolo in modo massiccio soltanto a partire dalla fine del III secolo dopo Cristo in poi. Soltanto da questo periodo in poi tutte le opere letterarie “classiche” sono state copiate su codice, prima abbiamo un numero relativamente basso di frammenti di codice, i più antichi sono della fine del I secolo d.C. o al più del II secolo d.C. Nel caso dei testi cristiani assistiamo invece curiosamente a un fenomeno opposto: si tratta di documenti antecedenti di 100-150 anni il periodo di diffusione massiccia del codice eppure sono già tutti su codice. Possiamo affermare che è proprio nel caso dei documenti cristiani che il formato del codice viene per la prima volta applicato in modo massiccio a un intero corpus omogeneo di scritti per questo si è pensato che ciò possa essere avvenuto in seguito ad una precisa indicazione di qualche autorità ecclesiastica tra il I e il II secolo dopo Cristo. Solo così si spiega lo speciale legame che sussiste tra il cristianesimo e il formato del codice. Anche lo stile di scrittura dei manoscritti cristiani più antichi non deve essere confuso con quello dei papiri letterari “classici” greco-romani. Esso appare, rispetto a questi ultimi, più vicino alla scrittura documentale, quindi lo stile di scrittura è meno epigrafico e professionale delle opere classiche. Vi sono poi alcuni papiri, come P66, caratterizzati da un numero di errori grammaticali e di trascrizione relativamente elevato, come se il manoscritto non fosse opera di uno scriba professionale.

Come si fa ad attribuire un frammento a un testo noto? E come si stabilisce la data in cui il testo al quale apparteneva il frammento venne composto? Nel nostro caso parliamo di frammenti veramente molto piccoli, come si può vedere dalle immagini, bisogna essere così bravi da risalire a un testo oggi noto (nel nostro campo di indagine il Nuovo Testamento, oppure l’Antico Testamento in greco, nella versione detta dei LXX) disponendo di poche lettere, a volte non facilmente leggibili. Una volta individuate le lettere che si vedono sul papiro in una frase o in alcuni versetti inizia la sfida maggiore: bisogna risalire a una possibile ricostruzione di come il testo era incolonnato e scritto, facendo in modo che le lettere combacino con il frammento. Nel caso dei frammenti molto piccoli (ad esempio il 7Q5 rinvenuto a Qumran che contiene una decina di lettere leggibili soltanto e misura 3,9 ´ 2,7 cm) ci si può domandare se abbia davvero un senso tentare una attribuzione a un testo noto in quanto a prima vista si potrebbe pensare che così poche lettere possano essere fatte combaciare con moltissimi testi diversi. A questo proposito c’è un semplice esperimento che potete tentare. Aprite ad esempio la Bibbia in una pagina scelta a caso e puntate il dito su una lettera (o uno spazio) del testo. Quindi scrivete la lettera (o lo spazio) scelto in un foglietto di carta. Copiate poi le due lettere/spazi che compaiono a destra e a sinistra della lettera prescelta: avrete così scritto sul vostro foglietto tre lettere. Seguite ora la stessa procedura per le due lettere sopra e sotto la prima lettera che avevate scritto precedentemente, così che ora la combinazione sul foglietto assume la forma di una croce. Quindi copiate le altre quattro lettere a destra e a sinistra del carattere più in alto e del carattere più in basso. Quando avrete terminato, avrete ottenuto sul vostro foglietto un “frammento” della Bibbia contenente nove lettere/spazi soltanto. Adesso aprite la Bibbia dove volete e cercate la stessa combinazione di nove lettere/spazi del vostro “frammento”. Provate a cercare la stessa sequenza anche in altri libri diversi dalla Bibbia: prima di terminare la vostra ricerca vi sarete resi conto che è pressoché impossibile trovare una sequenza identica a quella del foglietto, con proprio quelle dieci lettere e in quella precisa posizione, che non sia quella che si trova in quel particolare punto della Bibbia da cui eravate partiti. Questo semplice “esperimento” illustra come abbia un senso tentare attribuzioni a frammenti anche molto piccoli e come debbano essere veramente pochissimi i testi identificabili con un frammento, anche di nove-dieci lettere soltanto. L’esperimento semplicissimo di cui sopra ha anche un corollario: non è affatto facile risalire a un possibile testo che possa identificare poche lettere di un frammento. La ricerca di possibili testi si è in qualche modo semplificata grazie all’impiego degli elaboratori elettronici e dei data base che sono stati messi a punto negli ultimi anni, contenenti in formato digitale tutti i testi scritti in greco – non solo religiosi – che sono stati scoperti. Un esempio è il data base T.L.G. (Thesaurus Lingua Graecae) gestito dall’Università della California Irvine sin dal 1972, aggiornato costantemente con tutti i testi in greco conosciuti da Omero fino al 1453. Il T.L.G. registra qualcosa come 3700 autori diversi, 12000 opere, 91 milioni di parole (dati aggiornati al 2001). Grazie ai calcolatori è possibile in pochi minuti eseguire complesse ricerche informatiche nei data base e risalire a possibili testi contenenti determinate frasi, parole o lettere in una particolare posizione o sequenza. Il T.L.G. è accessibile anche on line (gratuitamente però solo in una versione che contiene un piccolo sottoinsieme di tutti i testi). Un altro data base contenente molti testi greci e latini (consultabili gratuitamente) è il Perseus Digital Library gestito dalla Tufts University di Boston.


Sito del TLG – Università della California: http://www.tlg.uci.edu

Sito Perseus Digital Library: http://www.perseus.tufts.edu

Per la datazione dei frammenti molto piccoli non è applicabile la tecnica del Carbonio 14 in quanto essa è distruttiva e di conseguenza comporterebbe la perdita del frammento. Allora si opera essenzialmente per confronto: avendo a disposizione manoscritti antichi dei quali è nota la data di composizione (perché l’ha scritta l’autore, come nel caso di lettere e sim., oppure perché sussistono quelli che in gergo vengono definiti stop archeologici: se un papiro viene ritrovato ad Ercolano oppure a Pompei sepolto sotto la cenere del Vesuvio è certo che esso è stato scritto prima del 79 d.C., anno della eruzione del Vesuvio) i papirologi sono così bravi da riconoscere lo stile di scrittura e quindi risalire con buona approssimazione al periodo in cui presumibilmente il testo è stato scritto. Ad esempio il papiro era un supporto usato per la scrittura sino a una certa data, la tecnica di scrivere le parole una attaccata all’altra (che viene detta scriptio continua) e senza alcun segno di interpunzione è anch’essa un elemento caratteristico, lo stile delle lettere, l’uso delle sole lettere greche maiuscole, la particolare grafia, questi e altri più complessi parametri sono tutti indizi utili per determinare la data di stesura di un manoscritto.

Molte volte succede poi che di un frammento si conosce con certezza la data (massima) di stesura attraverso uno stop archeologico, ma a causa del fatto che è molto danneggiato non si riesce a stabilire con certezza a quale testo appartenga (questo è il caso, ad esempio, del famoso frammento 7Q5 ritrovato a Qumran). Oppure succede che una identificazione certa perché le lettere e il loro numero e la loro disposizione non ammettono discussione viene ridatata (è il caso ad esempio del papiro di Magdalen, P64, che inizialmente datato al III-IV secolo d.C. è stato prima ridatato al II secolo e recentemente alcuni studiosi propongono addirittura di collocarlo al I secolo); questo succede perché continuamente si trovano resti di antichi scritti e questo costringe ad un continuo aggiornamento della datazione anche dei reperti precedentemente ritrovati, dato che le datazioni spesso si fanno solo per confronto.


Papiri di Chester Beatty

In Irlanda presso la Chester Beatty Library di Dublino sono conservati dieci papiri di particolare interesse. Sette di questi sono porzioni della Bibbia greca dei LXX, detta anche Septuaginta. La Bibbia dei LXX è una traduzione in greco dell’Antico Testamento, iniziata nel III secolo a.C. e ultimata verso il II secolo a.C.; questa traduzione venne eseguita dall’ebraico e dall’aramaico inizialmente per gli ebrei che vivevano in Egitto, in seguito si diffuse nel mondo greco-romano e anche in Palestina. Vigente già ai tempi di Gesù fu utilizzata dagli scrittori del Nuovo Testamento, dai Padri della Chiesa ed è stata utilizzata, assieme ai testi ebraici, anche per la composizione della Vulgata latina (ovvero la traduzione in latino della Bibbia) di San Girolamo nel V secolo. Tre importanti papiri (identificati con le sigle P45, P46 e P47) sono invece resti del nuovo testamento in greco, datati tra il II e il III secolo, quindi precedenti ai Codici Vaticano, Alessandrino e Sinaitico.

Papiro P45: Vangeli e Atti degli Apostoli

Il papiro P45 è datato paleograficamente al 200-250 d.C. (III secolo), risale quindi a un secolo prima dei codici Vaticano, Alessandrino e Sinaitico, e fu pubblicato nel 1931. Esso contiene porzioni dei quattro Vangeli canonici e degli Atti degli Apostoli. Una porzione del papiro si trova presso la Biblioteca Nazionale Austriaca di Vienna (Pap. Vindob. G. 31974) mentre una porzione è conservata alla Chester Beatty Library (P. Chester Beatty I). P45 nel complesso è un papiro abbastanza esteso, contiene stralci in greco di Matteo (20:24-32, 21:13-19, 25:41-26:39), Marco (4:36-40, 5:15-26, 5:38-6:3, 6:16-25, 36-50, 7:3-15, 7:25-8:1, 8:10-26, 8:34-9:8, 9:18-31, 11:27-12:1, 12:5-8, 13-19, 24-28), Luca (6:31-41, 6:45-7:7, 9:26-41, 9:45-10:1, 10:6-22, 10:26-11:1, 11:6-25, 28-46, 11:50-12:12, 12:18-37, 12:42-13:1, 13:6-24, 13:29-14:10, 14:17-33), Giovanni (4:51, 54, 5:21, 24, 10:7-25, 10:31-11:10, 11:18-36, 43-57), Atti degli Apostoli (4:27-36, 5:10-20, 30-39, 6:7-7:2, 7:10-21, 32-41, 7:52-8:1, 8:14-25, 8:34-9:6, 9:16-27, 9:35-10:2, 10:10-23, 31-41, 11:2-14, 11:24-12:5, 12:13-22, 13:6-16, 25-36, 13:46-14:3, 14:15-23, 15:2-7, 19-26, 15:38-16:4, 16:15-21, 16:32-40, 17:9-17).

Purtroppo il papiro P45 non è in buono stato di conservazione, è possibile che esso contenesse in origine altri libri, ad esempio le lettere di Paolo o le epistole cattoliche. Le pagine che si sono conservate non sono complete, quelle migliori attestano al massimo l’80-90% del testo originariamente scritto. Numerose pagine sono danneggiate quasi per intero. Uno dei primi e più autorevoli lavori su questo papiro è stato pubblicato nel 1965 da E.C. Colwell (Method in Evaluating Scribal Habits: a Study of P45, P66, P75). Il papiro P45 viene considerato da questo studio un testo abbastanza fedele, probabilmente gli antenati di questo manoscritto appartenevano alla famiglia neutrale-alessandrina, anche se di qualità inferiore rispetto al Codex Vaticanus o al papiro P75 e catalogato come testo libero. Si nota in particolare la tendenza ad allungare, accorciare o scrivere liberamente alcuni passi rispetto agli altri papiri. Come classificare quindi il testo di questo manoscritto? Secondo alcuni il testo è inquadrabile nel filone neutrale-alessandrino, sicuramente i suoi antenati appartenevano a questa categoria, ma con varianti tipicamente inquadrabili nel testo occidentale. Per altri invece il testo è inquadrabile nel gruppo cesariano.

Clicca qui per visualizzare una immagine del papiro P45: Papiro P45

Papiro P46: le lettere di Paolo

Il papiro P46 è stato datato inizialmente (1936) al 180-200 d.C. (fine del II secolo) e contiene resti delle lettere di Paolo: lettera ai Romani 5:17-6:3, 6:5-14, 8:15-25,27-35, 8:37-9:32, 10:1-11, 11:1-22,24-33, 11:35-15:9, 15:11-fine (con la porzione 16:25-27 che oggi chiude la lettera a seguire il capitolo 15!); prima lettera ai Corinzi 1:1-9:2, 9:4-14:14, 14:16-15:15, 15:17-16:22; seconda lettera ai Corinzi 1:1-11:10,12-21, 11:23-13:13; lettera ai Galati 1:1-8, 1:10-2:9, 2:12-21, 3:2-29, 4:2-18, 4:20-5:17, 5:20-6:8, 6:10-18; lettera agli Efesini 1:1-2:7, 2:10-5:6, 5:8-6:6, 6:8-18,20-24; lettera ai Filippesi 1:1, 1:5-15,17-28, 1:30-2:12, 2:14-27, 2:29-3:8, 3:10-21, 4:2-12,14-23; lettera ai Colossesi 1:1-2,5-13,16-24, 1:27-2:19, 2:23-3:11, 3:13-24, 4:3-12, 16-18; prima lettera ai Tessalonicesi 1:1, 1:9-2:3, 5:5-9, 23-28; lettera agli Ebrei 1:1-9:16, 9:18-10:20, 10:22-30, 10:32-13:25. Il manoscritto è una delle collezioni più antiche di tali scritti.

Una parte del papiro P46 viene conservata presso la Biblioteca Ann Arbor dell’Università del Michigan (catalogata con la sigla P.Mich. inv. 6238) mentre un’altra porzione è conservata proprio alla Chester Beatty Library (P. Chester Beatty II). Interessante il fatto che P46 contenesse già la lettera agli Ebrei, testo la cui canonicità si è andata affermando più lentamente rispetto al resto del Nuovo Testamento. Del papiro si sono conservati complessivamente 86 fogli. Già all’atto della sua pubblicazione il papirologo tedesco Ulrich Wilcken propendeva per una datazione al 200 d.C. circa. Nel 1988 il papirologo Young Kyu Kim ha proposto addirittura che questo papiro venga retro datato alla fine I secolo, quindi veramente a ridosso delle vicende di Gesù e degli Apostoli e alla (seconda) distruzione del tempio di Gerusalemme in seguito alla prima guerra giudaica.

Il papiro P46 è certamente stato scritto da un copista professionale e competente, inoltre è stato corretto e rivisto da un revisore esperto. In alcuni punti si notano spazi o croci perché probabilmente il copista non era riuscito a capire alcune lettere o parole del manoscritto sorgente e quindi, molto correttamente, non aveva interpretato di testa propria l’originale ma aveva lasciato questo compito a un revisore. Nonostante l’esibizione di professionalità, si riscontrano tuttavia degli errori ortografici qua e là nel testo. Globalmente presenta una notevole tendenza ad accordarsi con il testo del Codex Vaticanus (per quanto riguarda la sezione delle lettere di Paolo), sebbene in misura minore di quanto si accordi B con il papiro P75 (che contiene solo i Vangeli di Luca e Giovanni). Lo studioso G. Zuntz in suo importante studio (The Text of the Epistles: a Disquisition upon the Corpus Paulinum, 1965) ha definito P46 e B (limitatamente al corpus paolino) come testo proto alessandrino, da alcuni chiamato anche testo P46+B, precursore del testo neutrale alessandrino, per distinguerlo dal testo di א, A, C, 33 ecc… Il testo P46+B è un tipo di testo abbastanza rozzo e primitivo nella forma, probabilmente precursore del testo neutrale alessandrino. Il fatto che B concordi sia con P75 che con P46, due documenti più antichi, è una prova a sostegno della autorità del testo del Codex Vaticanus.

Link & articoli utili sul papiro P46:

YOUNG KYU KIM, The Paleographic Redating of P46 to the first century, Biblica, 69, 1988 (WEB)

YOUNG KYU KIM: THE PALEOGRAPHIC REDATING OF P46 TO

THE FIRST CENTURY (Biblica, 69, 1988) DOWNLOAD (PDF 211 KB)

Università del Michigan, Ann Arbor Library,

Papiro P46, porzione P.Mich. inv. 6238 (immagini e informazioni)

Papiro P47: Apocalisse di Giovanni

Il papiro P47 (P. Chester Beatty III) contiene invece stralci di Apocalisse 9:10-11:3 5:19-16:15 16:21-17:2 (è il papiro che contiene la porzione maggiore di questo libro) ed è più recente rispetto agli altri, essendo stato datato alla metà del III secolo (250 d.C. circa). Il frammento in assoluto più antico che si conosca dell’Apocalisse è invece del II secolo, si tratta del papiro P98 conservato al Cairo presso l’ Institut Français d’Archéologie Orientale (I.F.A.O.) catalogato con la sigla P.IFAO 237B; esso apparteneva ad un codice e attesta in un lato Apocalisse 1:13-20 mentre nell'altro si sono preservate pochissime lettere, praticamente illeggibili, appartenenti ad Apocalisse 2:1.


frammentop98.pdf

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IDENTIFICAZIONE DEL FRAMMENTO P98 = P.IFAO 237b (Ap. 1:13-20) (PDF 89 KB)


Papiri dell’Università del Michigan (Ann Arbor)

Presso la Ann Arbor Library dell’Università del Michigan oltre a una porzione del papiro P46 (200 d.C. circa) catalogata con la sigla P.Mich. inv. 6238 e contenente le epistole paoline, sono conservati anche:

Papiro P37 (III secolo) contenente Matteo 26:19-52 (P.Mich. inv. 1570);

Papiro P38 (III/IV secolo) uno dei più antichi frammenti degli Atti degli Apostoli, contenente Atti 18:27-28, 19:1-6,12-16 (P.Mich. inv. 1571);

Papiro P53 (III secolo) contenente Matteo 26:29-40 Atti 9:33-43 e 10:1 (P.Mich. inv. 6652).

La biblioteca di Ann Arbor contiene anche tantissimi altri papiri non religiosi, in particolare è possibile visitare l’ottimo sito dell’Università del Michigan:

http://www.lib.umich.edu/pap/

che contiene argomenti papirologici e in particolare mette direttamente a disposizione degli utenti internet tutte le immagini ad alta definizione dei papiri conservati e un motore di ricerca per accedere facilmente alle immagini (cliccare sulla icona “Search APIS” in basso nella homepage). Inoltre una sezione del sito illustra anche fotograficamente come è possibile ottenere un supporto per la scrittura partendo dalla pianta di papiro (cliccare sulla icona “Papyrus Making” nella homepage in basso).

Papiri di Bodmer

I papiri di Bodmer sono una collezione costituita da una cinquantina di manoscritti in greco scoperta in Egitto da Martin Bodmer nel 1955-56. La parte principale della collezione è oggi conservata presso la Biblioteca Bodmeriana di Cologny, vicino a Ginevra fondata dallo stesso Martin Bodmer. Una eccezione è costituita da parte del papiro P72, denominato Bodmer VIII, che è stato offerto in dono a Paolo VI nel 1969 e viene attualmente conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. Particolarmente importanti ai fini dello studio del Nuovo Testamento sono i papiri P66 e P72-75 che fanno parte della collezione.


Papiro P66: il Vangelo di Giovanni

Il papiro P66, noto anche come Bodmer II, è un codice papiraceo in maiuscola (unciale biblico) contenente quasi per intero il Vangelo di Giovanni dal Cap. 1 al Cap. 14 e frammenti dei capitoli successivi. Misura 15,2 ´ 14 cm e consta di sei fascicoli, di cui restano 104 pagine. Nel 1958 vennero ritrovate altre 46 pagine che appartenevano al papiro. Oggi il P66 viene conservato in parte in Svizzera a Cologny presso la Biblioteca Bodmeriana (papiro Bodmer II), alcuni frammenti si trovano però a Colonia (Inst. f. Altertumskunde, Inv. Nr. 4274/4298) ed altri ancora presso la Chester Beatty Library di Dublino. La prima datazione che fu fatta lo collocava al 200 d.C. circa o comunque all’inizio del III secolo. Una recente ridatazione secondo alcuni studiosi ricollocherebbe la data di stesura di questo papiro al 125 d.C. circa, cioè alla prima metà del II secolo. Contiene vari segni di interpunzione e anche alcune nomina sacra. La nomina sacra è una abbreviazione di alcuni nomi ritenuti “sacri” come Dio, Gesù, Cielo, Figlio dell’Uomo, ecc…

Questo manoscritto non sembra essere un copia molto professionale dell’originale. Secondo Colwell, che si è occupato dello studio dei papiri P45, P66 e P75, esso è certamente il peggiore dei tre: “P75 e P45 intendono produrre in modo serio un buona copia dell’originale, ma è difficile pensare che questa sia l’intenzione del papiro P66.” [cfr. Colwell, Method in Evaluating of Scribal Habits: a Study of P45, P66, P75, pp. 378-379, 1965]. Il papiro presenta relativamente molti errori ortografici e passaggi illeggibili a causa di errori di trascrizione. E’ considerato comunque autorevole soprattutto a causa della sua data di scrittura. Presenta una certa affinità con il testo del Codex Vaticanus.

Clicca qui per visualizzare

le immagini del papiro P66 (Bodmer II): Gv 1:1-14 Gv 7:32-38 Gv 11:31-37 P66 (Bodmer II)

Frammenti conservati a Colonia (Inv. nr. 4274/4298): P66 Colonia

Scarica qui le trascrizioni di alcune pagine del papiro P66

Giovanni 1:1-14 (PDF 29 KB)

Giovanni 7:32-38 (PDF 32 KB)

Giovanni 11:31-37 (PDF 32 KB)

Papiro P75: i Vangeli di Luca e Giovanni

Il papiro P75, noto anche come Bodmer XIV-XV, contiene gran parte dei Vangeli di Luca e Giovanni ed è in ottimo stato di conservazione. Acquistato nel 1955-56 da Martin Bodmer, è stato custodito per molto tempo a Cologny (Svizzera) dalla Fondazione Bodmer. La trascrizione del papiro è stata pubblicata nel 1961 assieme a una sua riproduzione facsimile, dietro iniziativa della Fondazione Bodmer. Dal 22 Novembre 2006 il papiro si trova alla Biblioteca Apostolica Vaticana a Roma, che custodisce documenti importanti quali il Codice Vaticano B e il papiro P72 delle lettere di Pietro. P75 è stato datato paleograficamente al III secolo (la maggioranza degli studiosi propende per la prima metà di quel secolo, non sembra comunque essere stato scritto prima del 175 d.C.). Oltre 27 fogli sono giunti fino a noi quasi interi, esistono anche frammenti della copertina. Di Luca contiene 3:18-22,33-38; 4:1-2,34-44; 5:1-10,37-39; 6:1-4,10-49; 7:1-32,35-39,41-43,46-50; 8:1-56; 9:1-2,4-62; 10:1-42; 11:1-54; 12:1-59; 13:1-35; 14:1-35; 15:1-32; 16:1-31; 17:1-15,19-37; 18:1-18; 22:4-71; 23:1-56; 24:1-53. Di Giovanni contiene 1:1-51; 2:1-25; 3:1-36; 4:1-54; 5:1-47; 6:1-71; 7:1-52; 8:12-59; 9:1-41; 10:1-42; 11:1-45,48-57; 12:350; 13:1-10; 14:8-31; 15:1-10.

Il testo del manoscritto (inizio del III secolo) è molto simile a quello del Codex Vaticanus (325 d.C. circa), anzi esso è il documento che concorda maggiormente con quel codice e viceversa. Tuttavia esistono delle lievi differenze per cui da questo gli esperti concludono che il Codex Vaticanus non sarebbe una copia del P75 ma si può supporre con buona probabilità che il Vaticanus e il P75 abbiano avuto un manoscritto antenato molto antico in comune, dai quali sarebbero derivati. Inoltre è molto probabile che sia il Vaticanus che il P75 siano molto simili al manoscritto più antico che li avrebbe originati

Il fatto che il testo sia molto simile a quello del Codice Vaticano “B” ha messo un po’ in crisi la teoria delle recensioni. Nel corso del IV secolo, a causa del periodo relativamente tranquillo attraversato dalla Chiesa, si pensa che siano state messe a punto delle “recensioni” del testo greco del Nuovo Testamento cioè si prepararono delle edizioni “standard” del N.T. ritoccando ed armonizzando in modo più o meno massiccio i testi precedenti. Queste recensioni, almeno quelle del IV secolo, posto che ci siano state, non dovettero essere molto radicali in quanto il testo del papiro P75, precedente al Codex Vaticanus, non è molto difforme da quel codice.

Il papiro P75 è uno dei documenti più importanti del NT, in virtù della sua antichità e somiglianza con il testo del Codex Vaticanus e del fatto che sembra opera di un copista competente e professionale. Tra i vari papiri è considerato certamente il migliore ed il più attendibile. Esso è considerato dalla moderna critica testuale come uno dei documenti principali su cui costruire il testo del NT. Il papiro P66 è una copia non molto accurata e piena di errori tecnici e omissioni, il papiro P45 sarebbe un buon documento ma viene considerato “libero” in quanto contiene non poche parafrasi: in questo scenario il papiro P75 è il papiro tecnicamente migliore, uno dei più antichi che riporti i Vangeli di Luca e Giovanni e inoltre è quello che si accorda maggiormente al Codex Vaticanus, persino più del Codex Sinaiticus. Tuttavia esistono alcune lievi differenze che consentono di affermare che il Vaticanus non può essere una copia diretta di questo papiro ed è improbabile persino che P75 sia un antenato in linea diretta del Codice B. Tuttavia è altamente probabile che questi due documenti abbiano avuto un antenato comune, più antico del P75. Entrambi i manoscritti verrebbero ad essere quindi molto simili al testo di questo vecchio documento antenato e dal confronto del testo di B e P75 sarebbe possibile ricostruire con notevole precisione il testo dal quale sono derivati, certamente molto antico. Disporre di questo testo ricostruito da P75 e B non significa avere il testo così come è uscito dalla penna degli autori di Luca e Giovanni, ma riportarsi comunque a date molto antiche.

Clicca qui per visualizzare una pagina del papiro P75 (Bodmer XIV-XV): P75 (Bodmer XV).gif

Papiro P72: le lettere di Pietro

Il papiro P72 (noto come Bodmer VIII, del III-IV secolo) conteneva, in questo ordine, l’apocrifo detto della Natività di Maria, una serie di lettere apocrife di Paolo di Tarso ai Corinzi, la XI Ode di re Salomone, la lettera di Giuda, una omelia sulla Pasqua, un frammento di un inno cristiano, l’Apologia di Filea, i Salmi 33 e 34 e, infine, le lettere di Pietro. La parte contenente le due epistole di Pietro è stata donata nel 1969 da Martin Bodmer a Paolo VI e viene attualmente conservata in Vaticano. Questo papiro contiene la lettera di Giuda, un testo la cui canonicità si è affermata più lentamente rispetto agli altri libri del Nuovo Testamento. La qualità della scrittura e l’alto numero di errori di ortografia che si riscontrano in questo manoscritto ci indicano che certamente è opera di un copista non particolarmente competente.

I papiri P73 (Bodmer L) e P74 (Bodmer XVII) sono relativamente tardi, del VII secolo. Il primo non contiene che Matteo 25:43-26:2-3. Il secondo contiene stralci degli Atti degli Apostoli, della prima e della seconda lettera di Pietro, delle tre lettere di Giovanni e della lettera di Giuda.

Papiro di Rylands (P52), un frammento del Vangelo di Giovanni

Il papiro P52 = P.Ryl. Gk. 457, detto papiro di Rylands, è il frammento più antico che si conosca del Nuovo Testamento, se accantoniamo per un istante i frammenti greci rinvenuti nella grotta 7 di Qumran, che alcuni attribuiscono a pezzi del N.T., e il dibattito scatenatosi attorno al papiro di Magdalen e alla questione della sua ridatazione al I secolo proposta dal Prof. Thiede.

Questo importante frammento di papiro è stato scoperto e acquisito in Egitto nel 1920 da Bernard P. Grenfell. Non è noto il luogo di rinvenimento, si pensa che possa provenire da Oxyrhynchus. Nel 1935 C.H. Roberts lo ha identificato per primo con un passo del Vangelo di Giovanni, proponendo una datazione alla prima metà del II secolo. Ancora oggi tutti gli studiosi accettano che il frammento sia stato scritto attorno alla prima metà del II secolo, tipicamente verso il 125 d.C. sebbene si siano levate di recente alcune voci dissenzienti dal momento che la datazione proposta è paleografica, basata sull’analogia dello stile di scrittura con quello di altri papiri e quindi non è certa e sicura. Il frammento è oggi conservato presso la John Rylands Library di Manchester (con la sigla P. Ryl. Gk. 457), nel Regno Unito, dalla quale prende il nome. La scrittura è ovviamente in greco, con le parole una attaccata all’altra secondo l’usuale tecnica di scrittura dell’epoca (scriptio continua). Il frammento, inoltre, è scritto su entrambi i lati, appartiene chiaramente ad un codice. La parte “recto” contiene Giovanni 18:31-33, la parte “verso” contiene invece Giovanni 18:37-38; si tratta di un passo importante, la narrazione del dialogo tra Gesù e Pilato dopo l’arresto nel Getsemani e la consegna alle autorità romane da parte dei sommi sacerdoti. Di Pilato, oltre che i Vangeli, hanno parlato anche altri storici del tempo per esempio Giuseppe Flavio. Un tempo si pensava che questo personaggio fosse leggendario e storicamente non si avevano altre prove della sua esistenza. Nel 1961 a Cesarea Marittima (i procuratori romani avevano qui la loro sede e non a Gerusalemme) è stata rinvenuta una lapide del I secolo in cui si legge chiaramente il nome di Pilato e quindi improvvisamente si è avuta una prova storica dell’esistenza di un personaggio sino ad allora solo letterario. Il Vangelo di Giovanni, secondo la tradizione, è uno scritto relativamente tardo, presumibilmente della fine del I secolo. Ora tra l’originale di Giovanni e questo pezzo di papiro sarebbero passati meno di cinquant’anni e questo fatto è notevole: nessuna altra opera dell’antichità ha reperti manoscritti così vicini all’originale, e stiamo parlando di un oggetto di duemila anni fa.

Sempre alla John Rylands Library vengono custoditi il papiro P32 = P.Ryl. Gk. 457, un frammento di codice della lettera a Tito, datato fra il II e il III secolo dopo Cristo e l’importante frammento P.Ryl. Gk. 458, una porzione di rotolo datato paleograficamente al II secolo avanti Cristo, contenente alcuni vv. del libro del Deuteronomio: si tratta di uno dei più antichi manoscritti in assoluto della versione greca dell’Antico Testamento detta dei LXX.

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John Rylands Library web site: http://www.library.manchester.ac.uk/

Scarica l’identificazione del frammento P52: Frammento di Rylands P52 (PDF 86 KB)

Immagini del frammento P52 “recto” e “verso” (John Rylands Library): P52 Rylands Lib.

Papiri di Magdalen (P64), frammenti del Vangelo di Matteo

Il papiro P64 (detto anche papiro di Magdalen, P.Magd. Gk. 18) è costituito da tre piccoli frammenti papiracei scritti su entrambi i lati (recto e verso) che sono stati identificati con alcuni versi del Capitolo 26 del Vangelo di Matteo. Nel dettaglio P64 contiene: Matteo 26:7-8, 10, 14-15, 22-23, 31-33. I tre frammenti hanno dimensioni relativamente piccole: 4,1 cm x 1,2 cm, 1,6 cm x 1,6 cm. e 4,1 cm x 1,3 cm. Essi vengono conservati presso il Magdalene College di Oxford.

La storia moderna di questi tre frammenti inizia nel 1901 quando vennero acquistati a Luxor in Egitto da Charles B. Huleatt che per primo li identificò e li donò al Magdalene College. I frammenti, secondo la prima datazione proposta da A.S. Hunt, risalivano al III-IV secolo. Bisogna però attendere il 1953, quando il papirologo C.H. Roberts pubblica una edizione del manoscritto e sulla base dello stile di scrittura lo attribuisce al II secolo d.C. (ovvero tra il 100 e il 200 d.C.).

Roberts, un eminente papirologo di fama mondiale, è anche il primo a notare l’uso della nomina sacra nei frammenti (il nome di Gesù è scritto in greco come Ij con una abbreviazione analoga al tetragrammaton “YHVH” utilizzato nell’A.T. in ebraico per riferirsi a Dio), a suggerire che una pagina fosse scritta in due colonne, e che ogni colonna fosse composta in origine da circa 35-36 linee con una sticometria (numero di lettere per linea) di 15-16 lettere per linea. Roberts datò i frammenti di Magdalen per confronto con altri quattro papiri (tre dei quali sono papiri rinvenuti presso il sito archeologico di Oxyrhynchus, in Egitto) dei quali erano note con precisione le date di stesura ed ebbe il parere positivo da parte di altri tre studiosi ai quali si rivolse.

Nel 1956 il papirologo Ramon Roca-Puig pubblicò un altro manoscritto (il papiro P67) costituito da due frammenti che vennero identificati con il Vangelo di Matteo 3:9, 15; 5:20-22, 25-28. Questi frammenti vennero datati attorno al III secolo d.C. e subito si ipotizzò, sulla base dello stile di scrittura e della possibile sticometria presente nel papiro originario, che potessero essere parte di un unico papiro che comprendeva originariamente anche i frammenti di Magdalen (P64). Il frammento P67 viene oggi conservato a Barcellona presso la Fundacion San Lucas Evang., catalogato come P. Barc. 1.

I frammenti P64+P67 vennero poi messi in relazione con il frammento P4, datato anch’esso al III secolo. Il frammento P4, che venne acquistato a Luxor come il frammento P64, ha proprio una sticometria di 16 lettere per linea con colonne di 35-36 linee, con il testo disposto su due colonne per pagina, caratteristiche analoghe a quelle dei frammenti P64 e P67. Tuttavia lo stile di scrittura e la struttura papiracea non sono molto simili a quelli dei frammenti P64, P67 così che l’unione dei frammenti è abbastanza dubbia. Il frammento P4 è custodito alla Biblioteca Nazionale di Parigi, con la sigla Suppl. Gr. 1120. Esso contiene: Luca 1:58-59; 1:62-2:1, 6-7; 3:8-4:2, 29-32, 34-35; 5:3-8; 5:30-6:16.

L’attenzione verso i frammenti di Magdalen si è riaccesa improvvisamente tra il 1994 e il 1995 quando il papirologo tedesco Carsten Peter Thiede propose la ridatazione dei tre frammenti costituenti il papiro P64 addirittura al I secolo d.C. (fra il 30 e il 70 d.C.). Si veda ad esempio il libro: C.P. Thiede, Il papiro di Magdalen, la comunità di Qumran e le origini del Vangelo, edizioni PIEMME, 1997 (edizione originale in lingua inglese del 1995). Una datazione del genere apriva ed apre nuovi orizzonti sul fronte della esegesi neo testamentaria: difatti, se fosse confermata, essa proverebbe che il vangelo di Matteo è molto antico ed è stato scritto veramente a ridosso dei fatti di Gesù. Inoltre l’uso della nomina sacra in un papiro neo testamentario così antico dimostrerebbe storicamente che esistevano dei cristiani che consideravano Gesù una divinità sin dai primissimi momenti del cristianesimo (è noto per esempio che la religione islamica considera Gesù uno dei più grandi profeti mai esistiti, tuttavia non lo considera una divinità ma un essere umano, un profeta, rifiutando la sua risurrezione dai morti e sostenendo che la divinizzazione di Gesù sarebbe un dogma introdotto in seguito).

La nuova datazione proposta da C.P. Thiede ha destato sin dal primo momento molto scalpore negli ambienti accademici e religiosi a causa delle sue implicazioni. Per datare i frammenti Thiede ha seguito un approccio paleografico standard, del tutto simile a quello di Roberts: ha confrontato lo stile di scrittura del P64 con quello di altri papiri di datazione più sicura. La differenza rispetto al lavoro svolto da Roberts sta nel fatto che dagli anni ’50 agli anni ’90 sono nel frattempo stati scoperti e studiati nuovi papiri, in particolare quelli di Qumran (stop archeologico al 68-70 d.C.) e quelli di Ercolano (stop archeologico al 79 d.C. – eruzione del Vesuvio). Thiede si è avvalso inoltre degli strumenti che la tecnologia più moderna gli aveva intanto messo a disposizione, come la microscopia elettronica. La conclusione di questi confronti, secondo Thiede, è che il frammento P64 sarebbe addirittura databile al I secolo d.C. e forse è stato scritto attorno al 50 d.C. (prima della guerra giudaica), pochissimi anni dopo la morte di Gesù secondo la tradizione.

L’ipotesi di Thiede è stata avversata da altri studiosi che contestano le similitudini proposte dal papirologo tedesco e rifiutano gli esempi proposti. Inoltre l’uso della nomina sacra – che comunque già Roberts aveva notato – porterebbe a datare il papiro al II secolo e non al I secolo, perché questo modo di indicare Gesù, una figura “nuova” rispetto allo standard dell’Antico Testamento, si sarebbe sviluppato solo a partire da quella data. Inoltre nella linea 2 del frammento 3 (lato “verso”) si trova scritto ib che è la abbreviazione di dwdeka (parola greca che denota il numero “dodici”): una simile abbreviazione non comparirebbe in alcun papiro della letteratura greca e neppure in alcun manoscritto dell’A.T. (dove i numeri venivano scritti per intero e mai abbreviati), essendo invece caratteristica dei primi manoscritti cristiani provenienti dall’Egitto. Questa argomentazione è piuttosto forte: se il manoscritto è davvero del I secolo, bisogna che esso sia stato scritto in Palestina dove è nata la cristianità mentre quanto sopra e il luogo dove venne acquistato nel 1901 (Luxor) porterebbero piuttosto in Egitto, dove la cristianità si sviluppò solo a partire dal II secolo. Anche la disposizione del testo in due colonne per pagina sembrerebbe indicare che il testo è più tardo rispetto alle conclusioni di Thiede. Inoltre non bisogna dimenticare che questo frammento è scritto in greco: se è davvero del I secolo allora bisogna ammettere che il Vangelo di Matteo è stato scritto subito in greco, oppure che tra la traduzione greca e una ipotetica prima versione del Vangelo stesa in ebraico o in aramaico è passato pochissimo tempo. Chi respinge le conclusioni del Prof. Thiede propende quindi per la datazione – più prudenziale – di C.H. Roberts (II secolo).

Scarica l’ identificazione del frammento P64: Frammenti di Magdalen P64 (PDF 118 KB)

Clicca qui per vedere le immagini del papiro P64: P64 (1) P64 (2) P64 (3) P64 (4)

I documenti più antichi per ogni libro del Nuovo Testamento

Nella sottostante tabella si riporta la lista dei frammenti più antichi ordinata per ogni libro del Nuovo Testamento. La prima colonna contiene il libro del Nuovo Testamento, la seconda il documento e il relativo riferimento, la terza colonna il testo attribuito, infine la quarta colonna la datazione, sempre su base paleografica, del manoscritto. Si noti che ogni frammento/manoscritto del Nuovo Testamento è scritto su codice, se si esclude la questione legata ai frammenti 7Q4,1&2 e 7Q5 di Qumran che sono stati attribuiti da J. O’Callaghan a passi neo testamentari.

Scarica i manoscritti in blù della tabella sopra:

Matteo:

P64 = P.Magd. Gk. 18 Mt 26:7-8,10,14-15,22-23,31-33 (II-III sec.)

P77 = P.Oxy. LXIV 4405 Mt. 23:30-39 (fine II sec.)

P103 = P.Oxy. LXIV 4403 Mt. 13:55-56; 14:3-5 (II-III sec.)

P104 = P.Oxy. LXIV 4404 Mt 21:34-37 (II sec.)


Giovanni

P52 = P.Ryl. Gk. 457 Gv 18:31-33, 37-38 (II sec.)

P90 = P.Oxy. L 3523 Gv 19:2-7, 18:36-19:1 (II sec.)


Tito

P32 = P.Ryl. Gk. 5 Tito 1:11-15; 2:3-8 (II-III sec.)


Filemone

P87 = P.Köln inv. n. 2 Filemone 13-15; 24-25 (III sec.)


Giacomo

P20 = P.Princ. AM 4117 Gc 2:19-3:2; 3:3-9 (III sec.)


Giuda

P78 = P.Oxy. XXXIV 2684 Giuda 4-5; 7-8 (III-IV sec.)


Apocalisse:

P98 = P.IFAO 237B Apoc. 1:13-20 (II sec)


Note in tabella:

(1) Il Prof. C.P. Thiede ha proposto di ridatare questi frammenti alla fine del I secolo d.C., vedi C.P. Thiede, Il Papiro di Magdalen, la Comunità di Qumran e le origini del Vangelo, PIEMME, 1997 (ediz. originale in lingua inglese del 1995).

(2) Escludiamo qui la proposta di attribuire il frammento di Qumran 7Q5 a Marco 6:52-53, vedi J. O’Callaghan, Papiros Neotestamentarios en la Cueva 7 de Qumran?, Biblica, 53, 1972.

(3) Codice per il quale esiste una proposta di datazione alla fine del I secolo d.C., vedi Young Kyu Kim, The Paleographic Redating of P46 to the First Century, Biblica, 69, 1988.

(4) Escludiamo qui la proposta di attribuire i frammenti di Qumran 7Q4,1 e 2 a 1 Timoteo 3:16-4:3, vedi J. O’Callaghan, op. cit.


Capitoli e versetti: chi ha diviso la Bibbia in questo modo?

NÉ CAPITOLI NÉ VERSETTI

Consideriamo che aspetto avevano i manoscritti degli “scritti sacri” disponibili al tempo di Paolo. Nell’immagine presente in questo articolo si vede un frammento del libro di Isaia contenuto nei Rotoli del Mar Morto. Cosa si può notare? Dei blocchi di testo. Niente punteggiatura. E nessuna divisione in capitoli e versetti simile a quella utilizzata oggi.

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