Etty_Berio

Il cuore pensante di Etty

Se tutto questo dolore non allarga i nostri orizzonti e non ci rende più umani,

liberandoci dalle piccolezze e dalle cose superflue di questa vita, è stato inutile.

Reading dal DIARIO 1941-1943

di Etty Hillesum

con le allieve del Laboratorio Teatro & Contorni:

Gabriella Aimo, Franca Bianchi, Manuela Blandino, Daniela Bonfanti, Vanda Carlevaro,

Anna Maria De Angelis, Giovanna Garzini, Mina Mancuso, Floriana Masala,

Daniela Pasero, Biancalice Sanna e Luciana Scarrone

regia Patrizia Ercole

Etty Hillesum aveva ventinove anni quando le mani uncinate del nazifascismo la strapparono alla vita, all’amore, alla scrittura. Ci ha lasciato un diario, scritto nel cuore della guerra, e un pacco di lettere, ingiallite dal tempo, ma ancora pulsanti di fede e compassione. E di passione per la bellezza insita nell’esistenza umana, anche quella vissuta dietro le porte dell’inferno.

“Essere il cuore pensate della baracca….il cuore pensante di un intero campo di concentramento”. Questo riusciva a scrivere Etty, tra privazioni, rastrellamenti, timori fondati di partenze improvvise, nei momenti culminanti della seconda guerra mondiale. Eppure, Etty non fu santa, né martire della causa ebraica, e neppure, tanto meno, un’esaltata: solo, e davvero, una ragazza come tante, innamorata della vita, di Dio, dalla grande forza d’animo e con una spiritualità profonda che l’aiutarono nei peggiori, e finali, anni della sua vita. Etty, nata nel 1914, in Olanda, da una famiglia d’intellettuali ebrei, brillante, colta, dotta, si laureò in Giurisprudenza, intraprendendo poi lo studio della psicologia ed iscrivendosi alla facoltà di lingue slave. Conobbe, e ne divenne prima segretaria, poi amante e amica fedele, Julius Spier, fondatore della “psicochirologia”(lo studio e la classificazione delle linee della mano, che trasformò in attività seguendo il consiglio di Jung). Fu proprio sotto la guida di Spier che, tormentata da un rapporto complesso con la propria famiglia, presa nelle maglie di rapporti affettivi contorti, iniziò un proficuo cammino di graduale scoperta degli aspetti essenziali della vita e della propria anima: un lavoro su se stessa, che la portò a scoprire forza interiore, determinazione, coraggio, amore per gli altri e per Dio, e la aiutò a liberarsi da molte delle sue ossessioni e nevrosi. Il diario (pubblicato da Adelphi e ingiustamente poco noto al grande pubblico), compagno fedele e testimone della sua metamorfosi lungo due anni, ripercorre questo cammino, alternando attimi di vita personale a squarci di realtà pubblica, resa problematica dai grandi sconvolgimenti dettati dalla guerra Etty, infatti, testimone in prima persona delle persecuzioni razziali perpetuate contro gli ebrei, ci narra l’olocausto in modo completamente nuovo, diverso, destabilizzante: nessun sentimento di terrore, vendetta, odio, rifiuto; si rese perfettamente conto, e subito, di ciò che stava accadendo agli ebrei di tutta Europa, quale ineluttabile destino mostrasse loro la storia presente, ma non chiuse gli occhi all’orrore. E non chiuse neppure il cuore all’amore: Etty, pur potendolo, non si sottrasse al destino del suo popolo, decidendo di accettarlo fino in fondo, con serenità, gioia, dignità.

Le sue parole sono quelle di una persona dalla grande vitalità, che della vita è riuscita ad accettare tutto, il bene come il male, il dolore come il piacere, e ad integrarli, a fonderli, per farne un tutto inscindibile: la fede la guida nelle scelte, l’amore per Dio le da la giusta spinta, la preghiera la rincuora, quando tutto attorno sembra stia per crollare. Etty riuscì a non isolarsi nella meditazione, ma visse e operò più che mai in mezzo agli altri, al dolore, al caos, allo sfacelo: cercò di diffondere amore, tranquillità, con grazia ed umiltà, senza compiacimento alcuno. Fu molto amata da tutti coloro che ebbero la fortuna di conoscerla, e il suo diario, così toccante e delicato, ci spiega il perché: si avvicinò alle persone con la semplicità dell’amore, non lasciando che i catastrofici eventi la portassero giù, nel baratro della disperazione. Riflessioni immediate, le sue, dirette eppure incredibilmente profonde, che illuminano senza intimidire, riscaldano senza scottare, facendosi apprezzare dal più devoto fedele come dall’ateo più incallito.

Una preghiera laica, da rileggere, presi nel laccio delle nostre piccole tragedie quotidiane.

Recensione di Caterina Morgantini

Il Diario 1941-1943 di Etty Hillesum è pubblicato da Adelphi

A volte faccio così fatica a costruire l'intelaiatura della mia giornata - alzarmi, lavarmi, far ginnastica, mettermi delle calze senza buchi, apparecchiare la tavola, in breve «orientarmi», nella vita quotidiana, che non mi rimane quasi più energia per altre cose. E se allora mi alzo per tempo come un qualunque cittadino, sono fiera di aver operato chissà quale miracolo. Eppure, fintanto che la disciplina interiore non è a posto, quella esteriore rimane importantissima per me. Se io dormo un'ora di più alla mattina questo non significa che io abbia dormito bene, ma che non so affrontare la vita e che faccio sciopero.

A volte vorrei rifugiarmi con tutto quel che ho dentro in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno cerca una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole.

A volte mi sembra che ogni parola che vien detta, e ogni gesto che vien fatto, accrescano il grande equivoco. Allora vorrei sprofondarmi in un gran silenzio e vorrei anche imporre questo silenzio agli altri. Sì, a volte qualunque parola accresce i malintesi su questa terra troppo loquace.

Etty Hillesum