FAST FASHION
Davide Negri, Martina Segantin, Sofia Gamba
Davide Negri, Martina Segantin, Sofia Gamba
Fast fashion, letteralmente “moda veloce”, è un termine moderno che indica capi d’abbigliamento alla moda che in breve tempo vengono prodotti e venduti a un prezzo contenuto.
L’espressione "Fast fashion" fu utilizzata per la prima volta alla fine del 1989 dal New York Times per descrivere la filosofia del marchio spagnolo Zara che aveva appena aperto un negozio a New York. L’articolo spiega come per un capo di abbigliamento Zara bastino poche settimane per passare dal progetto dello stilista alla vendita in negozio.
Oggi, in media, i fast fashion brand producono cinquantadue micro-collezioni in un anno, quasi una alla settimana, un dato che sbalordisce considerando che, tradizionalmente, dalla scelta delle tendenze e dei materiali da impiegare fino alla vendita del prodotto in negozio passano circa due anni.
I fast fashion brand riescono a offrire ai propri clienti dei prezzi così appetibili perché producendo i loro capi fanno uso di materiali inquinanti e di manodopera proveniente da paesi sottosviluppati ne risulta che il prodotto è di bassa qualità con cuciture deboli che dopo pochi lavaggi cedono. Il fast fashion si può, quindi, descrivere come una moda “usa e getta” che considera i vestiti come qualcosa da indossare poche volte e poi buttare.
Questo modo di pensare ha portato l’industria tessile ad essere a livello mondiale per tasso d’inquinamento ambientale seconda solo a quella petrolifera. Basti pensare che per produrre un solo paio di jeans occorrono circa 3800 litri d’acqua e che ogni anno nel mondo vengono fabbricati circa 3 miliardi e mezzo di jeans.
Nel periodo 1975-2018 la produzione dei capi di abbigliamento è aumentata esponenzialmente da 5,9 kg a 13 kg pro capite. Una parte di questo aumento è da attribuire alla crescita demografica mondiale, l'altra alla diminuzione della durata media del ciclo vitale di un capo che spesso, prima di essere buttato, viene indossato meno di 10 volte. La richiesta per i capi della fast fashion, secondo le stime, aumenta del 2% ogni anno. Il fatto che si compri di più non significa che si spenda anche di più: in Europa negli anni '50 il 30% delle spese familiari era da attribuire all'acquisto di vestiti, oggi invece rappresenta appena il 5%. In conclusione le persone comprano di più e indossano e spendono meno.
I brand di fast fashion installano le loro aziende in Paesi poco sviluppati perché riduce i costi e la trasparenza. Ovvero viene utilizzata una manodopera a basso costo, molti operai sono bambini, ed è molto difficile capire da dove provengano le materie prime utilizzate nella produzione e in che modo esse siano state lavorate. I tessuti impiegati per la creazione degli abiti nella maggior parte dei casi non rispettano l'ambiente sono sintetici (possono provocare allergie) o non riciclabili e se anche sono naturali la fibra più utilizzata è il cotone. Il cotone è una pianta che viene coltivata in campi creati dalla deforestazione, con grande impiego d'acqua e di diserbanti, i quali sono dannosi sia per l'ambiente, poiché si infiltrano nel terreno e inquinano le falde acquifere, sia per i contadini, che ne fanno uso senza le dovute protezioni. La fast fashion quindi favorisce la riduzione dei costi anche se crea danni all'ambiente e all'uomo.
A sostegno di quest'ultima affermazione vi sono i dati di una ricerca pubblicata su Nature Reviews Earth & Environment riportati di seguito. Ogni anno l'industria tessile consuma 79 trilioni di litri d'acqua, contribuisce per il 20% alla contaminazione industriale dell'acqua in tutto il mondo, rilascia 4.000-5.000 milioni di tonnellate di CO2 nell'atmosfera e i rifiuti tessili sono 92 milioni di tonnellate.
Fonte infoSOStenibile
In base a ciò, perché l'industria tessile continua a percorrere questa via di danni ambientali e sociali? Per una mera questione economica, che ci porta a chiedere, Ne vale la pena?
La Fast Fashion si basa sulla produzione in massa del maggior numero di capi d'abbigliamento nel minor tempo possibile. Solitamente la produzione riesce a seguire la moda raggiungendo così il maggior numero di persone e vendere dunque un gran numero di capi d'abbigliamento in tutto il mondo. Gli effetti sull'ambiente sono enormi e incredibilmente nocivi: i vestiti vengono prodotti utilizzando fibre chimiche, come il poliestere, che emettono quantità significative di CO2 durante la loro fabbricazione, inoltre al lavaggio di questi capi in lavatrice viene rilasciato un gran numero di microplastiche destinate a finire nell'oceano. Tuttavia la Fast Fashion ha un grande potere nel mondo della moda in quanto il prezzo basso dei suoi prodotti riesce ad attirare moltissimi clienti in tutto il mondo.
Il termine ''Slow Fashion'' indica invece una produzione più sostenibile ecologicamente, ma con tempi di produzione maggiori rispetto alla Fast Fashion e un costo maggiore dei prodotti finali. Il costo elevato è dovuto all'alta qualità dei materiali utilizzati. La Slow Fashion è caratterizzato da un approccio che porta all'utilizzo di fibre naturali, come il lino, la maggior parte di questi materiali sono biodegradabili e non danneggiano in alcun modo l'ambiente. Inoltre nella produzione viene spesso usato un sistema di riutilizzo dell'acqua, riuscendo così a minimizzare lo spreco. La Slow Fashion sta avendo successo nel mondo della moda grazie all'aumento di consapevolezza nelle persone riguardo all'impatto sull'ambiente che portano le industrie di vestiti.
Ci sono vari modi per alleviare gli effetti della fast fashion senza smettere necessariamente di essere alla moda e di acquistare vestiti:
Esistono diversi negozi sia online che fisici che rivendono merce usata in totale sicurezza, come per esempio l'applicazione www.depop.com o il sito armadioverde.it, sui quali si può vendere o acquistare vestiti di vari marchi compresi quelli d'alta moda. Inoltre esiste anche www.retezerowaste.it, che è uno strumento che indica negozi d'usato o di sfuso che puoi trovare nei dintorni.
Acquistare da aziende che appartengono alla moda etica, che producono rispettando i lavoratori e le norme per l'ambiente, alcuni esempi sono: People Tree, Thinking Mu e Noumenon.
Donare i vestiti che non si usano più a enti benefici o semplicemente ad amici e parenti per evitare l'inquinamento per lo smaltimento di quei capi.
Quando un capo d'abbigliamento si rovina è sempre opportuno provare ad aggiustarlo prima di scartarlo definitivamente.
Infine se si ha la possibilità sarebbe ottimale acquistare da piccoli artigiani, perché la qualità dei tessuti è ottima e la produzione è limitata.