Agonismo: senso e limiti

L'agonismo è spesso una grande attrattiva, soprattutto per i giovani, e fa parte della visione occidentale dello sport.

Tuttavia se praticando un arte marziale e allenandosi in essa anche agonisticamente si fa anche uno sport completo e divertente , bisogna ricordare che l'arte marziale non è uno sport e l'agonismo non è il fine dell'arte marziale stessa.

Un intervista al Maestro Mochizuki che riportiamo sotto può aiutare a capire meglio: riporta una discussione tra lui, giovane atleta vincitore di ben due gare di Judo nello stesso giorno, e il suo maestro Jigoro Kano, fondatore del metodo Judo.

" .... Mi guardò in viso per qualche secondo

e poi mi chiese se ero ammalato; gli spiegai come ero arrivato dal

vincere le due medaglie. Dev’esserci stato un tocco di orgoglio

nella mia voce perché il tono di Sensei cambiò completamente: "Ma

che cosa pensi che siano queste gare?" Io avevo vinto e non potevo

capire perché lui non ne fosse contento. Egli continuò: "Noi

scriviamo la parola ‘shiai’ con caratteri che significano ‘provare

insieme’. Shiai è una parte dell’arte che permette di misurare i

limiti del tuo progresso in un qualsiasi momento. Ma lo devi fare 2 volte in un giorno?"

Io ero andato solo per vincere e non avevo proprio pensato

all’idea di verificare i miei progressi nell’arte. Sensei

continuò: "Hai una concezione errata dal Judo. La gara non è un

gioco che fai per divertirti; con questo atteggiamento non sarai

mai un buon istruttore". Sebbene ci fosse una grande differenza di

età, Kano-sensei si occupava di educarmi per il mio futuro."

Questo ci riporta ad un concetto fondamentale: la gara, il randori, trovano il loro significato nel testare il proprio apprendimento, nel provare ciò che si è imparato in maniera dinamica contro un avversario/compagno magari non collaborante: lo scopo è questo, non la vittoria in se stessa che è sempre relativa e dipende anche dalle capacità del nostro antagonista. L'unica vera vittoria è la nostra crescita nell'impegno dell'allenamento e nell'acquisire serenità e fiducia in noi stessi.

L'agonismo è dunque solo uno strumento per migliorare la pratica non può esserne lo scopo, altrimenti non si pratica più una Arte Marziale ma solo lo Sport ad essa collegata, magari bellissimo, ma diverso negli scopi. D'altra parte esiste la pratica marziale senza agonismo, come lo sport senza lo spirito dell'arte marziale; ognuno è libero di scegliere, ma probabilmente l'ottimo, soprattutto per i più giovani, è coniugare le due cose, scoprendo sia l'una che l'altra.

Nel bellissimo "lo Zen e le arti marziali", Taisen Deshimaru chiarisce la propria visione sulla pratica incentrata sulla prestazione sportiva:

".... così riducono le arti marziali a semplici discipline

sportive. Quelli invece che vogliono cogliere una dimensione più elevata del proprio

essere, della propria vita, non devono imitarli. Non si può costringere né criticare

nessuno. Tuttavia potrei dire che i primi sono come bambini che giocano con le

macchinine, gli altri ne guidano di vere. Io non sono contrario agli sport: esercitano il

corpo, accrescono la resistenza fisica. Ma lo spirito di competizione e di potenza che

essi esaltano è infausto e testimonia una visione distorta della vita. Anche nelle arti

marziali bisogna essere mushotoku, ossia senza scopo né spirito di profitto.

Gli educatori odierni sono responsabili di questo stato di cose: allenano il corpo, la

tecnica, ma non la coscienza. I loro allievi si battono per vincere, giocano alla guerra

come bambini. Non c'è alcuna saggezza in tutto ciò. Non aiuta a dirigere la propria vita!

Nello spirito dello Zen e del Budo, la vita quotidiana diventa il luogo del

combattimento. Bisogna essere coscienti in ogni istante: alzandosi, lavorando,

mangiando, coricandosi. In questo consiste la vera padronanza di sé."