Descrizione e funzionamento di un reattore nucleare
Il combustibile nucleare sotto la forma di piccole pastiglie (pellets) di biossido di uranio è incapsulato all’interno di barre di zircaloy (lega a base di zirconio). A loro volta le barre di combustibile sono raggruppate in schiere per esempio da 17x17 a costituire il singolo elemento di combustibile. Circa duecento di questi elementi, distribuiti geometricamente in modo opportuno, formano il nocciolo del reattore.
Quando un neutrone colpisce un nucleo di uranio 235(composto cioè da 92 protoni e 143 neutroni) ne provoca la fissione, ossia il nucleo si frantuma in due costituenti più leggeri con l’emissione di due o tre neutroni. Questi nuovi neutroni emessi possono colpire altri nuclei di 235U, provocando altre fissioni e innescando quindi la reazione a catena, oppure possono essere assorbiti da materiale inerte come il cadmio o sfuggire dal perimetro del nocciolo: in entrambi i casi non generano altre reazioni di fissione e non contribuiscono al sostentamento della reazione a catena. Quando all’interno del nocciolo vengono inserite le barre di controllo, costituite da elementi che assorbono i neutroni, la reazione a catena tende ad estinguersi e la potenza termica prodotta può essere controllata fino eventualmente allo spegnimento totale del reattore.
Non tutti gli isotopi dell’uranio sono però fissili: per esempio l’isotopo più abbondante di questo elemento, che ha numero di massa 238 (92 protoni e 146 neutroni), non si spacca se viene colpito da un neutrone, ma si trasforma in plutonio 239, che invece è fissile. Tali isotopi sono detti fertili, poiché pur non essendo fissionabili, quando assorbono un neutrone, si trasformano in un isotopo fissile. Generalmente un isotopo che ha numero di massa dispari e che assorbe un neutrone ha una probabilità di generare una fissione molto maggiore di quella di un isotopo di numero di massa pari.
Vi è tuttavia un altro fattore che deve essere tenuto in considerazione per poter innescare la reazione a catena. I neutroni che vengono prodotti dalla reazione di fissione hanno velocità elevatissime (superiori a 70 milioni di km/h). In queste condizioni la probabilità che un neutrone colpisca un nucleo è bassissima: per poterla aumentare è necessario diminuire la velocità della particella. A questo scopo il nocciolo è immerso in un mezzo moderatore di neutroni: ad esempio l’idrogeno contenuto nella molecola dell’acqua naturale assolve bene a questo scopo. Se immaginiamo che il neutrone sia una palla da biliardo che urta contro un’altra palla pressoché identica, si verifica che il neutrone trasferisce la maggior parte della sua energia cinetica al protone (nucleo di idrogeno), rallentando quindi notevolmente la sua corsa. Se invece il neutrone urtasse contro una particella molto più massiccia di lui, semplicemente rimbalzerebbe via in un’altra direzione senza alcuna diminuzione apprezzabile della sua velocità. In seguito alle collisioni con i nuclei dell’idrogeno presenti nell’acqua il neutrone diventa termico, ciò significa che la sua velocità si è ridotta a valori dell’ordine di 8000 km/h: in questo regime è alta la probabilità che il neutrone durante il suo cammino incontri un nucleo fissile.
Le reazioni di fissione producono calore che viene raccolto dal liquido refrigerante in cui è immerso il nocciolo: nel caso dei reattori PWR il refrigerante è acqua naturale che funge anche da moderatore di neutroni. Esistono tuttavia soluzioni diverse che utilizzano come refrigerante un gas, l’anidride carbonica, e come moderatore la grafite. In altri tipi di reattore viene impiegata l’acqua pesante (deuterio al posto dell’idrogeno nella molecola dell’acqua) e in altri ancora si utilizza come moderatore e refrigerante un metallo allo stato liquido come il sodio (reattori a spettro veloce).
Il calore asportato dal nocciolo del reattore aumenta la temperatura del liquido refrigerante che fluisce per mezzo di opportune pompe nel circuito primario, dove viene convogliato in uno scambiatore di calore in cui cede il suo carico termico al fluido circolante nel circuito secondario. In questo secondo circuito viene generato il vapore che farà muovere le pale della turbina, la quale trasferirà la propria energia cinetica all’alternatore che la trasformerà in energia elettrica.
Le quattro generazioni dei reattori
Gli impianti nucleari sono stati suddivisi in quattro generazioni. Alla generazione I appartengono i primi prototipi di reattore costruiti a cavallo tra gli anni 40 e 50 principalmente con lo scopo di dimostrare la fattibilità scientifica e tecnologica di un impianto nucleare per la produzione di energia elettrica.
Le centrali attualmente in esercizio appartengono invece alla generazione II e sono caratterizzate dal fatto di avere una grande stazione centrale. Proprio gli incidenti di Three Mile Island negli anni settanta e di Chernobyl dieci anni dopo hanno dato la spinta per progettare centrali a sicurezza intrinseca (generazione III). In questa generazione di reattori si introduce una notevole semplificazione impiantistica riducendo il numero dei circuiti e componenti e conseguentemente abbassando la probabilità di guasti. Inoltre viene introdotto un sistema addizionale di spegnimento del reattore completamente passivo: l’ATSS (Additional Temperature-actuated Scram System) in virtù del quale ogni qual volta la temperatura del nocciolo dovesse superare un determinato valore, solamente in base alla dilatazione termica di particolari sensori verrebbe attuato il sistema di leve che sgancia e inserisce per caduta le barre di controllo nel nocciolo, senza bisogno di apporto di energia o di un operatore esterno.
I reattori di questa generazione non hanno però avuto una grande diffusione e solamente nel 1999 gli Stati Uniti, attraverso il loro Department of Energy, hanno dato il via al programma Generation IV allo scopo di progettare dei reattori nucleari di nuova concezione che assicurino la sostenibilità ambientale, la sicurezza e la competitività dal punto di vista economico rispetto alle altre fonti di energia. A tale programma hanno aderito altre otto nazioni: Argentina, Brasile, Canada, Francia, Giappone, Sudafrica, Corea del Sud e Gran Bretagna. La Russia è parte attiva nei progetti che riguardano i reattori a spettro veloce.
Reattori raffreddati a gas
Si è detto nelle sezioni precedenti che esistono, sebbene in numero limitato, dei reattori che adottano come fluido refrigerante un gas: l’anidride carbonica o l’elio. Per la generazione IV è in fase di progettazione il reattore a letto di sfere, raffreddato ad elio, di cui un prototipo dovrebbe incominciare a funzionare nel 2006 in Sudafrica.
Ogni sfera del diametro di circa 60 mm è costituita da un guscio di grafite all’interno del quale sono presenti 15.000 particelle di diametro di poco più di mezzo millimetro che contengono il combustibile di ossido di uranio. Ogni particella possiede una serie di gusci concentrici che avvolgono il combustibile nucleare: si parte dallo strato esterno di carbonio pirolitico, che a sua volta contiene il rivestimento di carburo di silicio il quale, data la sua notevole resistenza, ha la funzione di contenitore a pressione per i prodotti di fissione. Vi è poi un ulteriore strato di carbonio pirolitico che insieme ad un ultimo strato di carbonio poroso ospita al proprio interno il nucleo di ossido di uranio.
Nel nocciolo oltre alle sfere di combustibile sono presenti anche 100.000 sfere che contengono solamente grafite: ciò consente di controllare la distribuzione di potenza e di temperatura del reattore.
In media ogni minuto una sfera di combustibile viene estratta dal basso del nocciolo e dall’alto ne viene inserita una nuova. In tal modo ogni sfera viaggia gradatamente verso il basso impiegando circa 6 mesi a completare il suo iter. Il nocciolo si trova quindi sempre in condizioni ottimali dal punto di vista del combustibile e ogni sfera è sottoposta a sollecitazioni inferiori rispetto a quelle che deve sopportare un elemento di combustibile fisso, aumentando pertanto il grado di sicurezza di questi nuovi reattori rispetto agli attuali.
L’elio preleva l’energia termica prodotta dal nocciolo e viene immesso ad una temperatura di 900°C direttamente in una turbina a gas la quale, accoppiata all’alternatore, produce l’energia elettrica.
L’elio di raffreddamento ha alcuni vantaggi rispetto all’acqua naturale: in primo luogo il sistema alternatore-turbina ad elio ha un rendimento del 40% rispetto a quello del 25% dell’analogo sistema utilizzato nei reattori raffreddati ad acqua naturale. In secondo luogo l’elio è un gas inerte e come tale non reagisce chimicamente con i materiali con cui viene a contatto, al contrario dell’acqua che ha invece una azione corrosiva sulle strutture del reattore.
Un ulteriore vantaggio dei reattori a letto di sfere è dato dalle dimensioni sicuramente più contenute rispetto ai reattori attuali; inoltre il numero ridotto di sottosistemi presenti ne abbatte il costo complessivo, assolvendo al requisito di competitività economica richiesto dal progetto Generation IV.
Reattori raffreddati ad acqua
Anche sui reattori convenzionali raffreddati ad acqua si cerca di apportare alcune migliorie che consentano di aumentarne la sicurezza e abbassarne il costo.
La tendenza è quella di progettare reattori a potenze inferiori rispetto alle attuali in modo tale da aver moduli di dimensione più piccola. Inoltre si vuole portare all’interno del contenitore metallico in pressione anche il generatore di vapore e il sistema di attuazione delle barre di controllo. In questo modo il sistema non può subire in caso di incidente una perdita significativa del liquido refrigerante, fatto che si verificò a Three Mile Island. Inoltre le barre di controllo non possono venire espulse dal nocciolo aumentando così notevolmente la sicurezza del sistema. Il reattore IRIS, progettato dalla Westinghouse Electric con una potenza di uscita fino a 350 MW, è un esempio di impianto di IV generazione raffreddato ad acqua.
Un ulteriore sviluppo per questa tipologia di reattori è dato dalla possibilità di funzionamento a temperature e pressioni superiori a quelle del punto critico dell’acqua. In tali condizioni non può esistere la fase liquida dell’acqua che si presenta quindi esclusivamente sotto la forma di vapore. Questo fatto costituisce una notevole semplificazione dell’impianto del ricircolo del vapore che diventa monofase; inoltre l’acqua al di sopra del punto critico possiede una elevata conducibilità termica e un grande calore specifico, tutte caratteristiche che portano ad avere un rendimento termico fino al 45%.
Il maggiore svantaggio dell’utilizzo dell’acqua come refrigerante rimane l’alto livello di corrosione a cui sono sottoposte le strutture del reattore: è necessario pertanto sviluppare nuovi materiali che siano più resistenti al degrado.
Reattori raffreddati con metalli pesanti
Un neutrone affinché possa provocare una reazione di fissione deve essere rallentato fino a velocità termiche. Esiste tuttavia una classe di reattori a spettro veloce che invece utilizzano neutroni a velocità superiori (dell’ordine di 13 milioni di km/h): questi reattori hanno il vantaggio rispetto a quelli termici di produrre insieme con le reazioni di fissione anche elementi fissili come il plutonio. Per poter moderare i neutroni fino alle velocità richieste è necessario farli collidere con bersagli più pesanti dell’idrogeno in modo tale che nell’urto non cedano troppa energia cinetica. Per questo motivo come moderatore vengono utilizzati dei metalli allo stato liquido, ad esempio il sodio. Tuttavia questo metallo ha il grosso inconveniente che se viene a contatto con l’acqua si incendia e può dare origine anche a delle esplosioni. Inoltre ha bisogno di due fasi di raffreddamento prima di entrare in turbina e ciò non lo rende economicamente conveniente nei confronti degli altri refrigeranti. Quindi l’attenzione dei progettisti si è rivolta verso una miscela eutettica di piombo e bismuto (LBE) che ha le caratteristiche migliori per questa tipologia di reattori.
Un reattore a spettro veloce raffreddato a LBE possiede alcuni vantaggi. L’elevato punto di fusione della miscela LBE permette di operare a pressione atmosferica senza bisogno quindi di pressurizzare il contenitore del reattore con conseguente miglioramento della sicurezza. Si eliminerebbero tutte le tipologie di incidente caratteristiche dei reattori PWR. La presenza del piombo è utile per schermare le radiazioni (raggi gamma) riducendo la necessità di utilizzare pesanti e costose schermature. Inoltre può essere interessante esaminare la possibilità di far circolare il refrigerante in modo naturale, solamente in base alla variazione di densità del liquido in funzione della temperatura, senza quindi far uso di pompe che potrebbero guastarsi. Infine la miscela LBE ha una elevata capacità di trasferire calore e questo permette di progettare noccioli molto compatti, quindi più piccoli ed economici.
La Russia ha appena ultimato il progetto del reattore BREST, raffreddato con LBE, che con i suoi 1200 MW di potenza potrebbe soddisfare il fabbisogno di energia elettrica di più di 900.000 abitazioni.
L’aspetto forse più interessante dei reattori veloci di IV generazione risiede nella possibilità di bruciare alcune scorie radioattive prodotte dal reattore stesso, migliorando sia il rendimento energetico dell’impianto, sia risolvendo in parte il grosso problema del trattamento e stoccaggio delle scorie.
Le scorie radioattive possono essere suddivise in due grossi gruppi: i prodotti di fissione del nucleo come il cesio e il kripton che sono altamente radioattivi, ma hanno una vita media che in genere non è superiore ai 30 anni e i cosiddetti elementi transuranici (elementi non presenti in natura che hanno numero atomico maggiore di 92 cioè dell’uranio) debolmente radioattivi ma con vite medie che vanno da alcune decine di migliaia di anni ad alcuni milioni. Il problema del trattamento delle scorie assume pertanto due aspetti differenti: i nuclidi radioattivi a vita media relativamente breve sono destinati a diventare innocui nel giro di qualche decina d’anni, mentre per gli elementi transuranici sussiste la necessità di doverli confinare per tempi estremamente lunghi, impattando sicuramente sulla qualità della vita delle generazioni future. Per questa seconda categoria di scorie i reattori a spettro veloce ci vengono in aiuto. Consideriamo per esempio il nettunio, elemento transuranico avente numero atomico 93 e numero di massa 237 e che ha una vita media di circa 2 milioni di anni. Assorbendo un neutrone esso diventa nettunio 238 che è molto instabile. Infatti dopo appena due giorni decade nel plutonio 238. Questo isotopo, sebbene non sia fissile (numero di massa pari) è tuttavia fertile: infatti catturando un neutrone diventa plutonio 239 che è fissile. In tal modo nei reattori raffreddati a metallo liquido è possibile bruciare alcuni elementi transuranici e trasformarli in combustibile nucleare evitando di doverli stoccare per tempi lunghissimi.
Cicli di combustibile once-through e multipli
La possibilità offerta dai reattori a spettro veloce di bruciare alcuni tipi di scorie ha indotto il progetto Generation IV a occuparsi anche del ciclo di riprocessamento del combustibile esausto. Infatti negli Stati Uniti il ciclo del combustibile è aperto o once-through: ciò significa che l’uranio estratto dalle miniere viene bruciato una sola volta e, quando è esausto, viene depositato per lo smaltimento definitivo. In paesi come la Francia e la Gran Bretagna invece si utilizzano cicli di combustibile multipli che ad ogni passaggio recuperano il materiale fissile dalle barre del combustibile esausto e lo sottopongono al riprocessamento. In tal modo l’uranio opportunamente trattato viene riutilizzato più volte.
Il ciclo once-through parte dalle miniere di uranio dove viene estratto il minerale che contiene essenzialmente l’isotopo238U. Occorre quindi arricchire l’ossido di uranio con l’isotopo fissile 235U e ciò viene fatto in appositi impianti. Successivamente le pastiglie di combustibile vengono incamiciate nelle barre che a loro volta sono assemblate negli elementi di combustibile. Questi ultimi sono inviati agli impianti pronti per essere utilizzati nel reattore. Quando il combustibile è esausto, l’elemento viene rimosso dal nocciolo e depositato in una vasca di stoccaggio temporaneo per permettere che i nuclidi più radioattivi decadano parzialmente. Infine il combustibile viene stoccato definitivamente nei depositi permanenti.
Nei cicli con riprocessamento le barre di combustibile esausto vengono trattate in modo tale da separare le scorie non più utilizzabili dall’uranio e dal plutonio. E’ proprio in questa fase che, grazie ai reattori a spettro veloce, si possono riutilizzare gli elementi transuranici come isotopi fertili.
Lo schema a ciclo singolo è meno costoso, ma comporta lo stoccaggio di una maggiore quantità di scorie radioattive; viceversa lo schema a cicli multipli, sebbene comporti maggiori costi, offre il vantaggio di dover stoccare una quantità decisamente minore di scorie radioattive con livelli di tossicità sicuramente inferiori. Lo schema a cicli multipli permette anche di massimizzare il consumo di plutonio, limitando così la proliferazione delle armi nucleari.
Conclusione
L’ipotesi nucleare come fonte sostenibile di energia ha ripreso corpo dopo gli anni bui seguiti al disastro di Chernobyl. I fattori su cui il progetto Generation IV ha posto l’accento sono: sicurezza, sostenibilità ambientale, competitività economica del nucleare nei confronti delle altre fonti di energia e non proliferazione di materiale fissile a scopi militari. La maggior parte dei paesi più industrializzati del mondo ha aderito a questo consorzio. Purtroppo l’Italia resta per ora a guardare, perdendo sicuramente una grossa opportunità per migliorare le proprie conoscenze e il proprio background culturale in un settore ad elevato contenuto tecnologico ed innovativo.
Istituto Scienza dei Metalli, Univ. di Trento
L' Uranio, notizie generali.
L'uranio è l'elemento chimico di numero atomico 92. Il suo simbolo è U.
Puro si presenta come un metallo bianco-argenteo, tossico e radioattivo; e appartiene alla serie degli attinidi . È malleabile, è di poco più tenero dell'acciaio, duttile e debolmente paramagnetico. È un metallo molto denso (65% più denso del piombo). Diviso finemente, reagisce con l'acqua a temperatura ambiente; esposto all'aria si copre superficialmente di uno strato del proprio ossido.
L'uranio metallico si presenta in tre forme allotropiche
· a - ortorombico, stabile fino a 667,7°C
· ß - tetragonale, stabile a temperature comprese tra 667,7 e 774,8°C
· ? - cubico a corpo centrato, stabile a temperature comprese tra 774,8°C ed il punto di fusione, è la forma più duttile e malleabile delle tre.
L'isotopo 235U è importante sia per i reattori che per le armi nucleari perché è l'unico isotopo fissile esistente in natura in quantità apprezzabili.
Anche 238U può trovare impiego nei reattori nucleari, dove viene convertito in 239U per assorbimento di neutroni (fertilizzazione), il quale decade in 239Pu, fissile. Anche l'isotopo 233U è fissile; viene prodotto per bombardamento con neutroni di 232Th.
L'uranio fu il primo elemento fissile scoperto in natura; questa proprietà lo rende la principale materia prima per la bomba atomica e la costruzione e l'alimentazione di reattori nucleari.
L'uranio si estrae da due minerali: la Uraninite (detta anche Pechblenda) e la Carnotite, anche vi sono tracce di uranio presenti ovunque: nelle rocce, nel suolo, nelle acque, persino negli organismi viventi.
L'uranio è importante anche per la datazione radiometrica dei fossili: l'uranio 238 si trasforma in piombo 206 in 4.510.000.000 anni.
Isotopi
L'uranio naturale è composto da una miscela di tre isotopi, 234U, 235U, e 238U, di cui 238U è il più abbondante (99,3%), mentre il 234U costituisce una percentuale trascurabile del totale (0.0055%).
Questi tre isotopi sono radioattivi; quello dotato di tempo di dimezzamento più lungo è il 238U (emivita: 4,5 · 109 anni), seguono 235U (7 · 108 anni) e 234U (2,5 · 105 anni). 238U emette prevalentemente particelle alfa decadendo in 206Pb stabile.
L' attività specifica naturale degli isotopi 234U e 238U, che praticamente coincide con quella dell'uranio estratto allo stato naturale, è quantificabile in 12,4 kBq/g (1 becquerel (Bq) rappresenta una disintegrazione al secondo), classificandosi nella fascia di rischio più bassa tra gli isotopi radioattivi. L'attività specifica naturale dell'isotopo 235U è molto inferiore, ed è pari a 0,6 kBq/g. Va necessariamente precisato, tuttavia, che il rischio indotto dalla radioattività dipende essenzialmente dalla concentrazione dell'isotopo di uranio nell'ambiente (misurata ad esempio in kBq/cm3), piuttosto che dalla sua attività intrinseca.
Gli isotopi dell'uranio vengono separati per aumentare la concentrazione di 235U rispetto a 238U; questo processo è chiamato arricchimento. L'uranio si considera "arricchito" quando la frazione di 235U è considerevolmente maggiore del livello naturale (circa lo 0,7%), tipicamente su valori compresi tra il 3% ed il 7%. 235U è il tipico materiale fissile per i reattori nucleari; qualora fortemente arricchiti, sia l'235U sia l'239Pu sono usati per la produzione di armi nucleari.
Arricchimento dell'uranio
Per ottenere un materiale fissile che sia adatto a scopi nucleari, cioè che emetta una quantità sufficiente di neutroni, è necessario aumentare la concentrazione dell'isotopo 235U rispetto al più comune e meno radioattivo 238U. La concentrazione di 235U deve passare dallo 0,71% al 3,2% per i reattori nucleari ad acqua bollente (BWR) e del 3,6% per quelli ad acqua pressurizzata (PWR).
Il processo di concentrazione dell'uranio è un compito estremamente difficile: non è possibile separarli per via chimica, e l'unico modo è sfruttare la piccolissima (meno dell'1,5%) differenza di peso.
Per fare questo si fa reagire l'uranio metallico con fluoro ottenendo esafluoruro di uranio (UF6), un composto solido bianco, che sublima in fase gassosa al di sopra di 56,4 °C.
Questo composto viene usato nei due più comuni processi di arricchimento, l'arricchimento per diffusione gassosa (utilizzata soprattutto negli Stati Uniti) e quello per centrifugazione del gas (principalmente utilizzato in Europa). Allo stato attuale è in corso di sviluppo presso il Dipartimento dell'Energia americano una terza tecnologia di arricchimento chiamato a separazione laser, ancora in fase di studio. Un quarto metodo di arricchimento è quello della separazione termica, che però e meno efficiente delle tecnologie attuali e non viene più utilizzato.
Dopo l'arricchimento l'esafluoruro viene decomposto, riottenendo uranio metallico e fluoro gassoso, dopodiché è ossidato a formare diossido di uranio UO2 e quindi fuso in barre metalliche che andranno poi a costituire il combustibile del reattore nucleare.
Il processo di arricchimento produce enormi quantità di uranio impoverito, ossia uranio cui manca la corrispondente quantità di 235U. L'uranio si considera impoverito quando contiene valori di 235U generalmente compresi tra lo 0,2% e lo 0,3%, a seconda delle esigenze economiche e di produzione.
Per dare un'idea della tipica proporzione tra la uranio arricchito e uranio impoverito, da 100 kg di uranio metallico pronto per l'arricchimento si possono ottenere al massimo 12,5 kg di uranio arricchito al 3,6% e 87,5 kg di uranio impoverito allo 0,3%.
L'uranio impoverito viene generalmente stoccato come UF6 (che, come detto sopra, è un solido cristallino) amalgamato in cilindri di acciaio che ne contengono circa 12-13 tonnellate (secondo le procedure standard degli Stati Uniti).
Applicazioni
L'uranio trova applicazione in due sue possibili forme: uranio arricchito ed uranio impoverito. Non è semplice fare una distinzione netta tra applicazioni civili e militari, in quanto esiste una permeabilità tra questi due utilizzi. Ad esempio, l'uranio arricchito può essere usato come combustibile nei reattori nucleari civili, ma anche nei reattori nucleari dei sottomarini e delle portaerei militari a propulsione nucleare. A causa di queste proprietà fisiche, viene utilizzato comunemente per applicazioni in medicina (schermi per le radiazioni), aviazione (contrappesi e zavorre), mineralogia (apparecchiature per le scavatrici nei pozzi petroliferi), ed applicazioni militari. Il DU è infatti particolarmente efficace come corazza o blindatura, e garantisce una maggiore penetrazione dei proiettili, che sono in grado di perforare le corazze dei mezzi blindati.
Applicazioni civili
L'uranio è un metallo molto denso e pesante. Nonostante la radioattività naturale dell'uranio, grazie al suo elevato peso specifico, trova impiego come materiale di zavorra e contrappesi di equilibratura in aerei, elicotteri, e in alcune barche a vela da regata. A volte è impiegato anche per costruire schermature di sorgenti altamente radioattive (soprattutto nel campo della radiografia industriale per la schermatura dei raggi gamma). Il piombo è un materiale con caratteristiche simili (e non radioattivo), che tuttavia è meno utilizzato dell'uranio per questi scopi.
Nel settore civile il principale impiego dell'uranio è l'alimentazione dei reattori delle centrali elettronucleari, dove viene usato un uranio arricchito al 2-3% di 235U. Esistono anche reattori come il canadese CANDU che possono essere alimentati da uranio naturale non preventivamente arricchito.
Tra gli altri usi si annoverano:
l'inclusione di sali di uranio nelle ceramiche e nei vetri, per colorare le prime e impartire una fluorescenza gialla o verde ai secondi; la datazione delle rocce ignee ed altri metodi di datazione geologica quali la datazione uranio-torio e uranio-piombo attraverso la misura della concentrazione di 238U, la cui emivita è di circa 4,51 miliardi di anni; l'acetato di uranile, UO2(CH3COO)2, trova impiego in chimica analitica; forma con il sodio un sale insolubile; il nitrato di uranio è usato in fotografia; in chimica l'uranio è utilizzato come catalizzatore in alcune reazioni; i fertilizzanti fosfatici di origine minerale possono contenere quantità di uranio relativamente alte, se questo è presente come impurezza nei minerali di partenza; l'uranio metallico trova uso in dispositivi a guida inerziale e nelle bussole giroscopiche.
Vetro colorato con uranio
In tutte queste applicazioni (tranne che per l'uso come combustibile nelle centrali nucleari) non è importante che si utilizzi uranio naturale oppure uranio impoverito. Ad ogni modo, il Dipartimento dell'Energia americano rileva che tutti gli impieghi civili dell'uranio non sono finora riusciti a ridurre in modo sostanziale le scorte di uranio impoverito accumulate negli ultimi decenni dalle centrali nucleari di tutto il mondo. Gran parte dell'uranio impoverito viene quindi dirottato sul settore militare oppure è stoccato in permanenza in depositi del sottosuolo.
Applicazioni militari
Bomba nucleare
La principale applicazione militare dell'uranio è, nella sua forma arricchita nell'isotopo 235U, come massa di reazione all'interno delle bombe atomiche o come innesco per le bombe termonucleari. La prima bomba atomica, Little Boy, venne realizzata nel contesto del Progetto Manhattan, durante gli anni della seconda guerra mondiale e venne sganciata nell'agosto del 1945 sulla città giapponese di Hiroshima (si veda Bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki).
Va ricordato, inoltre, che parte dell'uranio arricchito prodotto nelle nazioni nucleari più avanzate viene utilizzato come combustibile per i reattori ospitati in navi e sottomarini da guerra, rappresentando di fatto un utilizzo indiretto di questo elemento per fini bellici.
Proiettile di uranio impoverito
L'altra importante applicazione militare dell'uranio si basa sul cosiddetto uranio impoverito, ovvero uranio in cui la percentuale di 235U è stata artificialmente ridotta (mediamente contiene lo 0,25-0,4% di 235U, vedi oltre nello stesso articolo). L'uranio è un metallo molto denso e pesante, e proprio per questo viene utilizzato per rendere le corazzature dei carri armati particolarmente resistenti e per costruire munizioni anticarro (al posto del più costoso e meno efficiente tungsteno).
Essendo la produzione di uranio impoverito strettamente collegata al processo di arricchimento dell'uranio naturale, del quale costituisce un sottoprodotto, solo gli Stati in grado di arricchire l'uranio possiedono notevoli quantità di uranio Impoverito. L'Italia non possiede scorte significative di questo materiale.
Un altro sottoprodotto importante con valore militare dell'uranio è il plutonio 239, che viene prodotto dalle reazioni nucleari che hanno luogo nella fertilizzazione del 238U contestualmente alla fissione del 235U all'interno dei reattori nucleari. Il plutonio viene utilizzato per costruire ordigni nucleari e come combustibile nei reattori nucleari.
L’Uranio impoverito
Uranio impoverito è il termine con il quale in Italia viene definito l'uranio che è stato processato per estrarne l'isotopo di numero di massa 235 (235U), cioè l'uranio arricchito utilizzato come combustibile nelle centrali nucleari e come principale elemento detonante nelle armi nucleari.
Il materiale risultante consiste principalmente in 238U, che ha una minore attività specifica dell'uranio naturale.
Il termine è una traduzione dall'inglese depleted uranium, che a volte viene tradotto gergalmente con il termine uranio depleto. Il terzo isotopo naturale dell'uranio (234U), si concentra a sua volta nell'uranio-235 arricchito e si disperde nell'uranio impoverito.
L'estrazione, a partire dall'uranio contenuto in minerali naturali o dall'uranio irradiato prodotto dalle centrali nucleari, avviene in diversi modi, ed il risultato finale è un prodotto in cui la percentuale di 235U è più bassa che nel materiale originale (passa dallo 0,7110% allo 0,25-0,4%).
Da 12 kg di uranio naturale si ottengono all'incirca 1 kg di uranio arricchito al 5% di 235U e 11 kg di uranio impoverito. Quasi tutto (circa il 95%) l'uranio impoverito è conservato sotto forma di esafluoruro di uranio (UF6).
L’uranio impoverito possiede delle uniche proprietà fisiche quali la densità elevatissima (19 g/cm3, 1.7 volte maggiore della densità del piombo) ed una notevole duttilità. Inoltre, l’uranio è piroforico, e quindi delle piccole particelle prendono spontaneamente fuoco in aria.
I rischi legati all’utilizzo
I rischi legati all’utilizzo dell’uranio impoverito, (DU) sono però in primo luogo di tipo chimico. Come tutti i metalli pesanti, l’uranio è tossico, e gli organi maggiormente interessati sono i reni. I potenziali effetti nocivi, sia tossici che radioattivi, del DU sono legati alla sua incorporazione all’interno dell’organismo, che può avvenire generalmente in 2 modi: per ingestione o per inalazione. Nel caso militare, esiste una terza via per l’incorporazione dell’uranio: i frammenti di proiettile depositati all’interno dell’organismo. Per quanto riguarda l’inalazione, è la natura piroforica dell’uranio a renderla probabile: l’impatto di un proiettile di DU su di un blindato, o di un proiettile convenzionale su una corazza di DU, producono polveri e aerosol che prendono rapidamente fuoco in aria. Le alte temperature legate alla combustione ossidano l’uranio metallico generando diossido (UO2), triossido (UO3) e principalmente ottaossido (U3O8) di uranio. La percentuale di DU che passa allo stato aerosol-gassoso dipende da molti fattori: durezza del bersaglio, velocità e angolo di impatto, cammino all’interno del bersaglio. La durezza del bersaglio è particolarmente critica: un impatto di un proiettile DU con una corazza contenente DU produce ovviamente la massima percentuale di DU volatile (fino al 70%), mentre la percentuale diminuisce notevolmente nel caso di impatto con bersagli di basso peso specifico. Nel caso della Guerra del Golfo, la maggior parte dei proiettili attraversarono completamente la corazza dei blindati iracheni, e la percentuale di DU volatilizzato dal proiettile è stata stimata fra il 10% ed il 35%, e una frazione compresa fra il 60% ed il 70% dell’aerosol è abbastanza piccolo da poter essere inalato.
Effetti sull'uomo e sull'ambiente
Meccanismi di contaminazione
Quando un penetratore all'uranio impatta su un obiettivo, o quando un carro armato con corazzatura all'uranio prende fuoco, parte dell'uranio impoverito brucia e si frammenta in piccole particelle. I penetratori all'uranio impoverito che non colpiscono l'obiettivo possono rimanere sul suolo, essere sepolti o rimanere sommersi nell'acqua, ossidandosi e disgregandosi nel corso del tempo.
La dimensione delle particelle di uranio create, la facilità con cui esse possono essere inalate o ingerite e la loro capacità di muoversi attraverso l'aria, la terra, l'acqua o nel corpo di una persona dipendono dalla maniera in cui si è polverizzato l'uranio impoverito metallico. I test dell'esercito statunitense hanno dimostrato che quando un penetratore all'uranio impoverito colpisce un obiettivo, dal 20 al 70% del penetratore brucia e si frammenta in piccole particelle. Ciò significa che a seguito dell'impatto di un penetratore all'uranio impoverito da 120mm contro un bersaglio corazzato si liberano da 1 a 3 kg di polvere di uranio radioattiva ed altamente tossica. Un carro armato colpito da tre di queste munizioni e l'area attorno ad esso potrebbero essere contaminati da 3 a 9 kg di particolato di uranio. Naturalmente la polvere prodotta da un impatto iniziale potrebbe essere rimessa in sospensione da impatti successivi.
Esplosioni di test e studi sul campo hanno mostrato che la maggior parte della polvere prodotta dagli impatti (costituita dal proiettile stesso ed in maggior proporzione dal bersaglio stesso) finisce per depositarsi entro un raggio di 50 metri dal bersaglio. Tuttavia, considerando le particelle più fini (tra il miliardesimo ed il milionesimo di metro), pur costituendo una parte relativamente ridotta della massa totale, queste saranno disperse in atmosfera sotto forma di aerosol su distanze di centinaia di chilometri.
L'uranio impoverito è un metallo pesante radioattivo. Un contatto diretto e prolungato con munizioni o corazzature all'uranio impoverito può causare effetti clinici nefasti. Tuttavia, l'uranio impoverito giunge al suo massimo potenziale di danno quando suoi frammenti o polveri penetrano nel corpo.
La tossicità chimica dell'uranio impoverito rappresenta la fonte di rischio più alta a breve termine, ma anche la sua radioattività può causare problemi clinici nel lungo periodo (anni o decenni dopo l'esposizione).
Il pericolo principale di contaminazione è quindi l'inalazione, seguito dal contatto e dall'assorbimento mediante il ciclo alimentare o attraverso l'acqua. Un pericolo particolare deriva dall'incorporazione di particelle di uranio impoverito attraverso le ferite, che le porta direttamente a contatto con i tessuti vitali.
Non esiste alcuno studio epidemiologico sull’uomo in grado di dimostrare effetti tossici degli ossidi di uranio. Si sono verificati però un certo numero di incidenti nelle centrali nucleari, a causa dell’esplosione di uranio metallico in aria mentre venivano maneggiati da lavoratori. In questi casi, è possibile avere aerosol con concentrazioni molto alte di uranio (decine di mg/m3 in aria), che sono chiaramente visibili. In un caso ben documentato, la concentrazione di uranio nelle urine il giorno dell’incidente era di 20 mg/l, e passò a circa 10 mg/l nel giro di una settimana. I lavoratori coinvolti in questi incidenti non hanno mai riportato disfunzioni renali o di altro genere, né tumori anche molti anni dopo l’esposizione.
Metabolismo dell’uranio
L’uranio ingerito, inalato, o presente nei frammenti di proiettile incorporati può essere solubilizzato dall’organismo e depositarsi in diversi organi. L’uranio è normalmente distribuito in tutti i tessuti dell’organismo, in quantità comprese fra i 2 ed i 62 mg.
L’uranio inalato, soprattutto le particelle di minori dimensioni (<10 mm), si depositano nei bronchi, ed in particolare negli alveoli. L’80% dell’uranio depositato viene però rimosso dai meccanismi mucociliari dei bronchi, e quindi ingoiato, passando nel tratto gastrointestinale, da dove viene rapidamente escreto. Circa l’1% dell’uranio inalato finisce nel sistema sanguigno, entrandovi dai polmoni, dai linfonodi, o dall’intestino. Per quanto riguarda l’uranio ingerito (per esempio, per deglutizione degli aerosol), una frazione compresa fra 0 e 2.5% viene assorbita dall’intestino, mentre il rimanente viene escreto.
Complessivamente, circa il 90% dell’uranio inalato o ingerito viene escreto con le urine nel giro di 3 giorni. In tempo di dimezzamento effettivo, ovvero il tempo necessario affinché la metà della quantità di radionuclide venga eliminato dall’organo, è quindi completamente dominato dal tempo di dimezzamento biologico, ed è dell’ordine di un giorno. A causa di questa efficiente eliminazione, l’analisi della concentrazione di uranio nelle urine costituisce una misura sensibile dell’esposizione al metallo. In condizioni normali, ogni individuo elimina dai 50 ai 500 ng di uranio al giorno con le urine.
L’uranio che non viene escreto si distribuisce in tutti gli altri organi, principalmente nelle ossa, nei reni, nel fegato, nei polmoni, nel grasso e nei muscoli.
Va notato che la solubilità dell’uranio dipende dalla sua forma chimica. I composti non ossidi, come UCl4, sono estremamente solubili, mentre l’ottaossido U3O8 è relativamente insolubile. Poiché nel caso militare sono gli ossidi ad essere inalati, la loro scarsa solubilità ne diminuisce il rischio di tossicità chimica, mentre ne esalta la pericolosità radiologica.
Radioattività
La radioattività dell'uranio impoverito (DU) viene considerata "di basso livello" confrontata con quella ad "alto livello" dell'uranio arricchito in uranio-235 (o di altri materiali), perché l'uranio impoverito è costituito in maniera predominante dall'isotopo uranio-238 (T1/2 = 4.5 109 a) dotato di emivita più lunga - e quindi di attività specifica più bassa - di quella dell'isotopo uranio-235 (T1/2 = 7.0 108 a), nonostante entrambi siano prevalentemente emettitori di particelle alfa. Infine, in questo contesto, il terzo isotopo uranio-234 (T1/2 = 2.5 105), presente in percentuale molto bassa nell'uranio naturale (0.0055%), si trova a sua volta maggiormente concentrato nell'uranio-235 arricchito (LEU o HEU), aumentandone ulteriormente l'attività specifica e quindi la radiotossicità.
La serie di decadimento radioattivo dell'isotopo 238U porta, per stadi successivi consecutivi e paralleli (per decadimento alfa e beta), all'isotopo stabile 206Pb.
L'energia di una particella alfa è estremamente alta: essa, tuttavia, agisce solo a breve distanza, e per questo motivo diventa il tipo più pericoloso di contaminazione se la sorgente è contenuta nel corpo, e il meno pericoloso se questa si trova all'esterno. Un foglio di alluminio o carta spesso 0.02 millimetri (20-40 µm), o la stessa epidermide umana, può infatti fermare questo tipo di radiazione.
Gli isotopi di uranio decadono inoltre, seppure con piccola probabilità, mediante fissione nucleare spontanea, nonché emissione di cluster di particelle e decadimento doppio beta.
Tossicità
I metalli pesanti presentano una notevole affinità chimica per le molecole biologiche contenenti gruppi fosfati (per esempio, fosfolipidi e acidi nucleici) o sulfidrilici (come la cisteina, il glutatione, gli ossianioni e molte proteine). Per questo motivo, i metalli pesanti non si trovano negli organismi nello stato di ione libero, ma sempre legati alle biomolecole.
Nel caso dell’uranio, i composti più importanti sono gli ossianioni carbonati: il 47% dell’uranio nel sangue si trova nella forma di [UO2(CO3)2]2, che è stabile a pH neutro. Si decompone rapidamente, invece, a pH acido, per cui nelle urine si ritrova lo ione uranile.
Uno studio effettuato da Diane Stearns, biochimico presso la Northern Arizona University, ha stabilito che cellule animali esposte al sale di uranio solubile in acqua (acetato di uranile, UO2(CH3COO)2) vanno soggette a mutazioni genetiche determinando tumori e altre patologie, indipendentemente dalle sue proprietà radioattive.
L'esposizione sia a composti chimici di uranio impoverito sia di uranio naturale può, in generale, indipendentemente dalle sue proprietà radioattive:
· causare danni ai reni, pancreas, stomaco/intestino
· mostrare effetti citotossici e carcinogeni in animali
· causare effetti teratogeni in roditori e rane (in contatto con sali di uranio disciolti in acqua) e in umani in contatto con polveri di uranio naturale ed impoverito.
Sindrome dei Balcani
Per "sindrome dei Balcani" si intende quella lunga serie di malattie - per lo più linfomi di Hodgkin e altre forme di cancro - che hanno colpito i soldati italiani al ritorno dalle missioni di pace internazionale.
I primi casi segnalati in Italia risalgono al 1999 quando un soldato cagliaritano (Salvatore Vacca) morì di leucemia al ritorno della missione militare in Bosnia. Da allora le vittime sono state 45 e circa 500 i soldati malati.
Un rapporto di causa effetto tra l'esposizione all'uranio impoverito e queste malattie non è ancora stato dimostrato con certezza, ma vi sono forti indizi.
Allo scopo di identificare eventuali responsabilità dei vertici militari italiani e della NATO il Governo italiano ha istituito una commissione d'inchiesta al Senato per far luce sulla vicenda, i cui lavori si sono conclusi nel marzo del 2006.
Analogamente numerossissimi sono i casi di militari americani ammalati a seguito della prima guerra del Golfo (sindrome del Golfo), e in alcuni poligoni militari italiani quali il P.I.S.Q. di Perdasdefogu e di Capo San Lorenzo a Villaputzu, dove si è constatato un aumento allarmante di casi di Linfoma di Hodgkin (sindrome di Quirra).
Fra le varie e numerose ipotesi per spiegare la sindrome dei Balcani e quella del Golfo vi sono studi che indicano nanopolveri inorganiche (non necessariamente contenenti uranio), indipendentemente dalla loro tossicità, come possibili cause delle patologie.
Il caso più recente di tumore, dipendente dall'uranio impoverito e da nanopolveri è quello dell'archeologo Fabio Maniscalco, che ha lavorato nei Balcani come ufficiale tra gli anni 1995 e 1998, e si è ammalato di una forma rara ed anomala di tumore del pancreas.
Per quanto riguarda i reduci della Guerra nel Golfo, in nessun caso sono stati riscontrati segnali di disfunzioni renale, né acuti (durante la guerra) né cronici (dal follow-up dei reduci che continua ancora ora).
Le analisi delle urine danno oggi valori nella norma, come è ovvio vista la velocità di escrezione dell’uranio, con l’eccezione dei reduci con frammenti di proiettile all’interno del corpo. Poiché il rene è l’organo più sensibile all’uranio, la mancanza di patologie renali suggerisce che i livelli di esposizione caratteristici nel caso militare siano talmente bassi da non risultare tossici.
D’altra parte, è molto improbabile che l’esplosione di munizione al DU possano aver provocato concentrazione di uranio nell’ordine di mg/m3, anche per brevi periodi. All’esterno dei veicoli colpiti, il vento ed il successivo fall-out al suolo disperdono molto rapidamente i fumi di qualsiasi materiale.
I vapori possono essere trasportati anche a km di distanza prima di depositarsi nel terreno dove il metallo potrebbe entrare nella catena alimentare o inquinare la falda acquifera. In questo caso, potrebbe esservi un pericolo di contaminazione per la popolazione residente in Iraq. Risulta chiaro che le concentrazioni di uranio volatile sono talmente basse da non poter apparentemente produrre alcuna nefrotossicità.
La testimonianza raccolta dall'Osservatorio militare
Gli interventi riguarderebbero il 70 per cento del personale
Uranio impoverito, un militare denuncia
"Moltissimi reduci operati alla tiroide"
La notizia durante la conferenza stampa della commissione parlamentare d'inchiesta
Confermati i dati: i decessi sono più di 40, i malati oltre 500
La bonifica di un campo contaminato dall'uranio impoverito
ROMA
Molti militari italiani reduci da missioni all'estero sono stati operati alla tiroide in seguito alla presunta contaminazione da uranio impoverito. A denunciarlo un giovane soldato tornato dal teatro bellico dei Balcani e da tempo sotto controllo medico. La sua testimonianza è stata affidata a Domenico Leggiero, dell'Osservatorio militare, un'associazione che assiste gli appartenenti alle forze armate e i loro familiari.
Un'affermazione scioccante, ancora di più per le dimensioni del fenomeno, che, secondo il militare, riguarderebbe il 70 per cento dei reduci, costretti a sottoporsi da un intervento alla tiroide a titolo preventivo. Secondo le informazioni raccolte dall'Osservatorio militare, le operazioni verrebbero effettuate in un ospedale di Siena e in altre strutture convenzionate con l'esercito.
"Noi non siamo in grado di confermare queste cifre" spiega Leggiero, "ma ci aspettiamo che qualcosa si muova in Parlamento per fare chiarezza sulla questione. Anche se si trattasse soltanto della metà, si tratta di un dato comunque enorme ed è necessario poter avere accesso a queste informazioni".
E questo è l'obiettivo della Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato sull'uranio impoverito, la cui presidente, Lidia Menapace (Prc) ha illustrato questa mattina le linee guida che verranno seguite.
Uno dei primi compiti della Commissione riguarderà la raccolta e l'analisi statistica dei dati, per le quali la Commissione intende rivolgersi all'Istat, all'Istituto superiore di Sanità, alla Direzione generale della sanità militare, ha detto la Menapace, "al fine di acquisire elementi e valutazioni di tipo oggettivo ed ufficiale".
Ad oggi, infatti, non ci sono certezze sul numero esatto delle vittime: secondo l'Osservatorio i morti sarebbero 45 e i malati 515, affetti da patologie riconducibili all'esposizione all'uranio impoverito, usato in modo massiccio negli armamenti della Nato soprattutto nei Balcani. Altre associazioni hanno dati diversi, così come diversi sono quelli forniti dalla Difesa.
Oggi non ci sono praticamente più dubbi sull'esistenza di un nesso fra i decessi e le malattie dei reduci da missioni all'estero e l'esposizione all'uranio impoverito, anche se il tema continua ad essere oggetto di forti polemiche e indagini. La commissione Mandelli, in tre successive relazioni, ha concluso che rispetto al numero statisticamente atteso le vittime nel gruppo di riferimento (i militari che hanno preso parte a diverse operazioni nelle zone "incriminate") sono quattro volte superiori, ma non è stata in grado di collegare direttamente la presenza dell'uranio ai casi di tumore registrati. E una successiva commissione di inchiesta ha sostenuto che i dati della Mandelli erano probabilmente sbagliati e sottostimati.
(22 marzo 2007)
LE ARMI NUCLEARI
Le armi nucleari: come si fanno
La costruzione di una bomba atomica si svolge sostanzialmente in due passaggi.
Per prima cosa bisogna procurarsi il materiale fissile, che deve essere plutonio sufficientemente puro o uranio altamente arricchito. Ottenuto il materiale bisogna assemblare un ordigno in grado di esplodere.
Dei due passaggi il primo è sicuramente il più complicato, e costituisce il vero sbarramento alla proliferazione nucleare.
Per ottenere del materiale fissile in una quantità sufficiente si può procedere in due modi: o si costruiscono degli impianti di arricchimento dell’uranio, o si costruiscono dei reattori nucleari simili a quelli usati nelle centrali nucleari ad uso civile, e si ritratta chimicamente il combustibile nucleare usato nel reattore estraendone il plutonio.
L’arricchimento dell’uranio è un processo che separa due diversi isotopi dell’uranio che si trovano nell’uranio naturale.
L’uranio naturale, (per capirci, quello che viene estratto dalla miniera e purificato), contiene il 99,3% di uranio 238, ovvero uranio il cui nucleo è formato da 92 protoni e 146 neutroni, e lo 0,7% di uranio 235, il cui nucleo ha tre neutroni in meno.
I due isotopi dell’uranio hanno comportamento chimico identico e massa solo lievemente diversa, ma hanno un comportamento totalmente diverso quando vengono irraggiati da neutroni.
Quando un nucleo di uranio 235 viene colpito da un neutrone, infatti, ha circa il 90% di probabilità di dividersi in due, emettendo un’energia di 200 milioni di volte superiore a quella di una tipica reazione chimica. Questo processo è definito processo di fissione.
Se un nucleo di uranio 238 viene colpito da un neutrone, invece, lo assorbe, e si trasforma dopo un po’ in plutonio 239, che, come l’uranio 235, fa fissione.
Il processo di arricchimento dell’uranio è un processo che, partendo da uranio naturale, genera uranio con una percentuale maggiore di 235, in modo da agevolare il processo di fissione.
Di solito, per usi civili, (e cioè nelle centrali nucleari per produrre energia elettrica) si usa uranio naturale, o, più spesso, uranio arricchito al 2-3 %, mentre per costruire una bomba atomica serve uranio 235 arricchito oltre l’80%, e di solito si cerca di arrivare al 90%.
I processi che si usano per l’arricchimento sono principalmente cinque.
La Diffusione Gassosa: Si pompa uranio attraverso dei setti porosi sotto forma di Esafluoro di Uranio, (UF6) un gas chimicamente aggressivo e molto tossico. La maggior parte dell’uranio arricchito per usi civili viene ottenuto così. Il problema è che l’arricchimento per ogni stadio è molto basso, e che questi impianti consumano quantità enormi di energia elettrica per pompare il gas. A titolo di esempio di può citare Eurodif, in Francia, che, per arricchire l’uranio utilizzato per quasi tutte le centrali europee, richiede l’energia di quattro centrali nucleari (circa 4Gw, circa il consumo di tutta la provincia di Milano).
Sono impianti che, anche se non necessariamente di queste dimensioni, sono molto costosi, anche se non estremamente complessi. Richiedono un grosso potenziale economico e industriale.
La Centrifugazione: Invece di pompare l’esafluoro di uranio lo si fa girare a decine di migliaia di giri al minuto all’interno di centrifughe: il gas che si trova più vicino al centro della centrifuga è più ricco di Uranio 235, che è più leggero. L’arricchimento di ogni stadio è abbastanza alto (ogni centrifuga aumenta la percentuale di 235 di quasi il 40%, contro meno dell’1% della diffusione gassosa).
Le prime centrifughe consumavano molta energia elettrica, ma quelle di ultima generazione consumano poco e funzionano ottimamente. Quelle di prima generazione non sono particolarmente complicate da fabbricare, mentre quelle moderne richiedono tecnologie non facilmetne accessibili e secretate.
E’ il metodo più facile e redditizio per avere un buon potenziale di fabbricazione per costruire un arsenale nucleare, e si sa che molti stati hanno costruito impianti di questo tipo (Pakistan, Israele) , o stanno cercando di costruirli (Iraq).
La Separazione aerodinamica, è concettualmente simile alla centrifugazione, solo che il gas viene iniettato ad alta pressione in un condotto a spirale. Richiede più energia della centrifugazione, ma è più semplice. È stato utilizzato dal Sud Africa per costruire un piccolo arsenale nucleare oggi smantellato.
La Separazione Elettromagnetica (calutrone) è la tecnologia con cui gli Usa hanno costruito la prima bomba all’uranio (quella di Hiroshima): si accelerano delle particelle cariche con un piccolo acceleratore, e le si spara contro gli atomi di uranio, ionizzandoli (strappando cioè loro uno o più elettroni). A questo punto gli atomi, carichi elettricamente, possono essere separati, visto che hanno la stessa carica ma massa differente. In questo modo si separano delle piccole quantità di uranio molto puro, adatto a costruire armi nucleari. Richiede dei buoni magneti e una ingente quantità di energia elettrica.
Visto che si trattava di una tecnologia molto vecchia, i particolari costruttivi non erano stati posti sotto segreto, ma batterie di calutroni possono dare abbastanza materiale da costruire qualche bomba all’anno.
L’Iraq aveva costruito, (con l’aiuto francese e acquistando magneti al Cern di Ginevra) batterie di calutroni, e li aveva posti sotto il reattore Osiraq, fino alla distruzione del reattore avvenuta con un raid aereo israeliano nel 1981.
La Ionizzazione selettiva laser, (AVLIS) consiste nel far ionizzare da un laser a una determinata frequenza (definita con molta precisione) solo gli atomi dell’isotopo desiderato, che possono essere poi separati.
Richiede tecnologie molto sofisticate, che sono alla portata di pochi stati.
Sembra che l’Iran ne abbia costruito (o ne stia costruendo uno) su progetto russo.
Un altro modo per ottenere materiale fissile utilizzabile nella costruzione di armi nucleari è quello di estrarre plutonio da barre di combustibile nucleare già stato in reattore.
Il Plutonio non esiste in natura, ma si ottiene dall’uranio 238 quando assorbe un neutrone. Il nocciolo di un reattore è generalmente costituito da decine di tonnellate di uranio, e quest’uranio è spesso uranio 238 al 97% e uranio 235 al 3%. Ci si trova quindi con una grande quantità di materiale che si trova esposta al notevole flusso di neutroni che si ha all’interno del nocciolo di un reattore, e tutto questo materiale, assorbendo neutroni, genera plutonio.
In generale, su una tonnellata di uranio messa in reattore, all’inizio si hanno 970 chili di 238 e 30 di 235. quando il combustibile nucleare esaurito viene estratto dal reattore si hanno, di solito, alcuni chili di 235 e alcuni chili di plutonio.
Dal ritrattamento chimico del combustibile esaurito, quindi, si possono ottenere notevoli quantità di plutonio.
Il ritrattamento, oltretutto, è un processo industriale che molti paesi usano per recuperare il plutonio e l’uranio 235 dal combustibile esaurito e per fabbricare un nuovo combustile, detto Mox (mixed Oxide Fuel). E, nel momento in cui si maneggia plutonio, usarlo per usi civili o militari è questione solo di buona volontà, tanto è vero che quasi tutti gli impianti di ritrattamento (a parte quelli nordcoreani, quelli pakistani, indiani ed israeliani) sono sotto il controllo degli ispettori della Iaea, e non è un mistero il fatto che gli Usa tentino di non far diffondere troppo questa tecnologia, in realtà alla portata di qualsiasi paese che, avendo un buon potenziale industriale, abbia un po’ di soldi da investirci.
L’unico problema è che il plutonio 239 estratto da molti tipi di reattori sia inquinato da plutonio 240, un isotopo che ha proprietà che mal si conciliano con l’utilizzo militare.
Tendenzialmente si estrae un buon plutonio quando si tiene per poco tempo dell’uranio naturale in reattori moderati ad acqua pesante o a grafite, un plutonio peggiore se si parte da uranio arricchito tenuto molto in reattori moderati ad acqua leggera (I Pwr o i Bwr, cioè la stragrande maggioranza dei reattori per usi civili). Non è un caso che il plutonio la prima bomba americana fosse stato generato da un reattore costituito da grafite e uranio naturale costruito da Fermi, non è un caso che gli Indiani usino reattori ad acqua pesante, e non è un caso il fatto che gli Usa abbiano aiutato la Cora del Nord a costruire dei reattori ad acqua leggera, chiedendo però di chiudere i reattori a grafite e di mettere sotto controllo Iaea gli impianti di ritrattamento.
Una volta ottenuto il materiale fissile, costruire la bomba è relativamente semplice.
Contrariamente a quanto di solito si pensi, la costruzione di una bomba non è una cosa elementare.
Il problema è che le reazioni nucleari devono avvenire molto velocemente, e cioè devono finire prima che il calore generato distrugga meccanicamente il nucleo esplodente.
Di conseguenza l’innesco deve avvenire molto velocemente, e devono avvenire più reazioni possibili nel minor tempo possibile.
Negli anni ’60 il ministro della difesa americano commissionò a tre fisici neolaureati il progetto di una bomba, e risultò che tre fisici, senza particolari conoscenze, avendo a disposizione solo la letteratura di pubblico dominio,furono in grado di produrre in due anni un progetto funzionante.
Al giorno d’oggi, le informazioni disponibili sono molto maggiori, e con un normale Pc si possono fare delle simulazioni impensabili negli anni ’60. Quindi assemblare una bomba funzionante (avendo il materiale) non è semplice per l’uomo della strada (non basta mettere insieme il materiale: lo si farebbe fondere e basta), ma è alla portata di qualsiasi stato o di qualsiasi gruppo terroristico ben organizzato.
La bomba assemblata sarebbe una bomba rudimentale, come quella di Hiroshima, avrebbe grosse dimensioni (non utilizzabile, per esempio, su un missile), e potenziale non superiore a qualche Kiloton ma sarebbe comunque più che sufficiente a radere al suolo una città di qualche decina di migliaia di abitanti.
Con studi più accurati, con simulazioni numeriche e con qualche esperimento non nucleare si possono produrre design migliori, a innalzare l’energia dell’esplosione e a ridurre le dimensioni.
Per bombe a fusione, (Fino a 50 Megaton) o per design particolari e più efficienti, (come, ad esempio, le armi tattiche che stanno in un proiettile d’artiglieria) servono dei test.
Gli israeliani, per esempio, hanno prodotto armi tattiche di dimensioni molto ridotte facendo solo un test (o probabilmente due, di cui forse uno segreto in collaborazione col Sudafrica).