Il sessismo linguistico è la manifestazione linguistica della mentalità, dei comportamenti sociali, dei giudizi e pregiudizi culturali venati di (o viziati da) sessismo.
Nel 2014 la funzione discriminante del linguaggio è stata riconosciuta in modo esplicito anche sul piano istituzionale.
Per la prima volta un articolo di legge sprona ad operare "per riconoscere, garantire e adottare un linguaggio non discriminante": si tratta dell'art. 9, titolo III, della legge regionale dell'Emilia-Romagna del 27 giugno 2014, n. 6, Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere.
Un tipo di discriminazione frequente avviene attraverso l'uso di stereotipi, in genere negativi, riferiti alle donne: per esempio recentemente il presidente del Comitato Olimpico Tokyo 2020 Yoshiro Mori ha detto pubblicamente che alle riunioni dove ci sono troppe donne tra i partecipanti si perde più tempo del necessario.
È discriminante anche il riferimento, in contesti professionali, alle qualità fisiche o alla vita privata della donna.
La discriminazione linguistica avviene attraverso l’uso della grammatica che viene usata come se ci si rivolgesse a un uomo. Si tratta di usi obsoleti, che rendono le donne invisibili e le discriminano “a rovescio” rispetto al modo con cui normalmente si attua la discriminazione linguistica: non con l’introduzione di nuovi termini, ma, semplicemente, trattando la donna come se fosse un uomo, e facendola così scomparire dalla comunicazione.
Il monologo di Paola Cortellesi sulla violenza delle parole e su quanto possa essere maschilista l’uso della lingua italiana è sempre attuale.
Scritto da Stefano Bartezzaghi, giornalista e semiologo, è stato recitato alla premiazione dei David di Donatello nel 2008 e dimostra come l’universo linguistico sia organizzato attorno all’uomo e continua a stereotipare e ridurre il ruolo delle donne.