ITALIANO - LA MIA canto general - LA MIA canzone generale - Cantata sul poema di Pablo Neruda
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Mikis Theodorakis & Pablo Neruda - Canto General – 16 youtube videos
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Canto generale: oratorio per mezzosoprano, basso baritono, coro misto e quindici strumenti / Mikis Theodorakis; poesia, Pablo Neruda; spartito per voce solista, coro misto e pianoforte
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Mikis Theodorakis & Pablo Neruda - 1980 - Canto General
Stanislav Palekha
Published on Sep 30, 2011
•01. Amor América (1400) - 0:00
•02. Algunas Bestias - 1:38
•03. Voy A Vivir (1949) - 12:49
•04. Los Libertadores - 18:22
•05. Vienen Los Pájaros - 34:52
•06. La United Fruit Co. - 45:23
•07. Vegetaciones - 53:07
•08. América Insurrecta - 60:21
duration 1:30:46 hours
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https://www.youtube.com/watch?v=mMp5PF7jems&feature=youtu.be
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George Dalaras - Canto General (Theodorakis / Neruda)
ResearcherXM Published on Jan 20, 2011 George Dalaras & Metropole Orchestra of Holland & Fons Musicals choir, at the Athens Odeon of Herode Atticus, Greece September 1995.
"Libertadores / America Insurrecta"
(Excerpts from "Canto General")
Music: Mikis Theodorakis
Lyrics (Poem): Pablo Neruda
duration 11:51 minutes
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https://www.youtube.com/watch?v=aaOM4PzVJng&feature=youtu.be
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Libertadores/America Insurrecta - Γιώργος Νταλάρας
GetGreekMusic
Published on Jul 5, 2013
https://www.getgreekmusic.gr - Μπες και μάθε τα πάντα για την ελληνική μουσική.
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▶ Libertadores/America Insurrecta - Γιώργος Νταλάρας
▶ Δες και άλλα video του Γιώργου Νταλάρα:
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▶ Μάθε τα πάντα για τον Γιώργο Νταλάρα: http://www.getgreekmusic.gr/blog/gior...
Άλμπουμ:
"Ο Γιώργος Νταλάρας Και Η Φιλαρμονική Ορχήστρα Του Ισραήλ"
"George Dalaras & The Israel Philharmonic Orchestra" - ©1999 EMI Music Greece
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Mikis Theodorakis - Canto General 1 Full Album
01. Algunas Bestlas - 02. Voy A Vivir - 03. Los Libertadores - 04. A Mi Partido - 05. Lautaro - 06. Vienen Los Pajaros
duration 58:51 minutes
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Mikis Theodorakis - Canto General 1 Full Album - YOUTUBE ...
and / or ...
Mikis Theodorakis - Canto General 2 Full Album
01. Sandino - 02. Neruda Requiem Eternam - 03. United Fruit - 04. Vegetaciones - 05. Amor America - 06. Emiliano Zapata - 07. America Insurecta
duration 45:11 minutes
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Mikis Theodorakis - Canto General 2 Full Album - YOUTUBE ...
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L'edizione argentina del Canto General: Buenos Aires, Editorial Losada, 1950.
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La versione italiana integrale di Cristina Martin
Full Italian translation by Cristina Martin
Traduction intégrale en italien de Cristina Martin
Traducción integral italiana de Cristina Martin
Πλήρες ιταλικἠ μετάφραση της Κριστίνα Μαρτέν
Plena itala traduko de Maria Cristina Martin
Cristina Martin.
Cristina Martin, amica personale di Gian Piero Testa e traduttrice dal castigliano, ha eseguito questa traduzione integrale del Canto General di Pablo Neruda appositamente per Canzoni Contro la Guerra. Tutto lo staff delle CCG la ringrazia veramente di cuore, anche perché non dev'essere stata una fatica indifferente. [CCG/AWS Staff]
1. Alcune bestie
Era il crepuscolo dell’iguana
Dall’iridescente cresta
la sua lingua come un dardo
sprofondava nel verde,
il monacale formichiere pestava
con melodioso piede la selva,
il guanaco leggero come l’ossigeno
nelle vaste oscure alture
andava calzando stivali d’oro,
mentre il lama apriva candidi
occhi sulla soavità
del mondo pieno di rugiada.
Le scimmie intrecciavano un filo
interminabilmente erotico
sul ciglio dell’aurora,
abbattendo muri di polline
e spaventando il volo violetto
delle farfalle di Muzo.
Era la notte dei caimani,
la notte pura e pullulante
di musi uscenti dal fango,
e dalle paludi sonnolente
un rumore sordo di armature
ritornava all’origine della terra.
Il giaguaro sfiorava le foglie
con la sua assenza fosforescente,
il puma corre nelle fronde
come il fuoco divoratore
mentre in lui ardono gli occhi
spiritati della selva.
I tassi grattano il fondo
del fiume, fiutano il nido
la cui delizia palpitante
attaccheranno con denti rossi.
E nel fondo dell’acqua grande,
come la circonferenza della terra,
sta il gigantesco anaconda
coperto di fanghi rituali,
divoratore e religioso.
2. Vivrò
Io non vado a morire. Esco
ora, in questo giorno pieno di vulcani
verso la moltitudine, verso la vita.
Qui lascio sistemate queste cose
Oggi che i pistoleri passeggiano
Con la “cultura occidentale” nelle braccia,
con le mani che uccidono in Spagna
e le forche che oscillano ad Atene
e il disonore che governa in Cile
e smetto di enumerare.
3. I Liberatori
Qui viene l’albero, l’albero
della tormenta, l’albero del popolo.
Dalla terra si alzano i suoi eroi
come le foglie per la linfa,
e il vento sbatte il fogliame
di rumorosa moltitudine,
finché cade il seme
del pane un’altra volta alla terra.
Qui viene l’albero, l’albero
nutrito dai morti spogliati,
morti frustati e feriti,
morti dai volti impossibili,
impalati sopra una lancia,
fatti a pezzi nel rogo,
decapitati dall’ascia,
squartati dai cavalli,
crocefissi in chiesa.
Qui viene l’albero, l’albero
le cui radici sono vive,
estrasse salnitro dal martirio,
le sue radici si nutrirono di sangue
e strappò lacrime dal suolo:
le innalzò per i suoi rami,
le distribuì nella sua architettura.
Furono fiori invisibili,
a volte fiori sotterrati
altre volte illuminarono
i loro petali, come pianeti.
E l’uomo raccolse nei rami
Le chiocciole indurite,
le consegnò di mano in mano
come magnolie o melograni
e d’un tratto aprirono la terra
e crebbero fino alle stelle.
Questo è l’albero, l’albero dei liberi.
L’albero terra, l’albero nube,
L’albero pane, l’albero freccia,
l’albero pugno, l’albero fuoco.
Lo sommerge l’acqua tormentosa
della nostra epoca notturna,
però il suo tronco diritto bilancia
il cerchio del suo dominio.
Altre volte, di nuovo cadono
i rami spezzati dalla collera
e una cenere minacciosa
copre la sua antica maestà:
così avvenne da altri tempi,
così venne fuori dall’agonia
finché una mano segreta,
e delle braccia innumerevoli,
il popolo custodì i frammenti,
nascose tronchi immutabili,
e le sue labbra erano le foglie
dell’immenso albero diviso,
disseminato per ogni parte,
che cammina con le sue radici.
Questo è l’albero, l’albero
del popolo, di tutti i popoli
della libertà, della lotta.
Sporgiti dalla sua chioma:
tocca i suoi raggi rinnovati:
affonda la mano nella sua fabbrica
da cui il suo frutto palpitante
propaga ogni giorno la sua luce.
Solleva questa terra nelle tue mani,
partecipa di questo splendore,
prendi il tuo pane e la tua mela,
il tuo cuore e il tuo cavallo
e monta la guardia alla frontiera
al limitar delle sue foglie.
Difendi il confine delle sue corolle,
condividi le notti ostili,
vigila il ciclo dell’aurora,
respira la sommità stellata,
sostenendo l’albero, l’albero
che cresce nel mezzo della terra.
Qui resto con parole e popoli e cammini
Che mi aspettano di nuovo e che battono
Con mani stellate alla mia porta.
4. Al mio partito
Mi hai dato la fraternità verso colui che non conosco.
Mi hai unito la forza di tutti coloro che vivono.
Mi hai ridato la patria come in una nascita.
Mi hai dato la libertà che non ha il solitario.
Mi insegnasti ad accendere la bontà come il fuoco.
Mi desti la rettitudine che necessita all’albero.
Mi insegnasti a vedere l’unità e la differenza fra gli uomini.
Mi mostrasti come il dolore di un essere è morto nella vittoria di tutti.
Mi insegnasti a dormire nei letti duri dei miei fratelli.
Mi facesti costruire sopra la realtà come sopra una rupe.
Mi facesti nemico del malvagio e barriera al frenetico.
Mi hai fatto vedere la chiarezza del mondo e la possibilità di allegria.
Mi hai reso indistruttibile perché con te non finisco in me stesso.
5. Lautaro
Lautaro. Su nombre original,Leftraru, significa "Caracara veloz" en el idioma Mapuche.
Lautaro era una freccia sottile.
Elastico e azzurro fu nostro padre.
Fu la sua prima età solo silenzio.
La sua adolescenza fu dominio.
La sua gioventù fu un vento diretto.
Si preparò come una lunga lancia.
Abituò i piedi nelle cascate.
Educò la testa nelle spine.
Eseguì le prove del guanaco.
Visse nei ricetti delle nevi.
Spiò i pasti dell’aquila.
Raggranellò i segreti della roccia.
Trattenne i petali del fuoco.
Si nutrì di fredda primavera.
Si bruciò nelle gole infernali.
Fu cacciatore fra gli uccelli crudeli.
Le sue mani si tinsero di vittorie.
Lesse le aggressioni della notte.
Sostenne il rovinare dello zolfo.
Si fece velocità, luce improvvisa.
Assunse le lentezze dell’autunno.
Lavorò nei recessi invisibili.
Dormì nelle lenzuola del ghiacciaio.
Uguagliò la condotta delle frecce.
Bevve il sangue agreste nei sentieri.
Strappò il tesoro delle onde.
Si fece minaccia come un dio ombroso.
Mangiò in ogni cucina del villaggio.
Apprese l’alfabeto del lampo.
Fiutò le ceneri sparse.
Avvolse il cuore con pelli nere.
Decifrò il filo a spirale del fumo.
Si costruì con fibre taciturne.
Si oliò come l’anima dell’oliva.
Si fece cristallo di dura trasparenza.
Studiò da vento di uragano.
Si combattè fino a placare il sangue.
Solo allora fu degno del suo popolo.
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==
6. Vengono gli uccelli
Tutto era volo nella nostra terra.
Come gocce di sangue e piume
i cardinali dissanguavano l’albeggiare di Anahuac.
Il tucano era un adorabile
cassa di frutta verniciata,
il colibrì custodì le scintille
originarie del lampo
e i suoi minuscoli roghi
ardevano nell’aere immobile.
Gli illustri pappagalli affollavano
le profondità del fogliame
come lingotti d’oro verde
appena usciti dall'impasto
delle paludi sommerse
e dai loro occhi tondi
scrutava un anello giallo,
vecchio come i minerali.
Tutte le aquile del cielo
nutrivano la loro prole sanguinaria
nell’azzurro inabitato,
e sopra le piume carnivore
volava sopra il mondo
il condor delle Ande, re assassino,
frate solitario del cielo,
talismano nero della neve,
uragano della falconeria.
L’ingegneria del fornaio rosso
faceva dell’argilla fragrante
piccoli teatri sonori
dove appariva cantando.
Il pauraque andava
emettendo il suo grido inumidito
al bordo dei cenoti.
La paloma araucana
costruiva rudi nidi di sterpaglia
dove lasciava il real regalo
delle sue uova turchine.
La loica del sud, fragrante,
dolce falegname dell’autunno,
mostrava il suo petto costellato
di stelle scarlatte,
e lo zigolo australe elevava
il suo flauto appena raccolto
dall’eternità dell’acqua.
In più, umido come una ninfea,
il fenicottero andino apriva le sue porte
di rosea cattedrale,
e volava come l’aurora,
lontano dal bosco afoso
dove pendono le gemme
del quetzal splendido, che all’improvviso si sveglia,
si muove, scivola e sfavilla
e fa volare la sua brace pura.
Vola una montagna marina
verso le isole, una luna
di uccelli che vanno verso il Sud,
sopra le isole fermentate del Perù.
E’ un fiume vivo d’ombra,
è una cometa di piccoli
infiniti cuori
che oscurano il sole del mondo
come una stella dalla densa coda
che palpita verso l’arcipelago.
E al limite dell’iracondo mare,
nella pioggia dell’oceano
s’innalzano le ali dell’albatros
come due sistemi di sale
che stabiliscono nel silenzio
tra le raffiche torrenziali,
con la loro spaziosa gerarchia
l’ordine delle solitudini
7. Sandino
Fu quando nella nostra terra
si seppellirono
le croci, si sprecarono
senza valore, professionali.
Arrivò il dollaro dai denti aggressivi
a addentare il territorio
nella gola pastorale dell’America.
Afferrò Panama con fauci crudeli,
affondò nella terra fresca i suoi canini,
sguazzò nel fango, whisky, sangue
e giurò un Presidente con levita:
“Sia con noi la corruzione quotidiana.”
Dopo arrivò l’acciaio
E il canale divise le dimore
qui i padroni, là la servitù.
Corsero verso il Nicaragua.
Scesero vestiti di bianco,
tirando dollari e colpi.
Però li sorse un capitano
Che disse: “no, qui non poni
le tue concessioni, la tua bottiglia.”
Gli promisero un ritratto
da Presidente, con guanti,
fascia a tracolla e scarpette
di vernice appena comprate.
Sandino si tolse gli stivali,
si immerse nelle tremule paludi,
si mise a tracolla la fascia bagnata
della libertà nella selva
e, colpo su colpo, rispose
ai “civilizzatori”.
La furia nordamericana
fu indicibile: documentati
ambasciatori convinsero
il mondo che il Nicaragua era
il loro amore, che una buona volta
l’ordine doveva giungere
alle sue viscere sonnolente.
Sandino impiccò gli intrusi.
Gli eroi di Wall Steet
furono inghiottiti dalla palude
un lampo li uccideva,
più di un machete li inseguiva,
una corda li svegliava
come un serpente nella notte,
e pendendo da un albero erano
trascinati lentamente
da coleotteri azzurri
rampicanti divoratori.
Sandino stava nel silenzio
Nella piazza del Popolo,
dappertutto stava Sandino,
uccidendo nordamericani,
giustiziando invasori.
E quando venne l’aviazione,
l’offensiva degli eserciti
corazzati, l’incisione
di potenze schiaccianti,
Sandino, con i suoi guerriglieri,
come uno spettro della foresta,
era un albero che si attorcigliava,
o una tartaruga che dormiva,
o un fiume che scorreva.
Però albero, tartaruga, corrente
furono la morte vendicatrice,
furono i sistemi della selva,
mortali sintomi di ragno.
(nel 1948
un guerrigliero
della Grecia, colonna di Sparta
fu l’urna di luce attaccata
dai mercenari del dollaro.
Dalle montagne gettò fuoco
sopra le piovre di Chicago,
e come Sandino, il valoroso,
del Nicaragua, fu chiamato
“bandito delle montagne”.)
Però quando fuoco, sangue
e dollaro non riuscirono a distruggere
la superba torre di Sandino,
i guerriglieri di Wall Street
fecero la pace, invitarono
a celebrarla il guerrigliero,
e un traditore appena assoldato
gli sparò con il fucile.
Si chiama Somoza. Fino a ancora oggi
sta regnando in Nicaragua:
i trenta dollari crebbero
e aumentarono nella sua pancia.
Questa è la storia di Sandino
Capitano condottiero del Nicaragua,
incarnazione straziante
della nostra arena tradita,
divisa e aggredita,
martirizzata e saccheggiata.
8. Neruda requiem æternam
8. Neruda requiem æternam
Lacrimæ per i viventi
America schiavizzata
schiavi di tutti i popoli
lacrimosa
tu fosti l’ultimo sole
ora dominano gli gnomi
la terra
è orfana
NERUDA REQUIEM ÆTERNAM
9. La United Fruit Co.
Quando suonò la tromba, era
tutto preparato sulla terra
e Jehova distribuì il mondo
a Coca Cola Inc., Anaconda,
Ford Motors e altre entità:
la Compagnia della Frutta Inc.
si riservò la parte più succulenta
la costa centrale della mia terra
la vita soave dell’America.
Battezzò nuovamente le sue terre
come “Repubblica delle Banane”
e sopra i morti addormentati,
sopra gli eroi inquieti
che conquistarono la grandezza,
la libertà e le bandiere
instaurò l’opera buffa:
alienò il libero arbitrio
regalò corone di Cesare,
sguainò l’invidia, attrasse
la dittatura delle mosche,
mosche Trujillos, mosche Tachos,
mosche Carìas, mosche Martinez,
mosche Ubico, mosche umide
di sangue umile e marmellata,
mosche da circo, mosche sapienti
esperte in tirannia.
Tra le mosche sanguinarie
la Compagnia della Frutta sbarca
trascinando il caffè e la frutta
nelle sue barche che come vassoi
fecero scivolare il tesoro
delle nostre terre sommerse.
Nel frattempo, negli abissi
zuccherati dei porti,
cadevano indios sepolti
nel vapore del mattino:
un corpo ruota, una cosa
senza nome, un numero caduto,
un grappolo di frutta morta
versata nel marcitoio.
10. Vegetazioni
Sulle terre senza nomi e senza
numeri
scendeva il vento da altri
domini,
portava la pioggia fili celesti,
e il dio degli altari impregnati
restituiva i fiori e le vite.
Nella fertilità cresceva il tempo.
La jacaranda innalzava schiuma
fatta di bagliori oltremarini,
l’araucaria dalle lance erette
era la grandezza contro la neve,
il primordiale albero del mogano
dalla sua chioma distillava sangue,
e al Sud dei cipressi di Patagonia,
l’albero tuono, l’albero rosso,
l’albero della spina, l’albero madre,
il ceibo vermiglio, l’albero caucciù,
erano volume terreno, suono
erano territoriali esistenze.
Un nuovo aroma diffuso
riempiva, attraverso gli interstizi
della terra, le respirazioni
trasformate in fumo e in fragranza:
il tabacco silvestre innalzava
il suo roseto di aria immaginaria.
Come una lancia culminante in fuoco
apparve il mais, e la sua statura
si sgranò e nacque nuovamente,
disseminò la sua farina, tenne
i morti sotto le sue radici,
e poi, nella sua cuna, vide
crescere gli dei vegetali.
Ruga ed estensione, disseminava
la semenza del vento
sopra le piume della cordigliera,
spessa luce di germogli e piccioli,
aurora cieca allattata
dagli unguenti terreni
dell’implacabile latitudine piovosa,
delle cisterne mattutine.
E ancora nelle pianure
come lamine del pianeta,
sotto un fresco popolo di stelle,
re dell’erba, il bambù tratteneva
l’aria libera, il volo rumoroso
e cavalcava la pampa assoggettandola
con la sua cavezza di redini e radici.
America albereto,
rovo selvatico tra i mari,
da un polo all’altro dondolavi,
tesoro verde, la tua folta boscaglia.
Germogliava la notte
in città di cascara sagrada,
in legni sonori,
vaste foglie che coprivano
la pietra germinale, le nascite.
Utero verde, americana
savana germinale, vasta cantina,
un ramo nacque come un’isola,
una foglia prese la forma della spada,
un fiore fu folgore e medusa,
un grappolo rese tondi i suoi succhi
una radice discese nelle tenebre.
11. Amor America
Prima della parrucca e della casacca
furono i fiumi, fiumi arteriali,
furono le cordigliere, sulla cui onda
consumata
il condor e la neve apparivano
immobili:
fu l’umidità e la fitta boscaglia
il tuono
ancora senza nome, la pampa planetaria.
L’uomo fu terra, vaso, palpebra
del fango tremula, forma dell’argilla,
fu cantaro caraibico, pietra chibcha,
coppa imperiale o silice araucana.
Tenero e sanguinario fu, ma
nell’impugnatura
della sua arma di cristallo inumidito,
le iniziali della terra erano
iscritte.
Nessun poté
ricordarle dopo: il vento
le obliò, la lingua dell’acqua
fu sepolta, si persero le chiavi
o s’inondarono di silenzio e sangue.
Non si perse la vita, fratelli
pastorali
Ma come una rosa selvatica,
cadde una goccia rossa nella macchia
e si spense una lampada di terra.
Io sono qui per raccontar la storia.
Dalla pace del bufalo
Fino alle sferzate spiagge
della terra finale, nelle spume
accumulate della luce antartica,
e nei covi disillusi dell’oscura pace venezuelana,
ti cercai, padre mio,
giovane guerriero di tenebra e rame
o tu, pianta nuziale, chioma
indomabile,
madre caimano, metallica colomba.
Io incaico dell’argilla,
toccai la pietra e dissi:
chi mi aspetta? E strinsi la mano
sopra un di cristallo vuoto.
Ma camminai tra fiori zapotechi
E dolce era la luce come un cervo
E l’ombra era come una verde palpebra.
Terra mia senza nome, senza America,
stame equinoziale, lancia di
porpora,
il tuo aroma mi salì dalle radici
fino alla coppa che bevevo, fino alla più
sottile
parola non ancor nata dalla mia bocca.
12. Emiliano Zapata
Quando aumentarono i dolori
sulla terra e i roveti desolati
furono l’eredità dei contadini,
e, come un tempo, le rapaci
barbe cerimoniali e le sferze
allora fiore e fuoco galoppante.
«Come ubriaca me ne vado
verso la capitale…»
si impennò nell’alba fugace
la terra scossa da coltelli,
il bracciante dai sui tristi covi
Cadde come pannocchia di granata
Sopra la solitudine vertiginosa.
«A chiedere al padrone
Che mi mandò a chiamare»
Zapata allora fu terra e aurora
La moltitudine della sua semenza armata
In un attacco di acque e frontiere
La ferrea sorgente di Coahuila,
Le sideree pietre di Sonora:
Tutto venne al suo passo anticipatore
Alla sua agraria tempesta di ferrature
« Chi se ne va via dal rancho
Più presto tornerà»
Ripartisci il pane, la terra:
Ti accompagno.
Io rinuncio alle mie palpebre celesti.
Io, Zapata, e vado con la rugiada
Delle cavalcate mattutine,
In uno sparo dai fichi d’India
Fino alle case dalle pareti rosate.
«….Nastrini per i tuoi capelli
Non piangere per il tuo Pancho»
La luna dorme sopra i finimenti.
La morte ammucchiata e sparsa
Giace con i soldati di Zapata
Il sonno nasconde sotto i baluardi
Della pesante notte il suo destino,
Il suo cupo lenzuolo incubatore.
Il falò condensa l’aria insonne:
Grasso, sudore e polvere notturna
«...Come ubriaca me ne vado
Per dimenticarti»
Chiediamo patria per l’umiliato.
Il tuo coltello divide il patrimonio
E spari e destrieri spaventano
I castighi, la barba del boia.
La terra si spartisce con un fucile.
Non aspettare contadino polveroso,
Dopo il tuo sudore, la luce completa
E il cielo suddiviso nelle tue ginocchia.
Alzati e galoppa con Zapata.
«..Io la volli portare
Disse di no»
Messico, scontrosa agricoltura, amata
terra fra gli oscuri suddivisa:
dalle spade del mais uscirono
al sole i tuoi centurioni sudati.
Dalla neve del Sud vengo a cantarti
e riempirmi di polvere e aratri.
«...che se dovrà piangere
perché tornare…»
=
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Nostra terra, vasta terra,
solitudini,
si popolò di voci, braccia, bocche.
Una silenziosa sillaba ardeva
Aggregando la rosa clandestina,
fino a che le praterie trepidarono
coperte di metalli e di galoppi
Fu dura la verità come un aratro
Spezzò la terra, stabilì il desiderio,
affondò le sue propagande germinali
e nacque nella segreta primavera.
Fu ridotto al silenzio il suo fiore, fu rifiutata
la sua riunione di luce, fu combattuto
il lievito collettivo, il bacio
delle bandiere nascoste,
però si sollevò abbattendo le pareti
allontanando le carceri dal suolo.
Il popolo oscuro fu il suo calice,
ricevette la sostanza rifiutata,
la propagò nei limiti marini,
la pestò in mortai indomabili.
E uscì con le pagine ammaccate
e con la primavera sul cammino.
Ora di ieri, ora di mezzogiorno,
ora di oggi ancora, ora attesa
tra il minuto morto e quello che nasce,
nella irta età della menzogna.
Patria, nascesti dai taglialegna,
da figli senza battesimo, da falegnami,
da coloro che dettero come un uccello
strano
una goccia di sangue volante,
e oggi nascerai di nuovo duramente
da dove il traditore e il carceriere
ti credono per sempre seppellita.
Oggi nascerai dal popolo come allora.
Oggi uscirai dal carbone e dalla rugiada.
Oggi arriverai a scuotere le porte
con mani maltrattate, con pezzi
di anima sopravvissuta, con grappoli
di sguardi che la morte non estinse,
con attrezzi scontrosi
armati sotto gli stracci.
inviata da CCG - Ελληνικό Τμήμα - 8/4/2011 - 00:53
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Il Canto General di Neruda e Theodorakis
Di Gian Piero Testa
Mikis Theodorakis, che è buon poeta egli stesso, ne ha incontrati tanti di poeti nel corso della sua vita. Cosa ben strana per un musicista, è stato sempre convinto che prima venga la parola. Da ragazzino componeva talora sulle liriche di Palamàs e di Karyotakis. Ma dopo l'incontro con la poesia di Yannis Ritsos, la sua musica ha sempre preso le mosse da un poeta. In questo sito il nome di Mikis è sempre associato a quello di un poeta vero, spesso di un grande poeta. Ritsos, Elytis, Seferis, Lorca, Gatsos, Varnalis, Anagnostakis...: la lista è lunga e significativa. In Grecia il consorzio di poesia e musica fondato da Theodorakis fece scuola, ed è, anzi, il tratto più significativo della musica popolare d'arte, la cui stagione gloriosa non è ancora interamente morta.
Theodorakis incontrò anche il grande cileno Pablo Neruda, nel 1971. Grazie a quell'incontro parigino tra l'esule greco, che aveva appena lasciato una patria incatenata dal colonnello Papadopoulos, e l'ambasciatore cileno in Francia, Pablo Neruda, il cui paese, pieno di speranze per il nuovo corso impresso dalla vittoria di Salvador Allende, stava andando verso la dittatura del generale Pinochet, nacque, da una grande opera poetica, un'insigne composizione musicale. Non poteva non accadere un simile incontro. C'erano troppe cose in comune nelle esperienze artistiche e umane dei due, che solo la differenza anagrafica, e dunque una parte dei rispettivi quadri storici, rendeva distanti. C'era Lorca, c'era il comunismo, c'era lo slancio per la vita, la simbiosi con gli ultimi e i calpestati, c'erano le guerre civili, c'erano l'antifascismo, c'erano le peripezie dell'esilio. C'erano i loro due paesi amati e infelici, divergenti solo nella speranza. Della vicenda di Theodorakis, in questo sito si torna a parlare frequentemente e alle note già esistenti rimandiamo. Di quella di Neruda vale la pena di dire qualcosa, per quanto il poeta sia assai amato e conosciuto nel mondo, Italia compresa.
Per molti questa nota, che affastella dati tratti da wikipedia in spagnolo, dal sito della Biblioteca Virtual Miguel Cervantes, e da qualche altro girovagare nel web, risulterà inutile o insufficiente. Per altri valga come una piccola comodità.
Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto (Parral, Cile, 12 luglio 1904 – Santiago de Chile, 23 settembre 1973), universalmente noto con lo pseudonimo di Pablo Neruda, adottato nel 1946 anche come nome legale, è stato uno dei massimi poeti mondiali del XX secolo. Ha avuto il Premio Nobel per la letteratura nel 1971.
Il padre, José de Carmen Reyes, era un contadino trasformatosi in manovale nel porto di Talcahuano e poi in ferroviere a Temuco. La madre, Rosa Basoalto, morì di tisi soltanto un mese dopo la nascita di Ricardo.
La casa natale di Pablo Neruda, a Parral.
La possibilità di percorrere in treno, durante l'infanzia, il suo selvoso pequeño pais fríoaraucano, che era stato scenario di asperrima contesa tra i nativi e i conquistadores, gli consente di venire presto coinvolto da due delle quattro radicali passioni che daranno alimento lavico e fluviale alla sua poesia: quella della natura primigenia del suo continente e quello della storia anteriore alla Conquista. Gli altri due saranno il comunismo e l'eros. Ma lo slancio che lo spinse a provare tutti i territori e le chiavi del vivere: i grandi quadri della storia e della geografia accanto all'amore per le cose minime, come un gatto o una cipolla, lo scavo dentro se stesso accanto alla con-fusione con l'intera umanità, il sentirsi indio araucano e nello stesso tempo spagnolo e nello stesso tempo residente sulla Terra, e il viverli tutti senza mezze misure talora in disperazione, talora in esaltazione (al punto che sulla soglia della vecchiaia, che poi non raggiunse, attestò: "confesso di avere vissuto") fece di lui un poeta tutt'altro che monocorde.
Gabriela Mistral.
Dotato di una nuova e amata madre (lamamadre Trinidad) al posto di quella a lui sconosciuta, Ricardo frequenta brillantemente il Liceo di Temuco e viene precocemente catturato dal demone della scrittura e della poesia: cosa che non garba per niente al padre. E' all'incirca sedicenne quando ha la ventura di conoscere, per essersi piazzato onorevolmente nel concorso letterario nazionale Juegos Floreales, la poetessa cilena Gabriela Mistral (1889- 1957), futuro premio Nobel 1945, che coglie in lui la buona vena e gli svela le grandi letterature, quella russa soprattutto. E come già aveva fatto la sua illustre guida che, vinto anni addietro lo stesso premio, aveva adottato lo pseudonimo con cui è immortale, anche Ricardo adotta il suo, per potere pubblicare versi senza suscitare le ire di papà José. Ma mentre la poetessa aveva ricavato il suo nuovo nome da due affermati poeti, Gabriele d'Annunzio e Frédéric Mistral, il ragazzo sceglie quello di un oscuro narratore boemo, Jan Neruda, un racconto del quale lo aveva fortemente impressionato.Continua gli studi a Santiago, frequentando l'Istituto Pedagogico dell'Università del Cile e nello stesso periodo esce vincitore da una seconda partecipazione al Premio Juegos Floreales, con la poesia Cancion de fiesta. Di lì a poco dà alle stampe la prima raccolta poetica, Crepusculario (1923), che attira l'attenzione della critica e del mondo letterario; mentre l'anno successivo i Veinte poemas de amor y una canción desesperada lo introducono definitivamente nel pantheon poetico cileno. Altre pubblicazioni e gli studi compiuti permettono al giovane Neruda di entrare in diplomazia, secondo il buon uso della repubblica cilena di allora, di farsi rappresentare all'estero da persone di cultura rispettabile: uso di cui beneficiava anche Gabriela Mistral la quale, grazie agli incarichi consolari, poté visitare numerosi paesi del mondo, tra i quali l'Italia e la Grecia, e conoscere le loro culture.
Nel 1927 Neruda è console a Rangoon in Birmania e di lì intrattiene importanti rapporti epistolari con lo scrittore argentino Ettore Eandi (1895 - 1965). Poi la carriera si sviluppa con frequenti cambiamenti di luogo, che danno come frutto poetico una raccolta dal titolo assai significativo: Residencia en la tierra. Troviamo Neruda, sposato con Maria Antonieta ("Maruca") e padre di una sfortunata bambina ammalata, a Ceylon, a Giava, a Singapore, a Buenos Aires (dove incontra Federico García Lorca), a Barcellona, (dove incontra Rafael Alberti), e a Madrid, dove si mescola alle correnti artistiche del surrealismo, ma dove anche lo coglie la guerra civile scoppiata per il putsch di Francisco Franco e degli altri generali fascisti di stanza nel Marocco spagnolo. A Madrid lo raggiunge la sconvolgente notizia dell'assassinio, a Viznar, dell'amico poeta Federico García Lorca, fatto che contribuisce a spingere Neruda a prendere aperta posizione per la causa dei repubblicani e a comporre, dapprima a Madrid e poi a Parigi, la famosa raccoltaEspaña en el corazón (1937), esplicitamente intesa a sostenere la lotta dei rojos. La Spagna e la sua guerra civile rappresentano una svolta decisiva: gli umori surrealistici, che di per sé prorompevano da un'ansia di rinnovamento totale, si sposano con la rivelazione diretta dell'ingiustizia che domina il mondo e di quanto sangue dei poveri e degli umiliati siano disposte a versare le classi e le nazioni potenti per perpetuarla. Il poeta, sceso a Madrid "en la calle", come Rafael Alberti, nella strada continua a sentirsi anche dopo il ritorno in patria. E nella veste, che non ha abbandonato, di diplomatico ormai orientato politicamente e socialmente per il riscatto degli ultimi e degli sconfitti, molto opportunamente viene incaricato dal presidente Aguirre Cerda di realizzare il progetto, da lui stesso caldeggiato, di trasferire in Cile duemilacinquecento spagnoli riparati in Francia dopo la caduta della Repubblica e là rinchiusi in campi di concentramento in condizioni miserevoli. Un'impresa che il poeta considerava la sua opera migliore, pur riconoscendo l'aiuto decisivo del ministro Abraham Ortega: "che la critica cancelli tutta la mia poesia, se così le pare, ma questo poema, che oggi affido alla memoria, non potrà cancellarlo nessuno", scrisse salpando dal porticciolo francese di Trompeloup alla volta di Valparaíso il 4 agosto 1939 con duemiladuecento laceri repubblicani per attraversare due oceani su di un barcone - per usare un termine oggi in voga - riadattato a "nave", la "Winnipeg".
[Tra i "salvati", sbarcati dopo circa un mese di navigazione, c'erano anche tre ex combattenti dell 'E.P.R. (Esercito Popolare Repubblicano) i cui nipoti fondarono poi il gruppo rock italiano E.R.P. (Exit Refugium Peccatorum), che dedicò a quei nonni valorosi e a tutti i combattenti repubblicani le canzoni "C.N.T." (Confederación Nacional del Trabajo) e "F.A.I." (Federación Anarquista Ibérica )].
Ha messo intanto mano, sin dal 1938, a un Canto General de Chile, che tuttavia, dopo la nomina a Console generale in Messico, poco prima dello scoppio della guerra mondiale, riscrive ed amplia, in modo che la visione si allarghi all'intera America, a partire da un primo nucleo, Las alturas de Macchu Picchu, visitate di persona nel 1945, che è uno degli episodi più alti della poesia in castigliano di ogni tempo. L'opera, che il poeta considera il culmine del suo sforzo espressivo, e che verrà continuamente ripresa e ampliata, fino alla pubblicazione avvenuta nel 1950 a Città del Messico, prende lentamente la forma di un'imponente costruzione o, se si vuole, di una immensa pittura murale in versione verbale, di quelle che negli stessi anni impegnavano i grandi pittori messicani, i Siqueiros, gli Orozco, i Rivera, dalle quali tutta l'America nativa grida il suo desiderio di riscatto, la sua accusa contro l'espropriazione e la devastazione dei popoli, della natura e della cultura perpetrate dall'avidità degli europei e dei loro epigoni nordamericani. Nel 1943 Neruda , che dal Messico ha seguito con apprensione l'andamento della guerra paventando la replica su scala mondiale della tragedia spagnola appena sofferta, e che ha "tifato" per l'Unione Sovietica, la quale di Stalingrado ha fatto la Madrid dei popoli del mondo, versandovi oceani di sangue, ma che anche, persa la figlioletta uccisa dall'idrocefalia, ha tentato un divorzio da "Maruca", non riconosciuto dalle autorità del suo paese, per sposare Delia de Carril (la "Hormiguita"), rientra in patria.
Le idee sociali e antifasciste ormai consolidate, la consapevolezza dello stato di soggezione economica e politica in cui versano le popolazioni dell'America centro-meridionale, l'eco dell'eroica lotta condotta dai popoli sovietici guidati da Giuseppe Stalin per schiacciare il mostro nazista, lo indirizzano, nel 1945, a iscriversi al Partito Comunista, nel quale peraltro non avrà vita facile per la rivalità di altri intellettuali suoi compagni di fede, come i poeti Vicente Huidobro e Pablo de Rocha, anche se immediatamente consegue un seggio di senatore. Nel 1946, alle elezioni presidenziali, una coalizione di centro-sinistra, l'Alleanza Democratica, che comprende anche i comunisti, porta al vertice della Repubblica Gabriel Gonzáles Videla, con il quale Neruda è disposto a collaborare, avendo costui in programma obiettivi di riforma agraria. Ma sono gli anni in cui anche nell'America Latina soffiano gelidi i venti della guerra fredda; e Videla coglie l'occasione di uno sciopero dei minatori, che fa reprimere con brutale ferocia, per mettere in difficoltà i comunisti e liberarsi di loro. Neruda attacca il presidente senza mezzi termini dai banchi del Senato con un j'accuse che implica la rottura totale, politica e personale. Di lì a poco - siamo nel settembre 1948 - Videla fa mettere fuori legge il Partito Comunista.
[Nota: Si noti che il dittatore cileno reca lo stesso cognome dell'omologo argentino che fece parte della "junta" golpista del 1976. Esistono cognomi da dittatori? [RV]]
Nei mesi seguenti il poeta diventa la testa d'ariete dell'opposizione a Videla, che attacca a testa bassa con tutti gli strumenti di cui dispone: la tribuna di senatore, i giornali nazionali e stranieri, l'autorevolezza di poeta ormai laureato e di fama internazionale. Svela gli ambigui trascorsi di Videla ambasciatore a Parigi durante l'occupazione tedesca, le mene di sua moglie per occultare la propria origine ebraica mentre gli Ebrei francesi senza appoggi altolocati venivano avviati ai campi, la svendita della ricchezza nazionale ai capitalisti nordamericani, le politica matrimoniale della famiglia presidenziale per imparentarsi con le oligarchie sudamericane. Tanto insiste contro Videla, che ha insegnato ai Cileni a chiamare col nomignolo di rata, che, accusando il colpo di un articolo pubblicato in Venezuela sulla crisi democratica del Cile, indicata come campanello d'allarme per tutto il continente, e passato alla storia col nome di Carta íntima para millones de hombres, il Governo ottiene dal Tribunale la revoca dell'immunità al senatore fastidioso e la sua messa in stato di accusa per "la denigrazione del Cile all'estero e per le calunnie al presidente della Repubblica". Ritenendosi inseguito da mandato di cattura, nell'ottobre del 1949 Neruda dapprima si nasconde qua e là nel proprio paese e poi, appena gli riesce, con pericolo attraversa a cavallo le Ande al passo di Lipela per riparare in Argentina. Da lì raggiunge Parigi nell'aprile del 1950, si collega a Pablo Picasso e visita assiduamente le repubbliche "popolari" dell'Est europeo e l'URSS, partecipa intensamente al Movimento dei partigiani della pace, di ispirazione sovietica, ma visita anche l'Italia e altri paesi del campo occidentale. In Italia la poetessa Sibilla Aleramo traduce, tra alte grida democristiane, da quel Que despierte el Leñador ("Si desti il Taglialegna", che poi sarebbe Lincoln e lo spirito democratico del Nordamerica), che a Varsavia ha procurato all'autore (e a Picasso e Paul Robeson) il Premio Internazionale della Pace, proprio i famigerati versi di sperticata lode al tiranno sovietico e ai suoi terribili complici, Molotov, Vorošilov & Co. : En tres habitaciones del viejo Kremlín/ vive un hombre llamado José Stalìn...".
[Io, gpt che scrivo, aggiungo e confesso di avere amato a sangue questa sezione del Canto General e ancor oggi, rileggendolo un po' nel testo a fronte e un po' nella traduzione di Salvatore Quasimodo (edizioni Einaudi e illustrazioni di Renato Guttuso, di quando il mondo e la storia giravano senza disseminare dubbi...), lo ritrovo in tutto il suo valore di buona poesia e di ottima retorica, tale da non essere inficiato dalla pur deprimente fantasticheria del poeta sulla gran bontà del mondo sovietizzato e della sua raggiunta capacità di risposta atomica a un attacco imperialista: sensazioni squisitamente personali, ovviamente, cui non chiamo anima viva a partecipare].
L'esilio - che lo porta anche a Napoli e a Capri in compagnia di Matilde Urrutia, nuova compagna che sposerà nel 1966, dopo la separazione (1955) dalla moglie illegittima, la "Hormiguita", e la morte di quella legittima, "Maruca" Reyes - continua fino al 1952, quando gli viene formalmente notificata l'inesistenza di mandati d'arresto a suo carico. Nel 1951 il governo italiano aveva tentato di espellerlo come indesiderabile: ma il tentativo era fallito perché gli intellettuali romani, allertati da Alberto Moravia, Elsa Morante, Carlo Levi e Renato Guttuso fecero un muro umano alla stazione di Termini per impedire ai poliziotti di caricarlo sul treno, e, pur violentemente manganellati dagli "scelbini", ottennero lo scopo. Il rientro in patria, il 12 agosto 1952, è trionfale e da quel momento il poeta riceve onori e riconoscimenti sia dall'Est che dall'Ovest: il Premio Stalin nel 1953, la laurea honoris causa a Oxford (1965), la cooptazione onoraria nell'Accademia Linguistica Cilena (1969), fino al premio Nobel del 1971.
Stoccolma, 1971: Pablo Neruda riceve il Premio Nobel per la letteratura.
La produzione poetica continua ampia e fluente: sono gli anni di Los versos del Capitán (nati a Capri e segnati dal nuovo amore per Matilde), di Las uvas y el viento (con un recidivo elogio di Stalin) e delle bellissime Odas elementales, seguite da una nuova fase sperimentale e intimistica suggellata da Estravagario(1958). E anche continua la militanza politica nel partito comunista cileno, nonostante lo choc del XX Congresso del PCUS. Nel 1969, il partito lo indica come suo candidato alle elezioni presidenziali. L'opportunità di dar vita a una coalizione più ampia con i socialisti, l' Unidad Popular, per la quale egli stesso si impegna con tutte le sue forze, lo fa risolvere per la rinuncia a favore di Salvador Allende, il quale, come è arcinoto, uscì vittorioso dal voto del 1970. Dopo la vittoria, Neruda viene nominato ambasciatore in Francia.
Pablo Neruda assieme a Salvador Allende.
Ed è appunto a Parigi, nel 1971, che il poeta incontra per la prima volta Mikis Theodorakis, sfuggito da poco alla lunga persecuzione dei colonnelli golpisti. Le loro rispettive esperienze di artisti, di combattenti e di esuli si traducono in un naturale impulso alla collaborazione. E' così che, anche con la "benedizione" di Allende, nasce il progetto di musicare alcuni frammenti del vastissimo Canto General. Nel 1973 il lavoro del compositore greco è a buon punto, tanto che si possono fare le prime prove per la sua esecuzione, prevista nello stadio di Santiago. Il poeta è già ammalato; ma non sarà la morte imminente a impedirgli di ascoltare la sua opera reinterpretata da Theodorakis. A troncare il progetto provvedono i generali felloni manovrati dalla Casa Bianca, che non sopporta un altro governo indipendente e popolare negli spazi "manifestamente" assegnatile dal "Destino". L'11 di settembre lo stadio di Santiago viene sequestrato dall'esercito e trasformato in campo di concentramento. Il 19 settembre Neruda viene urgentemente ricoverato in una clinica di Santiago, dove muore il giorno 23 per un cancro alla prostata. La sua casa di Isla Negra viene saccheggiata e i suoi libri dati alle fiamme. L'opera massima del poeta, che si sentì il cantore delle due culture della sua immensa America, e la musica del compositore venuto da una antica terra, piccola e lontana, madre di quella "civiltà occidentale" in nome della quale i loro due Paesi erano stati abbattuti come buoi al macello uno dopo l'altro in ordinata sequenza (1967-1973 la Grecia; 1973 - 1990 il Cile), fu ascoltata la prima volta dai cileni, nello stadio di Santiago affollato dai vivi e dai morti, solo nel 1993. Dirigeva Theodorakis.
Nel frattempo il Canto General era stato eseguito in Grecia (1975) nella versione primitiva e, poi, ampliato con altri sei brani, nella DDR (1981). Impossibile enumerare tutti i luoghi del mondo in cui sono risuonate queste note e questi versi affascinanti. (gpt)
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Le Note di Gian Piero Testa
Più che di semplici note, Gian Piero ha qui compilato un vero e proprio piccolo Reading Companion to the Webpage, per dirla in modo "very British". Contrariamente all'uso di questo sito, per non appesantire la pagina della traduzione con troppi link di rimando, riportiamo tali note nella suddivisione originale e senza "asterischi", come fossero appunto un compagno di lettura. Qua e là sono state integrate dove necessario; le integrazioni appaiono in corsivo. (CCG/AWS Staff)
1. Alcune bestie
- Iguana (Iguana iguana). Il nome le deriva dal taìno iwana. Particolarmente ghiotta di fiori di ibisco rosso e di foglioline di basilico. Altre speci di iguanidi recano i suggestivi nomi di "Iguana delicatissima" e "Iguana meditans". (Cfr. anche questa pagina Google)
- Formichiere gigante (Myrmecophaga tridactyla). Chi conosce almeno un po' il greco ha nel suo nome scientifico tutte le informazioni salienti: "mangiaformiche con tre dita". Vive in Sud America e ha abitudini solitarie.
- Guanaco (Lama guanicoe): Camelide simile al lama, diffuso soprattutto in Argentina e Cile. Il guanaco è stato praticamente sterminato a causa della caccia spietata. Si calcola che quando gli europei giunsero in Sudamerica, ne esistessero circa cinquecento milioni di esemplari; adesso ne sopravvivono non più di 600.000 in tutto il continente.
- Scimmie: Le scimmie sudamericane sono Platirrine (dal naso piatto), dalla coda prensile e per lo più arboree.
- Farfalla di Muzo (Morpho cypris): La farfalla azzurra endemica del distretto colombiano di Muzo (Boyacá), conquistato dagli Spagnoli nel 1559 e sfruttato per le sue vene smeraldifere. Sulle farfalle, oggi in pericolo di estinzione, e sugli smeraldi i Muzos avevano elaborato la leggenda della cacicca Furatena.
- Giaguaro (Panthera onca). "Il nome «giaguaro» deriva dal nome attribuito a questo animale dagli indios del Sudamerica: «Yaguar» o «Yaguara» ("colui che uccide con un balzo"); ma in tutta l'area di lingua spagnola in cui vive il giaguaro è chiamato «el tigre». Non si tratta di una tradizione errata come può sembrare: infatti, pur venendo spesso confuso con il leopardo dai non-esperti, il giaguaro per forma e ruolo ecologico è molto più simile alla tigre, tanto da esserne considerato l'equivalente americano." (it:wikipedia)
- Puma (Puma concolor, Felis concolor). Ne esistono differenti specie, ma quella più diffusa è il concolor: l'espressione latina scientifica significa "Felino a tinta unita". Tra i felidi, è quello più probabilmente simile al gatto domestico: non ha stretti parentele con i grandi felini (leone, tigre, giaguaro ecc.) ma è definito, con una punta di scientifica ironia, "il più grande dei piccoli felini".
Una coppia di puma.
- Tasso (spagnolo: tejón): Si tratta probabilmente del procionide detto Coati rosso o Nasua Nasua, diffuso in tutta l'America del Sud.
- Anaconda, o Anaconda Verde (Eunectes murinus): Specie endemica del Sudamerica, è il più grande serpente conosciuto. Nel 1944 ne fu catturato un esemplare in Venezuela, nel fiume Orinoco, che misurava le seguenti rispettabili dimensioni: lunghezza metri 11,44, peso 285 kg, circonferenza metri 1,23. Non è assolutamente velenoso (e a che je servirebbe, er veleno...) ma stritola le sue prede avvolgendosi in pochi secondi attorno ad esse; poi le inghiotte intere. Per digerire una preda di grosse dimensioni (tapiro, capibara...) impiega settimane durante le quali se ne sta praticamente in catalessi. Usualmente sterminato a causa della sua pelle; i serpenti potranno anche non stare simpatici a tutti, ma non è un buon motivo per farne borsette e portafogli. Il suo nome scientifico è un ibrido greco-latino: εὐνἠκτης "buon nuotatore" murinus "che caccia i topi". L'origine del nome "anaconda" sembra essere invece assai curiosa: pur essendo una specie tipica del Sudamerica, gli inglesi le applicarono (probabilmente per errore) il nome di un grosso pitone dello Sri Lanka (all'epoca Ceylon), nell'anno 1768. Il nome potrebbe essere sia un adattamento del cingalese "henacandaya" ("serpente a forma di frusta") o, più probabilmente, del participio tamil "anaikkonda", "che ha ucciso un elefante". Nelle lingue sudamericane "di competenza" ha un nome totalmente differente: "sucuriuba" in tupí, "kuriju" in guaraní, ecc.
5. Lautaro
Lautaro (adattamento spagnolo dal mapuche Lef-traru o Lev-traru, "caracara veloce", Caracara plancus: un falco sudamericano ), (n. Trehuaco, ca. 1534 – Peteroa, 1557) fu un importante capo militare mapuche nella Guerra di Arauco nel corso della prima conquista spagnola. Sconfisse e sterminò le forze del conquistatore Pedro Valdivia, ma cadde successivamente in battaglia.
6. Vengono gli uccelli
Alcuni degli uccelli citati:
Cardinalis cardinalis (Cardinale)
Ramphastos toco (Tucano)
Archilochus colubris (Colibrì)
Geranoætus melanoleucus (Aquila mora, o Aquila Chilena, o Gavilán)
Vultur gryphus (Condor delle Ande)
Furnarius rufus (Fornaio Rosso), simbolo dell'Argentina
Nyctidromus albicollis (Pauraque)
Patagioenas columba araucana (Paloma Araucana)
Sturnella loyca (Loica del Sud)
Zonotrichia capensis (Zigolo Australe, o Chincol)
Me voy por un senderito
semblado de blancos yuyos,
en árboles en capullo,
ya cantan los chincolitos...
(Violeta Parra, La muerte, da Canto para una semilla)
Phoenicopterus andinus (Fenicottero Andino)
Pharomachrus moci(n)no (Quetzal splendente), simbolo del Guatemala
Cephalopetrus Metaphrastes (Gian Piero Testa)
Diffuso esclusivamente nelle regioni montane del Comos y Comascos, Briancia y Llarios.
Di media taglia, ha abitudini notturne e assai singolari; il suo canto è generalmente in lingua greca.
7. Sandino
Augusto César Calderón Sandino, chiamato anche il generale degli uomini liberi (Niquinohomo 1895 – Larreynaga 1934), è stato un rivoluzionario nicaraguense, nonché uno dei conduttori della resistenza rivoluzionaria alla presenza militare statunitense in Nicaragua tra il 1927 e il 1933. Fu un leader della resistenza nicaraguese contro l'esercito d'occupazione degli Stati Uniti e uno dei precursori della guerriglia contro gli eserciti professionali. Dopo la ritirata delle forze armate statunitensi, affrontò la ferrea opposizione del Generale Anastasio Somoza García, detto Tacho, capo della guardia Nacional e nuovo dittatore del paese. Sorpreso a tradimento con i suoi luogotenti generali Francisco Estrada y Juan Pablo Umanzor e catturato dalla Guardia Nacional, fu trucidato il 21 febbraio del 1934 nei pressi di Managua. Nella stessa notte cadeva anche il fratello di Sandino, Sòcrates, colonnello della Sicurezza, durante un attacco dei somozisti alla casa del ministro Salvatierra.
Il guerrigliero greco del 1948 potrebbe essere identificato nel comunista Μάρκος Βαφειάδης (Markos Vafiadis) (1906 - 1992), comandante dell' Esercito Democratico durante la guerra civile greca, e nel 1947 Primo Ministro del Governo Provvisorio delle zone ancora controllate dai ribelli (monti Grammos).
Markos Vafiadis
9. La United Fruit Co.
Alcune delle "mosche":
Rafael Leónidas Trujillo Molina (1891 - 1961) è stato un politico dominicano, dittatore per oltre trent'anni del suo paese, che dominò come un padrone assoluto la scena politica (e soprattutto le finanze) della Repubblica Dominicana. Morì in un attentato dell'opposizione il 30 maggio 1961, a bordo della sua automobile. Bucherellato da oltre 150 colpi.
"Tachito" Somoza e l'amante Dinorah Sampson.
Anastasio Somoza Debayle (1925 –1980) è stato un politico nicaraguense. Presidente dal 1967 al 1979. Come capo della Guardia Nacional, fu in effetti un feroce dittatore del suo paese. Fu l'ultimo membro della famiglia Somoza a diventare Presidente del Nicaragua, chiudendo una dinastia rimasta al potere dal 1936.Era il secondo figlio di Anastasio Somoza García, Presidente del Nicaragua dal 1937, e, di fatto, dittatore. Il giovane Somoza, soprannominato "Tachito" (il padre era detto "Tacho") studiò negli Stati Uniti d'America e si laureò all'Accademia Militare di West Point il 6 giugno, 1946.Dopo l'assassinio di suo padre il 21 settembre 1956, il fratello maggiore, Luis Somoza Debayle, ne prese il posto. Anastasio prese comunque parte al governo. Il 1º maggio 1967, poco prima della morte del fratello, Anastasio Somoza fu eletto presidente per la prima volta. Pare che la famiglia Somoza abbia intascato quasi tutti gli aiuti internazionali del catastrofico terremoto del dicembre 1972 ed effettivamente ancora oggi intere parti di Managua non sono state ricostruite. Nonostante questo, Somoza fu rieletto presidente nelle elezioni del 1974, anche perché dichiarò illegali nuovi partiti d'opposizione. A questo punto, anche la Chiesa cattolica nicaraguense divenne contraria al regime. Uno dei critici più decisi di Somoza fu proprio Ernesto Cardenal, prete e poeta assertore della teologia della liberazione, che sarebbe poi diventato ministro della cultura nel governo sandinista. Alla fine degli anni settanta, le organizzazioni impegnate nel campo dei diritti umani erano unanimi nella condanna del governo Somoza, mentre il Frente Sandinista de Liberación Nacional si faceva sempre più forte e stringeva alleanze anche con altri oppositori del regime, più moderati, quali Pedro Chamorro o il "Comandante Zero" (Eden Pastora). Quando Jimmy Carter ritirò ogni aiuto americano al regime fu l'inizio della fine. Nel 1979 i Somoza abbandonarono il paese e si rifugiarono a Miami. Anastasio Somoza Debayle fu assassinato ad Asunción, Paraguay, da un commando guidato dall'argentino Enrique Gorriarán Merlo.
Il reportage della televisione spagnola sull'uccisione del dittatore nicaraguese Anastasio Somoza jr., avvenuto il 17 settembre 1980 a Asunción, Paraguay. Curiosamente, l'attentato avvenne nella "Calle Francisco Franco".
Tiburcio Carías Andino (1876 - 1969) fu un militare honduregno, fondatore nel 1918 del Partito Nazionale Honduregno e Presidente fino all'aprile del 1924.
Maximiliano Hernández Martínez (1882, 1966), Presidente di El Salvador dal 1931 al 1944. Asceso al potere con un colpo di stato, ne fu a sua volta rovesciato dopo 13 anni di potere dittatoriale. Esiliato in Honduras, fu assassinato con 17 pugnalate dal suo autista; a suo nome sono stati "intitolati" vari squadroni della morte e una "brigata anticomunista" del Salvador.
Jorge Ubico Castañeda (1878 –1946) fu Presidente (= dittatore) del Guatemala dal 1931 al 1944. Si definiva un "liberale autoritario"; fu rovesciato da una sollevazione popolare e andò in esilio a New Orleans, dove morì nel 1946.
Anáhuac, regione storica del Messico,centro delle memorie azteche. Il nome di Anáhuac (in Nahuatl: "Terra al bordo delle acque") indicò quella parte della Nuova Spagna che si rese indipendente nel 1821 con il nome di Messico. Quando gli Spagnoli la conquistarono nel 1519, la grande valle, punteggiata da ben cinque laghi, aveva come centro principale Tenochtitlán (nel sito dell'attuale Città del Messico). Il nome originale della "Valle del Messico" era derivato dall'estesissimo lago Texcoco, che la occupava per buona parte; la stessa capitale dell'impero azteco, Tenochtitlán, era stata costruita sulle sue rive. Il lago (più una laguna che un vero e proprio lago) fu poi interrato; al suo posto sorge oggi Città del Messico.
12. A Emiliano Zapata
Emiliano Zapata Salazar. L'universalmente noto rivoluzionario messicano. Nato nel 1879 a San Miguel Anenecuilco, Morelos, e assassinato il 10 aprile 1919 a Chinameca, Morelos. Noto come "el Caudillo del Sur", fu uno dei leader più importanti durante la rivoluzione messicana come comandante dell' Esercito di Liberazione del Sud. Nella provincia d'origine, Morelos, diede vita a esperienze comunitarie di conduzione delle terre strappate con la lotta ai latifondisti e restituite ai contadini poveri.
Nel testo sono inseriti versi della nostalgica canzone popolare messicana di Ignacio Fernández Esperón detto Tata Nacho (1894 - 1968) "La Borrachita", dedicata alla tristezza delle ragazze di campagna che lasciavano il rancho per andare a fare le domestiche in città, che si può qui ascoltare in una bella interpretazione di Regina Orozco:
Borrachita me voy para olvidarte,
te quiero mucho, también me quieres.
Borrachita me voy hasta la capital,
p'a servirle al patrón
que me mandó llamar anteayer.
Yo la quise traer, dijo que no,
que si había de llorar, p'a qué volver.
Borrachita me voy hasta la capital,
p'a servirle al patrón
que me mandó llamar anteayer.
13. America insorta
Nell'album Chile Resistencia, del 1977, gli Inti-Illimani hanno interpretato, come canzone autonoma, i versi di questo brano a partire da Patria naciste de los leñadores. Il titolo della canzone è, appunto, Naciste de los leñadores.
L'intero album è scaricabile da Perrerac - La canción, un arma de la revolución
CCG/AWS Staff - 10/4/2011 - 00:52
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