Gesù Cristo

La fonte assolutamente prioritaria per la conoscenza della vita di Gesù è il Vangelo: ciò non può far meraviglia perché l'essenza della fede cristiana s'incentra sulla persona di Gesù, e la conoscenza di ciò che lo riguarda costituisce appunto la “buona novella” (= evangelo). Naturalmente è impossibile stabilire con precisione quanto i quattro Vangeli accolsero dagli scritti e dalla tradizione precedenti; resta in ogni caso il fatto incontestabile che nei quattro Vangeli canonici la Chiesa ha sempre riconosciuto l'autentica testimonianza della vita di Gesù Cristo. Gli autori del Nuovo Testamento non avevano una preoccupazione cronologica come ci sarebbe piaciuto. Luca nel suo Vangelo e negli Atti ci dà vari sincronismi di grande valore. Giovanni Battista, il cui ministero prepara e precede immediatamente quello di Gesù, inizia a predicare « nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, e Erode tetrarca della Galilea », ecc. (Lc 3:1,2). Luca stabilisce un sincronismo di ben sette personaggi. Poiché Augusto morì il 19 agosto dell'anno 14 d.C., l'anno quindicesimo di Tiberio andava dal 28 al 29 dell'era cristiana. Possiamo così determinare con una certa precisione, l'anno in cui Gesù iniziò la sua vita pubblica. Gesù, quando cominciò a insegnare, aveva circa trent'anni (Lc 3:23). Che il ministero di Gesù sia iniziato dopo il 28-29 d.C. si deduce anche da Gv.2:20, tenendo conto che non esiste l'anno 0 e che la ristrutturazione del tempio iniziò nel 20-19 a.C. Da notare anche che le uniche date possibili per la morte di Gesù sono il 30 d.C. e il 33 d.C., perché sono le uniche in cui il 14 Nisan cade di venerdì. Anche se molti propendono per il 30 d.C. come data della morte di Cristo, si deve tener conto dei vari indizi che si ricavano dai Vangeli. La parabola del fico sterile (Lc 13:6-9) fa comprendere che la durata del ministero di Gesù aveva coperto sino a quel momento 3 anni, inoltre il ministero di Gesù incluse circa 4 Pasque (Gv. 2:13; 5:1; 6:4 e 13:1), perciò se iniziò nel 29 dovette concludersi nel 33 d.C. Studi recenti basati su calcoli astronomici delle eclissi, sui diversi calendari e computi cronologici dell'antichità e sulla cronologia di Giuseppe Flavio, confermano il 33 d.C. come anno della morte in croce di Cristo e mettono in dubbio il 4 a.C. come data della morte di Erode il Grande. Ciò rende difficoltoso poter risalire all'anno esatto della nascita di Gesù, che deve comunque porsi intorno al 6-2 a.C. 

Secondo i Vangeli, l'angelo Gabriele fu inviato da Dio a Nazareth presso la vergine Maria, fidanzata a Giuseppe, entrambi del casato di Davide, per annunciarle che avrebbe concepito e partorito un figlio; questi, cui doveva essere imposto il nome di Gesù, sarebbe stato il Messia del popolo ebraico. Quando Giuseppe si avvide dello stato di lei, deliberò di rimandarla segretamente presso la famiglia; ma un angelo gli apparve in sogno e gli disse di tenere con sé Maria perché il suo concepimento era opera dello Spirito Santo. Quando il tempo della gestazione era quasi compiuto, uscì un decreto di censimento da parte del legato romano di Siria, Quirinio. Giuseppe, con Maria, si dovette recare nella città del casato di Davide cui apparteneva, cioè a Betlemme. Nel villaggio essi non trovarono posto e rifugio se non in una stalla; qui, compiutisi i giorni del parto, nacque il bambino. La sua nascita fu annunciata ai pastori, che guardavano le greggi nei pressi della città, da un angelo che indicò nel neonato il Salvatore e il Cristo, cioè il Messia; e i pastori vi si recarono. Dopo qualche tempo giunsero dall'oriente dei Magi, guidati da una stella, per rendere omaggio al Messia; Erode, re della Giudea, saputo da loro della nascita del “re dei Giudei”, si turbò, temendo per il proprio trono, e comandò di uccidere tutti i bambini minori di due anni che si trovavano a Betlemme (strage degli innocenti). Ma un angelo, apparso in sogno a Giuseppe, gli ordinò di fuggire in Egitto con Maria e Gesù. Dopo qualche tempo, morto Erode, Giuseppe ricevette dall'angelo l'ordine di ritornare nella terra di Israele e di stabilirsi a Nazareth. Dal momento del ritorno a Nazareth fino all'inizio della vita pubblica di Gesù, circa trent'anni dopo, si ha il periodo della cosiddetta vita nascosta, di cui poco o nulla dicono i Vangeli. Soltanto Luca narra l'episodio del pellegrinaggio a Gerusalemme, compiuto da Gesù a dodici anni, in occasione della Pasqua. Gesù, smarrito dai genitori, fu ritrovato nel Tempio, a disputare con i dottori della Legge: la sua risposta ai genitori che lo riprendevano per essersi allontanato, rivela per la prima volta la coscienza della propria divina figliolanza. Dopo i fatti dell'infanzia non si fa più menzione nei Vangeli di Giuseppe, il carpentiere. Invece si parla più volte di fratelli e sorelle di Gesù, ma è da notare che nell'uso ebraico si indicavano con questo termine anche i parenti relativamente vicini, come i cugini. Da ricordare, inoltre, che la lingua insegnata dai genitori a Gesù era l'aramaico, pronunciato con il particolare accento dei Galilei; è più che probabile però che Egli, fattosi adulto, si servisse anche talvolta del greco, diffusissimo in quelle regioni, e dell'ebraico. Verso i trenta anni Gesù ricevette il battesimo nel Giordano da Giovanni il Battista (ott. 29 d.C.) e si ritirò poi nel deserto per quaranta giorni in preparazione alla propria missione; qui subì tre tentazioni da parte del demonio. Fece poi ritorno in Galilea seguito da tre discepoli di Giovanni: Andrea, suo fratello Simone (ribattezzato Cefa, cioè Pietro, dallo stesso Gesù), e Giovanni l'evangelista. A Cana, durante un banchetto di nozze, Gesù si ritrovò con la madre, e proprio per invito di lei compì il primo dei suoi segni (miracoli): la trasformazione dell'acqua in vino. Quindi si recò a Cafarnao, sul lago di Tiberiade; da cui si volse verso Gerusalemme per celebrarvi la Pasqua ebraica. Dopo un'altra testimonianza pubblica a favore di Gesù, Giovanni il Battista veniva fatto imprigionare da Erode Antipa di cui aveva censurato la condotta morale. Nello stesso tempo Gesù lasciava nuovamente la Giudea per la Galilea. Quivi iniziò apertamente la propria missione. Predicava nei villaggi, solitamente dalle sinagoghe, osando spesso contraddire la più consolidata tradizione rappresentata dagli interpreti della Legge, scribi e farisei. Inoltre dava forza alle proprie parole operando miracoli, specialmente guarigioni di malati e di indemoniati. Ma in questo primo periodo, a parte il caso della Samaritana, Gesù si limitò ad annunciare l'approssimarsi del Regno, senza proclamarsi il Messia: più tardi si svelò come tale a pochi seguaci e in segreto; solo alla fine a tutti e palesemente (gradualità nell'affermazione messianica). Soltanto in quel tempo, dopo l'episodio della pesca miracolosa, Gesù elesse come “pescatore di uomini” Simone Pietro, e con lui Andrea, Giacomo e Giovanni, che pure già erano al suo seguito. Poco dopo si scelse un nuovo discepolo nella persona del facoltoso pubblicano di Cafarnao, Levi, detto anche Matteo. Risale a questo periodo la definitiva scelta dei dodici che Gesù nominò apostoli, cioè “inviati”: il loro numero era in rapporto con i dodici figli di Israele e con le dodici tribù. Questo atto, che dava una prima struttura comunitaria alla propria missione salvifica, Gesù fece seguire immediatamente la proclamazione dei princìpi del proprio messaggio di salvezza, nel discorso della Montagna (forse una collina posta sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade): la beatitudine dei poveri, dei sofferenti, dei miti, dei puri di cuore, dei misericordiosi, degli affamati e assetati di giustizia, dei pacifici, dei perseguitati a causa della giustizia; la nuova e suprema legge dell'amore, che completava e rinnovava la Legge ebraica, e la cui osservanza doveva precedere e avere un valore non minore di qualsiasi atto di culto; l'impossibilità di servire contemporaneamente a Dio e a Mammona; la fiducia in Dio; la necessità di purificare se stessi prima degli altri, di fare la volontà del Padre prima di invocarlo: questi i principali tratti della metánoia (conversione) proposta da Gesù. Subito dopo, a dimostrare l'universalità del proprio messaggio di salvezza, Gesù guarì lo schiavo del centurione di Cafarnao, che aveva creduto in lui più degli stessi Israeliti; quindi, a riprova della superiorità della proclamata legge dell'amore, rimise i peccati alla donna peccatrice, meritevole di perdono per aver molto amato. Da questo momento, fino alla seconda Pasqua del suo ministero pubblico “viaggiava per città e borgate predicando e annunciando la buona novella del Regno d'Iddio, e i dodici con lui” (Luca, 8, 1). La tempesta sedata, la guarigione dell'indemoniato di Gerasa, la risurrezione della figlia di Giairo, la guarigione dell'emorroissa e dei due ciechi, l'invio dei dodici apostoli con la missione di predicare il Regno di Dio, la cacciata violenta da Nazareth e le minacce di morte da parte dei suoi concittadini segnano questi mesi della missione di Gesù, durante i quali (marzo del 32) avvenne anche l'uccisione di Giovanni Battista per ordine di Erode Antipa. A questo periodo risale anche il più costante uso da parte di Gesù di parabole, che avevano come oggetto la presentazione del Regno dei Cieli: le parabole del seminatore, della zizzania, del chicco di senape, del lievito, del tesoro nascosto, della perla, della rete da pescatore raffigurano diversi aspetti del Regno preannunciato. Si era ormai verso la metà di marzo del 32, in prossimità della Pasqua. Gesù decise di ritirarsi a Betsaida oltre il Giordano, sotto la giurisdizione di Filippo, sfuggendo a quella di Erode Antipa. Nella pianura desertica a oriente della città, compì la prima moltiplicazione dei pani e dei pesci: quindi si sottrasse, nascondendosi alla folla che era sul punto di rapirlo per farlo re (Gv. 6,14-15). Raggiunta Genesaret, e da qui ritornato a Cafarnao, rifacendosi all'avvenuta moltiplicazione dei pani, affrontò il discorso sul “pane vivo”. Secondo la redazione evangelica di Giovanni (6,25-71) si proclamò in quell'occasione “pane vivente, disceso dal cielo”, che assicura la vita eterna, e affermò la necessità di mangiare la sua carne e di bere il suo sangue per avere la vita eterna. Tale discorso scandalizzò molti dei suoi stessi discepoli, che infatti da quel tempo si allontanarono da lui. La guarigione del paralitico di Betesda, le insidie dei farisei verso Gesù si fecero più costanti e pericolose: forse per questo lo troviamo per la prima volta fuori della Palestina, nella Decapoli e nella Fenicia, dove compì molti miracoli. Fu allora che, rientrato in Galilea, affrontò per la prima volta esplicitamente, con i suoi, la questione della propria identità; e alla definizione messianica di Pietro (“Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” [Mt., 16, 17]), rispose dandogli le chiavi del Regno e la facoltà di legare e di sciogliere; ma subito dopo impose ai discepoli di non rivelare a nessuno la sua identità, e annunciò la propria morte per mano dei Giudei. Infine, a manifestazione della propria natura divina e quasi come preludio del trionfo della Risurrezione, si trasfigurò davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni, sul monte Tabor, affiancato da Mosè ed Elia. Il periodo successivo, trascorso in peregrinazioni per la Galilea, sembra prevalentemente dedicato da Gesù alla formazione dei discepoli. Si dovrà pensare a una serie di viaggi di Gesù a Gerusalemme, uno dei quali avvenne durante la festa dei Tabernacoli: la presenza di Gesù non tardò a provocare contrasti tra “i molti” che credettero in lui, e gli avversari che facevano di tutto per farlo arrestare o per impadronirsene. Anche l'episodio della donna adultera sembra rientrare in questi tentativi di cogliere Gesù in contraddizione con la Legge mosaica. Ma soprattutto la proclamazione della propria divina paternità e della propria eterna esistenza spinse i nemici a tentare di lapidarlo come bestemmiatore. La guarigione del cieco nato, presso la piscina di Siloe, e la parabola del buon pastore precedono una lunga peregrinazione di Gesù nella Giudea. Appartiene a questo periodo la parabola del buon Samaritano, che allargava oltre ogni limite, per la mentalità giudaica, l'idea di “prossimo”; l'episodio di Marta e Maria; l'insegnamento del “Padre nostro” (che Matteo colloca, invece, durante il discorso della Montagna). Verso la fine del dicembre del 32, in occasione della festa della Dedicazione, Gesù ritornò a Gerusalemme, dove venne nuovamente minacciato di morte. Quindi riprese a peregrinare nella Transgiordania, nel Nord della Giudea e verso la Galilea. Sono presenti qui, nel Vangelo di Luca, un'altra serie di parabole: le prime (il buon pastore, la dramma perduta, il figliol prodigo) riguardano la misericordia divina verso i peccatori e la gioia celeste per la loro conversione; le altre, l'inanità delle ricchezze terrene ai fini della salvezza (il fattore infedele, il ricco epulone) e la fallacia della giustizia umana (il giudice iniquo, il fariseo e il pubblicano). L'amore per i fanciulli, “perché di essi è il Regno d'Iddio”, la necessità di abbandonare le ricchezze per entrare nel Regno, la liberalità del Signore nel compensare gli ultimi come i primi (secondo la parabola dei vignaioli) costituiscono l'oggetto dell'insegnamento di Cristo, fino al grande miracolo della risurrezione dell'amico Lazzaro, fratello di Maria e di Marta, a Betania. In seguito a questo avvenimento, si radunò un'assemblea dominata dal sommo sacerdote Caifa e conclusasi con la decisione di uccidere Gesù. Questi, ancora una volta, si allontanò ritirandosi a Efraim; da qui, nei primi giorni del mese di nisan, si avviò di nuovo verso Gerusalemme (fine marzo 33), seguito dai discepoli timorosi. La domenica mattina Gesù, contemplando dal monte degli Ulivi Gerusalemme, pianse profetizzandone la distruzione; compì poi l'ingresso trionfale nella Città Santa tra gli osanna della folla. I giorni successivi Gesù li passò in gran parte insegnando nel Tempio, rifugiandosi la notte sul monte degli Ulivi, anche per sottrarsi alle insidie dei maggiorenti. Risalgono infatti a quei giorni, i più serrati tentativi fatti dagli scribi, dai farisei, dagli anziani per cogliere in fallo Gesù; mentre, da parte sua, veniva ancor più esplicitamente dichiarato che il Regno d'Iddio sarebbe stato tolto loro e dato a chi lo sapesse far fruttificare (Mt.21, 33-34: parabola dei vignaioli omicidi): in questo quadro si colloca la risposta di Gesù sulla necessità di rendere a Cesare quel ch'è di Cesare e a Dio quel ch'è di Dio (Mat.22, 17) e la disputa con i sadducei sulla risurrezione dei morti; al giorno di martedì risale anche l'apostrofe di Gesù contro scribi e farisei, che riassume tutte le precedenti accuse, e, quando la giornata era ormai al tramonto, il grande discorso escatologico, pronunciato dalla cima del monte degli Ulivi e di fronte al Tempio: Gesù, prendendo spunto dalla profetizzata sua distruzione, passò a descrivere la fine del “secolo” presente e il giudizio finale. Il giorno successivo, mercoledì, si radunò il consiglio dei sacerdoti e anziani che deliberarono ancora una volta di prendere Gesù e di ucciderlo: e venne loro in aiuto uno dei dodici, Giuda, che per trenta monete d'argento accettò di tradire il maestro. Il giovedì, primo giorno della festa degli azzimi, i discepoli, su indicazione di Gesù, trovarono un posto ove egli potesse, alla sera, celebrare la cena di Pasqua. Nella cronologia delle due ultime giornate terrene di Gesù vi è tra Giovanni e i Sinottici una discordanza: concordi nel porre l'ultima cena nella sera di giovedì e la morte di Gesù nel successivo venerdì, divergono in questo, che Giovanni pone la crocifissione nel giorno precedente la Pasqua ebraica, cioè alle parasceve (il giorno 14 del mese di nisan), e fa quindi cadere di sabato la Pasqua di quell'anno, mentre i Sinottici fanno coincidere la morte di Gesù con la Pasqua ebraica (cioè con il 15 di nisan). Questa divergenza potrebbe essere spiegata con la duplice cronologia vigente tra gli Ebrei del tempo divisi tra il calendario mensile seguito dai sadducei (che corrisponderebbe alla datazione di Giovanni) e quello seguito dai farisei (corrispondente alla datazione dei Sinottici). La sera dunque del giovedì precedente la Pasqua, nella casa trovata da Pietro e Giovanni seguendo le indicazioni di Gesù, iniziò il tempo della Passione. Durante la cena Gesù, lavati i piedi agli apostoli, preannunciò il tradimento di uno dei dodici e indicò in Giuda il traditore. Questi lasciò la mensa. Quindi Gesù compì un rito insolito: benedisse e offrì da mangiare e da bere agli apostoli pezzi di pane azzimo e una coppa di vino, con le parole “questo è il mio corpo” e “questo è il mio sangue”, e li invitò a ripetere in seguito quell'atto nel ricordo di lui. Terminata la cena, Gesù predisse la dispersione dei suoi e il tradimento di Pietro; quindi trattenne gli apostoli in un ultimo colloquio e nei supremi ammaestramenti, dando loro “un comandamento nuovo”, “che vi amiate gli uni gli altri come io vi amai”, annunciando la propria morte e Risurrezione, e la persecuzione dei propri seguaci; Egli concluse le sue parole con la preghiera al Padre, la “preghiera sacerdotale” (Gv., 17, 1-26). Stava ormai per iniziare il venerdì di Pasqua. Gesù si trasse nell'orto del Getsemani dove “cominciò a sgomentarsi ed angosciarsi”. Caduto al suolo, dopo essersi di poco allontanato dai discepoli prediletti, Pietro, Giacomo e Giovanni, rivolse un'angosciata preghiera al Padre, sudando sangue. Tornato sui suoi passi per cercare conforto nella compagnia dei tre apostoli, li trovò addormentati; invano li svegliò: per altre due volte successivamente essi cedettero al sonno. Alla fine, il gruppo fu raggiunto da uomini armati seguiti da molta folla e guidati da Giuda; catturato dagli inservienti del Tempio, Gesù fu trascinato via, dopo un tentativo di resistenza di Pietro, dissuaso dallo stesso Gesù dall'usare la violenza. Allontanatisi gli apostoli, Gesù fu in primo luogo portato davanti ad Anna, sommo sacerdote non più in carica, ma ancora potentissimo. Qui iniziò il processo religioso. Ancora nel cuore della notte Gesù fu quindi trascinato davanti al sommo sacerdote in carica, Caifa, genero di Anna, che aveva adunato presso di sé vari membri del sinedrio. Poi, sul far dell'alba, dopo essere stato oggetto di percosse, di beffe e di insulti da parte delle guardie del sinedrio, Gesù apparve davanti al sinedrio stesso: qui, dopo l'escussione di vari testimoni che risultarono in contraddizione tra loro, Gesù confermò, su esplicita richiesta di Caifa, di essere il Cristo, Figlio di Dio. Da qui l'accusa di bestemmia, e la sentenza di morte. Nel frattempo, durante la notte, Pietro, penetrato nel cortile della casa del sommo sacerdote e riconosciuto come uno dei seguaci di Gesù, rinnegava tre volte il maestro, pentendosi poi amaramente. Giuda invece, dopo la condanna pronunciata dal sinedrio, corse dai sommi sacerdoti, proclamando di aver tradito sangue innocente: respinto, si liberò dei denari pattuiti e corse a impiccarsi. Prima di essere eseguita, la sentenza di morte pronunciata dal sinedrio doveva essere approvata dal procuratore romano. Era l'alba, quando i sacerdoti accompagnarono Gesù al pretorio di Pilato, davanti al quale lo accusarono di delitti strettamente politici. Interrogato da Pilato, Gesù si proclamò re, ma disse il suo regno non essere di questo mondo. Pilato non trovò colpa in lui; ma saputo che Gesù era galileo, lo inviò da Erode Antipa, tetrarca di Galilea, che in occasione della Pasqua era a Gerusalemme, perché fosse lui a giudicarlo. A lungo interrogato da Erode, Gesù non rispose nulla: il tetrarca allora lo fece rivestire di una veste splendida, in segno di beffa, e lo rinviò a Pilato. Questi, per placare il popolo istigato dai sacerdoti, promise di castigarlo, ma insieme offrì agli accusatori la possibilità di scegliere tra lui e il malfattore Barabba, chi dovesse essere liberato, secondo la consuetudine, in occasione della Pasqua: ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere la liberazione di Barabba e la crocifissione di Gesù. Pilato allora si lavò le mani in presenza della folla, a indicare che rifiutava ogni responsabilità nella condanna. Mandò poi Gesù alla flagellazione: dopo la quale, lasciato in preda ai soldati, egli fu rivestito di una clamide rossa, incoronato di spine, e una canna fu posta tra le sue mani: così si fecero beffa della sua proclamata regalità. Pilato mostrò nuovamente Gesù alla folla, sperando ormai di poterla placare: ma fu rinnovata la richiesta della crocifissione. Mentre Pilato, sempre più timoroso, cercava ancora di salvare Gesù dalla morte, gli accusatori lo minacciarono di considerarlo come favoreggiatore di empi e “nemico di Cesare”. Alla fine, dopo un ultimo tentativo, Pilato consegnò Gesù agli accusatori perché fosse crocifisso. Il corteo dei condannati (a Gesù erano stati aggiunti due ladroni) si avviò dal pretorio verso il rialzo del Golgotha. Durante il tragitto Gesù venne liberato dal peso del palo trasversale della croce, che reggeva a fatica dopo le prove subite, e che fu affidato a Simone di Cirene (il Cireneo). Un altro conforto venne a Gesù da un gruppo di donne gerosolimitane. Giunti sul Golgotha, Gesù fu crocifisso, le sue vesti divise tra le guardie e la tunica giocata ai dadi: era passato da poco il mezzogiorno. Dall'alto della croce Gesù invocò il perdono del Padre sui suoi accusatori e carnefici. Da mezzogiorno alle 3 si fece tenebra “su tutta la terra”. A un tratto Gesù levò un alto grido, pronunciando l'inizio del Salmo 22: “EIi, eli, lamma sabacthani (Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?)”; quindi disse di aver sete e bevve dalla spugna imbevuta di aceto portagli da una guardia: infine, affidato il proprio spirito nelle mani del Padre, morì. Subito avvennero dei prodigi: il velo del Tempio si scisse dall'alto in basso, la terra si spaccò, le tombe si aprirono. I soldati di guardia pensarono allora che il crocifisso fosse veramente Figlio di Dio: e la folla incominciò ad allontanarsi, battendosi il petto. La salma di Gesù, cui un soldato aveva aperto il costato con un colpo di lancia, fu calata dalla croce, cosparsa di aromi e avvolta in una sindone e sepolta nella tomba scavata nella roccia, il cui ingresso fu sigillato da una pietra: tutto era compiuto verso le sei pomeridiane. Alle primissime ore della domenica i soldati posti a guardia della sepoltura, risvegliati da un improvviso terremoto, trovarono il sepolcro spalancato e vuoto e spaventati si diedero alla fuga. Giungevano intanto alcune donne che intendevano meglio curare la salma: prima Maria di Magdala, che, trovato il sepolcro aperto, corse ad avvertire Pietro e Giovanni; poi altre fedeli di Gesù, che, penetrate nella tomba, vi trovarono un giovanetto che annunziò loro l'avvenuta Risurrezione e le invitò a farne partecipi tutti i discepoli. Gesù risorto apparve a Maria di Magdala che s'era trattenuta presso il sepolcro e che non venne creduta quando annunciò agli altri di aver visto il Signore; più tardi Gesù si accompagnò, senza essere riconosciuto, a due suoi discepoli in cammino verso Emmaus: solo quando, seduto a mensa con essi, spezzò loro il pane, si aprirono loro gli occhi; essi tornarono subito a Gerusalemme dove dettero l'annuncio ai discepoli radunati: qui seppero che Gesù era stato visto anche da Pietro. Ma improvvisamente Gesù apparve in mezzo a loro, soffiò su di essi lo Spirito, e diede loro la facoltà di sciogliere i peccati o di ritenerli. Solo Tommaso era assente, e non volle credere che Cristo fosse risorto: ma dopo otto giorni, mentre era con gli altri, Gesù riapparve e invitò il discepolo incredulo a toccare con mano le sue ferite ancora aperte. In seguito Gesù si manifestò in diverse occasioni in Galilea, dove i discepoli erano tornati dopo le feste di Pasqua. Trascorsi quaranta giorni dalla Risurrezione, Gesù apparve nuovamente ai suoi nei pressi di Gerusalemme, sul monte degli Ulivi: qui, mentre egli li benediceva, si allontanò da loro ed ascese al cielo.

L'attesa del Messia, cioè del re unto dal Signore, in gr. Christós, destinato a salvare il suo popolo, caratteristica di tutta la tradizione giudaica espressa nell'Antico Testamento, si era fatta particolarmente intensa ai tempi di Gesù, anche in conseguenza della soggezione della Palestina alla potenza romana. Gesù riassunse in sé la tradizione veterotestamentaria e trasformò profondamente il senso del messianismo ebraico contemporaneo, depurandolo da ogni implicazione politica e nazionalistica e dando alla propria missione di salvezza un preciso significato insieme trascendente ed escatologico e un valore universale. Molta parte della sua predicazione fu dedicata a spiegare il senso tutto particolare del messaggio salvifico che da lui promanava e che non poteva essere inteso se non da pochi. Tutta la sua persona e la sua vita sono profondamente immerse in questa atmosfera messianica; prescindendo da essa la figura stessa di Gesù diventa incomprensibile. La storia della sua infanzia tende a dimostrare che egli è il Messia annunziato dai profeti: prima della sua nascita, un angelo predisse che sarebbe stato grande, si sarebbe chiamato figlio dell'Altissimo e si sarebbe seduto sul trono di Davide; il figlio di Zaccaria, Giovanni Battista, è stato scelto per precederlo quale Elia redivivo e preparare il popolo alla sua venuta. La sua appartenenza alla stirpe di Davide e la sua nascita straordinaria a Betlemme, città di Davide, compiono altrettante profezie dell'Antico Testamento. E in questa tematica messianica si inquadra tutta la sua vita pubblica, dalle tentazioni alla morte e Risurrezione. La coscienza messianica di Gesù si esprime anche nei titoli e negli appellativi con cui egli stesso si designa: “Figlio dell'uomo”, “luce del mondo” (Giov., 8, 12), “la Risurrezione e la Vita” (Giov., 11, 25), “la Via, la Verità e la Vita” (Giov., 14, 6); all'insistenza con cui egli si proclama il Mediatore, con cui sottolinea i suoi rapporti con il Padre: “Chi ha visto me, ha visto il Padre (...). Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me, è lui stesso che agisce. Credetelo! Io sono nel Padre e il Padre è in me” (Giov., 14, 9-11). L'espressione “Figlio di Dio” ricorre spesso nei Vangeli anche se in contesti diversi che le danno un significato non sempre completamente univoco. Nelle lettere di Paolo e negli scritti di Giovanni l'espressione significa chiaramente che Gesù è Dio, Figlio del Padre e a lui uguale; che quindi è Figlio in un modo del tutto speciale e unico, unito al Padre con un rapporto di figliolanza che non ha uguale. Nei Vangeli sinottici Gesù dice più e più volte di essere “il Figlio”, “l'inviato del Padre” e dotato di poteri divini, vincitore di satana. Di qui deriva la sua potenza nell'operare miracoli, potenza che non riceve da Dio, ma della quale dispone liberamente in modo sovrano; di qui il fatto che la sua parola durerà in eterno come la parola di Dio, e che la sua dottrina non è legata all'Antico Testamento o alla tradizione ebraica come quella dei maestri e profeti ebraici; egli insegna di sua propria autorità (Mar 1, 22; Mat., 7, 28 e sgg.). Rivendica quindi a sé i poteri divini come il perdono dei peccati, la superiorità sul precetto del riposo nel giorno di sabato, dagli Ebrei ritenuto di origine divina, e sulla stessa legge dell'Antico Testamento; afferma di essere più grande del re Salomone, del Tempio e degli angeli di Dio che sono al suo servizio. Parla del Padre celeste come di suo Padre, che egli solo conosce e da lui soltanto è conosciuto. I prodigi avvenuti al momento della sua morte rivelano terribilmente la sua origine divina: “Veramente costui era Figlio di Dio!” (Mat., 27, 54). L'inscindibile connessione tra la realtà messianica di Gesù e la sua divina figliolanza è esplicitamente affermata nella conclusione del Vangelo di Giovanni: “Questi [prodigi] sono stati scritti, affinché crediate che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio e, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Giov., 20, 31; Gv.1:1; 5:18; 8:58; 10:30-33; 20:28; Rom.9:5; Col.1:15-16; Col.2:9; Fil.2:5-9; Tit.2:13; Ebr.7:3; II Ptr.1:1; I Gv.1:1,2; 5:20; Gen.1:26; Is.43:10; Zac.2:8-11). Pur seguendo il metodo d'insegnamento comune all'ambiente in cui visse, Gesù si distaccò dalla tradizione rabbinica affermando di attingere la propria autorità direttamente da Dio e di essere venuto a completare la Legge ebraica. Il suo discorso era semplice, limpido, lineare e adatto ad attrarre l'attenzione degli uditori; preferiva i concetti concreti e coloriti che restano bene impressi nella memoria: a questo scopo usò anche iperboli, paradossi, espressioni ritmiche e parabole. La dottrina da lui proclamata poté riassumersi tutta nel precetto d'amore verso Dio e verso il prossimo; la sua opera, nel compimento della volontà del Padre. Egli fu ben consapevole della portata sconvolgente del proprio messaggio, così semplice nei suoi termini: disse di essere venuto a portare “non la pace ma la guerra”; preannunciò ai suoi discepoli disprezzo e tribolazione per opera del mondo; pose come condizione per la conquista del Regno dei Cieli il massimo sacrificio di sé; dichiarò difficile la salvezza per i ricchi, i privilegiati, i potenti del mondo. La sua parola si rivolse fin dall'inizio ai poveri, agli umili, ai semplici, ai peccatori, ai disprezzati dalla società, come più capaci di amore, meno preoccupati delle cose terrene, in grado di capire la necessità di perdersi per salvarsi. Insegnò a non giudicare il prossimo, ma a perdonarlo; a non condannare gli altri, ma a pentirsi dei propri peccati. Egli per primo applicò il precetto dell'amore perdonando a tutti, anche a coloro che l'avevano crocifisso; ma fu inflessibile con i superbi e gli ipocriti, incapaci di aprirsi all'amore. Al fondo del suo insegnamento si trova continuamente riaffermata la superiorità della carità su ogni legge, regola, consuetudine: da qui il capovolgimento di tutti i criteri di giudizio puramente umani e il richiamo costante alla “fede” nella sua persona come via necessaria alla salvezza. È questo un punto centrale di tutta la dottrina di Gesù, ciò che più radicalmente la differenzia da qualsiasi concezione filosofica e che la distingue da qualsiasi altra precettistica morale: soltanto a chi crede nell'uomo-Dio è possibile attingere alla sorgente di vita che da lui promana, essere partecipe della sua stessa vita divina. Per questo il messaggio di Gesù non può essere, da parte del cristiano, sottoposto a scelte arbitrarie: la sua morte, per es., è inseparabile dalla sua Risurrezione. Lo spirito moderno imbevuto di razionalismo è tentato di considerare la morte come storica, e la Risurrezione come leggendaria. Ma la testimonianza degli apostoli insiste particolarmente proprio sul legame tra la prima e la seconda: e Paolo afferma che, se Gesù non fosse risorto, tutto il cristianesimo non avrebbe senso. Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio (Eb 1,1-2). 

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