Chiesa di Santa Maria in Monticello

(Arsago Seprio)

Orari di apertura

La chiesa è normalmente chiusa; nel caso in cui si vogliano effettuare visite si prega di mettersi in contatto con la segreteria parrocchiale con congruo anticipo.

Informazioni artistiche

L’antichissima chiesa di santa Maria in Monticello si erge su una lieve altura, tanto che il sagrato è raggiungibile da una scalinata. La Chiesa, dedicata alla Natività di Maria Vergine, si presenta ad unica navata con una grande abside semicircolare che funge da coro. La facciata è incorniciata da due lesene che sorreggono un frontespizio triangolare nel cui timpano è affrescato il monogramma mariano. Al centro si apre la porta principale, in stile barocco, con un architrave, sormontato da un motivo ornamentale a cartocci e conchiglia, in cui è incisa l’iscrizione: Aurora Consurgens Cantu MDCCXXXX. Sul lato meridionale sono addossati al corpo di fabbrica principale il campanile e la sacrestia; quest’ultima presenta sul paramento esterno una vecchia meridiana. L’interno è costituito da una grande aula senza cappelle laterali. Sulla parete meridionale compaiono una monofora strombata verso l’interno e affreschi romanici che riecheggiano modi ottoniani. Sono gli unici elementi architettonici e decorativi del primitivo edificio e furono scoperti nel 1975 dal prevosto Luigi Curti. La zona dipinta — che ingloba la monofora decorata sul bordo e nello sguancio da bande colorate — è divisa, secondo un consueto schema, in quattro registri orizzontali sovrapposti. Nel primo registro, poco o nulla si è conservato. Nel secondo, parte di una scena con probabile intento celebrativo di un evento biblico. Ivi compaiono due figure virili vestite di corta tunica, alcune pecore ed un cane; il piano del fondo è parzialmente occupato da alcune architetture. Nel terzo, una serie di medaglioni con busti di Santi alternati da cartigli. Nell’ultimo, un velario monocromo con motivi floreali, geometrici e simbolici.

Le pareti della navata accolgono anche due grandi quadri raffiguranti uno “La strage degli innocenti” e l’altro “San Giuseppe, Santa Teresa e Madonna con Bimbo”; entrambi donati dal prevosto Melchiorre Migliachetti.

Sul fondo, si eleva l’altare barocco sovrastato dall’antichissima statua lignea della “Madonna con Bimbo”. La nicchia soprastante l’altare ospita invece la venerata icona cinquecentesca della “Madonna del Latte”. Questo affresco, deturpato da incauti restauratori, anticamente era collocato “… sul muro laterale vicino al campanile verso oriente della chiesa…”; staccato, fu trasferito sull’altare il 20 febbraio 1745 dal “… magistro de muro Defendente Piantanida di Cedrate per sua divozione senza mercede…”. Fiancheggiano l’altare due tele raffiguranti l’una “Sant’Anna e la Vergine Maria”, l’altra “San Rocco, la Madonna Addolorata e Pie Donne”.

Dietro l’altare, lo spazioso coro è ornato da due statue barocche (San Giuseppe e Santa Caterina d’Alessandria) e da una pala che ricorda l’erezione, voluta da san Carlo Borromeo, della Confraternita del SS. Sacramento, i cui membri, appunto, in questa chiesa si radunavano.

Il più antico documento relativo a questo edificio è costituito da una lapide carolingia ivi esistente ed ora collocata in san Giovanni. Lapide che suggerisce la sepoltura in santa Maria di un Arnolfo, personaggio di stirpe illustre (cuius ab antiquis clara propago fuit), morto a 25 anni nell’anno 893. Nel 1455 si apprende che questa chieda è di juspatronato della famiglia de Bizozero; all’epoca di san Carlo, si presenta a due navate con i rispettivi altari. Quello maggiore (nella navata meridionale), ubicato sub nicia imaginibus depicta), dedicato alla natività di Maria Vergine e ornato dall’antica statua lignea. Quello minore (nella navata settentrionale), ubicato anch’esso sub nicia depicta, dedicato all’Assunzione di Maria Vergine. Il Santo cardinale unì il reddito della chiesa alla prepositura rimanendo l’obbligo di celebrare una messa ogni sabato e ogni domenica del mese. In seguito fu eretta ad Abbazia provvista di circa 150 pertiche di terreno; soppressa poi, nel 1803, alla morte dell’ultimo titolare Bartolomeo Olivazzi, vescovo di Pavia. Nella prima metà del Settecento, la chiesa subì rifacimenti notevoli che cancellarono la primitiva struttura, conferendole l’aspetto attuale.

(Testi di Carlo Mastorgio, dal libro “Arsago, Nullus in Insubria pagus vetustior”)