The Mask of the Red Death comparve per la prima volta nel 1842 sul Graham’s Magazine, periodico di Philadelphia di cui Poe era anche editore.
Il racconto prende luogo dentro gli oscuri giorni della pandemia da Morte Rossa e narra di come il principe protagonista della vicenda, Prospero, passi i suoi cinque mesi di quarantena dentro la sua dimora, attorniato da amici e cortigiani, organizzando feste in maschera e banchetti, incurante della popolazione che giorno dopo giorno combatte contro la pestilenza fuori dalle mura dietro cui lui e la sua corte sono rinchiusi.
Durante una di queste buffonate, la Morte Rossa, “fatta carne”, si presenta con indosso un sudario macchiato di sangue e una maschera raffigurante il volto di un cadavere, con la volontà di uccidere tutti gli astanti (compreso il principe) che credevano di poter sfuggire al contagio.
Da questa storia prende le mosse Liberamente ispirato a La maschera della Morte Rossa di E.A. Poe. Traendo la figura di Prospero fuori dalle fattezze simbolico-allegoriche cui lo destina il racconto originale, il personaggio e la sua vicenda vengono prese in esame quale exemplum da indagare attraverso l’obiettivo dell’oggi, sulla scorta della recente crisi pandemica.
Prospero, investito della responsabilità di essere re di un popolo che muore fuori dalle mura della sua roccaforte a causa della pestilenza che imperversa per il Paese, è schiacciato tra il ricordo del passato e il sogno del futuro da costruire dopo la quarantena. La sua tragedia si consuma proprio tra questi due poli, rappresentati dialetticamente dai personaggi di Laumone (l’Uomo, lo speziale, la ragion di Stato, la conservazione del prima) e Diana (la Donna, l’amore, le ragioni del popolo, la creazione).
Liberamente ispirato tenta quindi di tradurre il dramma del principe nel dramma di questo tempo: sognare un domani diverso dopo i giorni tetri della pandemia è necessità e compito di tutti, ma ciò richiede responsabilità nell’azione e la prima di queste, forse, sta proprio nel riuscire a “vedere il mondo per com’è e amarlo”.
Lo spettacolo non traduce in esito scenico la drammaturgia originale, ma ne ricava le occasioni di racconto più prossime al nostro recente vissuto inserendole dentro una dialettica performativa che nel dialogo tra spettatori e scena, tra chi guarda e la cosa guardata, tra reale e allegoria, tenta un’indagine della pandemia e delle ricadute simboliche che ha avuto, ha e avrà sulla cultura e sulla società.
La mascherata, climax del racconto di Poe, qui diviene matrice drammaturgica. Lo spettacolo si sviluppa nel corso di un party dove la musica la fa da padrone orientando le atmosfere e incidendo sul progredire degli eventi. Il pubblico è accolto in sala quale corte del principe Prospero, chiamato a partecipare a una festa che celebra la vita e il ritrovarsi di nuovo insieme, comunitariamente, a dispetto delle avversità.
Il coinvolgimento degli spettatori dischiude a dei momenti di imprevedibile densità che non hanno altro fine se non quello di porci tutti insieme di fronte ai nodi essenziali che affluendo dal racconto di Poe confluiscono fin dentro il nostro presente.
Dall’altro lato, brani della storia originale appaiono all’inizio di ogni nuova scena sul fondo, come dei paesaggi che aprono il nostro sguardo espandendo il senso di quanto accade in primo piano. Sulle assi del palcoscenico, invece, le pagine di un copione sono prima guida e poi catene: tutto è già stato scritto? Tutto si può ancora cambiare?
Questo corollario di possibilità è tenuto insieme dalla sovrapposizione continua tra il raccontare e lo stare degli attori, i quali svestono e rivestono la maschera del personaggio in trasparenza, investendo e privando allo stesso modo il pubblico del “ruolo” che gli è stato destinato, ovvero quello della Corte.
Liberamente ispirato a La maschera della Morte Rossa di E.A. Poe fa di quella libera ispirazione di cui al titolo una matrice drammaturgica che si rinnova di volta in volta, sera dopo sera, nell’incontro coi vari pubblici presenti in sala.
una creazione also.known.as.
testo e messa in scena Simone Corso
dramaturg Jovana Malinarić
con Carmelo Crisafulli, Giuditta Pascucci, Claudio Pellegrini
produzione Nutrimenti Terrestri
foto di scena Paolo Foti