Marcello Martini

Marcello Martini, è il più giovane deportato politico pratese che all’età di 14 anni fu internato nel campo di concentramento di Mauthausen.

Nel biennio tra il 1943 e il 1944 Prato viveva sotto il continuo assedio dei bombardamenti. Le squadre partigiane infiltrate soprattutto tra i dipendenti delle ferrovie agivano in clandestinità per segnalare il passaggio di treni carichi di armi.

All’epoca l’unico mezzo di comunicazione era la radio, ne esistevano alcune clandestine che trasmettevano notizie militari.

Mio padre era un maggiore dell’esercito, dopo l’8 settembre 1943 fu catturato dai Tedeschi. Riuscì a scappare ed entrò nella Resistenza, portando con sé tutta la famiglia. Il mio compito era quello di ascoltare i messaggi speciali trasmessi dalla radio”. Il 9 giugno 1944 ci fu un attacco da parte dei Tedeschi.

Nel campo il prigioniero entra nudo senza un ricordo.

Le SS ci fecero il discorso di benvenuto, indicandoci l’entrata e l’uscita, cioè il crematorio che emanava odore di carne bruciata. Ci dissero di spogliarci, non rivedemmo più le nostre cose, poi ci furono la doccia e la depilazione totale, che valeva anche per le donne”.

Tutto quello che apparteneva ai deportati veniva derubato dalle SS, compresi i capelli e i denti.

Ai deportati fu data una divisa a strisce su cui apporre un triangolo di colore diverso, il rosso identificava i prigionieri politici.

A Mauthasen si parlavano ventiquattro lingue diverse, i più erano Russi ma al campo arrivavano continuamente nuovi gruppi.

Ogni prigioniero entrava al campo con il proprio nome e cognome e diventava poi un numero, che doveva imparare a riconoscere durantl’appello della mattina fatto dalle SS.

Dopo essere stato nella baracca della quarantena fui scelto per lavorare insieme a dei tecnici in una fabbrica di battelli fluviali. Facevo l’inchiodatore. Un giorno mi capitò un infortunio, fu la mia salvezza perché vissi per un po’ di tempo in infermeria. Dopo essermi rimesso in forze fui trasferito in un altro campo”.

Nelle gallerie del campo bonificate fu installata una fabbrica di aerei a reazione.

Hitler infatti voleva costruire i missili intercontinentali con cui bombardare l’America e vincere la guerra.

Il 1 aprile 1945 fu organizzata una marcia per il ritorno a Mauthasen. Quando partimmo eravamo settecento, durante il tragitto molti furono fucilati arbitrariamente, altri morirono. Arrivati a Mauthasen fummo rinchiusi per una settimana, completamente nudi, nella baracca della quarantena”.

Il 5 maggio 1945 il campo fu liberato dagli Americani dopo la fuga da parte delle SS. Dopo alcuni giorni fu organizzato il ritorno.

Raggiunsi un amico a Gusen e partii il 21 giugno 1944, quando arrivai in Italia scoprii che per fortuna la mia famiglia si era tutta salvata”.