Le possibilità di sviluppo intellettuale riservate alle donne sono rimaste limitate fino a tempi recenti. Così imponevano le leggi e la società patriarcale, e dunque farsi spazio in certi campi del sapere, riservati agli uomini, era una vera e propria impresa. Risultati scientifici come quelli ottenuti da Ipazia di Alessandria (IV secolo) o da Mae Jemison (tuttora in vita) sono un'autentica anomalia del loro tempo. La maggior parte di loro non ebbe accesso a una formazione formale o fu costretta a condurre le proprie ricerche in segreto, poiché in alcuni casi fu vietato loro perfino l'accesso ai laboratori. Tuttavia, grazie alla tenacia e alla perseveranza, riuscirono a superare gli ostacoli che il sistema patriarcale pose sul loro cammino a causa del loro genere o della condizione razziale.
L'11 febbraio ricorre la Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, una giornata per ricordare tutte le donne che hanno dato un contributo fondamentale alla storia della ricerca. Le loro storie sono fonte d'ispirazione, poiché dimostrano l'originalità del loro pensiero creativo e innovativo nonostante gli ostacoli. E anche se può sembrare un problema del passato, secondo le Nazioni Unite «il divario di genere nei settori della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica (STEM) persiste da anni in tutto il mondo. Sebbene la partecipazione delle donne ai gradi d'istruzione superiore sia aumentata notevolmente, esse sono ancora sottorappresentate in questi campi». Ecco un omaggio sotto forma di galleria fotografica per dare visibilità a un problema che persiste tuttora.
Maria Salomea Sklodowska (1867-1934), nata a Varsavia, è stata la prima donna a ricevere un premio Nobel e la prima persona a vincerne due. Laureata in fisica e matematica alla Sorbona, dedicò la sua tesi di dottorato allo studio dell'irraggiamento spontaneo dell'uranio sulla base del precedente lavoro svolto dallo scienziato Henri Becquerel. Insieme al marito Pierre Curie iniziò le ricerche sulla radioattività che li portarono alla scoperta del polonio e del radio. Nel 1911 ricevette il premio Nobel per la fisica, condiviso con il marito e Becquerel. Nel 1906 ottenne una cattedra alla Sorbona, diventando la prima donna in Francia a ricoprire tale incarico. Nel 1911 vinse il premio Nobel per la chimica per i suoi progressi nello studio della natura e dei composti del radio.
“Effetto Matilda”: un’espressione sempre più spesso utilizzata per denunciare come i disequilibri di genere si manifestino anche all’interno del mondo della scienza, cancellando sistematicamente il contributo delle donne. A differenza dell’espressione “soffitto di cristallo”, che mette in evidenza quelle barriere di tipo sociale e psicologico, spesso invisibili, che limitano l’accesso delle donne ai posti di potere, l’effetto Matilda descrive una violenza culturale più diretta: l’appropriazione da parte di uomini di risultati raggiunti nel campo della ricerca da una donna.
Quello di Alice Augusta Ball potrebbe essere un caso di effetto Matilda da manuale. Donna, afroamericana, conseguì giovanissima dei risultati di grande rilevanza nel campo della chimica. Ma a ventiquattro anni morì, probabilmente di tubercolosi, senza poter pubblicare i suoi studi, di cui si appropriò invece il preside della sua facoltà.
Unica donna italiana ad aver vinto il premio Nobel per la medicina, Rita Levi-Montalcini (1909-2012) dedicò la sua vita alla ricerca in ambito neurologico, lavorando clandestinamente anche durante il fascismo. Fin dal primo anno di università lavorò come internista, nell’istituto di Giuseppe Levi, dove iniziò gli studi sul sistema nervoso. In seguito all’emanazione delle leggi razziali, la scienziata dovette abbandonare l’Italia, insieme alla famiglia e al suo mentore, e nel 1939 fu accolta come ospite presso l’università di Bruxelles. L’invasione nazista del Belgio la costrinse nuovamente alla fuga, e nell’inverno del 1940, di ritorno a Torino, istituì un laboratorio clandestino nella propria camera da letto. Malgrado i continui spostamenti e la clandestinità la scienziata non abbandonò mai le sue ricerche. Una volta finito il conflitto, nel 1947, Rita venne invitata a proseguire le sue ricerche negli Stati Uniti, presso la Washington University di Saint Louis. La donna trascorse trent'anni negli USA, insegnando per più di venti presso la prestigiosa università. Nel 1954 scoprì la NGF, una molecola proteica tumorale attiva nel sistema nervoso. Gli studi in merito, condotti insieme al collega Stanley Cohen, valsero a entrambi il premio Nobel per la medicina nel 1986, e risultarono fondamentali per la comprensione di alcuni tipi di tumore, così come di malattie come l'Alzheimer e il Parkinson.
Un problema importante è che le donne e gli uomini scelgono percorsi di studio diversi. Pochissime donne si laureano in materie scientifiche e tecnologiche (le cosiddette STEM: Scienza, Tecnologia, Ingegneria, Matematica), che offrono maggiori opportunità professionali e retributive. Soltanto una donna su sei, tra i laureati STEM, sceglie queste discipline, contro un uomo su tre. Tuttavia, anche le donne che intraprendono percorsi accademici scientifici si trovano spesso penalizzate sul mercato del lavoro, risentendo di pregiudizi di genere che limitano le opportunità di carriera e accesso ai ruoli apicali.
In Europa le donne sono fortemente sottorappresentate nel settore digitale: è meno probabile che intraprendano studi o facciano domanda per un lavoro in questo campo. In una risoluzione adottata nel 2018, il Parlamento europeo ha chiesto ai paesi membri di mettere in pratica misure concrete per integrare meglio le donne nei settori delle tecnologie dell’informazione e delle comunicazioni e di sostenere l’istruzione in questi settori e nelle discipline scientifiche, tecnologiche e matematiche.
Le donne rappresentano più di un terzo dei talenti dell'ingegneria dell'intelligenza artificiale in questi settori
Settori con le percentuali più elevate di donne in ruoli STEM
Dati ricavati dal Global Gender Gap Report 2024