Marco Halpern

... e le leggi razziali fasciste del 1938

Dopo aver condotto ricerche lungo il crinale del XX secolo, ho deciso di pubblicare alcuni frammenti di vita (inedite), ma anche d’amore, di un giovane medico ebreo polacco, Marco Halpern e di Maria Boianovich, la donna a cui era legato sentimentalmente, inciampati nelle leggi razziali fasciste del 1938.

La storia di Marco e Maria, si svolge in parte nell'ex Pastificio Mulino di Alfredo Pagano a Gioia del Colle, in provincia di Bari, adibito a Campo di concentramento e si inserisce perfettamente nel progetto per la promozione, la conoscenza, la tutela e la fruizione di Luoghi, che sono stati teatro di vicende di grande rilievo storico, tanto da divenire elementi costitutivi del nostro patrimonio culturale ed identitario, approvati dalla Regione Puglia, con la legge in materia di “Promozione e sostegno alle attività di valorizzazione dei Luoghi della Memoria e degli Archivi storici di Puglia".

E’ una storia che ci appartiene, per essersi consumata in buona parte nel campo di concentramento di Gioia del Colle, lo stesso luogo che ha visto il suo epilogo, dopo l’armistizio dell’8 settembre del 1943, quando il giovane medico ebreo polacco viene liberato e può così finalmente ricongiungersi col suo amore (voglio pensare che così sia stato).

Una "piccola" storia dicevo, di quelle che non si raccontano, perchè non fanno scalpore, i cui protagonisti, non sono persone di spicco della diplomazia o capi di stato, e neanche militari al comando. Non sono criminali e neppure eroi che hanno condotto missioni impossibili. Non occupano nè le prime e neanche le terze pagine di giornali, nè su di loro si sono mai accese le luci della ribalta. Ma proprio per questo mi interessano. E' vero, in fondo sono solo due giovani sconosciuti al mondo, che vivono lontani dai luoghi che li hanno visti nascere, distanti dai loro affetti, dal loro mondo psicologico, che si sono incontrati per un elemento accidentale della vita delle persone e hanno stretto un patto d’amore che riempiono con parole intrise di tenere attenzioni e premure per l’altro, ma anche preoccupazioni e angosce, separati dalla guerra e dalle leggi razziali fasciste che li tengono lontani l’uno dall’altro.

Eppure quella storia è la stessa tragica storia dei totalitarismi che hanno calpestato e sfregiato l’Europa del XX secolo.

Ecco quindi una buona ragione per raccontarla e farla conoscere, per impedirne l’oblio.

Ho raccolto briciole, seguito tracce, ho “sprecato” il mio tempo, mosso da un desiderio inspiegabile. Ho messo insieme pezzi apparentemente senza senso, ma che nel loro insieme e divenire temporale di fatti ed eventi, prendono corpo e ci restituiscono un quadro, che, pur se incompleto, va conosciuto, scandagliato per capirne fino in fondo le ragioni che l’hanno determinato, ma che va anche trasmesso alle future generazioni, per dare senso e continuità all’umanità, testimoniando che la violenza subita da Marco e Maria non è un elemento accidentale della vita delle persone, bensì una costante nella storia degli uomini con cui dobbiamo misurarci.

Un obbligo morale quindi, di cui avverto il peso, e un dovere civico che sento forte nei loro confronti. Ma anche una forma di risarcimento per il male subito per mano di uomini e non certo per un destino che si sarebbe dovuto compiere.

"Piccola Maria,

dalla Tua lettera del 21 (mi è arrivata ieri) ho capito che sei nervosa. Ti confesso Tesoruccia che io lo sono di più. Oggi aspetto le Tue notizie e credo che non mi farai aspettare molto.

Il coraggio comincia a ….."

Inizia con queste parole la lettera (inedita) di Marco Halpern, spedita il 26 luglio del 1940 dal campo di concentramento di Campagna (Sa), a Maria Boianovich, la giovane donna a cui era legato sentimentalmente.

Marco, un giovane medico ebreo di origine polacca, venne recluso dopo il suo arresto, nel campo di internamento di Campagna, un piccolo paese della provincia di Salerno, prima del suo trasferimento nel campo di Gioia del Colle, in provincia di Bari, uno dei tanti campi di concentramento disseminati in Puglia.

Il giovane medico aveva da poco iniziato la sua professione a Bologna, la città che lo aveva ospitato durante gli studi, quando inciampa bruscamente nelle leggi razziali fasciste, emanate in Italia nel 1938 contro gli ebrei, e all'improvviso, suo malgrado, si ritrova catapultato nella tragica avventura dei totalitarismi, che hanno contrassegnato la storia d’Europa del XX secolo.

Per capire cosa sia successo a Marco dobbiamo partire dall'armistizio di Badoglio dell’8 settembre del 1943, quando la comunità transnazionale di ebrei (la diaspora) attraversò l'Italia passando dalla Puglia in viaggio verso la Palestina. A questi uomini e donne sopravvissuti all'olocausto, qualcuno li ha definiti “relitti del terzo reich”, si aggiunsero altri ebrei già presenti in Puglia, internati nei campi di concentramento disseminati nella nostra regione, allestiti dai fascisti, immediatamente dopo l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno del 1940.

Tra questi c’era Marco Halpern, un giovane ebreo di origine polacca, nato a Lwow (Leopoli), nella Polonia orientale, oggi Ucraina, il 17 giugno del 1914, nove mesi dopo il il matrimonio tra Efroim Fischel Halpern, di professione assistente commerciale e Lea Beila, nata Knossef.

Leopoli, la città dei leoni e luogo di nascita di Marco, è al confine tra la Polonia e l’Ucraina, che corre per oltre 500 chilometri, stabilito alla fine della seconda guerra mondiale. Una zona che da tempo immemorabile ha ospitato e fatto convivere in un crogiolo etnico-religioso, tedeschi, russi, ucraini, polacchi ed ebrei. La Polonia, è bene ricordarlo, è stata la prima vittima del nazionalsocialismo, pagando in pochissimi giorni di guerra un alto tributo di sangue.

La seconda Guerra mondiale inizia proprio con l'invasione e la spartizione della Polonia, il primo settembre del 1939, con il patto Molotov-Ribbentrop tra Hilter e Stalin.

Mordko (il nome polacco di Marco) aveva frequentato il ginnasio “Re Casimiro” a Leopoli, dal 1924-25 al 1931-32, anno in cui conseguì la maturità ginnasiale. Il ginnasio era stato intitolato all'unico re di Polonia, per commemorarne la grandezza. Per questo gli era stato attribuito l'appellativo di “Grande”, unico caso in tutta la storia polacca.

Il giovane Marco aveva, come tutti i ragazzi della sua età, un sogno. Il suo era quello di diventare medico, e per questo, aveva deciso di venire in Italia per studiare all’Università degli Studi di Bologna. E così, il 21 ottobre del 1932 invia una richiesta formale al Magnifico Rettore dell’Università di Bologna, allegando tutta la documentazione necessaria per essere ammesso al primo corso della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Marco, chiede pure gli venga rilasciato un certificato di ammissione provvisorio, che gli avrebbe consentito di ottenere il passaporto per entrare in Italia.

Fonte del documento, concesso da "Alma Mater Studiorum Università di Bologna" - Biblioteca Universitaria di Bologna - BUB (Archivio storico)

Lo ottiene, e nel 1932, subito dopo la maturità, si trasferisce a Bologna, dove si iscrive al primo anno di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi della città, mentre i suoi genitori restano a Leopoli.

Marco parlava bene il polacco e il tedesco e, con la sua permanenza e studi in Italia, imparò ben presto a parlare e scrivere anche la lingua italiana.

Frequenta con assiduità il corso di laurea e il 5 novembre del 1938 finalmente si laurea in Medicina e Chirurgia con 90/110, presso l’Università degli Studi di Bologna, nell’anno accademico 1937-38, discutendo una tesi di laurea su “Tubercolosi e cirrosi epatica” con il Prof. F.Costantini, Direttore dell’Istituto di Tisiologia della stessa Università.

Inizia così la sua professione di medico nella stessa città di Bologna dove si era laureato, in Via Belle Arti, 17.

Fonte del documento, concesso da "Alma Mater Studiorum Università di Bologna" - Biblioteca Universitaria di Bologna - BUB (Archivio storico)

E nello stesso anno in cui Marco coronava il suo sogno, cioè quello di apprestarsi ad esercitare la professione di medico, il 17 novembre del 1938, dodici giorni dopo la sua laurea, con il Regio Decreto Legge n. 1728 vennero introdotte in Italia le leggi razziali.

[... continua ... ]