La professoressa Carnelli ha organizzato un incontro di classe tramite Google Meet con Gustavo Riesco, un professore argentino che ci ha raccontato nel dettaglio che cos'è la ESMA (Escuela Superior de Mecánica de la Armada), come è divisa e che cosa succedeva ai desaparecidos dentro ogni edificio durante la dittatura di Jorge Rafel Videla...
Le foto e i video delle sale che compongono la ESMA sono stati presi dal sito ufficiale del museo, che ci ha permesso di utilizzarli.
Ecco qui un breve video introduttivo, che vi presenterà in pochi minuti el Museo Sitio de la Memoria ESMA.
Durante l'ultima dittatura civile-militare, tra gli anni 1976 e 1983, esistevano più di 600 luoghi di detenzione illegali. La ESMA era uno di questi: era nata come una scuola di meccanica dell’Armata argentina ed esiste tutt’oggi: ora, infatti, è un museo, instaurato per ricordare le storie di tutte le persone incarcerate e poi scomparse con i voli della morte, che partivano proprio da lì.
Che cos'era la ESMA?
La ESMA fu uno dei centri di detenzione, sterminio e tortura più brutali, instaurato durante la dittatura militare, quando arrivò al potere Videla.
Lì, giorno e notte, arrivavano camion pieni di persone, riconosciute non più con i loro nomi ma con un numero, strappate alle loro famiglie, arrestate, derubate dei loro beni e poi fatte scomparire. Tra queste vi erano militanti politici o sociali, lavoratori, studenti, artisti, religiosi... Nel corso degli anni vennero torturati circa 5.000 prigionieri, di cui solo 200 sopravvissero.
I militari che li sorvegliavano, infatti, potevano fare qualsiasi cosa dei prigionieri, come fossero bestie da macello. Al contrario, i prigionieri non avevano alcun diritto: passavano le loro giornate legati a terra, spesso con un cappuccio in testa e potevano alzarsi solo per andare in bagno, dopo aver chiesto il permesso; le donne, nel loro tragitto verso i servizi, venivano violentate.
La struttura:
La ESMA era divisa in tanti edifici, tra cui l’infermeria, la scuola di guerra, il dipartimento di ingegneria e un campo per allenare i militari. Ma come centro di detenzione clandestino Emilio Eduardo Massera, il capo della scuola militare, scelse El casino de oficiales.
El casino de oficiales era il luogo in cui i militari passavano il tempo per riposarsi. Era diviso in varie zone: “El Dorado”, “El Sótano”, “La Pecera”, “El Pañol”, “La Capucha”, “La Capuchita”, “La Sala Embrazadas” e “La Casa del Amirante”.
video: "El Dorado"
Prima della dittatura militare, El Dorado era la sala cerimoniale degli ufficiali della Marina. Dal 1976 è stato utilizzato per la pianificazione dei sequestri di persona.
Il seminterrato era destinato alle persone appena arrivate, e lì venivano interrogate e torturate. Le stanze delle torture coesistevano con strutture come l'infermeria, un laboratorio fotografico, una tipografia e una sala di produzione audiovisiva... Oltre che luogo di tortura il seminterrato veniva utilizzato come luogo per lavori illegali, come falsificare passaporti e documenti. In questi posti venivano spruzzate delle sostanze tossiche, per questo i prigionieri si sentivano semi drogati.
Al primo e al secondo piano dell’edificio vi erano i dormitori dei militari. Erano posizionati in modo da tenere sempre sotto controllo i detenuti.
Video: capucha
Capucha era il luogo in cui i desaparecidos passavano tutte le loro giornate. Era una zona opprimente e senza finestre, dove i detenuti rimanevano in isolamento costantemente incappucciati; i cappucci non permettevano loro di vedere né i loro compagni, né il luogo in cui si trovavano. Lì non ci si poteva muovere: venivano incatenati e vivevano in spazi davvero stretti, chiamati cucce, proprio perché ricordano le cucce dei cani.
Video: sala embarazadas
Tra i prigionieri spesso c’erano anche madri incinte: tutte loro venivano messe in un’unica sala, chiamata “sala de embarazadas” (la sala delle incinte), situata nella “Capucha”, e proprio lì venivano fatte partorire in condizioni antigieniche. Per questo, la domanda che tutti si pongono visitando il museo è “¿Cómo era posible que en este lugar nacieran niños?”, cioè “Come è possibile che in questo posto siano nati dei bambini?”
Subito dopo il parto veniva strappato il bambino alle madri, il quale veniva affidato ad un militare senza che la famiglia avesse più sue notizie.
Video: capuchita
Capuchita, invece, era la sala peggiore tra tutte. Lì c’erano due sale di tortura, si viveva e si torturava in maniera peggiore rispetto a quella di Capucha. C’era l’abitudine di torturare le persone direttamente nella loro postazione in modo che gli altri della camerata potessero sentire le urla e percepire il momento in cui stesse per arrivare il proprio turno. Alcune delle persone hanno lasciato tracce sui muri, scritto segnali per poter lasciare una traccia del loro passaggio.
Oggi, nel museo, i suoni esterni vengono amplificati in tempo reale, per ricordare i suoni esterni , (come il rumore del treno, gli aerei diretti all'Aeroparque o le partite di calcio sul campo de Belgrano) grazie ai quali i detenuti incappucciati riuscirono a capire il luogo in cui si trovavano.
Video: el pañol
Questo era il luogo in cui venivano immagazzinate le merci rubate agli ostaggi, il cui bottino venne utilizzato per finanziare le attività illegali della Task Force e a vantaggio personale dei repressori. Con il passare del tempo i furti raggiunsero case, campi e persino cavalli da corsa. Così, la Marina iniziò a produrre documenti falsi. Oggi nel museo sono presenti proiezioni che rievocano la grande quantità di oggetti che erano ospitati in questo settore.
Video: la pecera
La Pecera era un luogo simile ad un’agenzia di stampa, dove i prigionieri erano costretti ai lavori forzati. Quest'area era suddivisa in una serie di uffici, realizzati con pannelli acrilici trasparenti, separati tra loro e dislocati lungo il corridoio centrale. Si prevedevano tre forme di lavoro forzato: la manutenzione dell'edificio, la falsificazione di documenti e, infine, un compito intellettuale, che consisteva nell'effettuare traduzioni, analizzare dati politici e fare propaganda.
Video: casa dell'ammiraglio
Proprio accanto a questi luoghi vi era la residenza di Rubén Jacinto Chamorro, direttore della Scuola di Meccanica della Marina Militare.
Tra il 1976 e il 1977, la testimone Andrea Krichmar, amica della figlia del direttore, racconta di essere stata invitata a pranzo presso la loro abitazione e di aver visto, dalla finestra,“come una donna incappucciata veniva calata e incatenata alle mani e alle gambe”. Venne quindi aperto il processo delle Commissioni del 1985, la cui testimonianza è tutt’oggi visibile su uno schermo in quei luoghi del museo.
Tutto questo durò per 7 lunghissimi anni… furono molti a morire, pochi a sopravvivere.
Giunto il momento dell’esecuzione, i prigionieri credevano di trasferirsi in un altro carcere. In realtà li aspettava un terribile destino: venivano narcotizzati e caricati su aeroplani militari, i cosiddetti voli della morte, dove venivano buttati in acqua ancora vivi e, così, morivano. Nonostante ciò, però, poteva capitare che i prigionieri non venissero sedati e venivano quindi gettati in mare quasi del tutto coscienti.
Il professor Gustavo, infine, ci ha raccontato che centinaia di nonne hanno organizzato un'associazione chiamata "Abuelas de Plaza de Mayo": le nonne manifestano in Plaza de Mayo per vendicare non solo i loro figli, sequestrati nella ESMA, torturati e scomparsi, ma anche i loro nipoti, che sono dispersi per il mondo e non hanno mai potuto conoscerli. Le loro testimonianze sono preziose per informare il mondo della situazione argentina di soli 45 anni fa; per questo, non bisogna dimenticare, ma mantenere viva la memoria.