Documentari


"Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono nuovamente essere sedotte ed oscurate: anche le nostre."

-Primo Levi

IL RUMORE DELLA MEMORIA

Vera Vigevani Jarach si definisce “una militante della memoria”, in quanto protagonista di due vicende terribili che hanno sconvolto l’umanità: la Shoah e la dittatura argentina dei generali. La figlia, Franca, è infatti una de “los desaparecidos”, che venne catturata e portata all’ESMA dove poi venne uccisa con i voli della morte. Secondo Vera sua figlia venne uccisa solamente per la colpa di essere stata una ragazza che lottava per un mondo migliore. Il regime, a quei tempi, temeva le persone come Franca, ovvero i leader che combattevano per avere la libertà.

Grazie alla testimonianza di Marta Alvarez, che conobbe Franca all'ESMA, Vera potè scoprire la verità sulla sorte di sua figlia.

La testimonianza delle persone come Vera è molto importante per conoscere e non dimenticare la storia e non ripeterla in futuro.

Vera, in questo documentario composto da sei brevi video, intraprende un viaggio in memoria della figlia e della scomparsa di suo nonno legato alla Shoah, sebbene per lei sia molto doloroso rivangare il passato.



1/6 "Franca sempre presente"

Vera Vigevani Jarach è un’ebrea italiana trasferitasi in Argentina nel 1939 a causa delle leggi razziali. Questo é un documentario ‘’sul viaggio, non sulla viaggiatrice’’: Vera racconta infatti della perdita di suo nonno, che decise di rimanere in Italia pensando di non correre alcun pericolo, ma venne poi deportato e ucciso nel campo di concentramento di Auschwitz. Nel video, inoltre, Vera parla della scomparsa di sua figlia diciottenne, Franca Jarach, sequestrata insieme a 104 ragazzi della sua scuola, e portata all’ESMA dove verrà uccisa poi con i voli della morte. Queste storie che racconta fanno di lei una testimone e militante della memoria.

Franca, ai tempi delegata del centro studenti, era una desaparecida a causa della sua indole da leader, motivo per cui era considerata un pericolo per la dittatura argentina; era una ‘‘pensativa’’, in italiano ‘’pensierosa’’, che si preoccupava del mondo in cui viveva. Franca faceva parte della generazione che sognava un mondo migliore e che ha lottato per esso ed è stata una vittima di questo atto crudele.

‘’La tomba nel caso di Franca è il mare’’, come cita Vera ricordando la figlia deceduta nei voli della morte insieme a tanti altri. Nel “Parco della Memoria”, a Buenos Aires, si trova un muro scolpito con i nomi di coloro che sono stati cancellati, e che non hanno un vera tomba.

Vera spiega, con un dolore lancinante, che ‘’Non si può essere madre di una persona che non c’è più’’, ma in compenso è una ‘’madre de la Plaza de Mayo’’, che insieme a tante altre come lei getta fiori nella tomba immensa, che è il mare, gridando a squarciagola ‘’Treinta mil compañeros desaparecidos presentes ahora y siempre’’, per ricordare e non dimenticare.

2/6 "La verità sulla morte di mia figlia"

Vera scoprì, solo dopo vent’anni, la verità sulla fine di sua figlia. Marta Alvarez, una sopravvissuta, conobbe Franca durante il suo periodo di detenzione all’ESMA e decise di incontrare Vera poiché era l’unica testimone degli ultimi attimi di vita di Franca.

L’ESMA, conosciuta come ‘’Escuela Superior de Mecanica de la Armada’’, fu il centro di detenzione clandestina di Buenos Aires, dove furono deportate la maggior parte delle persone ritenute pericolose durante il periodo della dittatura. L’ESMA fu anche un alloggio per gli ufficiali e nel frattempo anche una scuola.

Marta Alvarez racconta che ‘’Franca aveva sempre il sorriso, nonostante il momento difficile che stavano passando’’, e cercava sempre di portare allegria a tutti.

All’interno dell’ESMA, vi era la ‘’Capucha’’, ossia il luogo di prigionia clandestina usata dai militari, dove sostavano i detenuti bendati e incatenati, prima di essere uccisi; ‘’El dorado’’, invece, era il salone di cerimonie usato come centro operativo, dove si decideva il destino di ogni prigioniero.

I sequestrati venivano costretti a chiamare i propri familiari, affinché potessero essere ricattati, obbligandoli a dare informazioni o a cedere le loro case, in cambio della vita dei loro cari.

Franca, quando chiamò i suoi genitori con la cabina telefonica dell’ESMA, disse loro che si trovava agli arresti nella Seguridad Federal, mentendo solo per non farli preoccupare; le ultime parole che sentì da suo padre furono: ‘’Dio ti benedica’’.

All’ESMA vi era anche il ‘’cortile’’, dove partivano i camion che trasportavano i detenuti verso i ‘’voli della morte’’; ma il luogo più terrificante era il ‘’sotterraneo’’ dove le persone, fra cui Franca, furono torturate e private da ogni diritto umano. Vera, vedendo quel sotterraneo colmo di dolore, riuscì solo a pensare se si sentisse o meno il cinguettio degli uccelli, e l’unico pensiero che mai l'abbandonò fu se Franca, nonostante la vita ingiusta che gli capitò, sentì quel canto degli uccellini.

3/6 "Sui banchi della memoria"

Nella terza parte del documentario, Vera racconta la sua testimonianza ai bambini che frequentano la sua vecchia scuola di Milano; secondo Vera, infatti, l’impegno più importante della vita è conservare la storia e darle una forma collettiva, ma soprattutto proiettarla verso il futuro. Vera spiega l’importanza dell’istruzione che non deve essere negata a nessuno, come è successo a lei nel 1938 dopo l'emanazione delle leggi razziali, che vietavano ai bambini ebrei di andare a scuola. I genitori di Vera decisero di farle frequentare una scuola pubblica pomeridiana in Via della Spiga a Milano, dove vi era il Professore Burzino. L'uomo, nonostante fosse fascista, dopo anni e anni di professione di maestro non poteva e non voleva iniziare a fare differenze tra gli alunni, anche se rischiava la morte.

Nell’ultima parte del video Vera incontra il direttore del ‘’Corriere della Sera’’, Ferruccio de Bortoli, che le chiede quali furono i suoi pensieri quando si era resa conto di cosa stava succedendo agli ebrei, e lei risponde dicendo: ‘’Pensavo che se fossi rimasta, forse mi sarei salvata lo stesso, o forse no, ma sicuramente sarei finita ad Auschwitz’’.

Vera aggiunge che sarà sempre grata ai suoi genitori, soprattutto a sua madre, che convinse il marito a scappare dall’Italia in cerca di una vita migliore; se non fosse stato per loro probabilmente lei ora non starebbe diffondendo la sua testimonianza.

Vera dice che ‘’Il nostro compito è lasciare una testimonianza, per ricordare a noi stessi e far ricordare’’; bisogna imparare dalla storia, cosa che ancora oggi, purtroppo, non si è fatto.

4/6 "La fuga di noi fortunati"

In questa parte del documentario vi è l’incontro tra Vera e Arrigo Levi, una persona che ha avuto un ruolo fondamentale nella vita di Vera, la quale lo considera come un fratello. Vera e Arrigo sono stati gli ultimi ebrei a lasciare l’Italia e a trasferirsi in Argentina nel 1942, prima della caduta del fascismo. Vera spiega che, nonostante fosse tradita dall’Italia a causa delle leggi razziali che c'erano in vigore a quel tempo, lei continua ancora a sentirsi italiana. Vera racconta che quando si trovava con la sua famiglia sulla nave che andava da Genova verso l’Argentina, suo padre gridò, come addio, ‘’Viva l'Italia’’ e Vera capì da quelle sue parole, che nonostante tutto lei sarebbe stata sempre italiana, infatti, durante l'intervista afferma: ‘’Noi non ce l’avevamo con l’Italia’’.

Il video prosegue con la storia di Goti Bauer, una sopravvissuta che è stata deportata ad Auschwitz, insieme a suo nonno, e che ha cercato di mettersi in salvo, dopo il pericolo che incombeva, tentando la fuga per la Svizzera, affidandosi ad una organizzazione. Purtroppo, nel momento stesso in cui sono arrivati alla dogana, sono stati fermati e arrestati dai militari fascisti, italiani, venendo traditi da quelli che avevano promesso loro una possibilità di vita. ‘’Si sono arricchiti a danno delle nostre vite’’ dice Goti Bauer, sottolineando ancora una volta l’importanza del ricordo.

Vera ogni giorno si pone sempre le stesse domande: ‘’In che maniera migliaia di esseri umani, si prendono la briga di distruggere un’altra parte di umanità?’’, ‘’Con che parole possiamo esprimere tutto quello che è successo nei campi di concentramento?’’.

5/6 "La cattura di mio nonno"

‘’Ho avuto un nonno meraviglioso’’: è così che Vera ricorda suo nonno, una persona coraggiosa e soprattutto ottimista, che decise di rimanere in Italia, pensando che non sarebbe mai accaduto nulla e che soprattutto la sua Italia non l’avrebbe mai potuto tradire. Non fu così e venne deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. ‘’Quando penso alla Shoah, penso a mio nonno’’, racconta Vera.

Il suo obiettivo era scoprire la verità su cosa successe a suo nonno, seguendo ogni tipo di pista, fino a raggiungere il carcere giudiziario di Varese, che venne preso d’assalto dagli antifascisti e dagli ebrei. Si presumeva che Ettore Felice Camerino fosse stato deportato nel carcere di Varese, il 5 dicembre del 1943, e poi trasferito nel carcere San Vittore il 30 gennaio e da lì trasportato nel campo di concentramento per morire tragicamente il 6 febbraio del 1944, ma fu tutto inutile perché Vera riconobbe da una foto che non era suo nonno.

6/6 "Milano - Auschwitz"

‘’Le tombe con i nomi hanno un significato profondo, poiché tutti noi abbiamo un nome che fa parte di noi stessi’’; nel Memoriale del Binario 21, nella stazione centrale di Milano, ci sono i nomi e le date in cui sono stati deportati nei campi i prigionieri partiti da lì.

Binario 21, conosciuto anche come ‘’La memoria della Shoah’’, ‘’venne tenuto segreto per non far vedere la vergogna’’ dice Liliana Segre, una sopravvissuta deportata ad Auschwitz. Partì dal Binario 21 verso il campo di concentramento sullo stesso contingente di Ettore Fenice Camerini, nonno di Vera.

Liliana racconta che in quei treni c’era una sensazione di morte che non ti lasciava e narra di quel silenzio che regnava sul treno; spiega inoltre che, quando si sta per morire, non si parla e le persone sul treno erano infatti consapevoli del loro destino: ‘’Continuavano ad urlare e supplicare, ma c’era il silenzio, anche da Dio’’ racconta Liliana, ‘’la colpa di tutto è l’indifferenza’’.