La Chiesa nei secoli XVII-XXI


XVII  SECOLO

Il problema della Grazia e quello correlativo della salvezza divisero i teologi (disputa tra giansenisti e gesuiti, congregazione de auxiliis) e appassionatamente discusso fu il problema della responsabilità morale del cristiano (molinismo, quietismo, probabilismo). Per reazione alle negazioni protestanti, si svilupparono i culti del SS. Sacramento, del Sacro Cuore e della Vergine, che divennero il centro della pratica devozionale cattolica. Nei seminari si veniva formando un clero in cui sempre più predominava la preoccupazione pastorale: la sua pietà era ispirata allo spirito delle scuole spirituali più varie o alle regole indicate nella vasta opera legislativa di Carlo Borromeo, considerato il migliore ordinatore dei seminari. Nelle scuole (tenute generalmente da religiosi), l'umanesimo cristiano divenne il fondamento della formazione dei giovani (ratio studiorum). La Chiesa cattolica strinse più stretti legami con le masse (rinascita della vita parrocchiale, missioni rurali [Vincenzo de'Paoli], ecc.). Una fioritura di mistici arricchì la spiritualità dei paesi cattolici come Teresa d'Ávila (1515-1582), Giovanni della Croce (1542-1591), i mistici francesi. Tale sviluppo iniziò con le grandi scoperte geografiche. Le missioni s'organizzarono all'inizio nel quadro della dominazione portoghese e spagnola. I risultati più spettacolari furono la conquista spirituale del Messico, le missioni nell'America Meridionale, nelle Antille, nelle Filippine, quelle di Francesco Saverio (1506-1552) nell'Estremo Oriente, e, un po' più tardi, i successi del De Nobili e del Ricci in India e in Cina. Il papato, che all'inizio del  XVI sec. sembrava aver abbandonato nelle mani dei sovrani della penisola iberica la direzione dell'azione missionaria, cercò di rivendicarla a sé, creando la congregazione di Propaganda Fide nel 1622. Anche la Francia si pose al suo servizio (missioni del Canada e soprattutto in Estremo Oriente). Nel 1659 la Propaganda formulò le Istruzioni ai missionari; esse restarono lo statuto delle missioni cattoliche (rispetto alla cultura indigena, indipendenza dalle potenze europee, formazione di un clero indigeno, docilità alle istruzioni provenienti da Roma). Grande importanza ebbe in questo secolo la persona e le opere del fidico, filosofo e teologo Blaise Pascal (1623-1662). Questi da una ricerca geniale (invenzione di una macchina calcolatrice, perfezionamento del calcolo degli indivisibili, calcolo delle probabilità, teoria delle coniche, invenzioni del torchio idraulico) passò a una tormentata religiosità. Celebri i Pensieri (1670), dove svolge il tema dell'infinita miseria dell'uomo e insieme della sua grandezza, consistente nel privilegio del pensiero e della coscienza.



XVIII SECOLO

I papi avevano cominciato a concedere ai principi cattolici importanti privilegi (concordati, bolle di privilegi) e i cleri nazionali giunsero a prestare maggior ossequio al loro principe che al papa; lo sviluppo dell'assolutismo monarchico fece il resto. In Spagna, in Portogallo, in Francia (gallicanesimo), a Napoli, in Toscana, nei domini absburgici, in quelli dei principi elettori cattolici di Germania trionfò il giurisdizionalismo, che, verso la fine del XVIII sec., accentuò il suo carattere nazionalistico nel febronianismo e nel giuseppinismo. La soppressione della Compagnia di Gesù (1773) dimostrò la forza da esso acquisita. Questa crisi non riguarda esclusivamente la storia della Chiesa cattolica; ma le polemiche tra cattolici e protestanti e tra gli stessi cattolici (giansenismo, polemiche sulla Compagnia di Gesù, quietismo, riti cinesi), la degenerazione del sistema dei benefici, l'assenteismo dell'episcopato, la separazione tra alto e basso clero contribuirono a minare dall'interno la vita della cattolicità. La Chiesa cattolica si venne a trovare in stato di maggior debolezza alla fine del XVIII sec., proprio quando, almeno nei paesi cattolici, la pratica religiosa era ancora generale. Il mondo della cultura (filosofia, letteratura, scienze) andava sempre più distaccandosi da essa; si svilupparono le società segrete; il papato perse progressivamente di prestigio e di peso, e ristagnò anche l'attività missionaria.



XIX SECOLO

Da tutti i punti di vista il XIX sec. segnò una svolta fondamentale nella storia della Chiesa cattolica, messa bruscamente di fronte a una prodigiosa trasformazione del mondo, risultato della quadruplice rivoluzione, politica, scientifica, economica e sociale, che la obbligò a modificare alcune delle proprie istituzioni. Ne risultò un rafforzamento dell'autorità pontificia, facilitato dal crollo dell'Ancien régime che ebbe come conseguenza l'indebolimento del giurisdizionalismo di tipo gallicano e del giuseppinismo, liberò la Chiesa cattolica dagli antichi legami, rivelando nel contempo la profondità della fede cattolica e la necessità, da parte dell'autorità civile, di fare i conti con la forza spirituale ch'essa rappresentava. Si spiega così il fatto che i rapporti tra la Chiesa e gli Stati venissero definiti da nuovi tipi di concordati, il primo dei quali fu quello concluso da Bonaparte (16 luglio 1801): tali concordati, pur riservando all'autorità politica il diritto di controllare le elezioni episcopali, permisero al papato di ridar vita e vigore alle chiese nazionali, di difendere i propri indirizzi, specie in materia scolastica e matrimoniale, d'eliminare infine il giuseppinismo nella sua ultima roccaforte, l'Austria (concordato del 1855). Rafforzata la propria autorità verso gli Stati, il papato attinse dalla prigionia imposta da Napoleone a Pio VII una nuova aura di prestigio, che durante il pontificato di Pio IX, anche per opera dei neoguelfi italiani, divenne addirittura esaltazione della persona del papa. Investito d'un potere assai largo sul piano dottrinale, in seguito alla definizione, a opera del concilio Vaticano I, del dogma dell'infallibilità (costituzione Pastor aeternus, 18 luglio 1870), proprio nel momento in cui la perdita definitiva dei suoi Stati l'obbligava ad abbandonare le sue preoccupazioni politiche (presa di Roma, 20 settembre 1870), il papato rafforzò gli strumenti della sua azione sotto i pontificati di Pio IX (1846-1878), Leone XIII (1878-1903) e Pio X (1903-1914): più stretto controllo sugli ordini religiosi (quello dei gesuiti era stato restaurato nel 1814), sulle congregazioni, che si erano moltiplicate, e sugli istituti religiosi; esautoramento progressivo del Sacro Collegio a vantaggio delle congregazioni romane, riorganizzate da Pio X, e che divennero veri e propri ministeri. Lo stesso Pio X assicurò definitivamente l'indipendenza del conclave, e di conseguenza dell'elezione papale, con l'abrogazione del diritto di veto degli Asburgo, preparò la riforma del diritto canonico (il nuovo Codex Juris Canonici fu promulgato nel 1917) e rinnovò le forme della vita religiosa: restaurazione del canto gregoriano, partecipazione attiva dei fedeli alle celebrazioni liturgiche, ecc. Più agguerrita organizzativamente, la Chiesa cattolica lo divenne anche dottrinalmente; timorosa delle conseguenze possibili dell'illuminismo del XVIII sec. e del liberalismo del XIX, dopo la condanna del Lamennais con l'enciclica Mirari vos (1832), si preoccupò di fissare quei princìpi del pensiero moderno che non potevano accordarsi con la dottrina cattolica. A tale fine Pio IX pubblicò l'enciclica Quanta cura (8 dicembre 1864), accompagnata dal Sillabo, “catalogo dei principali errori del nostro tempo”, composto da proposizioni tratte da una lunga serie di documenti pontifici, condannanti il naturalismo, l'indifferentismo in materia religiosa, il liberalismo e il socialismo, e il cui contenuto poté apparire sanzione dell'incompatibilità del cattolicesimo con il mondo moderno.Una tale intransigenza a un tempo politica e dottrinale, a cui corrispose, in vari paesi europei, l'affermarsi dell'ultramontanismo, soprattutto da parte dei vescovi, ingenerò difficoltà con alcuni Stati: la Chiesa cattolica si trovò in urto con la Confederazione Elvetica al tempo della guerra del Sonderbund (1847), con il Belgio liberale (questione scolastica), con la Spagna (applicazione del concordato del 1851), con la Russia (questione degli uniati) e persino con l'Austria, che nel 1873 denunciò il concordato del 1855. Ancor più gravi furono i problemi posti in Italia dalla cosiddetta Questioneromana e dalla legislazione ecclesiastica del nuovo Stato liberale, che, nonostante i tentativi compiuti dai moderati dell'una e dell'altra parte, scavarono un fossato per lungo tempo incolmabile tra il papato e l'Italia dopo il 1870; altrettanto acuti furono i conflitti sorti per l'atteggiamento assunto in politica ecclesiastica dalla Germania di Bismarck; anche i rapporti con la Francia, dopo il ralliement con la III Repubblica voluto da Leone XIII, si deteriorarono progressivamente, fino a giungere alla rottura (leggi di separazione della Chiesa dallo Stato, 1905).

Nel XIX sec. si verificò, nel seno del mondo protestante, una nuova reazione alle tendenze razionalistiche e deiste, con il movimento del Risveglio (Réveil), che unì alla teologia più tradizionale una spiritualità basata sul sentimento, e che, a differenza del protestantesimo dei secc. XVI e XVII, soprattutto preoccupato di questioni dogmatiche e teologiche, si impegnò nei problemi morali e sociali (filantropia). Una nuova prevalenza delle tendenze razionalistiche, specialmente applicate all'esegesi biblica, si verificò con il cosiddetto protestantesimo liberale, che, sorto in Germania e diffusosi in Francia (Strauss, Baur, Harnack, Sabatier, ecc.), dominò largamente alla fine dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento: esso applicò metodi integralmente storicistici alla ricerca biblica e accentuò l'impegno sociale come sbocco di quello religioso (opere in favore delle classi povere, dell'infanzia; lotta all'alcoolismo e alla prostituzione, ecc.). Ma negli anni intorno alla prima guerra mondiale ci fu, specialmente per opera di K. Barth (1886-1968), ma anche dei pastori Casalis, Boegner e altri, una radicale reazione nel senso di un ritorno ai grandi temi delle origini del protestantesimo: di fronte al massiccio fenomeno della scristianizzazione delle masse, dei grandi conflitti sociali e nazionali, delle tragedie belliche e postbelliche, il protestantesimo liberale mostrava apertamente i limiti del suo ottimismo razionalistico. D'altronde, un rinnovato interesse per i temi della ricerca biblica in prospettive molto diverse da quelle del protestantesimo liberale (Schweitzer, Bultmann, Cullmann) ha favorito nel protestantesimo più recente una riflessione teologica penetrante sulla natura, la funzione e la vocazione della Chiesa; anche se certi gruppi protestanti sono tenaci nel voler ridurre per quanto possibile al minimo l'aspetto “visibile” della Chiesa e l'esigenza di un'unità che non sia puramente spirituale, nel timore che la vocazione profetica della Chiesa venga compromessa dal suo sviluppo istituzionale. Ciò non toglie che il protestantesimo contemporaneo sia percorso da una decisa spinta verso l'ecumenismo, che ormai, superate molte barriere, tende a rimettere in discussione gli stessi rapporti con la Chiesa cattolica e con il papato e anche la dottrina, come è stato provato dalla partecipazione di vari protestanti quali osservatori al concilio Vaticano II. È tuttavia innegabile che, nonostante la vivacità della teologia protestante contemporanea (si ricordano tra i nomi più prestigiosi: R. Bultmann, K. Barth, O. Cullmann, J. Moltmann, W. Pannenberg), anche il protestantesimo, nelle sue varie confessioni, stia vivendo un periodo di crisi religiosa. La stessa attività ecumenica condotta dal consiglio ecumenico delle chiese, fondato ad Amsterdam nel 1948, è a volte insidiata dalle chiese Underground (sotterranee), non meno radicali, nella loro contestazione, dei gruppi spontanei della Chiesa cattolica. Le diverse federazioni di chiese protestanti — come ad esempio quella francese che raggruppa la chiesa riformata, la chiesa luterana, le chiese evangeliche battiste e quelle evangeliche indipendenti — anche quando trovano una sintonizzazione formale a livello dottrinale, incontrano poi notevoli motivi di divisione a livello di scelte operative e politiche.



XX-XXI SECOLO

Mentre le chiese protestanti della stessa tendenza si raggruppavano sul piano internazionale, si assistette in molti paesi alla costituzione di organismi nazionali interecclesiastici, quali il Consiglio nazionale delle chiese libere d'Inghilterra (1895), la Federazione protestante di Francia (1905), la Federazione delle chiese protestanti della Svizzera (1920), la Federazione delle chiese protestanti tedesche (1922), che dopo la seconda guerra mondiale prese il nome di chiesa evangelica di Germania (1948), la Federazione delle chiese evangeliche di Spagna (1926), il Consiglio federale delle chiese evangeliche in Italia (1946). D'altro canto si assistette alla riunificazione in un'unica chiesa di certe tendenze dottrinalmente vicine: come nel caso della fondazione, avvenuta nel 1929, della chiesa di Scozia o della costituzione, nel 1938, della chiesa riformata di Francia, che raccoglie la maggior parte delle chiese riformate francesi, o, nel 1943, della chiesa del cantone svizzero di Neuchâtel. Il Movimento Pentecostale è un movimento suscitato da un'esperienza di fede che si richiami al "battesimo nello (o dello) Spirito Santo". Il fenomeno è molto differenziato e frammentario al suo interno. Il culto comunitario è caratterizzato da esuberanza di forme espressive e da una ritualità collettiva e libera. All'interno del Movimento vennero a crearsi numerose denominazioni, caratterizzate da notevole crescita. Oltre al processo di istituzionalizzazione ecclesiastica, durante le sue successive "ondate", il Movimento Pentecostale ha mantenuto il suo carattere di movimento di rinnovamento all'interno delle chiese protestanti storiche. Oggi il Movimento Pentecostale è chiamato a riflettere sulla sua identità per chiedersi quale sia il suo connotato teologico, date le numerosissime differenze dottrinali che si ritrovano al suo interno e a non ricercare solo ciò che è rumoroso ed estatico ma la liturgia secondo ragione, conforme al lógos, di cui parla Paolo (Rm 12,2). A motivo delle numerose divisioni e divergenze dottrinali, non fa meraviglia che si sia venuto sviluppando nelle chiese protestanti o evangeliche il desiderio di "vivere come una sola Chiesa”, soprattutto dopo la prima guerra mondiale. Da allora la tendenza ecumenica ha preso slancio con il movimento “Vita e Azione”, che tenne la sua prima conferenza a Stoccolma nel 1925, poi a Oxford nel 1937; nello stesso tempo si riunirono a Losanna nel 1927 e poi a Edimburgo nel 1937 le conferenze del gruppo “Fede e Disciplina”. Nel 1948 ebbe luogo ad Amsterdam l'assemblea ecumenica nel corso della quale venne costituito il Consiglio ecumenico delle chiese.

La Chiesa cattolica rinnovata aveva in sé la forza per compiere un considerevole approfondimento dottrinale, per mettere la propria tradizionale dottrina, senza alterarne lo spirito, in accordo con i progressi della cultura. Leone XIII aprì gli archivi vaticani allo studio dei ricercatori, sollecitò il rinnovamento degli studi tomistici (enciclica Aeterni Patris), costituì una commissione biblica che sotto la sua direzione promuovesse gli studi critici dei testi sacri, tenendo conto dei progressi della filologia, della linguistica, della storiografia (1902). In questo sforzo di adeguamento alle strutture della società moderna rientra la fondazione, da parte di Pio XI, dell'osservatorio astronomico di Castel Gandolfo e la riorganizzazione dell'Accademia pontificia delle scienze (1936), e, da parte di Pio XII, tutta una serie di interventi in campo scientifico e sociale. La rafforzata autorità dei pontefici ha permesso loro di combattere con grande intransigenza contro quelle che vennero giudicate minacce all'unità dottrinale o disciplinare: come provano le condanne pronunciate da Pio X contro il modernismo (enciclica Pascendi, 1907) e contro il movimento politico-religioso francese facente capo alla rivista Le Sillon (1910), da Pio XI contro l'Action française (1926) e da Pio XII contro i tentativi, ritenuti immaturi o pericolosi, di ravvicinamento tra il cattolicesimo e altre confessioni religiose o dottrine filosofiche (enciclica Humani generis, 1950). Di fatto, questo sforzo di riorganizzazione strutturale e dottrinale trova la propria giustificazione nella volontà della Chiesa di difendere e di rafforzare la fede di coloro che già la posseggono o di diffonderla presso coloro che la ignorano (popoli asiatici e africani) o che l'hanno perduta. Per perseguire il primo dei fini elencati, la Chiesa cattolica moltiplicò le manifestazioni del culto: devozione alla Vergine nel quadro delle apparizioni mariane (Lourdes 1858; Fatima 1917), e proclamazione dei dogmi mariani dell'Immacolata Concezione (1854) e dell'Assunzione (1950); potenziamento del culto del SS. Sacramento a opera di P. Eymard (dal 1856), devozione al Sacro Cuore; culto dei santi, moltiplicazione dei pellegrinaggi, dei giubilei e degli Anni santi; ma soprattutto la Chiesa cattolica si sforzò, particolarmente con Leone XIII e con Pio X (decreti sulla frequente comunione del 1905, abbassamento dell'età minima per la prima comunione nel 1910), di approfondire la vita spirituale dei fedeli con la pratica regolare dei sacramenti. D'altra parte, la gigantesca espansione dei popoli di razza bianca avvenuta nel XIX sec. provocò il prodigioso sviluppo delle missioni a partire dal pontificato di Gregorio XVI, la creazione di ordini missionari (missionari dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria, missionari della Consolata, missionari della Sacra Famiglia, comboniani, Pontificio istituto missioni estere, i Padri bianchi di monsignor Lavigerie nel 1874), la fondazione di opere di appoggio alle missioni o di istituti missionari, o l'adattamento all'opera missionaria di antiche congregazioni, rinnovate dallo sviluppo d'una nuova disciplina scientifica, la missionologia, in cui confluiscono l'antropologia, la sociologia e la storia delle religioni; questo sforzo condusse alla fondazione sistematica di strutture organizzative (vicariati, prefetture, missioni), il tutto posto sotto la direzione della Propaganda Fide fino al 1917, data in cui i vescovi dell'Oriente e gli ordini missionari furono sottoposti rispettivamente alla congregazione per la Chiesa orientale e alla congregazione dei Religiosi. Non soltanto divennero paesi di diffuso cattolicesimo certe zone dell'Africa nera, del Vicino Oriente (Libano), l'Indocina francese, dove, a poco a poco, le missioni cedettero il posto al clero indigeno; ma la Chiesa riuscì, grazie alle ondate d'emigrazione irlandese, tedesca, italiana, a capovolgere negli Stati Uniti a favore del cattolicesimo il rapporto numerico tra le diverse confessioni religiose, mentre la gerarchia cattolica venne restaurata in Inghilterra (1850), e nei Paesi Bassi (1853), e i cattolici ebbero libero accesso alle cariche pubbliche nei paesi scandinavi.

Quando scoppiò la prima guerra mondiale, il bilancio dell'opera missionaria della Chiesa cattolica si rivelò positivo sia nei territori di missione sia nei paesi protestanti. Non può dirsi altrettanto in quelli di più antico cattolicesimo, dove la rivoluzione industriale provocò il sorgere di un proletariato operaio miserabile nella cui opinione la Chiesa, vista come garante dell'ordine stabilito, era la corresponsabile della soggezione economica nella quale le classi proletarie erano mantenute dal sistema capitalistico. Ne risultò, negli ambienti operai, un crescente distacco dalla religione, contro cui la Chiesa tentò di reagire con vigore a partire dal pontificato di Leone XIII: condanna del liberismo economico (enciclica Libertas, 1888) e dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo (enciclica Rerum Novarum, 1891), condanne confermate da Pio XI (enciclica Quadragesimo anno, 1931), da Pio XII (radiomessaggio della Pentecoste del 1941). Ma queste condanne non poterono condurre a una “ricostruzione del mondo in Cristo” (instaurare omnia in Christo), secondo l'espressione di Pio X, se non nella misura in cui i cristiani, partecipando attivamente alla gestione della cosa pubblica, nel quadro delle istituzioni parlamentari e democratiche, fossero riusciti a esercitare la loro influenza nella formulazione delle leggi che regolano il sistema sociale. Così si spiega la costituzione di partiti cattolici o cristiano-sociali in Belgio (partito cattolico), in Germania (Zentrum), in Francia (Action libérale di Jacques Piou), dopo la presa di posizione di Leone XIII a favore del ravvicinamento con la III Repubblica, e infine in Italia; qui il papato si mostrò a lungo restio a porre fine al non expedit e a concedere ai cattolici libertà di partecipare alla vita pubblica, in uno Stato giudicato ancora un usurpatore dei beni e dei possedimenti della Chiesa: solo con la fondazione a opera di don Sturzo (1871-1959) del partito popolare (1919) i cattolici si raccolsero in una propria formazione politica ispirata a ideali di moderna democrazia. Tuttavia, nell'insieme, considerando anche gli inevitabili compromessi cui sono soggette le organizzazioni politiche, la Chiesa cattolica si è sempre rifiutata, anche dopo la diffusione degli ideali raccolti sotto il nome di democrazia cristiana in molti paesi europei, di legare le proprie sorti a quelle di un partito politico, come già aveva dimostrato l'opposizione di Leone XIII alla costituzione d'un partito cattolico in Francia a opera di Albert de Mun o in Italia a opera di Romolo Murri. D'altronde, per la difficoltà di far penetrare i propri sacerdoti in certi ambienti e specialmente negli ambienti operai a causa delle condizioni in cui si svolge il lavoro salariato, la Chiesa dovette sempre più ricorrere ai laici organizzati, soprattutto ai sindacati cristiani, riuniti in una internazionale nel 1920; ma il papato preferì ancor più ricorrere a organizzazioni private di laici, dipendenti strettamente dall'episcopato. L'Azione cattolica ne fu la forma più completa. Dopo il 1914, nonostante i suoi sforzi, la Chiesa cattolica sembrava ridotta a difendere le posizioni acquisite piuttosto che essere nella possibilità di conquistarne delle nuove. È vero ch'essa riuscì a far riconoscere la propria sovranità temporale dallo Stato italiano (patti lateranensi, che diedero origine alla Città del Vaticano, 1929) e i propri diritti in numerosi Stati, grazie a un'abile politica concordataria con la Germania e l'Austria (1933); ma in realtà non riuscì più a esercitare una funzione di mediazione e d'arbitrato nei conflitti politici e ideologici che si sviluppavano ormai su scala mondiale; la prima guerra mondiale dimostrò, nonostante gli illuminati e pacificatori sforzi di Benedetto XV, come fosse difficile per il papato mantenere una neutralità assoluta.

La diffusione rapida di ideologie negatrici di Dio e mosse dalla pretesa di escludere la Chiesa cattolica dal nuovo mondo da esse preconizzato, costrinse il papato, specie per bocca di Pio XI, a combattere i regimi che di quelle ideologie si facevano portatori: conflitto col fascismo per il controllo delle organizzazioni giovanili (1931); condanna del razzismo nazionalsocialista nei suoi differenti aspetti nel 1937 (enciclica Mit brennender Sorge); condanna, infine, del comunismo internazionale (enciclica Divini Redemptoris, 1937). All'indomani della seconda guerra mondiale, nel corso della quale Pio XII seppe mantenere intatto e accrescere per certi aspetti il prestigio del papato, la Chiesa si trovò a dover affrontare nuovi terribili problemi. Il nazismo e il fascismo, con le loro pretese totalitarie e paganeggianti, erano spariti, almeno nelle loro forme più tipiche, ma il numero di paesi sui quali la Chiesa poteva far sentire la propria voce tese a diminuire in Europa orientale e centrale e nell'Estremo Oriente, in seguito all'espansione del comunismo, in Africa e nel Medio e Vicino Oriente per il rinnovato dinamismo dell'Islam. Inoltre essa incontrò difficoltà nel garantire il mantenimento di una profonda vita spirituale per la crisi delle vocazioni sacerdotali, specie nell'America latina, e non riusciva d'altronde a operare una riconquista del proletariato operaio nei paesi di più antico cattolicesimo, nonostante certe iniziative audaci, poi ridimensionate (preti operai in Francia). Ma senza rinunciare alla propria missione che è quella evangelizzatrice, la Chiesa cattolica adottò metodi nuovi: accelerata formazione del clero indigeno, indipendente dai paesi colonizzatori; accentuato cosmopolitismo della gerarchia e dello stesso Sacro Collegio, al quale furono elevati cardinali di colore; adattamento alla civiltà tecnica, alle masse scristianizzate, del messaggio evangelico (pastorali, catechesi, vita liturgica), in base ai dati della sociologia religiosa e alle direttive delle commissioni episcopali formate nei singoli paesi. In questo quadro rientrò anche l'azione di papa Giovanni XXIII con le encicliche Mater et Magistra (1961), Pacem in terris (1963, sull'ordine civile), la convocazione del concilio Vaticano II, la revisione del codice di diritto canonico. Nel concilio Vaticano II, continuato e concluso sotto il pontificato di Paolo VI, fu approfondita l'analisi dei rapporti fra la Chiesa cattolica e il mondo attuale: una parola nuova vi fu detta, tra l'altro, sui grandi problemi della libertà religiosa, dell'ecumenismo, dei rapporti con le religioni non cristiane; la necessità del dialogo con tutti fu posta in luce nella prima enciclica di Paolo VI, Ecclesiam suam (1964).

La fase applicativa dei princìpi dottrinali e pastorali formulati dal concilio Vaticano II rinnovò il volto della Chiesa cattolica sotto diversi aspetti. Oltre alla riforma liturgica che mise in atto un profondo rinnovamento cultuale (con la pubblicazione dei nuovi riti per la celebrazione della penitenza [1974] fu completata la riforma del rituale di tutti i sette sacramenti), deve essere ricordata la riforma di alcune strutture del governo centrale della Chiesa cattolica, tra cui particolarmente interessante fu la ristrutturazione della curia romana. Ma, al di là di queste riforme che sembrano esaurirsi all'interno della Chiesa, è più importante rilevare il nuovo stile con cui la Chiesa cattolica intendeva svolgere la sua missione nel mondo. L'esempio venne dal pontefice Paolo VI che, con alcune delle sue encicliche (Populorum progressio, 1967; Octogesima adveniens, 1971) e coi suoi viaggi a Gerusalemme, all'ONU, a Istanbul, in America latina, in India, in Australia, diede al dialogo della Chiesa cattolica con il mondo una dimensione fino a quel momento sconosciuta. In questo clima di apertura la Chiesa vide rinascere la sua attività missionaria, il suo spirito ecumenico e il suo stesso insegnamento. La teologia cattolica, oltre allo sforzo per trasformare la sua riflessione da semplice speculazione teorica a fatto promozionale della storia umana (si pensi alla teologia delle realtà terrestri, alla teologia della speranza, alla teologia politica, alla teologia della liberazione, ecc.), fu alla ricerca di un ripensamento e di una riformulazione del patrimonio dottrinale cristiano. Senza alterarne la sostanza, si trattava di sottrarre le verità di fede a una concettualizzazione troppo legata alla logica e alla cultura tipica del mondo occidentale. Naturalmente queste ristrutturazioni non avvenirono senza contrasti e difficoltà e all'interno della Chiesa si registrarono movimenti di dissenso e di contestazione. Spesso si trattò di gruppi spontanei che, mentre volevano liberare la Chiesa cattolica da alcune strutture che ostacolavano un'azione missionaria più credibile, intendevano impegnare la Chiesa in un'azione politica di liberazione dell'uomo a qualunque livello. Si trattò di tensioni della cui autenticità cristiana non è ancora possibile formulare un giudizio definitivo, ma che, direttamente o indirettamente, contribuirono a spingere la Chiesa verso un nuovo tipo di presenza nel mondo. Il 6 agosto 1978 morì Paolo VI e gli successe, il 26 dello stesso mese, Giovanni Paolo I che governò la Chiesa cattolica per soli 33 giorni (morì il 29 settembre 1978); il 16 ottobre 1978 fu eletto Giovanni Paolo II (1920-2005) che interruppe una lunga serie di papi italiani (l'ultimo papa non italiano fu l'olandese Adriano VI morto nel 1523).

Le scelte operate da Paolo VI, a livello dottrinale e operativo, costituiscono tuttora l'orientamento di fondo della vita ecclesiale; d'altra parte si è imposto, grazie anche a una personalità spiccatissima, il pontificato di Giovanni Paolo II la cui linea pastorale è stata fondata sul primato dell'uomo come veicolo al riconoscimento della validità dei grandi misteri cristiani (encicliche Redemptor hominis del 1979, Dives in misericordia del 1980, Laborem exercens del 1981, Dominum et vivificantem del 1986, Sollicitudo rei socialis del 1988). I frequentissimi viaggi in tutto il mondo, la visita alla sinagoga di Roma (per la prima volta nella storia del papato, 1986), il rilancio di aspetti tradizionalistici della devozione e della dottrina sono stati alcuni aspetti dell'azione di questo papa, che ha voluto porsi al centro dell'attenzione e delle attese del mondo intero. Grande oppositore dei regimi comunisti, alla fine degli anni ottanta Giovanni Paolo II ha prodigato i suoi interventi per favorire la disgregazione della coalizione dell'Europa Orientale, proseguendo nel decennio successivo, malgrado l'affievolirsi della salute, la sua missione pontificale con encicliche, viaggi, incontri diplomatici.

Nel 1985 organismi e uffici preposti dalla Santa Sede si accinsero alla stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica, che fu approvato da Giovanni Paolo II in prima stesura nel 1992 e in forma definitiva nel 1997. Si tratta di un testo assai corposo, che costituisce una sintesi dell’intera dottrina della Chiesa cattolica.