Le leggi razziali fasciste

Il 17 novembre 1938 con il Regio Decreto Legge n. 1728 vennero introdotte in Italia le leggi razziali.

Le leggi razziali fasciste furono un insieme di provvedimenti legislativi e amministrativi (leggi, ordinanze, circolari) applicati in Italia fra il 1938 e il primo quinquennio degli anni quaranta. Inizialmente dal regime fascista e successivamente dalla Repubblica Sociale Italiana.

Tra i primi provvedimenti che precedettero tali leggi , vi fu il Regio Decreto Legge del 5 settembre 1938-XVI, n.1390 per la "difesa della razza nelle scuole", che impediva ad insegnanti di "razza ebraica" di insegnare (art.1), ed agli alunni di "razza ebraica" di iscriversi alle scuole di ogni ordine e grado (art.2).

Ma cosa voleva dire essere di "razza ebraica"?

La risposta è nello stesso Regio Decreto Legge quando dice che "è considerato di razza ebraica colui che è nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se egli professi religione diversa da quella ebraica" (R.D.L. del 5.09 1938-XVI, n.1390 art. 6). 

Nello studio del processo politico-legislativo avviato dal fascismo, va considerato altresì il "silenzio" imposto agli organi di informazione. Un modo, potremmo dire, per "preparare il terreno" a quella che sarebbe stata la legislazione razziale del fascismo. Ciò è avvalorato dalla circolare telegrafica del Ministero della Cultura Popolare del 16 febbraio 1938 n. 8189, avente come oggetto: "divieto per la stampa di interessarsi della questione ebraica", seguita due giorni dopo da smentita ufficiale delle intenzioni del Governo di "inaugurare una politica antisemita" (Nicola Magrone, Codice breve del razzismo fascista, edizioni dall'interno-Sudcritica, 2004 ).

Così come va menzionato il documento di "scienziati fascisti" che "fissa le basi del razzismo fascista" reso pubblico il 14 febbraio del 1938 dove si afferma che:

...

L'evoluzione della politica fascista in senso autoritario, che lo porterà a legiferare un corpus di norme razziste, ha un momento di svolta con la rilevazione del 1938 che, al di la dei dati anagrafici, chiede di conoscere "Iscrizione al P.N.F." (Partito Nazionale Fascista) e "Religione".  C'è poco da discutere. Esso è stato un malcelato censimento degli ebrei presenti in Italia al 22 agosto 1938. Nelle avvertenze infatti, si chiede ai capi famiglia di compilare il questionario nel caso in cui sia presente in famiglia un componente di religione israelitica. Tale rilevazione non lasciava presagire nulla di buono ed ebbe come conseguenza un atteggiamento prudente da parte della comunità ebraica, che di fatto, interruppe del tutto la vita della comunità in Italia. Essa fu ripresa per un breve periodo, ma intenso, solo dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quando migliaia di ebrei, fuggendo dai territori occupati dai tedeschi in Italia e da tutta l'Europa, si rifugiarono a Bari. Il numero delle persone che vi arrivarono fu così elevato che si rese necessario attrezzare in città diversi luoghi che potessero accogliere i profughi. Inoltre era necessario disporre di spazi dove organizzare la vita comunitaria, assistere profughi, internati o rifugiati, educare i bambini, ma anche professare la propria religione secondo la tradizione ebraica. La comunità ebraica ebbe sede principalmente nel Palazzo De Risi di via Garruba 63, a Bari e disponeva di una sinagoga, di una mensa, di un ambulatorio medico, di una scuola, di un ufficio per l’assistenza, di una agenzia per il collocamento. Alcune mamme baresi che vivevano al Libertà, avevano stretto amicizia con famiglie ebree che alloggiavano in via Garruba, e spesso, si recavano nel palazzo per allattare i bambini ebrei. Erano gesti d'amore e, se vogliamo, forme di solidarietà spontanee tra madri, che nascevano dalla presa di coscienza, di una comunità perseguitata e discriminata, e per questo, in stato di profonda sofferenza. 

A Bari e provincia, il censimento rileva 35 famiglie, per un totale di 95 persone: 64 italiani e 31 stranieri (Vito Antonio Leuzzi)  

Nel mese di settembre venne emanato il Regio Decreto Legge del 7 settembre 1938-XVI, n. 1381, che conteneva una serie di provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri. Tale decreto imponeva agli ebrei immigrati dopo l'1 gennaio 1919, sei mesi di tempo per lasciare il paese. Se ciò non fosse accaduto, sarebbero stati espulsi. 

Va detto che, nella realtà effettuale delle cose, tale decreto restò quasi totalmente inapplicato e non produsse effetti significativi, anche per motivi economici, dal momento che il flusso turistico degli ebrei era un capitolo importante dell'economia italiana, in quel periodo depressa. 

E' certo comunque che nel momento in cui entrano in vigore i provvedimenti per la difesa della razza, in Italia erano presenti 9170 ebrei stranieri residenti, alcuni da molti anni, a partire cioè dal 1933, da quando si erano trasferiti per potervi trovare rifugio dalle persecuzioni che il dilagare del nazismo cominciava ad infliggere loro, privandoli di ogni diritto (Anna Pizzuti). 

L'indagine storica, condotta da Anna Pizzuti, ha comunque escluso l'influsso diretto del nazionalsocialismo sui provvedimenti razziali presi in Italia. Secondo un' opinione largamente diffusa, Mussolini avrebbe deciso autonomamente di promulgare le leggi razziali, ispirandosi al modello tedesco e comunque allineandosi con quelle promulgate qualche anno prima a Norimberga il 15 settembre 1935.

Con le leggi razziali la posizione dell'ebraismo italiano si deteriorò rapidamente. Ai periodici ebrei fu ordinato di interrompere la pubblicazione, le organizzazioni sioniste furono dissolte e la vita ebraica, ad eccezione delle funzioni religiose, divenne clandestina. Tali condizioni spinsero gli ebrei italiani ad emigrare in Palestina (Eretz Israel).

Per gli ebrei rimasti in Italia, la vita comunitaria riprende con fatica a rianimarsi solo dopo l'8 settembre del 1943 e Bari si ritrova ad essere, inconsapevolmente, la meta più ambita per migliaia di ebrei di diversa nazionalità in fuga dal terrore nazista. Arrivavano nel capoluogo pugliese ebrei provenienti non solo dal Nord Italia e dalla Jugoslavia occupata dai tedeschi, ma da tutta Europa per emigrare "illegalmente" in Palestina.

Alcuni interventi normativi che determinarono la politica razzista fascista